giuseppe martucci: pagine sparse

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Conservatorio di Musica «L. Perosi». Campobasso
Triennio Sperimentale «Repertori Vocali da Camera»
Anno Accademico 2003 – 2004
Sessione Autunnale
GIUSEPPE MARTUCCI:
PAGINE SPARSE
Elaborato delle discipline: Storia della musica da camera dell’800, Storia della
poesia per musica, Analisi musicale, Estetica musicale, Critica del testo musicale,
Armonia, Elementi di Discografia
Docenti:
Barbara Lazotti
Piero Niro
Luigi Pecchia
Elisa Petone
Allieva :
MARINA MEZZINA
Indice
CAPITOLO PRIMO
GIUSEPPE MARTUCCI - BIOGRAFIA
I . 1 La nascita e i primi anni di studio
I . 2 La situazione musicale a Napoli
I . 3 Fine degli studi in conservatorio – Inizio della carriera
I. 4 L’Italia del periodo post-unitario. La Società del quartetto a Napoli e la Società
orchestrale
I. 5 Il periodo bolognese
I. 6 Il secondo periodo napoletano
CAPITOLO SECONDO
La produzione di musica vocale da camera
CAPITOLO TERZO
Pagine sparse






Bibliografia
Appendice 1
Appendice 2
Pagine sparse I
Pagine sparse II
Pagine sparse III
Pagine sparse IV
Pagine sparse V
Pagine sparse VI
ABSTRACT
CAPITOLO PRIMO
GIUSEPPE MARTUCCI - BIOGRAFIA
I.
1 La nascita e i primi anni di studio.
La vita e l’opera di Giuseppe Martucci si legano indissolubilmente
alle vicende storiche e musicali dell’Italia negli anni della difficile
unificazione politica, ma soprattutto sociale e culturale. Nasce a Capua
il 6 Gennaio del 1856 a Capua. La città è ancora parte del Regno di
Napoli e diviene proprio in quell’anno un importante centro di
produzione bellica con il trasferimento del Pirotecnico1 da Posillipo.2
Un avvenimento questo che purtroppo non potrà portare alla città
nessun beneficio a causa dell’ormai imminente sconfitta dell’esercito
borbonico. Nel 1860, dopo un lungo assedio e un terribile
bombardamento a seguito del rifiuto della resa, le forze del Regno di
Napoli devono cedere le armi ai garibaldini e all’esercito piemontese.
Il padre di Giuseppe, Gaetano, era un musicista di professione e
aveva trovato impiego nella fanfara dei Cacciatori Bersaglieri
dell’esercito borbonico di stanza a Capua, dove conobbe Orsola
Martucciello sua futura moglie. I due giovani, al momento del
concepimento del loro primogenito, non erano ancora sposati e, a
causa delle rigide leggi interne al regolamento militare che non
prevedevano deroghe al comune senso morale, per mantenere
1
Stabilimento militare in cui si producono armi.
l’impiego si vedono costretti ad “affidare” momentaneamente il loro
bambino alla “Casa della Ruota dei projetti”, abbandonandolo davanti
alla porta dell’istituto il giorno stesso della nascita. Immediatamente
dopo l’evento Gaetano e Orsola sbrigano tutte le pratiche per
contrarre matrimonio, burocraticamente complesse anche per il
passaggio al Comando del Corpo Militare, e il 30 Giugno dello stesso
anno si riprendono il bambino dichiarandolo loro figlio naturale.
Al momento della disfatta dell’esercito borbonico la famiglia
Martucci, cresciuta intanto per l’arrivo della secondogenita Teresa, si
trova ancora a Capua ma è costretta a trasferirsi a Pozzuoli dove il
padre riesce a lavorare con le lezioni private; lezioni che egli impartisce
precocemente anche al piccolo Giuseppe e alla sorellina e con tali
risultati che già dal 1864 vi è testimonianza delle prime esibizioni dei
due fratelli in Accademie3 tenute in case private e in spazi culturali
come piccoli teatri e Licei.
In una di queste occasioni il giovanissimo musicista ha la fortuna di
essere ascoltato da Beniamino Cesi4, insegnante di pianoforte al
Conservatorio di Napoli, allora Real Collegio di S. Pietro a Majella, che
2
I riferimenti storici e biografici si rifanno, laddove non diversamente specificato, alla
puntualissima opera di Folco Perrino, Giuseppe Martucci, Centro Studi Martucciano,
Novara 1992.
3
Le Accademie riprendono l’antico significato di incontri culturali, non solo musicali, in
cui un circolo di persone interessate all’argomento trattato si riuniscono per ascoltare un
esecutore, uno scienziato, un poeta ecc. Ai tempi di Martucci erano il luogo privilegiato
dai giovani musicisti per farsi conoscere, dato che il concerto pubblico a pagamento era
ancora un tipo di manifestazione non usata nel nostro Paese, mentre in Paesi come
l’Inghilterra tali avvenimenti erano già molto comuni.
4
Beniamino Cesi (Napoli 6-XI-1845 – 19-I-1907), allievo di Thalberg, comincia il suo
insegnamento nel Real Collegio di Musica a Napoli nel 1866 e mantiene la cattedra,
nonostante i notevoli impegni di una brillante carriera concertistica, fino al 1886, quando
Anton Rubinstein gli propone di insegnare al conservatorio di Pietroburgo, dove rimarrà
cinque anni. Rientra in Italia nel 1891 e si dedica soprattutto a opere teoriche, in special
modo al famoso trattato Metodo per lo studio del pianoforte.
lo invita a concorrere per un posto da allievo esterno, ma con
frequenza gratuita, per la classe di pianoforte. Grazie ad un esame
brillantemente sostenuto Martucci può finalmente contare su un
insegnamento continuo e di ottimo livello.
L’anno seguente viene messo a concorso un posto per interno nella
stessa classe di Cesi e Martucci lo vince, svincolandosi così dalle
difficoltà economiche che lo costringevano, seppur giovanissimo, a
studiare e lavorare contemporaneamente5.
I. 2 La situazione musicale a Napoli
I Conservatori erano delle strutture assimilabili a collegi,
regolamentati da decreti pre e post unitari del 1856 e del 18616; gli
5
Si esibiva in una sorta di “piano bar” aristocratico durante le serate danzanti delle
famiglie facoltose.
6
Durante la prima metà del XVI secolo erano sorti a Napoli quattro istituti caritatevoli per
raccogliere bambini orfani o abbandonati: i “conservatori” di S. Maria di Loreto, di S.
Onofrio a Capuana, della Pietà dei Turchini, dei Poveri di Gesù Cristo. Queste istituzioni
si mantenevano grazie alla beneficenza pubblica e al sostegno ecclesiastico, ma
riuscivano ad avere delle entrate grazie al servizio musicale che i “figlioli” (così si
chiamavano i loro piccoli ospiti) prestavano durante le funzioni religiose, feste del
governo e anche presso privati. Per poter far questo i ragazzi avevano ovviamente bisogno
di un’educazione musicale e così nacquero le prime scuole musicali, che pian piano
articolarono il loro insegnamento tanto bene da far divenire chi le frequentava dei
musicisti di professione. Le scuole di Musica vere e proprie, con dei programmi e
regolamenti, si costituirono verso la metà del XVII secolo e il loro stato rimase inalterato
per circa un secolo, quando gli sconvolgimenti politici (fine dell’ancient régime e i
continui passaggi di governo dalle mani borboniche a quelle francesi) giunsero ad
aggravare una situazione che già mostrava i primi segni di decadenza e che portò alla
fusione dei conservatori prima in due sole istituzioni e infine nella creazione di un unico
istituto denominato “Real Collegio di Musica”. Dal 1813 fu direttore della scuola Nicola
Zingarelli, mentre erano allievi Vincenzo Bellini e Saverio Mercadante e la biblioteca si
arricchiva dei non molti, ma preziosi libri provenienti dalla Pietà dei Turchini e si
sviluppava grazie all’impegno di bibliotecari e appassionati storici della musica quali
Giuseppe Sigismondo e Francesco Florimo.
allievi interni dormivano nella scuola e avevano l’obbligo di frequenza,
oltre che per le lezioni di musica, anche per le consuete materie
scolastiche, quali l’aritmetica, il latino, ecc.
I professori venivano assunti tramite concorso, mentre il ruolo del
Direttore veniva assegnato direttamente dal governo.
Negli anni in cui Martucci frequenta il Conservatorio la carica di
Direttore è ricoperta da Saverio Mercadante7, che, nominato nel 1840,
svolgerà tale mansione per trent’anni. Succeduto nella carica al suo
maestro Nicola Zingarelli, Mercadante riesce appena con il suo
prestigio a rendere meno penoso il declino della civiltà musicale
partenopea; egli stesso può considerarsi lo specchio delle ambiguità in
cui ci si può imbattere nella Napoli di questo periodo. Le sue prime
opere vengono considerate dalla critica appartenenti a un gusto di
almeno cinquanta anni prima sia per la scelta dei soggetti, per la
mancanza di pezzi d’insieme, per la mancanza in generale di un
consapevole orientamento verso il melodramma romantico fino a
quando una brusca presa di coscienza non lo farà addirittura superare
7
Giuseppe Saverio Raffaele Mercadante, (Altamura, 17-IX-1795 – Napoli, 17-XII-1870).
Insieme alla famiglia si trasferisce a Napoli nel 1806 dove, dichiarando di essere nato a
Napoli e grazie a una situazione economica molto precaria ottiene di essere ammesso
come allievo interno al Conservatorio di San Sebastiano; qui si mette presto in luce e
diventa l’allievo prediletto di Nicola Zingarelli (cfr. nota 5). Quando il San Carlo, nel
1818, gli commissiona 4 balletti egli ottiene un tale successo che immediatamente il
Teatro gli suggerisce di dedicarsi al melodramma incaricandolo di scrivere un’opera per
l’anno successivo. Da allora la sua carriera fu in costante ascesa, soprattutto dopo la
rappresentazione della sua Elisa e Claudio a Milano, accolta con grande calore, e la sua
costante presenza nei maggiori teatri europei. Rossini, che già aveva avuto modo di
apprezzarlo negli anni del conservatorio, si interessa personalmente per fargli ottenere
alcune importanti cariche musicali, a cui Mercadante preferirà quella di direttore del
Conservatorio di Napoli.Nonostante la perdita della vista nel 1862 non abbandonerà i suoi
incarichi e la composizione.
in audacia e sperimentalismo armonico gli stessi Bellini e Donizetti8.
Anche il suo impegno di organizzatore della vita musicale cittadina è
infaticabile, come la sua opera di compositore, ma spesso manca di
programmaticità e di continuità, ad esempio, nel cercare di distogliere
l’attenzione puntata unicamente sul melodramma con la proposta di
concerti sinfonici e da camera Del resto anche Ferdinando Bonamici9
e il suo circolo, che riuniva chiunque a Napoli sentisse l’esigenza di
riallacciare un discorso da troppo tempo interrotto col sinfonismo,
gestiva la sua “campagna promozionale” con una libertà che si
avvicinava pericolosamente all’anarchia nei programmi e nelle
iniziative.
Il mezzogiorno d’Italia, e Napoli in particolare, brillavano di luce
riflessa grazie ai due straordinari secoli precedenti che avevano fatto
del nostro Sud la meta obbligata, ideale e fisica, di chiunque volesse
tentare la carriera di musicista.10
8
Le opere Il giuramento e Il bravo sono considerati dei veri capolavori dove la qualità
musicale e l’inventiva formale sono pari allo sforzo drammatico (cfr. voce Mercadante sul
Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, Utet, Torino)
9
Ferdinando Bonamici, (Napoli, 1827 – 17-VIII-1905). Segretario e poi insegnante di
pianoforte presso il conservatorio di S. Pietro a Majella è il fondatore nel 1862 del circolo
che da lui prende il nome, nato per incrementare la diffusione della musica strumentale,
da camera e sinfonica; nel 1864 organizzò il primo Congresso internazionale di musicisti
tenuto in Italia. La positiva esperienza finisce dopo appena quattro anni per la mancanza
di appoggi economici.
10
Per tracciare un quadro, sia pure sintetico, della Napoli culturale e musicale del XVII e
XVIII secolo si deve innanzitutto sottolineare che risale al XVII secolo l’istituzione di
scuole di musica nelle quattro istituzioni benefiche di accoglienza di bimbi abbandonati
ed è sempre in questo secolo che viene introdotto il Melodramma, tardivamente rispetto
alle città del Nord, per volontà del Conte d’Onate, nel quadro della politica di
restaurazione seguita alla sanguinosa rivolta di Masaniello (1647-48). Per oltre trent’anni
la produzione operistica è fondamentalmente legata al repertorio veneziano, ma questa
sudditanza si interrompe con l’arrivo a Napoli del musicista palermitano Alessandro
Scarlatti alla guida di una compagnia di astri del canto: il soprano Giulietta Zuffi, i
castrati Paolo Pompeo Besci e Giuseppe Costantino. Con Scarlatti, Napoli è destinata a
divenire la capitale europea dell’opera, sia per il numero enorme di opere rappresentate
dalla sua compagnia, sia per le opere da lui stesso composte; inoltre grazie a lui si
Mentre Napoli rimane a guardare il proprio passato e diventa una
roccaforte della cultura e della produzione musicale precedente il
baricentro dell’interesse culturale, unito al fervore di nuove idee
favorevolmente accolte, si sposta a Milano11. A Milano c’è la Scala,
ovvero il teatro per eccellenza del melodramma romantico e c’è Casa
Ricordi al centro di una fervente attività editoriale. A Milano Giuseppe
Verdi trova i suoi più grandi successi e restituisce alla città la luce
riflessa della sua gloria, mentre con Napoli avrà sempre un difficile
rapporto, dovendosi scontrare oltre che con la diffidenza dell’ambiente
musicale ancorato alla vecchia scuola napoletana anche con le
difficoltà economiche e direttive del San Carlo.
Oltre alla presenza comunque positiva di Mercadante e le iniziative
da lui appoggiate, il risveglio della tradizione musicale napoletana passa
ingrandiscono teatri e si rinnovano macchine sceniche e si avvicinano all’opera giovani
compositori interessati principalmente alla musica sacra, come Niccolò Porpora,
Francesco Feo, Domenico Sarro. Nel 1724, proprio su musica di quest’ultimo, Napoli
assiste alla memorabile messa in scena del primo dramma di Pietro Metastasio, Didone
Abbandonata; l’introduzione del dramma metastasiano favorirà, fra l’altro, lo sviluppo
dell’intermezzo comico.
Nella seconda metà del Settecento l’impianto del dramma metastasiano tende a
modificarsi per nuove esigenze sceniche, espressive e musicali. Queste novità adottate da
compositori napoletani (Jommelli, Tratta) lontano dalla loro città furono però accettate
nella conservatrice Napoli solo dopo molti anni nelle opere degli ultimi rappresentanti
della Scuola napoletana quali Niccolò Piccinni, Giovanni Paisiello e Domenico Cimarosa,
che esportarono i loro lavori con un successo incredibile in tutte le corti e le città europee.
A dirigere i Reali teatri (S. Carlo e Del Fondo), intanto, troviamo fino al 1840
l’impresario Domenico Barbaja, che fece giungere Rossini, e poi, a ricoprire la stessa
carica, Donizetti, che insegna anche composizione nel Real Collegio. Nella prima metà
dell’Ottocento Napoli è ancora una città culturalmente aperta e al centro della vita
musicale europea grazie all’influenza francese, ma con il ritorno dei Borboni comincia a
perdere il suo ruolo, gli interessi musicali si spostano nel settentrione e il provincialismo e
un cieco tradizionalismo tornano a isolare la città, nonostante gli sforzi, se non proprio
sistematici, almeno generosi di Saverio Mercadante.
11
Non si deve dimenticare che le due città simbolo l’una del meridione e l’altra del
settentrione d’Italia sono sotto la dominazione di due diversi governi stranieri (Borboni e
Asburgo) e di conseguenza esprimono spesso atteggiamenti culturali anche
anche per la coincidenza della scelta di Sigismund Thalberg12 di
trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una villa a Posillipo, dopo
l’ultima, trionfale tournee mondiale. Una tale personalità non passa
inosservata e, se non con la stessa forza di un Liszt a Roma, la
presenza di Thalberg lascia la sua impronta attraverso un suo giovane
allievo, Beniamino Cesi, che eredita la capacità di coniugare
l’importanza dell’elemento tecnico-esecutivo con uno stile pianistico
puro e improntato alla conoscenza del repertorio strumentale (in Italia
ignorato), inteso soprattutto come fonte inesauribile di proposte
didattiche. Con questo nuovo atteggiamento culturale il Cesi riesce a
formare pianisti che da Napoli contribuiranno a portare importanti
contributi alla rinascita del gusto strumentale italiano, primo fra tutti
proprio Martucci, ma è giusto citare anche Michele Esposito13 e
Florestano Rossomandi14.
diametralmente opposti in seguito alle politiche di mecenatismo e di inserimento nel
pensiero europeo delle rispettive corone.
12
Sigismund Thalberg, (Ginevra, 8-I-1812 – Posillipo, Napoli, 27-IV-1871, grande
pianista, allievo di J. N. Hummell, è l’unico virtuoso del pianoforte che fu indicato come
possibile antagonista di Liszt, del quale, per altro, era ammiratore e di cui non faceva
fatica ad ammettere la supremazia. Studia anche con Moschles e Kalkbrenner e diviene un
esecutore apprezzato in tutto il mondo per le sue eccezionali doti di puro virtuosismo
unite ad una grande capacità melodico-espressiva, per la sua incredibile energia, ma anche
per la grande leggerezza di tocco. A New York fonda una scuola e si trasferisce a Napoli
nella villa del suocero, il basso Lablache, dopo aver detto addio al concertismo, diventa il
capostipite della nuova scuola pianistica napoletana. Nelle sue composizioni pianistiche si
ritrovano i tratti peculiari della sue doti di esecutore nella scrittura a tre righi (si racconta
che il suo pianoforte poteva sembrare un’orchestra) per sottolineare la potenza, ma anche
notturni, romanze senza parole, e brani affini per sviluppare la sensibilità e il cantabile.
Famosissime sono tuttora le sue variazioni e capricci su temi d’opera.
13
Michele Esposito, (Castellammare di Stabia 29-IX-1855 – Firenze 23-XI-1929),
compagno di sudi di Martucci è uno dei pianisti emergenti della classe di Cesi; avrà
fortuna all’estero, dapprima a Parigi, poi a Dublino dove ottiene la cattedra di pianoforte
all’Accademia irlandese di Musica e fonda la Dublin Orchestral Society, che lui stesso
dirige più volte fino al 1927.
14
Florestano Rossomandi, (Bovino, Foggia, 22-VIII-1857 – Napoli 19-I-1933), pianista
concertista e maestro al cembalo al Teatro San Carlo, dal 1889 al 1931 insegnante di
Proprio a questi anni risale il tentativo del grande contrabbassista
Giovanni Bottesini, sostenuto da altre importanti personalità musicali,
fra cui lo stesso Cesi, di costituire un’orchestra che si esibisse soltanto
nel repertorio sinfonico. Napoli, come del resto anche Roma, non era
ancora pronta ad accogliere il sinfonismo tedesco e, di fronte
all’indifferenza generale, l’iniziativa si conclude dopo appena sei
concerti.
Sarà la generazione successiva, con Martucci a Napoli e Sgambati a
Roma, che riuscirà a portare la cultura musicale europea anche nel Sud
d’Italia.
pianoforte al conservatorio di Napoli, fonda la “Associazione-Scuola Rossomandi” in cui
crescerà molti valenti pianisti dimostrando ottime qualità di didatta. E’ pubblicato anche
una sua antologia pianistica.
I.
3 Fine degli studi in conservatorio – Inizio della carriera
Dal momento del suo ingresso in Conservatorio Martucci ha
l’opportunità di crescere non solo come pianista, ma di gettare anche
solide basi per la sua futura carriera di compositore, frequentando la
classe di contrappunto e composizione di Paolo Serrao.15
I lavori giovanili di questo periodo sono senza numero d’opera fino
al 1871, anno a cui risale l’opera 1 del catalogo martucciano, la Fantasia
sull’opera “La orza del destino”, dedicata affettuosamente a Cesi
dall’allievo devoto.
Purtroppo nel 1872 il padre del giovane Giuseppe decide i ritirarlo
dal Conservatorio, nonostante il parere assolutamente contrario degli
insegnanti. Egli era in parte convinto che il figlio fosse ormai più
preparato degli stessi suoi professori, ma soprattutto perché da allievo
interno al Conservatorio Martucci aveva dovuto sospendere la
remunerativa attività delle Accademie e, ora che egli era più conosciuto
nell’ambiente musicale, il padre contava di ricavare una rendita da
nuove possibili esecuzioni; comincia così a costruire la sua carriera
divenendo praticamente il suo manager.
Da questo momento si susseguono avvenimenti di rilievo nella vita
artistica di Martucci sia come pianista, ma anche come compositore,
dato che nelle sue esibizioni era solito inserire proprie composizioni di
15
Paolo Serrao, (Filadelfia, Cz, 1830 – Napoli 17-III-1907), pianista, compositore,
direttore d’orchestra, fu stimato da Mercadante che lo volle nel corpo insegnante del
Conservatorio di Napoli, dove insegnò prima lettura della partitura e accompagnamento al
canto e dal 1869, vinto il concorso ministeriale, ebbe la cattedra di contrappunto. Fra i suo
allievi spiccano Umberto Giordano, Francesco Cilea, Carlo Alfano, oltre a Martucci che
nutrì sempre per il proprio maestro profonda stima e affetto, tanto da essergli vicino nella
malattia e nel momento della morte.
modo che il pubblico potesse apprezzarlo in questa duplice veste. Nel
1874 lo troviamo a Roma dove, grazie a personaggi quali Sgambati,
l’assidua presenza di Liszt e l’interesse della principessa Margherita
futura regina d’Italia, la musica sinfonica e da camera cominciavano di
nuovo ad avere un loro spazio.16
Fortuna vuole che il soggiorno e le esibizioni romane di Martucci
trovino ospite della città eterna proprio il grande Liszt, il quale
interviene a uno dei concerti tenuti dal giovane musicista capuano e ne
riconosce il valore17.
Altrettanto avviene con la principessa Margherita, che da quel
momento nutrirà sempre una grande stima e vivo interesse per la vita
musicale di Martucci18.
16
Si dovrebbe aprire qui tutto un nuovo capitolo sulla rinascita strumentale a Roma e sui
protagonisti che caldeggiarono tale processo; qui basti dire che Giovanni Sgambati (1841
– 1914) è stato per la cultura musicale romana quello che Martucci è stato per Napoli,
adoperandosi per la riscoperta e la divulgazione del repertorio sinfonico e il rinnovamento
di quello pianistico, trasformando ogni accademia pubblica e privata in un’occasione
didattica per plasmare il gusto dell’aristocrazia capitolina, avvezza solo al sapore del
melodramma; l’opera di Sgambati non è stata così conosciuta come quella di Martucci
(per quanto molto poco anche quest’ultima) perché il compositore romano pubblica i suoi
lavori per Schott a Mainz, grazie all’interessamento di Wagner, così colpito dall’ascolto
dei due Quintetti, da raccomandarlo personalmente all’editore tedesco. Per quanto
riguarda la scarsa diffusione della bellissima produzione della sua Musica vocale da
camera ciò è dovuto sia alla difficile reperibilità delle edizioni, sia alla poca affinità con le
romanze dell’epoca. Assolutamente poco incline a concedersi alle mode per ottenere i
favori del pubblico, Sgambati non si piega alla richiesta del mercato di una facile
eseguibilità, e nelle sue romanze il pianoforte risulta protagonista e interprete della parola
al pari, se non più del canto, e quindi viene richiesta agli esecutori una perizia non
facilmente riscontrabile nell’esecuore-tipo cui questi lavori erano generalmente destinati.
17
Parlando della presenza a Roma di Liszt, è facile intuire che da sola la sua autorità
bastasse a giustificare qualsiasi scelta di programma a lui gradito in qualsiasi esibizione
egli volesse intervenire facendo la sua comparsa fra il pubblico; letteralmente conteso
dalle famiglie aristocratiche romane, egli come tanti altri grandi artisti del momento,
contribuisce a rendere il salotto non più il luogo di effimera ostentazione dell’ospite
importante, ma un vero e proprio luogo di incontro di idee e di ascolto, germoglio di una
più vasta diffusione di una cultura musicale negletta.
18
Dal canto suo la principessa Margherita, appassionata di musica e lei stessa musicista
dilettante (allieva di Tosti per il canto e di Sgambati per il pianoforte), introduce queste
L’anno 1875 lo vede esordire a Milano e a Londra. Introdotto
sapientemente nei salotti dell’aristocrazia prima che nelle Accademie
più importanti, la sua permanenza a Milano gli vale soprattutto
l’incontro con Tito Ricordi, che acquista i diritti delle sue opere, e il
riconoscimento del temuto critico e musicologo Filippo Filippi.19
A Londra esordisce all’ Ariditi’s morning concert, invitato dallo stesso
Luigi Arditi20, artista italiano che spopola nella capitale inglese e che
apre la strada al successo di molti compositori italiani, tra i quali il più
illustre è senz’altro Francesco Paolo Tosti.
I successi londinesi gli fanno guadagnare l’interesse del celebre
violoncellista Alfredo Piatti, che gli propone addirittura una tournee
insieme ad altri insigni musicisti (fra i quali il famoso flautista Giulio
Briccialdi). La tournee risulta un trionfo per il giovane Martucci, che,
non solo non sfigura al confronto di vere e proprie glorie nazionali
musicali, ma riesce a farsi ammirare per le sue doti di esecutoree di
compositore.
Tornato a Napoli ha finalmente l’occasione di rinsaldare il rapporto
sentimentale che stava nascendo fra lui e una sua allieva, Maria
Colella21, di due anni più grande, figlia di una famiglia benestante di
Napoli, che diverrà sua moglie. Certamente l’unione fra il musicista,
“rarità” musicali direttamente a corte, patrocina istituzioni concertistiche come la Società
Orchestrale Romana, e promuove ella stessa iniziative come i celebri concerti del
Quintetto della Regina.
19
Filippo Filippi, (Vicenza, 13-I-1830 – Milano 24-VI-1887), critico musicale, pianista,
organista, laureato in in giurisprudenza. Nel 1858 entra a far parte della redazione della
“gazzetta Musicale di Milano”, che diresse dal 1860 al 1862. Fra le varie collaborazioni si
segnala quella con la “Gazzetta Musicale di Napoli” e con la “Perseveranza”.
20
Sulla particolare esperienza umana e musicale di Luigi Arditi, la sua permanenza e
fortuna a Londra e in America, cfr il saggio di Daniele Bubboli, Basta un titolo per la
gloria, in Sanvitale Francesco, a cura di, op. cit.
promettente ma economicamente ancora instabile, e la giovane
borghese non deve essere stata vista di buon occhio dalla famiglia di
lei, ma una volta tanto sembra che le ragioni del cuore (e
probabilmente anche quelle della fama crescente di Martucci)
sembrano aver avuto ragione sugli interessi economici e la famiglia di
Maria si piega al volere dei due innamorati e addirittura trova una più
degna abitazione a tutta la famiglia Martucci al piano terra di uno
stabile di proprietà dei Colella stessi.
Il ritorno a Napoli, coincidente con
la accresciuta visibilità e
considerazione in tutto l’ambiente culturale e borghese, rendono
Martucci in grado di iniziare lo stesso apostolato di Sgambati nei
salotti “che contano” e a tessere quella fitta tela di relazioni con
entusiasti e insieme facoltosi sostenitori dell’arte che lo aiuteranno a
mettere in pratica molti progetti.
Nel 1877 Martucci torna a Milano, impegnato in una serie di
concerti, ma soprattutto si conferma nella stima crescente del critico
Filippi, che rimarrà conquistato anche dalla delicata umanità e
modestia del giovane compositore; presto i due saranno legati da
sincera e profonda amicizia.
Ritornato a Napoli si dedica a tempo pieno alla stesura del Quintetto
per partecipare al concorso di composizione bandito dalla Società del
Quartetto di Milano. Conosciuto e apprezzato anche da alcuni membri
della commissione solo come autore di opere pianistiche, la sua
vittoria22 coglie di sorpresa un po’ tutti, in considerazione del fatto che
21
Maria Colella, (Casal Nuovo di Napoli, 21-IV-1854
Il premio, assegnato il 23 Febbraio 1877, consisteva in una somma di denaro pari a
Mille Lire e consentiva l’esecuzione in importanti manifestazioni dell’opera vincitrice.
22
egli era al suo primo impatto con una composizione di così vaste e
complesse proporzioni.
I.
4 L’Italia del periodo post-unitario.
La Società del quartetto a Napoli e la Società orchestrale
L’idea di Nazione, l’esperienza dei moti, la voglia di unità in realtà
sono esigenze di pochi intellettuali e della borghesia industriale del
Nord che ha bisogno dei latifondisti del Sud.
In realtà una reale unificazione è impossibile, data anche la abissale
diversità economica e culturale fra le varie regioni; infatti quelle del
Nord, passate sotto il dominio austriaco, hanno avviato il processo di
industrializzazione, mentre il Sud dei Borboni è ancora completamente
agrario e solo la capitale Napoli ha ricevuto impulsi economici e
culturali, mentre tutto il resto del Regno era letteralmente usato per lo
sfruttamento di risorse umane e territoriali.
Il nuovo governo italiano non ha i fondi per attuare una
unificazione che sia, oltre che politica, effettiva e compresa dalla gente.
Il primo grande problema è proprio quello della comunicazione e della
diffusione dell’idea stessa della nuova situazione, con nuove leggi,
nuove tasse, nuove prospettive; l’analfabetismo è il male da debellare,
perché anche se l’editoria comincia a dare segnali di sviluppo non può
concorrere a creare una coscienza sociale sovraregionale.
Nel 1877 arriva la attesa riforma della scuola23, ma tutti i progetti si
infrangono contro le difficoltà economiche che impediscono una reale
attuazione, e i maestri toscani mandati a insegnare il fiorentino,
riconosciuto come il “vero” italiano, nei grandi e piccoli centri italiani
svolgono una missione al limite del puro volontariato24.
Mentre prende il via questo lento e difficile processo di
alfabetizzazione, si intravede proprio nel melodramma e nelle sue
storie il modo più immediato e pratico per fare arrivare il messaggio
unitario ad un grande numero di persone.
A questo periodo risale la costruzione di tanti teatri nelle piccole
città italiane, visti come possibile fonte di unità basata su un repertorio
comune di immagini e personaggi.
In quest’ottica anche la romanza da salotto e l’editoria che la
sostiene sono considerate possibili latori di un nuovo bagaglio
culturale nella nuova nazione da costruire.
Quando Martucci vince il premio della Società del Quartetto di
Milano la situazione è già un po’ cambiata: il melodramma dagli
accenti eroici del Risorgimento, il primo Verdi dei cori e delle storie
23
Il 4 Febbraio 1874 la camera aveva respinto il disegno di legge Scialoja per l’istruzione
elementare obbligatoria, che prevedeva, fra l’altro la gratuità dell’istruzione per i fanciulli
poveri e l’obbligo per i comuni di costruire un numero di scuole in numero sufficiente
alle esigenze della popolazione. Nel Giugno del 1877 è promulgata la legge per
l’istruzione elementare, detta legge Coppino dal nome del ministro proponente.
Riconosciuta la gratuità dell’istruzione, l’obbligo della frequenza viene imposto ai
fanciulli dai sei ai nove anni. Cfr. Cronologia, in G. Sabbatucci e V. Vidotto, a cura di,
Storia d’Italia vol. 2, Laterza, Bari, 1995.
corali, ha concluso la sua parabola; il dramma romantico e i suoi
libretti si incentrano su personaggi emblematici. Inoltre, dopo la terza
guerra d’Indipendenza si instaura una tregua (1866), consolidata poi
nella Triplice alleanza del 1882, con Prussia e Austria: l’impero
austroungarico non è più visto come “il nemico” e di conseguenza
anche la musica del repertorio tedesco può essere accolta in maniera
politicamente più rilassata.
E’ vero che i tentativi di Bottesini e del Circolo Bonamici si erano
mestamente concluse, ma intanto Firenze e Milano vantavano già le
loro Società del Quartetto.
Nel 1878 è finalmente la volta di Napoli: si costituisce la Società del
Quartetto. L’iniziativa prende spunto dalla vittoria al concorso di
composizione di Martucci, dalla partecipazione del marchese Luigi
Filiasi, dai mecenati tedeschi Stoltz e Pfister, e da illustri musicisti, fra
cui Cesi e lo stesso Martucci come pianisti titolari del nuovo
organismo.
Negli stessi anni nasce anche la Società orchestrale di Napoli, grazie
alla munificenza, degna di un principe rinascimentale, di Francesco
Milano principe d’Ardore25, che viene affidata alla direzione di
Giuseppe Martucci. Il concerto d’inaugurazione26 si tiene il 23
Gennaio 1881 con un programma molto impegnativo e allora
24
Per i problemi connessi alla questione linguistica nel quadro dell’unità nazionale cfr.
Bruno Tobia, Una cultura per la nuova Italia, in G. Sabbatucci e V. Vidotto, a cura di,
op. cit.
25
26
Folco Perrino (vedi op. cit.) riferisce di una “uscita” pubblica precedente dell’orchestra
e precisamente il 25 Aprile del 1880: Martucci dirige l’overture del Vascello Fantasma di
Wagner, in visita al conservatorio napoletano proprio in quei giorni, ma il concerto è a
inviti e la stampa non vi è ammessa; forse per questo motivo il 1881 è considerato l’anno
dell’inaugurazione ufficiale.
conosciuto solo grazie alle trascrizioni per pianoforte, che
comprendeva la Sinfonia in sol minore di Mozart, l’overture Leonora di
Beethoven, quattro brani dal Sogno di una notte di mezz’estate di
Mendelssohn.27
Gli anni fra il 1877 e il 1881 sono particolarmente ricchi di
avvenimenti per Martucci: oltre alle vicende già citate, nel 1879 si
unisce in matrimonio con Maria Colella e, vincitore al concorso
ministeriale, viene nominato professore al Conservatorio di Napoli.
Il 17 Febbraio 1880 Martucci diventa padre di una bambina che
chiamerà Amalia,28 l’anno seguente di un’altra bimba, Carolina, che
purtroppo morirà appena tre mesi e mezzo dopo la nascita e, nel 1883
di suo figlio Paolo, che seguirà le orme paterne e diverrà uno stimato
pianista e lavorerà soprattutto all’estero.
Ormai al centro dell’attenzione musicale cittadina, ma seguito con
interesse anche in altre città italiane, Martucci svolge un’intensissima
attività concertistica come direttore – dirigerà, fra l’altro in prima
assoluta a Napoli, per il trigesimo della morte di Wagner, il preludio
del Parsifal e la VI sinfonia di Beethoven, anch’essa mai ascoltata a
Napoli – che come solista e compositore – il 31 Gennaio 1886 viene
eseguito in prima assoluta, al pianoforte l’autore, il suo Concerto per
pianoforte e orchestra in Si bemolle minore sotto al direzione di Paolo Serrao.
Ma come compositore è anche attento alla musica da camera: infatti il
suo Trio in Do Maggiore op. 59
27
vince di nuovo il concorso di
Riferimento alle fotocopie della prof. Petone.
Amalia Martucci sarà, dopo la moglie del Maestro, la fonte più diretta ed entusiasta di
testimonianze e ricordi sulla vita del padre. Sposerà il pianista Luigi Finizio, virtuoso e
stimato didatta dello strumento, anch’egli impegnato negli incontri e nella corrispondenza
con gli storici interessati alla vita e all’opera del suocero.
28
composizione bandito dalla Società del Quartetto di Milano nel 1884 e
lo porta ancora nel Nord Italia a eseguire una serie di concerti
cameristici, mentre continua, infaticabile, il suo impegno nella Società
del Quartetto di Napoli.
Nello stesso anno a Torino si allestisce l’Esposizione Generale
Italiana, presenti le massime autorità dello stato, della stampa
specializzata, della musica in generale.
Martucci e l’orchestra napoletana, ormai cresciuta fino a sessanta
elementi, ma ancora interamente stipendiata dal principe d’Ardore, vi
prendono parte esibendosi in tre differenti concerti; da tempo il
Maestro si preparava all’evento e anche tutta Napoli partecipava
all’attesa di questa prima importante trasferta, nella speranza di
suggellare tanta meticolosa preparazione con un riconoscimento a
livello nazionale.
Dire che l’orchestra e, soprattutto, il suo direttore riscuotono un
grande successo è probabilmente dire poco: l’entusiasmo per la
precisione e la compattezza del gruppo, per la compostezza, il rigore,
l’approfondimento, la chiarezza del gesto del direttore, per l’autorità e
il fascino dell’interprete e dell’interpretazione29 sono unanimemente
riconosciute. Un entusiasmo amplificato dalla sorpresa di ascoltare
un’orchestra italiana, anzi napoletana, prodursi in un repertorio
sinfonico30 senza nulla dover invidiare, a detta di tutti, alle grandi
orchestre straniere da tempo provate su tale repertorio.
29
Si riassumono con questi aggettivi le splendide critiche uscite su tutti i giornali
dell’epoca.
30
Vale la pena riportare il programma dei concerti, perché denota il gusto e la conoscenza
di un repertorio molto vasto: Weber – Overture “Euryanthe”, Beethoven – Quinta
Sinfonia, Mozart – Overture “Die Zauberflöte”, Sammartini – Pastorale (orchestrata da
I. 5 Il periodo bolognese31
Nel 1886 Martucci viene chiamato a succedere a Luigi Mancinelli
come direttore del Liceo Musicale di Bologna32; dopo poche settimane
viene anche nominato Maestro di cappella della Chiesa bolognese di S.
Petronio.
A Bologna trova un ambiente più preparato ad accogliere la sua opera.
Proprio al Comunale di Bologna vie erano state le prime
rappresentazioni di opere di Wagner33 e la Società del Quartetto
bolognese, fondata nel 1879, aveva già proposto programmi di
notevole valore artistico.
Martucci dirige pochi concerti sinfonici a Bologna, ma ognuno di essi
viene vissuto come un evento dalla città. Nel 1892 propone la IX
Sinfonia di Beethoven e nel 1895 la prima esecuzione assoluta in Italia
delle Scene dal Faust di Schumann.
E’ proprio in questa città che egli farà una delle sue rare apparizioni su
un podio teatrale per dirigere, nel 1888, la memorabile prima
esecuzione italiana del Tristano.
G. Martucci), Rameau – Rigaudon da “Dardanus”, Boccherini - Minuetto in fa minore,
Wagner – Preludio dal Lohengrin, Mendelssohn – Overture Ruy-Blas.
31
Da questo momento in poi le notizie biografiche sono attinte dal testo di Fabio Fano,
Giuseppe Martucci, op. cit. e da Vincenzo Terenzio, La musica italiana nell’ottocento,
op. cit.
32
Nel 1804 è istituito a Bologna il Liceo Filarmonico, destinato a svolgere un ruolo
preminente nella vita musicale della città, grazie all’opera del violinista Felice Radicati, il
quale tenta di rivalutare la tradizione quartettistica italiana contro quella tedesca e a
caldeggiare una più favorevole disposizione del pubblico verso la musica strumentale, e a
Stefano Golinelli, destinato a diventare uno dei pianisti più importanti dell’epoca e al
quale rossigni, incaricato di riorganizzare il Liceo musicale, affida la cattedra di
pianoforte nel 1840. (cfr. Vincenzo Terenzio, La musica italiana nell’ottocento, op. cit.,
p. 532)
33
Lohengrin nel 1871, Tannhäuser nel 1872 e Il vascello fantasma nel 1877.
In questo periodo non cessano le sue esibizioni nel resto d’Italia e in
Europa e lo si trova a Napoli nel 1897 per la commemorazione del
centenario della nascita di Donizetti e a Torino nel 1896 e a Londra
nel 1898 a dirigere la sua prima Sinfonia.
Le opere che Martucci compone durante il soggiorno bolognese sono
ormai giunte alla piena maturità: i due Notturni per pianoforte op. 70, i
brani per violino e pianoforte op. 67 e per violoncello e pianoforte op.
69, i due cicli di liriche La canzone dei ricordi e Pagine sparse, la prima
Sinfonia,compiuta dopo sette anni nel 1895.
Quando, nel 1897, muore il Direttore del Conservatorio di Milano,
Antonio Bazzini, a Martucci viene offerta la possibilità di ricoprire la
carica vacante, ma non accetta.
Nel 1902, però, Pietro Platania, Direttore del Conservatorio di Napoli,
lascia l’incarico per andare in pensione e Martucci, non senza qualche
rimpianto nel lasciare un ambiente musicale e umano che lo aveva
capito e sostenuto, accetta l’incarico di Direttore e torna nella “sua”
Napoli.
I. 6 Il secondo periodo napoletano.
Con l’addio a Bologna, Martucci chiude un ciclo importante della sua
vita artistica. A Napoli egli si dedica alla riorganizzazione del
Conservatorio e la sua presenza conferisce nuovo slancio all’attività
concertistica della città.
La Società dei concerti viene ricostituita in coincidenza del suo rientro
ad opera di Carlo Clausetti e ricomincia la sua attività con bellissimi
programmi che culmineranno con l’esecuzione della Nona Sinfonia di
Beethoven nel 1905.
Ma la salute del Maestro è ormai minata da un male incurabile e
l’ultima grande impresa musicale da lui sostenuta, ossia l’esecuzione
del Tristano e del Crepuscolo degli dei al San Carlo nel 1907 – 8, è
probabilmente un impegno troppo gravoso per la sua salute, che ne
risente enormemente.
Nel tempo intercorso fra l’esecuzione delle due opere c’è da stupirsi
che abbia avuto la forza e l’entusiasmo per recarsi a Monaco di Baviera
per sentire l’intera Trilogia wagneriana, a testimonianza, se dopo tutta
una vita dedicata alla musica ce ne fosse ancora il bisogno, che in lui
l’amore e lo stupore per la propria arte sono rimasti immutati e
generosi come agli inizi degli studi e della carriera.
Muore alla mezzanotte del 31 maggio 1909.
I suoi manoscritti vengono acquistati dalla sua grande ammiratrice, la
regina Margherita di Savoia, e poi donati al Conservatorio di Napoli
dove sono tuttora custoditi.
Nel catalogo delle opere di Martucci la musica vocale34 è
numericamente molto subordinata, come del resto i numeri
d’opera della musica da camera, alla vasta produzione per
pianoforte. All’interno della produzione per voce è da rilevare
come la lirica da camera occupi un posto di primaria, se non di
esclusiva, importanza.
In particolare si mettono in evidenza i due componimenti Pagine
Sparse e La canzone dei ricordi, unici casi di concezione ciclica nella
romanza da camera italiana, che si inseriscono perfettamente
nell’opera di riscoperta e proposta dell’arte strumentale e
cameristica tedesca di cui il Maestro fu fautore e artefice.
Il contributo dei maestri tedeschi dell’arte del lied è evidente, per
esempio, nell’accostamento del testo tedesco a quello italiano in
Pagine sparse, e per evidenti richiami a Frauen Lieben und Leben di
Schumann ne La canzone dei ricordi35; partendo da questi dati
esteriori si è qui voluto dare una lettura di Pagine sparse proprio
34
Messa di Gloria, per voci e orchestra, 1871; “Alma gentil” Op.5
(secondo Fabio Fano è da catalogare come pubblicazione senza numero
d’opera del 1872), in La maggiore,romanza per soprano o tenore su versi
di Silvio Pellico;”Samuel”, oratorio per soli, coro e grande orchestra,
versi di Federico Persico, 1881 (opera inedita senza numero di catalogo,
per volontà dell’autore mai eseguita); La canzone dei ricordi, poemetto
lirico per mezzosoprano con pianoforte su versi di Rocco Pagliata, senza
numero d’opera, 1887 ca.; Sogni, 2 romanze su versi di Corrano Ricci,
1888 (?); Pagine sparse, op. 68, su versi di Corrado Ricci,, 1889 ca.; Tre
Pezzi op. 84, su versi di Giosué Carducci (Maggiolata, Pianto antico,
Nevicata), 1905-06. Si segnala una grave superficialità e lacune alla voce
Martucci sul Dizionario della Musica e dei Musicisti (op. cit.).
35
L’intenzionalità di tale accostamento si può rilevare anche nella dedica
de La canzone dei ricordi: essa è rivolta al mezzosoprano Alice Barbi,
non cantante d’opera, ma splendida camerista, al punto di essere richiesta
da Brahms in persona per interpretare i propri lieder.
Martucci la conosce grazie a Rocco pagliata, autore dei versi del
poemetto, e fervente ammiratore della particolare interprete.
nell’ottica della concezione unitaria richiesta a un ciclo di liriche,
composte su testo di uno stesso poeta, anche se non facenti parte
di un racconto in sé compiuto36, come del resto in tanti
capolavori dei maestri tedeschi.
Si è scelto, quindi, di adottare un tipo di analisi che consenta di
individuare i segnali di tale concezione prendendo spunto
dall’analisi di tipo motivico proposta da Rudolph Réti37,
soprattutto nell’indagine dei primi tre brani, per poi integrarsi
con un’attenzione maggiormente rivolta alle implicazioni
armoniche e all’importanza del testo poetico negli ultimi tre per
poter suggerire una visione d’insieme più completa.
I riferimenti in notazione avranno dei rimandi in Appendice 1,
mentre i riferimenti alle battute indicheranno il brano con il
36
Die schöne Müllerin, Frauenlieben und Leben sono cicli liederistici
che narrano una storia, mentre, per esempio, Winterreise o Dichterliebe
sono composti su testi dello stesso autore, ma non seguono un filo
narrativo.
37
Essendo chiaramente impossibile riassumere una tecnica analitica tanto
complessa nello spazio di una nota, si può comunque motivare tale scelta
ricordando che uno dei pregi di tale analisi è proprio quello di colmare i
vuoti dell’ approccio analitico più tradizionale della forma: individuare
un “motivo”, intendendo con questo termine non una figura o una serie di
intervalli, ma il loro modo di relazionarsi con la macrostruttura, è il primo
passo per poter dimostrare perché due temi, per esempio all’interno della
stessa sonata, sono necessari l’uno all’altro e per quale motivo quel
secondo tema è adatto a seguire il primo e nessun altro, e così si può dire
anche per i movimenti di una sonata, che non sono semplicemente
giustapposti (altrimenti un qualsiasi movimento di sonata potrebbe essere
inserito in un’altra, purché in una tonalità e uno stile congruenti), ma
derivino da un’elaborazione organica di una stessa idea originaria.
Si tiene qui a sottolineare il fatto che se tale concezione sia conscia o
meno all’interno della mente del compositore sia irrilevante ai fini
dell’analisi, che descriverebbe comunque due processi mentali differenti,
ma creatori di uno stesso risultato, con il quale la tecnica di indagine deve
essere messa alla prova. (cfr. Cook, Nicholas, Guida all’analisi
musicale(ed. it. a cura di Guido Solvetti), Guerini e Associati, Milano,
1991.
numero romano, poi il numero della battuta, o delle battute, che
sono prese ad esempio.
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