Rilievi strumentali e modelli digitali per lo studio di facciate

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andrea carpanese
Introduzione
La tesi dal titolo “ Rilievi strumentali e modelli digitali per lo studio di facciate
incompiute” si propone di verificare l’uso degli strumenti del rilevamento numerico (laserscanner, fotogrammetria, topografia) e della modellazione digitale per lo studio di facciate
di edifici sacri veneziani.
Dopo aver esplorato le potenzialità degli strumenti dal punto di vista teorico e pratiche
mediante applicazioni, si è scelto quale campo sperimentale la facciata di San Marcuola.
Di questa si è svolto un rilievo metrico-strumentale con laser-scanner e dopo numerose
elaborazioni si è costruito un modello digitale dello stato di fatto; tutto questo dopo aver
studiato in maniera teorica altre Chiese veneziane costruite dal medesimo Architetto della
Chiesa di San Marcuola ovvero Giorgio Massari.
Attraverso documentazioni grafiche recuperate in archivi bibliotecari e fotografici abbiamo
studiato le ipotesi di completamento della facciata e scelto la più probabile mediante
confronti metrici e proporzionali.
Oltre a documentazioni grafiche abbiamo effettuato anche confronti diretti metrici su
edifici costruiti, come la facciata della Chiesa dei Gesuati progettata anch’essa da Giorgio
Massari.
Per mezzo quindi di tutte queste informazioni si è arrivati a determinare una possibile
ricostruzione della facciata della Chiesa di San Marcuola e dei possibili scenari di Venezie
possibili e mai realizzate in diversi periodi storici.
Indice
La Chiesa di San Marcuola
-
La chiesa e la contrada nel medioevo
La chiesa e le vicende del capitolo nel ‘500
I progetti di Antonio Gaspari
La chiesa nei primi anni del ‘700
La ricostruzione e l’intervento di Giorgio Massari
La chiesa e le vicende del capitolo nella seconda metà del 1700
La situazione della parrocchia di San Marcuola nella prima metà del 1800
L’iconografia della chiesa di San Marcuola
Considerazioni su alcuni edifici incompiuti veneziani
-
Possibili motivazioni ed aspetti peculiari dell’incompiuto
Elaborati grafici
Bibliografia
Storia della Chiesa di San Marcuola
LA CHIESA DI SAN MARCUOLA O CHIESA DEI SANTI ERMAGORA E FORTUNATO
La fondazione della Chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato è ricordata da una lapide posta nella Chiesa il 13 novembre 1779; essa si trova nella parete
sinistra, rispetto il presbiterio, a destra del pulpito e annota fra l’altro: “aedum saeculo VI vetuatissimi malorum condiderunt…”. La prima fondazione
quindi sembrerebbe risalire quindi al VI secolo.
Le cronache antiche fanno risalire le origini della Chiesa al periodo delle invasioni barbariche e precisamente a quella dei Longobardi, avvenuta nel
568.
I fondatori sarebbero stati quei fondatori di Aquileia che, fuggiti per timore dei Longobardi, si sarebbero rifugiati in quei luoghi e avrebbero intitolato
la chiesa ai loro santi protettori.
Alcuni studiosi sono del parere che la Chiesa sia stata fondata sotto il titolo di Santa Maria Assunta e che solo nell’810 abbia avuto la consacrazione ai
Santi Ermagora e Fortunato.
In origine questa chiesa, come tutte le costruzioni che sorsero in questi primi secoli, non doveva essere altro che un piccolo oratorio costruito in legno
e coperto di paglia e canne. Probabilmente non si celebrava nemmeno la Messa ma serviva solo come luogo di devozione o come ambiente di riunione
per la famiglia padronale e i loro pochi convicini.
A capo di queste prime chiese era un vicario, scelto dalla famiglia patrizia più importante della contrada e poi nominata dal vescovo; non
necessariamente chi assumeva tale carica era sacerdote, in quanto doveva svolgere per lo più mansioni di sorveglianza o di custodia dei beni comuni.
In rapporto all’aumento degli abitanti crebbe anche il numero delle chiese e la loro ampiezza, si diffuse l’uso di fabbricarle per la maggior parte in
pietra ma con tetti ancora in paglia, sebbene l’uso di costruire chiese in legname sia continuato anche dopo.
E’ proprio quando si verifica un incremento della popolazione nel territorio che la cappella diventa chiesa.
Essa sorge dove prima vi era un semplice oratorio, perché quello era già un luogo deputato a determinare ritualità.
In questo periodo, circa nella seconda metà del XI secolo si formano i confinia ossia le parrocchie; è una decisione di carattere politico-amministrativo:
essa non fa altro che mettere in forma giuridica una situazione già preesistente. I confinia sono la struttura amministrativa, religiosa e civile della città.
Si sente ormai l’esigenza, non solo di articolare la vita della comunità nella maniera più organica ma anche di rendere più facile l’individuazione della
residenza di ciascun cittadino.
I confinia di fronte a questo affollamento abitativo definiscono con sicurezza la competenza territoriale e amministrativa della parrocchia. I parroci
sono coloro che regolano tutti i testamenti, talvolta glia atti di compravendita e che gestiscono la struttura civile della comunità.
Un altro elemento importante nella strutturazione del territorio in questi primi secoli è il campanile.
In origine non aveva una funzione meramente religiosa, bensì civile o addirittura di sicurezza militare. Il campanile che veniva costruito accanto
all’altro luogo deputato per eccellenza, la chiesa, era concepita come una torre vera e propria, una fortezza dalla quale si potevano fare degli
avvistamenti. Infatti nella conformazione edilizia veneziana di questi primi secoli, prevalentemente orizzontale, anche torri basse avevano una capacità
di veduta abbastanza estesa. Il campanile offriva la possibilità di dare l’allarme suonando la campana, in caso di attacco nemico, di incendio e per
qualsiasi evenienza per la quale occorresse sollecitare gli abitanti a radunarsi.
Accanto alla Chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato, fin dai primi tempi della sua origine, sorgeva un campanile.
Secondo una cronaca del secolo XVI ed elevarla a metà fu il doge Tribuno Memmo.
La famiglia Memmo era una delle più illustri e antiche di Venezia, evidentemente la famiglia più importante della contrada di San Marcuola.
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Storia della Chiesa di San Marcuola
LA CHIESA E LA CONTRADA NEL MEDIOEVO
Alla metà del secolo XII, al tempo del Doge Domenico Morosini si stimò per la prima volta la città.
In questa stima si annoverano 67 contrade, già divise in 6 sestieri, nel sestiere del Canareggio si contano 12 contrade: una è quella di San Marcuola.
L’insula in cui sorgeva la Chiesa di San Marcuola era delimitata ad est dal Rio di San Marcuola, sfociante nel Canal Grande. A ovest della Chiesa si
estendeva una palude ed il fatto è confermato dall’esistenza, presso di essa, di un luogo detto tuttora Piscina.
La Chiesa nel XII secolo fu distrutta totalmente da un incendio e grazie all’intervento delle famiglie Memmo e Lupanizza, fu completamente
ricostruita.
Numerosi incendi devastarono Venezia nei suoi primordi a causa del materiale ligneo di cui erano costituite le prime costruzioni; il più terribile di tutti
fu quello del 1105.
Molte chiese costruite antecedentemente all’XI secolo furono poi rifatte: dal 1000 al 1100 è documentata la ricostruzione di ben 50 chiese nella breve
area della primitiva Venezia.
L’incendio che distrusse la Chiesa di San Marcuola avvenne circa nell’anno 1117.
Le cronache comunque sono d’accordo sul fatto che l’incendio si sviluppò in seguito a un terremoto che spinto dal vento provocò la totale distruzione.
Fu in occasione di questo incendio che nella chiesa si compì un tale prodigio da far parlare non solo tutte le cronache antiche ma da restare ancora
oggi impresso alla venerazione della reliquia che ne fu causa e tuttora molto viva. Si tratta della mano destra di San Giovanni Battista che, secondo la
tradizione restò illesa dalla forza del fuoco.
Attorno a questa reliquia sorse tutta una tradizione di leggende: nel 1109 infatti Andrea Memmo, giunto ad Alessandria d’Egitto, avrebbe ottenuto in
dono la mano destra di San Giovanni Battista dal patriarca Atanasio, mediante l’intercessione del patriarca di Gerusalemme Filippo.
Il patrizio veneto l’avrebbe trasportata a Venezia nella Chiesa di San Marcuola, sua parrocchia.
Comunque sia il valore di tale reliquia è certo che la sua importanza fu accresciuta dalla cronachistica: l’appropriazione del corpo di un santo
particolarmente interessante o della sua reliquia garantiva il prestigio della chiesa che li possedeva, cosicchè appare evidente come il procurarseli,
anche in misura limitata, costituisse uno degli obiettivi dei costruttori e dei patrocinatori delle prime chiese.
La nuova costruzione ripeteva gli schemi abituali delle chiese veneziane di quel tempo, dei quali, purtroppo, non ci rimane alcun esempio completo.
La chiesa era a tre navate e le due ali laterali erano notevolmente più basse rispetto alla navata centrale. Non aveva la disposizione odierna: la facciata
principale era orientata ad ovest, ripetendo cioè lo schema abituale delle prime chiese paleocristiane con le absidi rivolte ad oriente.
Lungo il suo lato settentrionale scorreva un canale, ora interrato, il quale comunicava ad ovest con il Rio Balbi e a est con il Rio del Ponte storto (Rio
di San Marcuola).
Il campanile sorgeva nel sagrato, isolato dal corpo della chiesa, secondo la tradizione dei più antichi “tituli” veneziani. La sua originaria forma a torre
venne manomessa, con l’aggiunta di una cuspide ottagonale, sicuramente prima del XVI secolo, dal momento che essa appare nella pianta attribuita a
Jacopo de Barbari (1500).
Il campanile sorgeva in fianco al Palazzo Memmo che si affacciava sul Canal Grande nell’area ora occupata dal Palazzo Martinengo.
Fra la chiesa ed il campanile sorgeva un portico, quell’atrio o vestibolo che nelle chiese antiche era posto davanti alla facciata principale. In alcune
chiese come San Marco, i portici facevano parte integrante del corpo totale della costruzione ma più comunemente erano aperti, sostenuti da colonne e
coperti di sopra.
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Storia della Chiesa di San Marcuola
Unico esempio ancora esistente a Venezia, è assieme a quello di San Giacomo di Rialto, il portico di San Nicolò dei Mendicoli. I portici si reputavano
luoghi sacri, nel XV secolo però, pare che la frequenza di azioni criminose compiute nella loro area fosse cosi preoccupante da far decidere il Doge
circa la loro chiusura con cancelli ed in seguito ad ordinare la loro distruzione.
Anche il sottoportico della Chiesa di San Marcuola subì la stessa sorte. Fino al 1664 il portico appoggiato alla facciata principale della Chiesa rimase
aperto senza porte e sostenuto da colonne.
Il sottoportico serviva da cimitero alla chiesa ma, fin dai tempi più antichi vi si venerava soprattutto un’antichissima immagine del Salvatore, appesa
al muro del campanile che cingeva da un lato il sottoportico. Fu proprio l’irriverenza e la profanazione subita dal luogo e dall’immagine ad orientare il
Capitolo, verso la chiusura del sottoportico.
Addossato al portico della Chiesa di San Marcuola, fin da tempo immemorabile, le cronache annotano il cosiddetto Romitaggio dei Santi Ermagora e
Fortunato.
La tradizione lo riferisce come un ambiente adiacente alla Chiesa, esattamente situato sopra il portico di essa. Nelle piante conservate al Museo Correr,
progettate da Antonio Gaspari per la ricostruzione della Chiesa, possiamo vedere il sito del Romitaggio.
Infatti nessun progetto prevede l’abbattimento del portico il quale, nei disegni, è sempre evidenziato. All’interno del portico, a sinistra rispetto l’antica
facciata, è segnata nella planimetria una porta detta “delle eremite”, la quale adduce ad una lunga scala addossata al muro della chiesa.
Evidentemente il Romitaggio si trovava appunto sopra il portico, ad un piano superiore e da esso aveva accesso.
LA CHIESA E LE VICENDE DEL CAPITOLO NEL ‘500
Le fonti relative alla Chiesa di San Marcuola per quanto riguarda tutto il XV secolo.
La prima visita pastorale, datata 1483 riporta solo inventari di cerimonie religiose di nessun interesse storico-artistico. I documenti dell’Archivio
parrocchiale, a parte le pergamene del XII-XIII-XIV secolo, già menzionate, trattano le vicende della Chiesa e del Capitolo solo a partire dal XVI
secolo; le prime fonti infine, risalgono al XVII secolo e, a prescindere dalle cronache antiche, solo in esse la chiesa comincia ad essere descritta con
intenti artistici.
Lo stato della Chiesa è quindi delineato, per la prima volta, nella descrizione compilata in occasione della Visita Apostolica del 1581.
Nel 1544 si era già provveduto ad un primo restauro: era stato rifatto a spese del Capitolo, il coperto della Chiesa e del portico, come appare da un
documento inedito dell’archivio parrocchiale.
Nel 1581 si parla già di una necessaria ricostruzione della Chiesa. Essa apparì ai visitatori apostolici in un modo tale che questi chiesero ai titolati
un’immediata riedificazione.
A tal fine il Capitolo aveva già raccolto circa trecento ducati attraverso le offerte dei fedeli.
La chiesa in quel tempo era abbastanza ampia, divisa in tre navate da colonne e con il tetto che scendeva a spiovente. All’interno vi era il coro, aperto
e provvisto di sedili di noce e l’organo in alto sulla parete. Il tabernacolo dell’altare maggiore era di pietra, con colonne di marmo, definito “molto
nobile”.
Oltre all’altare maggiore, consacrato ai Santi Ermagora e Fortunato, all’interno della chiesa, nel 1581, ve ne erano ben altri undici.
La Chiesa di San Marcuola fu visitata dal patriarca Vendramin il 17 gennaio 1610 e pare che le sue condizioni non fossero troppo dignitose;
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Storia della Chiesa di San Marcuola
probabilmente, a seguito degli ordini lasciati dai visitatori apostolici nel 1581, non si era provveduto ad alcun intervento di ristrutturazione. Il patriarca
trovò che “almeno la nave di meso” dovrebbe essere imbiancata: a causa della mancanza di finestre ed essendo annerita, essa rendeva scuro e poco
decente l’ambiente sacro.
L’altare maggiore era stato inoltre appena rifabbricato con belle architetture di marmo di tre colonne mentre il tabernacolo era intagliato e dorato. La
notizia è riportata anche dal Martinioni nel 1663: “si vede in questa chiesa rimodernata la Cappella Maggiore con ricco Altare per colonne e marmi”.
Al posto della pala d’argento, sull’altare era stata collocata una tela dedicata ai Santi Ermagora e Fortunato. Il dipinto era opera di Leonardo Corona e
rimase sull’altare maggiore fino al 1734, venne poi sostituito dalla pala del Migliori.
I PROGETTI DI ANTONIO GASPARI
Il documento dell’Archivio parrocchiale anteriore al 1694, contenente la supplica per l’autorizzazione al trasferimento dl Romitaggio, afferma: “ Per
riparare dell’eminente rovina l’antichissima Chiesa…già s’è ristorata la Cappella Maggiore nella magnifica forma, come si vede.
Ma non si può continuare la fabbrica già principiata,…se le madri eremite…, non rilasciano l’antichissimo sito da esse posseduto”.
Evidentemente prima del 1694, in epoca anteriore cioè al trasferimento delle Monache, non solo era stata restaurata la Cappella Maggiore ma erano
stati anche iniziati, e solo progettati, alcuni interventi di ristrutturazione del corpo della Chiesa.
E’ molto probabile che l’architetto al quale era stato affidato l’opera sia stato Antonio Gaspari. Infatti nei tre volumi dei suoi disegni, conservati al
Museo Correr, si trovano ben sei piante, di cui quattro numerate, ciascuna con due soluzioni ed anche le sezioni relative a due diversi progetti di alzato
per la Chiesa di San Marcuola.
Poiché nei disegni del Gaspari, è sempre rispettato il Romitaggio, distrutto solo nel 1694, i suoi progetti sono evidentemente anteriori a tale data.
Terminati i lavori dell’altare maggiore, il rifacimento della Chiesa rimase a lungo interrotto e, allorchè nel 1702 si decise di continuare il lavoro,
probabilmente appena iniziato, forse il Gaspari non potè occuparsene; si vedrà infatti che, nel 1705, sarà accolto dal Capitolo il progetto di un tale
architetto Giovanni Vincenzo Cocchi. Il Gaspari, però, riapparirà in un documento del 1716 come “proto” incaricato alla rifabbrica del sottoportico e
come autore del progetto stesso.
In tutte le soluzioni ideate dal Gaspari, meno una, ruotava fisso il numero degli altari; attorno alle pareti ne erano stati progettati otto, uno in più
rispetto a quelli effettivamente in chiesa fino ai primi anni del ‘700. Tutti i progetti prevedevano, inoltre, la creazione di uno spazio, con funzione di
atrio, davanti alla Cappella Maggiore, nell’area del sottoportico, salvo nel caso in cui si proponeva di ubicare questa, con diverso orientamento, di
fronte al Canal Grande.
Il fondo della Cappella in tutti i disegni risulta piano, senza membrature, fatta sola eccezione per una cornice.
Nessuna variante era prevista per “la casa del piovan”, per “il campaniel” e per il sottoportico dal quale si accedeva, attraverso una scaletta al
Romitaggio.
Nella pianta indicata, il perimetro della Chiesa era progettato quadrato, con gli altari ad angolo; a questo progetto si riferisce il disegno delle
due sezioni, nelle due soluzioni del quale, vediamo che l’edificio avrebbe potuto essere più o meno alto, con soffitto piano o a volta, con finestre
rettangolari o termali. Nel secondo progetto gli angoli interni della chiesa sono arrotondati ma la disposizione degli altari è identica alla precedente.
Nelle piante III e IV gli altari sono disposti asimmetricamente; nella terza si prevedono quattro altari in un lato, mentre nella IV ne sono segnati solo
tre, addossati alla parete che tende a diventare una superficie curva. In entrambe le soluzioni del progetto, si prevedevano, oltre la porta principale, altre
due porte su ogni parete laterale.
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Storia della Chiesa di San Marcuola
Nelle piante V e VI veniva a ridursi il numero di altari: nel progetto sono disposti solo tre altari per ogni parete, di cui due negli angoli. Un altro
altare era previsto, solo nella soluzione VI, di fronte a quello maggiore. Inoltre si sarebbero dovute aprire ben tre porte per ogni parete laterale. In
questa soluzione sono evidenti anche due scalette a chiocciola che avrebbero dato accesso agli ambienti sopra le sacrestie. Il soffitto infine, era stato
progettato a vela.
Le piante VII e VIII riportano un progetto molto interessante ma difficilmente attuabile. Si contemplava la possibilità di uno spostamento dell’asse
dell’altare maggiore, sistemato sulla parete di fronte al traghetto, mentre la facciata principale sarebbe aperta con tre monumentali ingressi a scale
verso il Canal Grande. Ai lati dell’altare maggiore, nell’area già occupata da esso e dall’atrio, progettato precedentemente di fronte, si sarebbero aperte
due grandiose cappelle laterali e, negli angoli, sarebbero stati sistemati glia altri altari. Nel progetto sono inoltre segnate le scale a chiocciola, nei pressi
della sacrestia, e quella dell’organo, previsto sopra la porta principale, di fronte all’altare maggiore.
Un altro modello del Gaspari, non numerato e non in serie con i precedenti ma sempre per la chiesa di San Marcuola, riprende l’idea dell’altare
maggiore di fronte alla parete verso il traghetto.
In una delle due soluzioni del progetto “la superficie della chiesa si sarebbe estesa verso il traghetto e la pianta sarebbe divenuta longitudinale; gli altari
minori sarebbero stati sistemati negli angoli smussati.
Un altro disegno infine, anch’esso non numerato, prevede la trasformazione dell’area occupata dal portico in un grande atrio, aperto solo dalla parte del
traghetto; la pianta della chiesa sarebbe stata quasi circolare, con otto altari e due porte laterali.
Nel verso di questo disegno il Gaspari ha scritto una nota che contiene l’accenno ad un plastico che probabilmente Gaspari preparò e che forse secondo
la Bassi, fu preso in considerazione più degli altri; in effetti la Chiesa fu terminata circa così dal Massari.
Se il Gaspari, progettò, fra le tante, una soluzione che prevedeva di cambiare l’ubicazione della cappella maggiore e di variare quindi tutto
l’orientamento della chiesa, è evidente che i suoi disegni precedettero il rifacimento dell’altare maggiore, mensionato nella “supplica” per il
trasferimento delle Eremite. Se così non fosse stato, non si capirebbe come mai il Gaspari potesse aver pensato di spostare l’altare maggiore, da poco
sistemato.
L’argomento, solitamente addotto dagli studiosi a sfavore di una attribuzione della prima ricostruzione della Chiesa di San Marcuola, è la descrizione
riportata dal Martinioni circa il nuovo altare maggiore.
Il Martinioni scrive infatti nel 1663 ed il Gaspari nacque nel 1670, ragion per cui è impossibile, si afferma, attribuirgli l’inizio della rifabbrica
principiata appunto con il rifacimento dela cappella maggiore.
Secondo la nostra opinione, la notizia riportata dal Martinioni si riferisce invece ad un precedente rinnovamento dell’altare maggiore, annotato peraltro
anche dalla Visita Pastorale del patriarca Vendramin, nel 1610.
A conferma di quest’ipotesi vi è un documento inedito dell’Archivio parrocchiale, datato 1677; in esso non compare nessun accenno al rifacimento di
qualche parte della Chiesa, ne tantomeno dell’altare maggiore, anzi le sue condizioni sono definite “cadenti”.
Concludendo, il Gaspari s’impegnò nella ricostruzione della Chiesa in epoca antecedente al 1694, ma il lavoro iniziato con il rifacimento della cappella
maggiore, non venne concluso, probabilmente per la mancanza di fondi.
Allorchè si pensò di riprendere l’opera, nel 1702, al Gaspari, forse occupato altrove, si sostituì temporaneamente l’architetto G. Vincenzo Cecchi.
Successivamente il Gaspari tornò a San Marcuola per sovrintendere ai lavori di ricostruzione del sottoportico e al servizio dei confratelli della Scuola
del Cristo, come appare dal documento citato, nel 1716.
Nel 1727, quando infine si diede inizio alla rifabbrica vera e propria della Chiesa, il Gaspari forse era troppo vecchio per attendervi ma il Massari,
chiamato dal Capitolo a dirigere i lavori, continuò a realizzare le sue idee.
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Storia della Chiesa di San Marcuola
LA CHIESA NEI PRIMI ANNI DEL ‘700.
“…indebolita né fondamenti, e intarlate le travi, e quasi spaccati gli archi, tremula e mal sicura traballò più volte à tremuoti, e si aperse nelle pareti,
piegò sugli spigoli, e quasi cadde;…”
Ecco come appariva la Chiesa di San Marcuola all’aprirsi del nuovo secolo.
Il capitolo, riunitosi il 20 settembre 1702, gravemente preoccupata perché la chiesa “con cadute continue di calcine, e precipitii di pietre si vede
minacciare…” decise di costituire con denaro proprio un primo fondo di 400 ducati, sperando che l’esempio fosse seguito dai fedeli e dalle autorità e si
potesse così dar subito inizio alla rifabbrica.
Nel 1703, avendo deliberato il Capitolo di rifabbricare la Chiesa, si decise di aumentare in numero dei procuratori.
Il 6 maggio 1705 i Procuratori chiesero al Capitolo di eleggere “4 presidenti sopra la fabbrica”.
Nel maggio del 1707, il Capitolo, i procuratori e i presidenti si riunirono per decidere “circa il modo di tenersi per dar principio alla fabbrica”; in quella
occasione “ furono esposti sotto l’occhio di tutti diversi disegni in carta” e si prescelse “il Disegno e modello della Chiesa”.
Nel frattempo prima di dar inizio ai lavori di ricostruzione, il Capitolo volle far verificare le condizioni statiche della Cappella Maggiore, per accettarsi
se fosse il caso di rifabbricare anch’essa insieme al resto della Chiesa. Il resoconto della perizia è conservato in un documento inedito dell’archivio
parrocchiale.
La perizia venne eseguita il 19 settembre 1705; fu visitata la Cappella dell’altare maggiore e i muratori trovarono in buone condizioni gli archi, i
pilastri e le colonne, “ ben fondati e senza alcun moto”; solo nel muro interno della cappella si trovò qualche cedimento, causato “dal riposo che
han fatto i fondamenti, come è solito in tutte le fabbriche”. I periti conclusero che la cappella era “sicura e durabile”, che non era necessaria la sua
rifabbrica, ma che sarebbe stato solo opportuno, prima d’iniziare la ricostruzione della chiesa, procedere ad alcune opere di consolidamento.
I lavori per riedificare la Chiesa, al contrario, non si iniziarono nemmeno in quell’occasione e ancora nel 1715 una decisione concreta pareva lontana.
In quell’anno infatti, il Capitolo di San Marcuola, in occasione della visita pastorale, presentò al patriarca Barbarigo una supplica.
In tale petizione si chiedeva il permesso di vendere un deposito di pietre e legname per poter destinare il ricavato a favore della rifabbrica della Chiesa,
non ancora iniziata.
Dal documento apprendiamo che fin dal 1707 si era acquistato “con denaro di persone divote pietre vive…et alquanto legname”. Tale materiale era
stato depositato nel campo di San Marcuola “ perché fosse oggetto di eccitamento a Parrocchiani…a concorrer con elemosine per la rifabbrica della
Chiesa”.
I lavori però non vennero iniziati e, allorchè i Provveditori di Commun” ordinarono di rinnovare il pozzo del campo, fu necessario trasportare il
materiale in altro luogo. Il legname fu riposto allora in casa di un parrocchiano, “però esposto a piova e venti coperto alla meglio”, mentre le pietre
furono depositate nel “Campo delle Padri Serviti”. Il Capitolo, vedendo marcire il legname e diminuire le pietre, a seguito anche delle proteste dei
Padri Serviti causato dal peso delle pietre, decise di vendere tutto il materiale ad “Antonio Ansolo…Tagliapietra ai Frari”.
Nessun lavoro era evidentemente in programma e l’inizio della ricostruzione, infatti, dovette farsi attendere ancora a lungo.
Più solleciti furono invece i confratelli che avevano sotto il portico la piccola cappella.
La Scuola del Cristo era intanto stata decorata da Alessandro VIII prima di assorgere al pontificato nel 1659, del titolo d’Arciconfraternita aggregata a
quella della “Buona Morte di Roma”.
L’importanza assunta dalla Scuola con il titolo pontificio, esigeva ormai di rimediare alla ristrettezza della cappellina. Inoltre il nuovo particolare
impegno dei confratelli, consistente nel condurre ad ecclesiastica sepoltura i corpi degli annegati, richiedeva anche un luogo decoroso e conveniente
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Storia della Chiesa di San Marcuola
allo scopo. Infatti l’Oratorio del Cristo servì successivamente proprio come cappella mortuaria per gli annegati.
Il portico aveva già dato in precedenza minacce di crollo; infatti nelle “ordinazioni” del patriarca Sagredo, nel 1631, si era comandato di rifare, “con
ogni possibile celerità”, “il coperto del sottoportico avanti la chiesa”, ultimamente caduto. Fu così che i confratelli, in data 15 settembre 1716, diedero
inizio alla nuova fabbrica della cappella e alla ristrutturazione del portico, con il consenso di tutto il Capitolo.
Fra le due parti venne però stipulata una convenzione: secondo il modello del “Gaspari”, fatto vedere dai confratelli al Capitolo, il muro del portico
sarebbe stato alzato. In seguito poi all’ingrandimento della cappella, si sarebbe spostato l’altare “in mezzo,tra il muro del campanile e la casa del
pievano.
Una decina d’anni più tardi, nel corso dl 1727,l’irreparabile condizione della Chiesa e forse la raccolta di fondi consistenti spinsero il Capitolo a
considerare in modo concreto di dar inizio all’impresa di ricostruzione. La decisione fu presa nella seduta del 16 febbraio 1728.
LA RICOSTRUZIONE E L’INTERVENTO DI GIORGIO MASSARI
Tre mesi dopo la decisione del Capitolo di dar inizio ai lavori, la demolizione delle navate era completa. Prima si gettò a terra la parte della Chiesa
rivolta verso il campo e poi quella verso la fondamenta. Rimasero in piedi solo il muro della Cappella Maggiore, demolita nel 1733, e la facciata
principale verso il portico, appena ricostruito. La navata di mezzo fu chiusa ai lati.
Il 9 maggio 1728 i tagliapietra Bernardo e Zamaria Rossi si obbligarono, su preventivo dell’architetto, a fornire “le pietre vive da Rovigno…senza
tasselli lavorata a perfezione” per il nuovo basamento, per le colonne, per i pilastri e per le cappelle.
L’architetto incaricato all’opera di ricostruzione della chiesa era Giorgio Massari.
In una raccolta privata di Firenze sono conservati due suoi disegni autografati per la Chiesa di San Marcuola. Un progetto riporta la pianta e l’altro
una sezione longitudinale. “ Da questi, e dall’opera eseguita, appare che la soluzione adottata è assai vicina ad una di quelle proposte dal Gaspari,
precisamente il progetto nel quale sul retro vi è l’accenno al plastico. Appare evidente che il Massari conosceva i progetti del Gaspari e questo
senz’altro gli facilitò il compito per valutare, ad esempio, “quali possibilità offriva l’area entro il perimetro della chiesa vecchia”, ma, “se pur ne trasse
qualche suggerimento per singole soluzioni”, la sua concezione “mostra un’impronta del tutto personale nella organicità del nuovo sistema.
Secondo V.Moschini la pianta progettata dal Massari rammenta quella sansoviniana della Chiesa di San Giuliano, mentre per Antonio Massari
l’architetto si sarebbe piuttosto ispirato a quella di San Martino, particolarmente per la disposizione delle cappelle.
Nella pianta del Massari, gli altari sono posizionati negli angoli, ed in questa soluzione appare evidente il ricordo del Gaspari nella sua tendenza, già
rilevata, a risolvere il vano principale con una pianta curvilinea.
Se il Massari prende lo spunto dal Gaspari nelle idee che si riferiscono alla stesura della pianta,”negli alzati dimostra di avere una personalità ben
diversa”.
Appaiono evidenti le proporzioni e la sobrietà con cui il Massari sapeva rifinire le opere, mentre il Gaspari, in molti casi, non riusciva a “concludere
con eleganza le sovrastrutture decorative, pur immaginando complicatissime soluzioni”.
Dal progetto della sezione, risulta che il Massari assunse, quale motivo ricorrente di tutta l’architettura della Chiesa, la coppia colonna pilastro nella
non comune forma datale dal Gaspari o da qualche altro ignoto architetto del ‘600 e che, molto probabilmente, era quindi già in sito al momento del
suo intervento.
Gli altari furono progettati dal tipo cinquecentesco, molto semplici, ravvivati poi in fase d’esecuzione, dal diverso colore dei marmi.
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Storia della Chiesa di San Marcuola
Il soffitto fu progettato, ed eseguito, come una grande cupola, simile a quella che in un suo disegno era stata proposta dal Gaspari ma molto più
schiacciata, perché avesse a riflettere in basso, uniformemente, la luce proveniente dalle ampie finestre a mezzaluna. L’illuminazione del vano
sottostante è prevista infatti dal riflesso del soffitto.
La luce ottenuta dal Massari “non è nè radente, perché scivola dentro da aperture curve, né tagliente perché…com’è raccolta sul soffitto, è raccolta
anche sulle pareti”.
Dalle polizze si apprende che i due locali sistemati per primi furono la sacrestia, a destra dell’altare maggiore, e la Cappella di S.Pietro d’Alcantara,
definita a volte “sagrestia di San Piero”, a volte “sagrestia vecchia “; essa, infatti, sorse sulla stessa area della precedente, a sinistra della cappella
maggiore, e venne usata in seguito per le riunioni del Capitolo.
Nel frattempo si provvede ad un’altra rifabbrica; nel 1728 fu necessario demolire la facciata della Chiesa a cui era attaccata la fabbrica del sottoportico,
e demolire lo stesso sottoportico. La nuova fabbrica del sottoportico, eseguita dal Gaspari fu così abbattuta e nell’area da esso occupata, si provvedette
alla costruzione del nuovo oratorio del Cristo con il contributo dell’Arciconfraternita del Cristo e delle altre Scuole della Chiesa. L’architetto rispetto ai
primitivi disegni del Gaspari, poteva usufruire dell’area lasciata libera dalle Monache, di quella occupata dal sottoportico che fino allora non era stato
toccato, come risulta dai documenti,e, probabilmente, di maggiori possibilità finanziarie.
L’oratorio privo di membrature architettoniche, salvo una grossa cornice di sostegno alla volta, “ ripete in forme più semplici gli stessi caratteri della
chiesa.
Contemporaneamente a questa nuova costruzione, si provvide al restauro del campanile ed alla rifabbrica della chiesa del pievano.
Il 18 dicembre 1731 una polizza riporta una fattura riguardante la sistemazione del campanile.
Nel gennaio del 1730 fu completamente distrutta la casa del pievano “per essere poi di nuovo rifabbricata”.
Quando ormai la rifabbrica della chiesa volgeva alla sua conclusione, apparvero irrimediabilmente compromesse le condizioni della Cappella
Maggiore e perciò fu necessaria una riparazione.
Il Massari, secondo l’originario suo progetto, avrebbe voluto dare alla Cappella un’abside semicircolare; si accontentò invece, in fase d’esecuzione,
di demolire il muro di fondo proprio come lo aveva ideato il Gaspari in tutti i suoi disegni. L’abside semicircolare avrebbe inoltre ristretto di troppo il
passaggio nella calle retrostante.
Dal disegno della sezione longitudinale appare, inoltre, il progetto del Massari di erigere, sopra il presbiterio,una cupola emisferica, poi invece
sostituita da una bassa calotta.
All’interno, alle spalle del muro di fondo della Cappella Maggiore, furono aggiunte altre due colonne uguali a quelle già esistenti. Il Massari dunque
preferì non demolire del tutto le strutture preesistenti, forse per dimostrare, “contro la retorica dei teorici e seguendo una sua tendenza,....come, anche
usando elementi barocchi, si potesse costruire con nobiltà e con misura non inferiore che impiegando gli elementi classici.
L’altare maggiore “fatto de roba nova come de roba vecchia”, fu ultimato nel settembre del 1735 e nell’ottobre dello stesso anno fu versato il primo
acconto per il tabernacolo che anch’esso spetta al Massari.
Ormai la Chiesa poteva dirsi conclusa, mancava solo il rivestimento marmoreo della facciata principale, ideata dal Massari verso il Canal Grande.
L’architetto infatti, dopo aver accettato di adeguare il suo progetto alla preesistente abside e quindi di non cambiare l’orientamento della Chiesa, anche
per la mancanza di spazio posteriormente bloccato dal canale, non rinunciò a considerare di primaria importanza il prospetto verso il Canal Grande.
La facciata però non venne mai ultimata anche se nel 1731 erano già state eseguite la porta ed il basamento delle colonne.
Al Museo Correr nella collezione Gherro, è conservato un disegno che riporta il progetto di compimento della facciata.
Secondo questo anonimo progetto ottocentesco, la facciata sarebbe stata di tipo neopalladiano, con un prospetto tetrastilo centrale e due brevi ali su un
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Storia della Chiesa di San Marcuola
piano arretrato, chiuso da due grossi pilastri angolari. Le quattro colonne avrebbero sostenuto il monumentale frontone, la cui forma architettonica
sarebbe stata ripresa dalla cornice superiore della porta di tipo classicheggiante.
Secondo un altro disegno di Antonio Visentini che risale al ‘700 , la facciata sarebbe stata molto simile a quella della Chiesa dei Gesuati, seppure in
forme più semplici.
La cornice del lunettone sarebbe continuata negli intercolunni, determinando quattro riquadrature sulla parete del prospetto. Il timpano si sarebbe
aperto, in centro, con un foro rotondo con due cornici triangolari ai lati.
La facciata invece, probabilmente per mancanza di fondi, rimase interrotta ai plinti di base e al contorno del portale d’ingresso con le murature a
vista che si rivelano essere apparecchiate disponendo due filari di mattoni sporgenti in alternanza a quattro filari di mattoni in rientro. Tale tipo di
organizzazione muraria è estesa su tutta la facciata, ad eccezione di due facce ad essa laterali e dell’intera superficie del timpano.
La Chiesa venne consacrara ed aperta al pubblico nel 1733. Finalmente dunque dopo circa quattro secoli dalla sua prima ricostruzione la chiesa tornava
al suo antico splendore.
LA CHIESA E LE VICENDE DEL CAPITOLO NELLA SECONDA META’ DEL 1700
A maggior decoro della chiesa nuovamente ricostruita, la nobile famiglia Memmo, generosa benefattrice fin dai tempi più antichi, offrì nel 1740 in
dono alla sua parrocchia un’altra preziosa reliquia “il corpo di Santa Memmia Martire” tratto dai sacri cimiteri di Roma. Il corpo venne posto sotto
l’Altare di San Pietro.
Il Capitolo della Chiesa procurò di mantenere stretti ed ossequiosi rapporti con la ricca famiglia Memmo, come appare dalle numerose concessioni
accordate ad ogni sua richiesta.
L’antico palazzo dopo numerosi permessi di piccoli interventi accordatigli dal Capitolo della Chiesa veniva, a poco a poco, a congiungersi con
l’abitazione del pievano e con il campanile; Il Capitolo, d’altra parte, così intransigente verso le Eremite nel salvaguardare la propria giurisdizione, non
oppose mai alcuna resistenza alle richieste della potente famiglia.
Il 29 maggio 1772 il pievano convocò il Capitolo per decidere sul rifacimento del pavimento della Chiesa. Egli propose, a tal fine, di procedere alla
vendita del deposito di pietre avanzate dalla precedente ricostruzione del pavimento stesso. Questo era composto da quadrati di marmo bianco e rosso,
non molto grandi, non molto grandi, come appare nella sacrestia ed in quel che resta nella cappella di San Pietro, i due locali cioè che conservano
ancora oggi l’antica pavimentazione del 1733.
Il Capitolo accettò la proposta, tanto più che tale deposito di pietre appariva rovinato dal tempo e dall’umidità del luogo ove era stato riposto.
Il 13 settembre 1772 si procedette al rifacimento del pavimento, in marmo bianco a fasce nere.
Ottenuto il permesso i confratelli stipularono una polizza con Carlo Rossi Tagliapietra, il 14 aprile, per la rifabbrica dell’altare. L’altare maggiore subì
dunque una trasposizione verso il muro di fondo del presbiterio, mentre i sedili del coro, evidentemente già dietro l’altare, vennero sistemati ai lati
della Cappella Maggiore.
La chiesa, sul finire del secolo, scampò fortunatamente ad un immenso pericolo: la notte del 28 novembre 1789, nei magazzini d’olio di una ditta
tedesca scoppiò un violentissimo incendio.
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Storia della Chiesa di San Marcuola
Tali depositi erano situati proprio dietro la Chiesa, fra il campiello del Tagliapietra ed il ponte dell’Anconetta. L’incendio si propagò con eccezionale
rapidità nelle due rive del Rio di San Marcuola , durò tre giorni e lasciò illesa la vicinissima Chiesa.
LA SITUAZIONE DELLA PARROCCHIA DI SAN MARCUOLA NELLA PRIMA META’ DEL 1800.
Nel 1810, la riforma dell’ordinamento della Diocesi di Venezia, ricostituita in 32 parrocchie urbane, portò alla soppressione di numerose parrocchie di
minima estensione, sopravvissute soltanto in virtù di antichissime tradizioni. A seguito di questo provvedimento la parrocchia di San Marcuola risultò
notevolmente ingrandita: il territorio soggetto alla Chiesa di Santa Fosca e alla Chiesa di Santa Maria Maddalena, divenute succursali, venne inglobato
nella parrocchia di San Marcuola.
La parrocchia di San Marcuola che fino al 1803, contava d sola 6000 abitanti, subì nel corso degli anni un progressivo depauperamento: nel 1821,
seppur con l’aggiunta degli abitanti delle succursali, ne contava appena 4000, di cui ¼ era costituito da poveri. Così quando ai primi anni del 1800 il
campanile minacciò di rovinare, non essendo i parrocchiani in grado di riformarlo, si decise di demolirlo. Esso fu dimezzato e si può vedere ancora
oggi, a livello di palazzo Martinengo (gia Memmo), la sua parte inferiore, ridotta a torretta, recante un orologio.
Nel 1832 s’iniziò la costruzione del nuovo campanile, come risulta dal contratto stipulato il 30 giugno con il “Sig. Giambattista Geraldon”, artista
patentato e comparrocchiano. Il campanile sarebbe stato “alla romana”, cioè un semplice castello in muratura per contenere le campane, con cupola
emisferica, e costruito sopra il muro posteriore della Chiesa, a sinistra dell’altare maggiore, alto m.4 dal tetto. Dal contratto appare che non si
disponeva di “nessun fondo cassa della fabbriceria, ma soltanto il ricavato delle vecchie campane”, per cui, data la mancanza di fondi, il contratto
stabiliva che la costruzione avvenisse in quattro fasi e che il Sign. Geraldon non fosse impegnato a continuare il lavoro se, ad ogni stadio,non avesse
ricevuto una data somma pattuita.
Il campaniletto fu finito nel 1834 e nel frattempo, “a chiamare la gente alle funzioni…”, da Santa Fosca fu levata una vecchia campana.
Qualche tempo dopo, nel 1858, a circa un secolo dalla ricostruzione del Massari, le condizioni della Chiesa apparvero nuovamente compomesse.
Il parroco riferì al patriarca Ramazzotti che “lo stato del pavimento, dei muri esterni ed interni, il coperto” era in rovina e che la Chiesa necessitava
quindi urgentemente di un restauro.
Certamente s’intervenne e nel 1892 il parroco poteva definire “ottimale” lo stato della sua chiesa.
I parroci seguenti non abbandonarono l’intenzione di dare compimento alla facciata della Chiesa.
Un ultimo progetto fu proposto ai giorni nostri dall’Ing. Forcellini Mario, in una interpretazione neoclassica: si cercò allora di reperire i fondi
attraverso le offerte dei parrocchiani ma non si riuscì nell’intento. La facciata rimase incompiuta e così, con i suoi mattoni a vista, sembra quasi
ricordare la vetustà del primitivo “titulo” dei Santi Ermagora e Fortunato. Dunque il visitatore che oggi entra a San Marcuola dal naturale accesso del
campo ha così la sorpresa di trovarsi non già rivolto al presbiterio e all’altare maggiore, ma al fianco destro della chiesa, secondo l’antica, originaria
disposizione.
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Storia della Chiesa di San Marcuola
L’ICONOGRAFIA DELLA CHIESA DI SAN MARCUOLA
L’iconografia dell’edificio, quale era prima dell’incendio non ci è rimasta, in quanto l’immagine della Chiesa appare per la prima volta, molto
sommariamente, nella pianta disegnata da Fra Paolillo da Venezia nel 1346 nella quale appare con il campanile sulla destra.
Più chiaramente ci è dato di vedere la Chiesa, nella pianta della città attribuita a Jacopo dè Barbari e pubblicata a Venezia nel 1366. In questa veduta
prospettica l’edificio si dispone secondo una asse longitudinale parallelo al Canal Grande ma arretrato rispetto alla riva per lasciar ampio spazio al
campo a cui rivolgeva il suo fianco sinistro. Il Canal Grande, il rio di San Marcuola, sfociante nel Canal Grande, ed il retrostante rio della Chiesa,
interrato nel IXI secolo, definivano l’isolato secondo una forma pressoché rettangolare.
La Chiesa era a tre navate, illuminate da finestre laterali, con tetto a capriate scoperte; nella navata prospiciente il Canal Grande appaiono non
distintamente delle aperture, forse tre, di cui una potrebbe essere stata la porta. Il versamento rivolto a levante, cioè la zona absidale, nella pianta
del dè Barbari appare ben definito, tanto da sembrare la facciata principale, sebbene sia privo di aperture. Abbiamo visto però che, nelle successive
ricostruzioni, la Chiesa non cambiò mai sostanzialmente struttura e, d’altra parte, sappiamo che tutte le più antiche chiesa veneziane avevano l’abside
verso oriente, affinchè in quel luogo del tempio, che è il presbiterio, riservato al clero, avvenisse il rapporto più immediato con l’Oriente.
Il campanile è situato molto chiaramente nella parte opposta alla zona absidale; quello originario, romanico, fu più tardi rimaneggiato nella parte
terminale con la nuova cuspide ottagonale che appare già nella pianta del dè Barbari. Si notano poi, fra il campanile e la chiesa, delle altre costruzioni
più basse: il vecchio portico situato prima della ricostruzione prima della ricostruzione settecentesca della Chiesa, davanti alla porta principale,
l’abitazione del pievano, la quale, nei progetti del Gaspari per la rifabbrica, appare chiaramente fra il campanile e la “casa Memmo”.
L’iconografia della Chiesa, nelle successive vedute, presenta delle diversità derivate da un’errata interpretazione della pianta di Jacopo dè Barbari,
nella quale la facciata principale sembra essere quella rivolta a levante, essendo la più visibile ed importante prospetticamente.
Nella pianta prospettica della città, intagliata in legno da Giovanni Vavassore detto il Vadagnino, del 1525 circa, è erroneamente rivolta a levante;
quattro finestre della navata centrale si affacciano sul campo, non sopraelevato e con un pozzo centrale.
Anche nella pianta prospettica della città intagliata in legno da Matteo Pagan verso il 1559, la facciata principale è ad est; nella navata verso il campo
si notano due finestroni lunghi alternati con due piccole aperture.
Altre tre piante del XVI secolo mostrano la facciata a levante: quella incisa da Paolo Forlani pubblicata da Bolognino Zaltieri nel 1566; quella
pubblicata per “civitates orbis terrarum” di Giorg Braun a Colonia nel 1572 e quella incisa in rame da Giacomo Franco a Venezia nel 1597.
Finalmente alcune piante del XVII secolo tornano alla situazione corretta.
La pianta topografica della città, disegnata da A. Badoer nel 1627 e rimessa in circolazione da S. Scolari nel 1677 presenta infatti la facciata della
Chiesa molto chiaramente rivolta ad ovest.
Anche Juliue Milhauser nella sua pianta, incisa prima del 1680 e pubblica nel “Nouveau theatre d’Italie” da P. Mortier ad Amsterdam nel 1704, mostra
giustamente la parete ad est senza aperture, a significare che non si tratta appunto della facciata.
Le due piante edite da V. Coronelli, quella prospettica del 1693 e quella topografica del 1697, mostrano ugualmente la sporgenza absidale della chiesa
rivolta correttamente ad est.
Giovanni Merlo, nella sua pianta incisa a Venezia nel 1696 mostra il prospetto verso est della Chiesa totalmente bianco, segno evidente della parete
absidale. Invece nella pianta di un ignoto, sempre nel XVII secolo, la facciata è erroneamente segnata ancora ad est.
Nei topografi e nei prospettici del XVIII secolo troviamo ugualmente divergenze ed errori
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Storia della Chiesa di San Marcuola
Anche nella pianta prospettica incisa da Pierre Avelline e pubblicata a Parigi nel 1710 circa, la facciata verso levante è segnata con precisione ma in
modo fantastico, con un rosone centrale e due finestre sottostanti.
Nella Collezione Gherro, al Museo Correr, vi sono altre stampe con vedute della Chiesa di San Marcuola: in una stampa si vede, in forma ridotta, il
campanile del 1834. Un campanile romanico appare sullo sfondo della stampa, ma ci sembra piuttosto appartenere alla Chiesa di San Geremia, anche
se la stampa è sistemata fra le vedute relative alla Chiesa di San Marcuola.
La Chiesa ed il campanile appaiono inoltre sullo sfondo della stampa C575 raffiguarante l’incendio del 1789 sviluppatosi dietro la Chiesa. Il campanile
si presenta di pianta quadrangolare, terminante con due finestre per lato e la cuspide appare come una piramide quadrangolare recante in cima
una croce. Sullo sfondo di questa veduta si può vedere un altro campanile, lo stesso che appare nella stampa precedentemente mensionata di Luca
Carievarilis, da identificarsi appunto con quello della Chiesa di S.Geremia.
La Chiesa, come sappiamo,venne ricostruita fra gli anni 1728-1735: il campo S.Marcuola, sgombro di ogni edificio, ma con le tracce dei lavori della
rifabbrica, si può notare in un disegno del Canaletto, appartenente al suo Quaderno delle Gallerie dell’Accademia, pubblicato da Pignatti nel 1958. Nel
foglio n 48-49 appare la veduta del canal grande, nel tratto tra palazzo Correr- Contarini ed il palazzo Vendramin Gritti. Nella zona corrispondente al
campo di San Marcuola, dopo Ca Gritti, si osservano il capannone e gli operai che lavorano alla ricostruzione della chiesa.
CONSIDERAZIONI SU ALCUNI EDIFICI INCOMPIUTI VENEZIANI
Possibili motivazioni ed aspetti peculiari dell’incompiuto.
Le facciate incompiute di edifici veneziani, specialmente le chiese, sono state per molto tempo scarsamente considerate; in molti casi esse si rivelano di
notevole interesse al fine di ipotizzarne la prevista finitura.
Esistono a Venezia, come in molte altre città, una serie di edifici rimasti privi del previsto rivestimento in pietra della facciata principale.
L’osservazione diretta delle superfici da rifinire ed il contemporaneo studio delle principali vicende edilizie ci ha permesso di capire le motivazioni
della mancata messa in opera delle pietre di finitura.
Uno dei motivi principali per i quali la messa in opera del rivestimento in pietra, viene rinviata o mai realizzata, è la mancanza del denaro necessario ad
terminare i lavori.
La realizzazione dell’eventuale rivestimento lapideo incideva in modo considerevole nel costo complessivo necessario a costruire una fabbrica.
Bisogna pensare infatti ai costi per la cavatura, trasporto, lavorazione, messa in opera ed eventuale ulteriore rifinitura dei manufatti; dobbiamo tenere in
considerazione non soltanto la quantità del materiale lapideo, ma anche il tipo di pietra impiegata, le cave di possibile approvvigionamento ed i mezzi
di trasporto.
Una seconda possibile causa del mancato completamento delle facciate rivestite in pietra d’Istria è, probabilmente rappresentata dalla perdita della
proprietà della penisola istriana. L’Istria appartiene a Venezia soltanto fino al 1797 e dopo questa data i costi di approvvigionamento della pietra d’Istria
dovevano necessariamente essere aumentati, perché aggravati dai dazi doganali.
Inoltre la città sta attraversando un periodo di decadenza economica.
Probabilmente non è causale che ben quattro delle chiese rimaste incompiute siano state messe a coperto negli ultimi anni del XVIII; normalmente a
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Storia della Chiesa di San Marcuola
questa fase di lavori seguiva quella di messa in opera di eventuali pietre di rivestimento della facciata.
Alcune considerazioni interessanti relative alla finitura di una fabbrica si possono fare, a nostro avviso, considerando i tempi necessari alla sua
costruzione ed ultimazione.
Nei casi in cui intercorre un tempo notevole tra l’inizio del cantiere ed il suo completamento è possibile che l’ideatore della pianta di un determinato
edificio possa non coincidere con chi viene incaricato di ultimarlo. Tempi lunghi di costruzione comportano, conseguentemente, anche variazioni
di sensibilità e preferenze di stile architettonico. Un esempio di edificio la cui facciata sarebbe stata, se ultimata, di stile architettonico differente
rispetto a quello prevalente nell’intera fabbrica, ad esempio, la chiesa dedicata ai SS. Giovanni e Paolo. Alle preesistenti gotiche collocate nella parte
basamentale si sarebbero con buona probabilità, affiancati degli interventi rinascimentali o comunque post medioevali.
Un altro aspetto di rilievo che può essere stata causa della mancata messa in opera delle finiture, è la riscontrata indecisione della committenza
rispetto alle soluzioni proposte. In alcuni casi la semplice indecisione, determinata da motivi diversi da quelli di carattere strettamente economico, ha
comportato in una prima fase il ritardo per l’inizio del completamento dell’edificio e talvolta influito a determinarne la mancata finitura.
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Facciate di chiese veneziane incompiute
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Facciate di chiese veneziane incompiute
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Facciate di chiese veneziane incompiute
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Facciate di chiese veneziane incompiute
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Chiese veneziane di Giorgio Massari
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Chiese veneziane di Giorgio Massari
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Chiese veneziane di Giorgio Massari
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Chiese veneziane di Giorgio Massari
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Chiese veneziane di Giorgio Massari
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Chiese veneziane di Giorgio Massari
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San Marcuola storia ed inquadramento
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San Marcuola storia ed inquadramento
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San Marcuola storia ed inquadramento
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San Marcuola storia ed inquadramento
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San Marcuola storia ed inquadramento
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San Marcuola storia ed inquadramento
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San Marcuola storia ed inquadramento
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Rilievo
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Rilievo
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Rilievo
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Rilievo
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Rilievo
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Elaborazioni stato di fatto
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Ipotesi di ricostruzione
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Rilievo Gesuati
C.VIII-64
Rilievo Gesuati
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Rilievo Gesuati
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Ricostruzione facciata
C.IX-67
Ricostruzione facciata
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Ricostruzione facciata
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Venezie possibili
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Venezie possibili
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Venezie possibili
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Venezie possibili
C.X-73
Venezie possibili
C.X-74
Venezie possibili
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Venezie possibili
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Venezie possibili
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Venezie possibili
C.X-78
Venezie possibili
C.X-79
Venezie possibili
C.X-80
Venezie possibili
C.X-81
Venezie possibili
C.X-82
Venezie possibili
C.X-83
Venezie possibili
C.X-84
Bibliografia
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Lavori di restauro conservativo delle chiese di San Marcuola e San Marziale in Venezia
Venezia 1994 (Quaderni del nucleo operativo di Venezia)
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Chiese veneziane: descritte ed illustrate con documenti e con le iscrizioni
Giuseppe Bianchini. Venezia, Verona. 1889-97.
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Le chiese di Venezia: storia, arte, segreti, leggende, curiosità.
Marcello Brusegan. Roma
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Le chiese di Venezia
Franzoi Umberto, Di Stefano Dina
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Le chiese di Venezia descritte ed illustrate da Giambattista Soravia
Venezia: Per Francesco Andreola
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Tracce di chiese veneziane distrutte: ricostruzioni dai disegni di Antonio Visentini
Elena Bassi. Venezia. 1995
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Quadri Antonio – Moretti, Dionisio. Il Canal Grande di Venezia descritto
Da Antonio Quadri e rappresentato in 60 tavole rilevate ed incise da Dionisio Moretti.
Ponzano, Tv: Vianello libri,1983.
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Giorgio Massari architetto veneziano del settecento. Presentazione di Elena Bassi.
Vicenza: N. Pozza, 1971
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Antonio Massari, Giorgio Massari architetto veneziano del settecento.
Venezia. 1971
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Architettura del Sei e Settecento a Venezia
Elena Bassi. Napoli.
C.XI-85
Bibliografia
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Episodi dell’architettura veneta nell’opera di Antonio Gaspari
Elena Bassi. 1963
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Piante e vedute prospettiche di Venezia
Giocondo Cassini. Venezia. 1971
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Chiesa dei Gesuati: arte e devozione
Antonio Niero, Pedrocco Filippo. Venezia. 1994
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La chiesa di Santa Maria del Rosario brevemente illustrata
Venezia. Giuseppe Bianchini.
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La chiesa di Santa Maria del Rosario o dei Gesuati.
Venezia 1943
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Chiesa di Santa Maria della Pietà, progetto di completamento della facciata
Biblioteca Celestia. Fascicolo IX
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Il quaderno dei disegni del Canaletto alla galleria dell’Accademia
T.Pignatti 1958
Le Venezie possibili: da Palladio a Le Corbusier
Venezia 1985. Lionello Puppi, Giandomenico Romanelli
C.XI-86
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