Puccini, fede e Bohème

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Puccini, fede e Bohème
La controversa religiosità del compositore
«Ci credi in Dio? Che discorsi! Perché non debbo credere in Dio, se in fondo
ci credono tutti? Credo anche in Gesù Cristo, ma un po’ a modo mio, e non
del tutto a modo vostro…». Fu questo uno dei pochi colloqui in cui lo schivo
maestro Giacomo Puccini (1858-1924), negli anni della piena maturità
artistica, superò la proverbiale reticenza e accettò di parlare del
soprannaturale e della religione con l’ amico di sempre e consulente
musicale don Pietro Panichelli. Il tutto è testimoniato da un libro pubblicato
nel 1939 proprio dall’ amico sacerdote originario di Pietrasanta, dal titolo Il
pretino di Puccini, volume in cui si narra la trentennale (1897-1924) amicizia
tra i due.
Un’ attenzione al sacro e al trascendente, quella del compositore lucchese di
cui il 29 novembre ricorre il 90° della morte, confermata da altri dati, spesso
sconosciuti ai più: per esempio gli anni trascorsi al seminario di Lucca, la
conoscenza della musica sacra e della liturgia grazie all’ apprendistato di
giovane organista nelle chiese della diocesi (dove si cimenterà nei primi
«pezzi sacri»), la venerazione di famiglia per gli «antenati santi» tra cui una
lontana parente, la serva di Dio suor Maria Luisa Biagini.
Certamente singolare per lui – uomo dall’ animo impulsivo e spesso incline
alla bestemmia da vero «toscanaccio», di spirito libertino ma non
anticlericale (da cacciatore non avrà remore a scegliere un prete, monsignor
Domenico Mercati, come consulente per procacciarsi dei «buoni cani» nella
pratica venatoria) – è stata la grande ammirazione per l’ allora arcivescovo
di Pisa cardinale Pietro Maffi o ancor più la stima sincera per don Giovanni
Bosco, a cui ricorse in un colloquio a Torino per chiedere nel 1884 la
guarigione dell’ amata madre Albina Magi. O ancora la devozione per don
Lorenzo Perosi «un genio e un “ cervellaccio” » della musica italiana...
Tanti sono gli interrogativi sulla religiosità del compositore, spentosi a soli
66 anni in una clinica di Bruxelles per un male incurabile alla gola. A
suffragio della tesi del Puccini «buon cattolico », secondo una felice
definizione postuma di Pietro Mascagni, rimangono molti aspetti sensibili
della sua biografia: la sua attenta – a volte non convenzionale – lettura della
Divina Commedia e della Sacra Scrittura (grazie anche al suggerimento della
sorella Ramelde: «Leggila, è una cosa straordinaria»), o il suo desiderio di
sposarsi religiosamente (avvenne il 3 agosto 1904), dopo una lunga
convivenza more uxorio, con Elvira Bonturi.
Ma il sottofondo religioso di Puccini «cattolico non praticante» lo si evince
soprattutto in alcune sue opere, da Tosca a La Fanciulla del West (dove la
protagonista Minnie insegna ai rozzi minatori il valore della Bibbia), da Suor
Angelica (con le intense invocazioni alla Vergine) alla giovanile «Messa di
Gloria», fino al Requiem tratto dall’ Edgar(che fu riproposto da Arturo
Toscanini nel Duomo di Milano il 3 dicembre 1924, giorno dei funerali di
Puccini, presieduti dall’ allora arcivescovo cardinale Eugenio Tosi).
Proprio riferendosi al testo musicale dedicato alla storia di una monaca del
XVII secolo, Angelica, il compositore in un certo senso rivelerà all’ amico
Guido Marotti il suo sentimento sacro: «E giuro a Dio e agli angeli suoi che è
l’ opera mia più sentita e più sinceramente scritta, e farà inghiottire il verde
spurgo ai denigratori d’ oggi – vedrai – e presto, Dio è poi giusto!!!».
«Angelica» (e forse non è un caso) sarà il soprannome che a Bruxelles nelle
ultime ore di vita affibbierà alla religiosa che lo assisteva in clinica e che
accosterà alle labbra del morente un piccolo crocifisso.
A rappresentare una delle fonti di ispirazione dell’ opera più spirituale e
mistica del genio di Torre del Lago (a cui il fidato don Panichelli offrirà la
consulenza per scovare le litanie mariane più adeguate) sarà la sorella del
maestro Iginia Puccini, divenuta giovanissima monaca agostiniana con il
nome di suor Giulia Enrichetta e poi priora del convento di Vicopelago (Lu).
«Alla mia monachina», come amerà chiamarla Puccini, l’ autore della
Bohème ricorrerà spesso per consigli spirituali ma anche per trovare un
ristoro e una pace interiore all’ interno della clausura.
Alla religiosa Puccini dedicherà una delle sue partiture, scritte
personalmente, de La Fanciulla del West, e alle sue consorelle offrirà spesse
volte lezioni gratuite di musica, oltre al dono inaspettato della composizione
di un inno dedicato alla Madonna Tota pulchra); tanti inoltre saranno i gesti
di gentilezza verso il convento della sorella, tra cui l’ acquisto di un
armonium o le laute donazioni in denaro (a volte in cacciagione) per il
sostegno del monastero.
Originale e fuori dagli schemi fu pure l’ amicizia del grande musicista con il
suo «informatore » don Pietro Panichelli, «vecchio topo di chiesa» che rivestì
un ruolo determinante nella scelta del Te Deum della Tosca e del giusto
suono delle campane nella Roma di Cavaradossi. Al suo «pretino» Puccini
confiderà molte delle sue inquietudini sull’ aldilà, «un buio di mistero»: «Ma
poi cos’ è la morte? Parlo della nostra: un salto nel buio e buona notte.
Meglio se questo buio avesse la luce. Allora potrebbe essere una gioia». E
ancora con tono affettuoso, sintomo del suo carattere verace e canzonatorio:
«Ridammi, caro pretino, la fede che avevo da fanciullo e ti regalo la Tosca».
Nel gennaio 1924 il compositore compie la triste scoperta di un tumore alla
gola e subisce il dramma di non aver ancora completato la Turandot; è da
questo momento, e fino al novembre successivo in cui affronta l’ ultimo
viaggio a Bruxelles per curarsi, che il maestro racconta a chi gli sta accanto
(tra gli altri il figlio Antonio) di sentirsi come «un Gesù in croce» e di
accettare cristianamente il suo destino: «Ora sono nelle mani dei medici e di
Dio».
Non sorprese dunque la scelta consapevole e volontaria di Puccini di ricevere
l’ estrema unzione dall’ allora nunzio in Belgio, l’ arcivescovo e futuro
cardinale Clemente Micara; il quale così riferì di quell’ incontro ai familiari:
«Ho appena detto al maestro che quando sarà al cospetto del Signore vedrà
colui che gli ha ispirato tanta musica immortale».
A tanti anni di distanza dalla scomparsa del musicista, seppur impolverato
dalla retorica del tempo, rimane attuale il ricordo che quei fatti suscitarono
nella mente dell’ amico don Panichelli: «In quella lotta tremenda nessuno
saprà mai dire cosa sia passato tra la sua anima e Dio, tra la sua coscienza e
la parola del sacerdote cattolico. È molto consolante per noi aver saputo che
Giacomo Puccini spirò coi conforti del cristiano e col simbolo redentore di
quella Croce che rende più grande e completa la gloria della sua tomba».
Filippo Rizzi
(articolo tratto da www.avvenire.it)
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