RIFLESSIONI SULLA CRISI a cura di Giuseppe Garofalo L’effetto domino !!?? Il mostro che risorge continuamente Un atteggiamento ambivalente • Una fiducia cieca nel mercato • La domanda della Regina Perché la maggioranza degli economisti non ha previsto la crisi finanziaria … E TU NON CI PUOI FAR NIENTE, NIENTE! Caccia al colpevole • Gli economisti? » I MERCATI? • La dimensione della politica? » Gli STATI? Non due Non duetermini termini contrapposti perché non c’è soluzione se si contrapposti sacrificano gli uni o gli altri nelle rispettive funzioni Produrre e distribuire reddito Far fronte ai “fallimenti degli Stati” Redistribuire reddito Far fronte ai “fallimenti del mercato” Un osservatorio privilegiato • Università di Chicago: la culla del liberismo (Friedman, Lucas, Fama, …) Traduzione sul • Il revisionismo versante politico: thatcherismo, al suo interno reaganismo [anni ‘80] 2009 C’è [C’era, nel 1993] capitalismo e capitalismo • Capitalismo renano Con la vittoria del thatcherismoreaganismo sembra prevalere il modello anglosassone Un tipo di organizzazione economica ed istituzionale, nata in Germania e successivamente diffusasi in Giappone. Nel modello in esame la proprietà della grande impresa è condivisa da azionisti formati da: — grandi banche; — società di assicurazione; — fondazioni legate alle imprese; — fondi collegati ai dipendenti o ai sindacati. Gli azionisti partecipano attivamente alla gestione quotidiana dell'impresa affiancandosi ai managers e ai rappresentanti dei dipendenti dell'azienda. Esiste, inoltre, un rapporto costante fra l'impresa e le istituzioni pubbliche, il che contribuisce a rendere stabile il complesso equilibrio fra le diverse forze che fanno capo all'impresa. Il fitto intreccio di rapporti, fra i diversi attori sociali, afferma l'idea che l'impresa non è un bene qualunque e non può essere, quindi, acquistata o venduta come un qualsiasi altro bene. Ciò esclude a priori la possibilità di take over ostili, i quali sono invece fortemente osteggiati. • Capitalismo anglosassone Negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni in genere l'assetto delle imprese è caratterizzato dalla netta divisione fra proprietari (azionisti privati, fondi di investimento, fondi pensione, imprese di assicurazione) e managers. Il ruolo degli azionisti nella gestione dell'impresa è sostanzialmente anonimo e marginale, poiché essi sono interessati solo al flusso di profitti che l'impresa è in grado di produrre. Al contrario, ai managers è affidata l'effettiva gestione delle imprese; i loro obiettivi, però, possono essere profondamente diversi (a volte, addirittura in contrasto) da quelli dei proprietari: massimizzazione dei propri stipendi, semplice sopravvivenza dell'impresa ecc. I conflitti fra azionisti e managers sorgono, vista la divisione dei compiti e i diversi obiettivi, nel momento in cui i primi vedono minacciati i loro diritti di proprietari. Da qui nasce la paura di acquisizione ostili, l'ossessione del breve periodo che conducono a stretegie aziendali spesso distruttive. L'esistenza, poi, di un mercato finanziario molto dinamico e soprattutto molto informato sugli andamenti delle imprese, spinge i proprietari a pretendere delle strategie aziendali capaci di contenere eventuali take over ostili. Sistemi di Welfare La distribuzione del reddito 10 PAESI OCSE CON LA PEGGIORE DISEGUAGLIANZA DI REDDITO Coeff. di Gini e, in parentesi, il tasso medio annuo di variazione tra la metà degli anni ’80 e la fine degli anni ‘00 Cile 0,5[-0,47] Messico 0,48 [0,21] Turchia 0,41 [-0,26] USA 0,38 [0,48] Israele 0,37 [0,57] Portogallo 0,36 [-0,17] Regno Unito 0,34 [0,77] Italia 0,34 [0,36] Australia 0,34 [0,64] Nuova Zelanda 0,33 [0,86] A volte ritorna • Crisi del 1929 • 1982 • Dalla fine del 2006: crisi dei mutui sub-prime e …. quel che ne è seguito Una stima solo iniziale degli effetti • Nell'aprile 2009, il Fondo Monetario Internazionale ha stimato in 4.100 miliardi di $ il totale delle perdite delle banche ed altre istituzioni finanziarie a livello mondiale. • La cifra corrisponde ad un reddito annuo di 20.500 $ per 200 milioni di lavoratori. Il meccanismo della crisi secondo Minsky • In periodi di espansione, quando il flusso di cassa delle imprese supera la quota necessaria per pagare i debiti, si sviluppa un'euforia speculativa. • All'origine delle crisi vi è uno "spostamento", un evento, esterno rispetto al sistema macroeconomico, che spinge i soggetti a credere che vi saranno forti rialzi nel valore delle attività (siano queste reali o finanziarie). Ne consegue un'espansione creditizia, che alimenta ulteriormente l'euforia. • Nel momento in cui ci si rende conto che l'espansione dei prezzi è terminata, inizia la corsa alla vendita, che può portare al panico sui mercati, e ad effetti negativi anche sull'economia reale. La crisi nasce dall’eccesso di indebitamento • delle imprese • dello Stato Talora (v. USA): • delle famiglie • del Paese vs l’Estero Una formalizzazione Risparmio = Investimento + Deficit pubblico + Surplus commerciale Nazionale o Estero Avere un surplus commerciale equivale ad una contrazione dei consumi interni (v. Cina e Giappone)* *Avere un deficit commerciale vuol dire “vivere al di sopra delle proprie possibilità” grazie al risparmio dell’Estero (v. USA) Non si capisce la crisi ….. …. se non si tiene presente la fase precedente di euforia “ir”razionale Per contrastare la crisi … …. occorre l’intervento pubblico attraverso: - il prestatore di ultima istanza (Banca centrale) - il contrasto alla speculazione (Vigilanza, regolazione micro/macro prudenziale, mezzi adeguati per contrastare masse di denaro alla ricerca degli “anelli deboli”) - il sostegno della domanda aggregata da parte del governo (in un quadro di espansione della domanda mondiale tale da spingere le esportazioni) Le difficoltà di attuare le misure di contrasto nella situazione attuale • Gli eccessi della finanziarizzazione • L’ortodossia monetarista della BCE • Il forte indebitamento accumulato dal settore pubblico che inibisce le politiche espansionistiche • La fragilità dell’equilibrio finanziario internazionale • Lo scarso coordinamento internazionale L’espansione della “finanza” • Il Pil mondiale, ovvero il valore di tutti i beni e servizi prodotti in tutti gli stati del globo, era pari, nel 2010, a 63 mila miliardi di dollari [erano 37 mila miliardi nel 2003]. • Le transazioni annuali in attività finanziarie (titoli) erano pari, nel 2010, a 851 mila miliardi di dollari [erano 321 mila miliardi nel 2003] • Dunque, per ogni dollaro di prodotto reale ce ne sono 14 di finanza [nel 2003 il rapporto era 1 a 9] • Degli 851 mila miliardi di dollari: - solo 250 mila sono in attività finanziarie tradizionali (azioni, obbligazioni, e, soprattutto, cambi): dunque, 4 dollari per ognuno di prodotto - 601 mila sono in derivati (futures, swaps) sono titoli creati a fronte di titoli sottostanti; sono utilizzati per copertura dal rischio o a fini speculativi; sono scambiati su mercati poco regolamentati). “Finanza” e attività di controllo In sostanza, la finanza [i mercati finanziari]…. esercita, tra le altre cose, una valutazione sempre aggiornata sulla credibilità/non credibilità delle azioni: - delle imprese [mercato azionario ed obbligazionario], - ma anche degli Stati [mercato dei titoli pubblici], - e, più in generale, dei paesi [mercato valutario], nonché sulla sostenibilità nel lungo periodo delle strategie intraprese dai vari soggetti [mercati a termine, Credit default swap, spread, …] “Speculatori”: vil razza dannata • Sui mercati finanziari si agisce in base ad aspettative sul futuro e questo è quanto fanno gli speculatori (rialzisti / ribassisti) • I rischi sorgono quando: - il mercato è a senso unico (euforia / panico) perché in quel caso le aspettative si autorealizzano, - si allontana di molto dalla concorrenza perfetta (vi sono pochi operatori dominanti con forti conflitti di interesse) - manca una regolamentazione che, nelle condizioni attuali, deve essere su scala sovranazionale Financial Stability Board [l’organismo, sorto nel 1999 e con sede a Basilea, vede rappresentati tutti i paesi del G20 (governi e banche centrali), nonché la Commissione Europea]: ma ha prodotto poco, ad es. riguardo alle “vendite allo scoperto” o alle operazioni sui derivati, che amplificano di molto gli andamenti dei mercati all’insù o all’ingiù data la possibilità di sfruttare l’effetto leva!! Da ripensare è, forse, anche il modello di banca globale, o universale, ritornando alla separazione tra attività creditizie di base svolte da banche commerciali e quelle, molto più remunerative ma ad alto rischio, di investment [casinò] banking [si vedano le raccomandazioni dell’estate 2011 dell’inglese Independent Commission on Banking coordinata da J.Vickers] Cfr. con Usa: 1933 Glass-Steagall Act: adozione del principio di separazione 1999 Gramm-Leach-Bliley Act: abolizione principio di separazione Una nuova Bretton Woods? • • • • • Tra il 1 e il 22 luglio 1944 si tenne una conferenza internazionale per definire l‘assetto economico mondiale e, in particolare, il sistema di gestione degli scambi monetari dopo la II guerra mondiale. Vennero creati il FMI e la Banca mondiale, mentre il dollaro divenne la valuta di riferimento per gli scambi internazionali. Alla conferenza partecipò anche Keynes (per conto del governo inglese) con un piano favorevole ad una maggiore cooperazione internazionale rispetto al piano concorrente dell’americano White, uscito vincitore. Nel 1971 il sistema entrò in crisi con il passaggio dal dollaro convertibile (in oro negli scambi tra banche centrali) al dollaro non convertibile, e da un regime di cambi fissi ad uno a cambi flessibili. Dal 2008, soprattutto da parte della Francia, vi è la richiesta di ridefinire l’assetto del sistema finanziario e monetario mondiale A livello teorico l’utilità di un approccio cooperativo ai problemi dell’economia globale era stata sottolineata ben prima: da ultimo, a partire dal 2003, con riferimento al fenomeno delle global imbalances (v. slide 31) Il coordinamento internazionale delle politiche economiche: i vantaggi delle soluzioni cooperative ed i limiti di attuazione Con applicazioni di teoria dei giochi (Hamada 1985) si può dimostrare che: • il coordinamento sarebbe vantaggioso per tutti gli agenti/giocatori (paesi o aree geo-economiche): soluzione Pareto-ottimale • la mancanza di fiducia e il vantaggio a comportarsi da “free rider” inducono ciascun giocatore a deviare dall’accordo • l’esito finale è sub-ottimale: equilibrio di Nash Ciascun giocatore fa ciò che è meglio per sé, cioè mira a massimizzare il proprio guadagno, a prescindere dalle scelte degli avversari, sotto la congettura che il comportamento dei rivali non varierà a motivo della sua scelta. La situazione è tipica del “dilemma del prigioniero”: potrebbe aumentare il guadagno di tutti qualora i giocatori deviassero congiuntamente dalla soluzione definita (equilibrio di Nash), cercando di ottenere il miglior risultato per il gruppo. Nei casi in cui la razionalità collettiva contrasta con quella individuale, è necessario un accordo vincolante tra i giocatori (e una istituzione che vigili su tale accordo) nonché sanzioni credibili nei confronti di chi non lo rispetta. Intrecci (azionari) pericolosi tra Banche d’affari, Società di gestione fondi e Agenzie di rating Listini dominati da fondi che gestiscono 50mila miliardi di dollari e da banche più grandi degli Stati di Morya Longo (Il Sole 24 ore, 18-3-2012) BlackRock a giugno considerava l'Italia il quinto paese più rischioso al mondo, su una lista di 44 Stati. E lo scriveva nero su bianco. A dicembre, dopo il cambio di Governo, ha però cambiato idea: oggi addirittura sovrappesa, dunque acquista oltre le proporzioni normali, i titoli di Stato italiani. La notizia non sarebbe di grande rilievo, se BlackRock non fosse la società di fondi d'investimento più grande al mondo: ha in gestione 3.513 miliardi di dollari. Insomma: maneggia somme una volta e mezza più grandi del Pil italiano. Le sue scelte sono dunque in grado di mobilitare una quantità enorme di denari sui mercati finanziari. Tanto da far sorgere una domanda: BlackRock è in grado, solo per la stazza immensa, di influenzare i mercati stessi? Le sue decisioni potrebbero avere influito nella crisi prima, e nella salvezza poi, dell'Italia? La stessa domanda potrebbe essere rivolta a molti altri giganti della finanza. I fondi pensione – secondo le stime di qualche anno fa di McKinsey hanno in gestione nel mondo qualcosa come 25mila miliardi di dollari. I fondi comuni 18mila miliardi. Le assicurazioni 16mila miliardi. I fondi sovrani 5mila miliardi. Denari non equamente distribuiti, ma concentrati in pochi giganti che ne controllano la quota maggiore. Ci sono poi le grandi banche, che fanno girare – direttamente o indirettamente – la fetta maggiore dei mercati finanziari: i primi 5 istituti americani detengono per esempio 310mila miliardi di dollari di derivati. Chiamateli «burattinai». Oppure «padroni dell'universo». O anche «elefanti nella cristalleria»: sta di fatto che, comunque si muovano, potrebbero influire sulla crisi o sulla salvezza di interi Stati, aziende o banche. Too big to fail I primi «padroni dell'universo» sono proprio le grandi banche. Non solo hanno attivi totali giganteschi: Barclays arriva a 2.167 miliardi di dollari (pari al Pil della sua patria, cioè la Gran Bretagna), Hsbc a 2.438 miliardi, Bank of America 2.221 miliardi. Ma il vero problema è che svolgono attività intrecciate, facendo girare somme enormi di denari. Le grandi banche, per esempio, hanno in casa i maggiori fondi comuni: i fondi di Barclays e JP Morgan sono catalogati da McKinsey tra i primi dieci più grandi investitori del mondo. Contemporaneamente le stesse banche gestiscono i soldi propri, investendoli sul mercato. Ma svolgono anche il servizio di broker, intermediando per conto di clienti le compravendite di azioni, bond o derivati. Questo non permette loro di determinare i prezzi in senso stretto, ma di influire sul cosiddetto spread tra denaro (prezzi in acquisto) e lettera (in vendita): in questo modo possono, nei momenti di crisi, rendere illiquidi (cioè invendibili) determinati titoli. Le grandi banche poi svolgono attività di prestito titoli: «Con il tasso d'interesse a cui prestano i titoli – osserva un addetto ai lavori – possono facilitare o meno le vendite allo scoperto. Dunque possono, indirettamente, influenzare le scelte degli hedge fund». Ebbene: con tutte queste attività intrecciate, può una banca determinare gli eventi finanziari? Sul mercato in tanti credono di sì. Tanti credono invece che la concorrenza annulli il potere di ogni singolo soggetto. Sta di fatto che, complice la mancanza di trasparenza sui mercati, il dubbio c'è. Il rischio anche. I grandi fondi E c'è anche per i grandi fondi. BlackRock è il maggiore. Oltre ad avere in gestione 3.513 miliardi di dollari (di cui però la metà in forma passiva legata ad Etf), il colosso vende a 200 investitori di tutto il mondo (che hanno 9.500 miliardi di attivi) il suo software di gestione dei rischi. Questo software è totalmente asettico: non dice – assicurano da BlackRock – come o dove investire, ma scompone semplicemente i rischi di ogni portafoglio. Eppure, indirettamente, potrebbe influenzare le scelte di allocazione di 9.500 miliardi di dollari: a seconda di come sono scelti i parametri – pur asettici – i 200 investitori potrebbero infatti comportarsi in maniera simile. Potrebbe questo, in certi momenti, determinare movimenti in massa? Da BlackRock lo negano. Ma, in fondo, non è possibile escluderlo. Anche Pimco, il più grande fondo obbligazionario con 1.300 miliardi di dollari in gestione, nega di avere alcun potere di muovere i mercati. «La controprova – osserva Alessandro Gandolfi, country head in Italia – sta nel fatto che nel 2011 abbiamo puntato contro i T-Bond Usa, ma il mercato si è mosso nella direzione opposta rispetto alla nostra scommessa». Vero. Vero anche, però, che su mercati più piccoli l'impatto di una scelta di Pimco potrebbe essere maggiore. Vero inoltre che di esempi opposti (cioè di scommesse azzeccate da parte dei grandi fondi) ce ne sono a iosa. L'effetto «pecoroni» Il potere di questi giganti deriva anche da un altro aspetto: hanno una capacità di trascinamento, dato che quotidianamente pubblicano studi e opinioni. Ogni giorno ci sono azioni che salgono o scendono perché qualche banca d'affari ha raccomandato un «buy» (comprare) o un «sell» (vendere). Le stesse banche, o i grandi fondi, pubblicano anche studi sugli Stati. Report che se prodotti da piccoli istituti non vengono neppure letti, ma quando sono realizzati dai big della finanza producono effetti tangibili. Per un motivo banale: tutti sanno – soprattutto sui mercati azionari – che quei report influenzano le scelte di tanti soggetti. Così in tanti si adeguando. Questo pone anche un altro interrogativo: i report sono sempre frutto dell'indipendente analisi di esperti, oppure servono per giustificare o rafforzare politiche delle banche? «Mi è capitato – confessa sotto tutela di anonimato al Sole 24 Ore un economista uscito da un istituto italiano – di non poter esprimere in pieno le mie opinioni, perché contrastavano con la politica della banca». «I report sono creati ad uso e consumo degli interessi della banca», osserva un altro addetto ai lavori. Queste sono solo testimonianze, e ovviamente se ne possono raccogliere altre di segno opposto. Ma lasciano comunque un sospetto: che i big della finanza possano muovere masse ingenti di soldi, "pilotando" poi le scelte degli altri – a proprio vantaggio – attraverso i report. I signori delle pagelle Veniamo così ai più famosi valutatori del mondo: le agenzie di rating. Loro non investono, non muovono denari. Eppure, con i loro giudizi, influenzano le decisioni di milioni di investitori. Motivo: tanti fondi sono vincolati, nei loro investimenti, dai rating. «Molti fondi hanno nei documenti costitutivi l'imperativo di tenere titoli valutati Tripla A – racconta Annachiara Marcandalli, managing director di Cambridge Associates –. Quando Standard & Poor's ha declassato gli Stati Uniti, tanti hanno dovuto adeguare gli statuti per non essere costretti a vendere T-Bond». Il giorno che cambiare gli statuti non sarà più possibile, sui T-Bond partiranno vendite forzate. Stesso discorso per i BTp italiani: se venissero ulteriormente declassati, dall'attuale "BBB+", molti fondi sarebbero costretti a scaricarli. Tutto questo mette nelle mani delle agenzie di rating un enorme potere: ammesso (e non concesso) che i loro giudizi siano tutti impeccabili, il rischio è che in ogni caso le loro parole diventino profezie auto-avveranti. Sommando il loro potere a quello delle grandi banche e dei grandi fondi, tutto questo pone rischi potenziali di stabilità. Anche perché tutti questi soggetti, come si vede nella grafica, sono in gran parte intrecciati da legami azionari l'uno all'altro. Come in una grande ragnatela. In mezzo, però, c'è il mondo reale: cioè tutti noi. Debito/Pil Italia 1861-2011 Il circolo “virtuoso” (nel breve periodo) ma “vizioso” (nel lungo periodo) della crescita del debito pubblico • Il debito pubblico sostiene la domanda aggregata, anche grazie agli “effetti ricchezza”; garantisce il consenso e la pace sociale • Il debito pubblico innesca la spirale deficit-debito [riferimento alla crisi italiana del 1992]; si scarica sulle generazioni successive l’onere degli interessi sui titoli pubblici e della restituzione del debito Il cambio euro-dollaro Il contagio finanziario CRISI EUROPA Debiti pubblici mondiali: 52 mila miliardi di $ Debito/Pil Interessi/Entrate statali Italia Grecia Tassi sui decennali USA Japan Legenda • I debiti pubblici mondiali ammontano a 52mila miliardi di $, il 50% in più rispetto al 2007 (i dati sono dell'agenzia di rating Moody's). • L'84% del totale si trova nei Paesi industrializzati: Stati Uniti, Europa e Giappone. In questi Paesi, il debito è mediamente superiore al 100% del Pil, mentre nei Paesi in via di sviluppo – dall'Asia all'Africa – il dato è sensibilmente inferiore: appena il 38% del Pil. • Tutto è andato bene finché il debito è stato rifinanziato senza problemi. Ma da quando la crescita economica è rallentata, e con essa la capacità di rimborsare il debito dei singoli Paesi, è venuta meno la fiducia degli investitori. • Che chiedono rendimenti sempre più elevati per sottoscrivere i titoli di Stato dei vari Paesi. • Il balzo dei tassi d'interesse è un problema anche per le banche europee che pagano uno spread consistente sul tasso swap a 5 anni. • E nel 2012, Stati e banche d'Europa dovranno rifinanziare 1.900 miliardi di €. Italia: un passato glorioso Ma una crisi profonda con l’inizio del 3° Millennio • Le cause sono strutturali e culturali e hanno le loro radici nei decenni precedenti (dagli anni ’60) Bassa crescita del Pil e delle svariate forme di produttività Incapacità di cogliere la sfida della globalizzazione Incapacità della classe dirigente di cogliere le novità della rivoluzione nella tecnologia dell’informazione e della comunicazione Scarsa valorizzazione del capitale umano Scarsità degli investimenti, in primis in R&S Strategie difensive basate sulla minor resistenza Europa: un’ancora che è rischioso abbandonare • In Italia abbiamo delegato all’Europa il compito di “obbligarci” a comportamenti virtuosi: - risanare i conti pubblici - fare le riforme -… - produrre cambi di quadro politico • Siamo in grado di agire senza lo stimolo esterno? Recuperato un minimo di credibilità, … l’Italia può/deve, però, assumere un ruolo più attivo nei confronti degli altri paesi dell’UE, favorendo il varo di iniziative comuni di: - contrasto della recessione, che, tra l’altro, blocca il risanamento della finanza pubblica - passaggio ad una vera “politica economica europea” (non solo monetaria e agricola!) Le linee d’indirizzo della politica economica • Risanamento dei conti pubblici • Crescita del Pil [da qualificare, date le riserve sulla grandezza come indicatore di benessere] • Equità Ha varie dimensioni: tra le quali quella “intergenerazionale” dare voce a chi ancora non ce l’ha! … in una prospettiva che non può essere più limitata ai confini nazionali Alcune “suggestioni”: a seconda dei casi ingenue, scarsamente praticabili, “utopistiche” [in senso positivo] • Indignati “Noi la crisi non la paghiamo” “Più credito e meno debito” • Serge Latouche e la Decrescita Ok limiti allo sviluppo, ma non in una visione statica Come comportarsi di fronte alla recessione? Subirla passivamente? • Loretta Napoleoni Ritorno alle monete nazionali ed alle svalutazioni competitive? No, grazie: abbiamo già dato • Caritas in veritate (in re sociali) di papa Ratzinger [Stefano Zamagni ne è autore per la parte economica] Un sistema tripolare: mercato, Stato, società civile Rilevanza degli aspetti distributivi e del no-profit Governo dell’economia globale Importanza dei beni relazionali (non possono essere né prodotti né consumati da un solo individuo, perché presuppongono l’interazione con altri e possono essere goduti solo se condivisi reciprocamente) • …. • Tobin tax L’applicazione deve essere su scala globale per non creare vantaggi fiscali per i paesi che non la applicano MA COS'È QUESTA CRISI? [Rodolfo De Angelis, 1933] Si lamenta l’impresario che il teatro più non va ma non sa rendere vario lo spettacolo che dà "ah, la crisi!" Ma cos'è questa crisi? Paraparapapapà... Ma cos'è questa crisi? Metta in scena un buon autore faccia agire un grande attore e vedrà... Paraparapapapà... che la crisi passerà! Parapà parapà, parapà parapà... Un riccone avaro e vecchio dice: ahimé così non và vedo nero nello specchio chissà come finirà "ah, la crisi... mmh" Ma cos'è questa crisi? Paraparapapapà... Ma cos'è questa crisi? Cavi fuori il portafogli metta in giro i grossi fogli e vedrà... Paraparaparapà... che la crisi finirà! Parapà parapà, parapà parapà... Si lamenta Nicodemo della crisi lui che và nel casino di Sanremo a giocare al Baccarat: "ah, la crisi sa... capirà la crisi oh..." Ma cos'è questa crisi? Ma cos'è questa crisi? Lasci stare il gavazzare cerchi un po' di lavorare e vedrà... Paraparaparapà... che la crisi passerà! Parapà parapà, parapà parapà... Tutte quante le nazioni si lamentano così conferenze, riunioni, ma si resta sempre lì "ah la crisi... eh...“ Ma cos'è questa crisi? Paraparapapapà... Ma cos'è questa crisi? Rinunziate all’opinione della parte del leone e chissà... che la crisi finirà! Parapà parapà, parapà parapà... L’esercente poveretto non sa più che cosa far e contempla quel cassetto che riempiva di danar "ah, la crisi Signur!" Ma cos'è questa crisi? Paraparapapapà... Ma cos'è questa crisi? Si contenti guadagnare quel che è giusto e non grattare e vedrà... Paraparaparaparaparapà... che la crisi passerà! Parapà parapà, parapà parapà... E perfin la donna bella alla crisi s’intonò e per far la linea snella digiunando sospirò: "ah, la crisi... oh signora la crisi" Ma cos'è questa crisi? Paraparapapapà... Ma cos'è questa crisi? Mangi un sacco di patate non mi sprechi le nottate e vedrà... Paraparaparapà... che la curva tornerà! Parapà parapà, parapà parapà... Ma cos'è questa crisi? Ma cos'è questa crisi? Chi ce l'ha li metta fuori circolare miei signori e chissà... che la crisi finirà! Parapà parapà pà pà! I tecnici al capezzale del malato