Capitolo 7 - Cardiopatia ischemica - Università degli Studi dell`Insubria

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Appunti di Cardiochirurgia Capitolo 7 Cardiopatia ischemica
Appunti di Cardiochirurgia
Capitolo 7
Cardiopatia ischemica
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Cardiopatia ischemica
Dati epidemiologici: si calcola che la cardiopatia ischemica sia causa di morte per circa 550.000 persone
ogni anno negli Stati Uniti.
In Italia, sono circa un milione le persone affette da cardiopatia ischemica, l’incidenza annuale di nuovi casi
di infarto è di circa 110.000. Le morti causate dalla cardiopatia ischemica sono circa 80.000 all’anno.
Fisiopatologia
Nella cardiopatia ischemica si verifica uno sbilanciamento tra il fabbisogno metabolico e il rifornimento di
ossigeno al miocardio.
Nella stragrande maggioranza dei casi la cardiopatia ischemica è causata da una patologia ostruttiva su
base aterosclerotica che coinvolge le arterie coronarie. Altre cause piuttosto rare possono essere i ponti
muscolari sovracoronarici o gli spasmi delle arterie coronarie.
Un periodo di ischemia miocardica può causare danno senza necrosi muscolare (stunning miocardico) o un
danno irreversibile, cioè la necrosi miocardica, che può cominciare ad essere osservata a livello subendocardico dopo 20 minuti di ischemia normotermica. Di solito la necrosi diviene transmurale quando il
periodo di ischemia supera le sei ore.
L’ischemia temporanea, in assenza di necrosi miocardica, può essere causata da un transitorio squilibrio tra
il rifornimento di ossigeno al miocardio ed il suo fabbisogno per un deficit del flusso coronario. Questo può
essere provocato da una placca aterosclerotica che ostruendo parzialmente il lume coronario slatentizza la
patologia durante uno sforzo, o per causa di uno spasmo coronarico (con o senza placca), o per trombosi
coronarica transitoria che si risolve rapidamente.
L’infarto miocardico si ha invece quando si verifica una necrosi miocardica che come già detto, ha luogo a
partire dal miocardio sub-endocardico a partire da venti minuti dall’inizio dell’ischemia.
Una volte superate le sei ore dall’inizio dell’ischemia, si osserva solitamente la necrosi trans-murale
dell’area infartuata. A questo punto la rivascolarizzazione non può apportare alcun beneficio nell’area di
miocardio non più vitale.
Tra queste due situazioni estreme vi sono delle condizioni in cui la disfunzione miocardica secondaria a
patologia ischemica è reversibile, a patto che sussista ancora la vitalità delle miocellule nell’area
interessata.
Stordimento (stunning) miocardico: consiste in una severa depressione della funzione cardiaca, che si
verifica dopo una diminuzione acuta del flusso coronarico seguita da adeguata riperfusione: si tratta di una
condizione che può durare minuti, ore o giorni.
Dopo il ristabilirsi di un normale flusso permane per un certo periodo di tempo una diminuita contrattilità,
vi è cioè un missmatch tra perfusione e contrattilità.
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Lo stunning miocardico può seguire un breve periodo di ischemia miocardica, ed è caratterizzato da
disfunzione sistolica e diastolica in assenza di necrosi miocardica. Lo stunning miocardico può essere
causato in parte dal rilascio di radicali liberi dell’ossigeno durante i primi minuti della riperfusione, e in
parte dall’afflusso di calcio all’interno dei miociti durante l’ischemia.
Ibernazione miocardica: mentre lo stunning è caratterizzato da missmatch tra perfusione e contrattilità,
nell’ibernazione sia perfusione che contrattilità sono basse.
Generalmente l’ibernazione è cronica, e consiste in uno stato di disfunzione contrattile segmentale, e meno
spesso globale, potenzialmente reversibile. Un ecostress con dobutamina, scintigrafia miocardica e PET
consentono di distinguerlo dal miocardio non vitale, ed aiutano quindi a decedere sull’opportunità della
rivascolarizzazione.
Manifestazioni cliniche
La cardiopatia ischemica può manifestarsi in modo cronico o acuto.
Le manifestazioni croniche sono:
-
la coronaropatia silente in cui il paziente non ha sintomatologia specifica pur in presenza di lesioni
anatomiche delle arterie coronarie,
-
l’angina stabile prodotta da un transitorio squilibrio tra il rifornimento di ossigeno e il fabbisogno
del miocardio.
Le manifestazioni acute includono:
-
l’angina instabile, che comprende l’insorgenza di angina a riposo e l’angina di recente insorgenza
(ultimi trenta giorni) in assenza di rilascio di enzimi miocardio specifici;
-
l’infarto miocardio senza elevazione del tratto ST (NSTEMI) in cui si evidenzia il rilascio di enzimi
miocardiospecifici senza alterazioni all’elettrocardiogramma, quali rialzo prolungato del tratto ST e
comparsa di onde Q;
-
l’infarto miocardio con elevazione del tratto ST (STEMI) in cui si rileva il
rilascio di enzimi
miocardiospecifici con alterazioni dell’elettrocardiogramma quali rialzo prolungato del tratto ST e
comparsa di onde Q. Tale situazione è spesso associata dal punto di vista anatomopatologico allo
sviluppo di un infarto trans-murale.
-
la morte cardiaca improvvisa, che si verifica di solito per alterazioni del ritmo cardiaco, in
particolare per l’insorgenza di fibrillazione ventricolare.
Diagnostica strumentale
L’elettrocardiogramma è senza ombra di dubbio il primo esame che si effettua in caso di sospetta
cardiopatia ischemica sia a riposo che sottosforzo può mette in evidenza le alterazioni del tratto ST,
eventuali onde Q, alterazioni della conduzione.
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L’ecocardiogramma mette in evidenza la capacità contrattile del ventricolo sinistro ed eventuali
complicazioni della cardiopatia ischemica, quali insufficienza mitralica funzionale, aneurismi e
pseudoaneurismi del ventricolo sinistro, versamento pericardico secondario a rottura di cuore.
L’ecocardiogramma con somministrazione di dobutamina (ecostress farmacologico) serve a verificare la
vitalità miocardica, e a valutare le capacità di recupero della contrazione ventricolare, che può apparire
compromessa in prima battuta all’ecografia a riposo.
Altri esami da considerare, soprattutto in relazione allo studio della vitalità miocardica, sono la scintigrafia,
la PET (tomografia a emissione di positroni), la risonanza magnetica.
La coronarografia con iniezione di mezzo di contrasto rimane allo stato attuale l’esame principale nella
diagnosi della cardiopatia ischemica, nella valutazione anatomica delle lesioni, nella scelta della terapia da
seguire per ogni paziente.
Recentemente la TC coronarica è stata utilizzata per effettuare diagnosi di esclusione, ma non raggiunge
ancora i livelli di precisione delle immagini della coronarografia.
Anatomia chirurgica delle arterie coronarie.
Le arterie coronarie sono due, destra e sinistra.
La coronaria sinistra è costituita da tre segmenti principali: il tronco comune coronarico sinistro, da cui
originano l’arteria interventricolare anteriore e l’arteria circonflessa.
La coronaria destra nella maggior parte dei casi (80%) si biforca a livello della crux cordis, dando origine
arteria discendente posteriore e, a un ramo postero-laterale di dimensioni e sviluppo variabili. In questi
casi si parla di dominanza destra, quando dalla coronaria destra origina l’arteria discendente posteriore.
Quando l’arteria discendente posteriore origina dall’arteria circonflessa si parla di dominanza sinistra .
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Figura 7.1 Angiografia delle arterie coronarie, netter images.com
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Indicazioni.
In caso cardiopatia ischemica cronica determinata da coronaropatia ostruttiva, lo studio Syntax ha
evidenziato la superiorità della rivascolarizzazione chirurgica rispetto alla rivascolarizzazione percutanea nei
pazienti con stenosi del tronco comune coronarico sinistro >50%, e dell’arteria interventricolare anteriore
>70%, nonché nei pazienti con cardiopatia ischemica multivasale con interessamento dell’arteria
interventricolare anteriore. Si è inoltre rilevata la superiorità della rivascolarizzazione chirurgica nei pazienti
diabetici, con ridotta FE, con nefropatia cronica, con vasculopatia periferica.
In caso di infarto miocardico acuto NSTEMI è preferibile eseguire un’angioplastica sulla lesione colpevole
per conseguire la stabilità emodinamica. È poi auspicabile eseguire l’intervento chirurgico dopo 3-7 giorni.
In caso di infarto miocardio acuto STEMI è indicato eseguire un’angioplastica sulla lesione colpevole e
l’eventuale l’intervento chirurgico, se l’angioplastica non si può fare o risulta inefficace.
L’intervento in emergenza è indicato se c’è la possibilità di rivascolarizzare un’area estesa di miocardio
entro le prime 3-4 ore dall’evento.
In condizioni di stabilità emodinamica l’intervento di chirurgico di rivascolarizzazione miocardica si esegue
3-7 giorni dopo l’angioplastica.
Tecnica chirurgica:
l’intervento di rivascolarizzazione miocardica può essere eseguito con l’ausilio o senza della circolazione
extracorporea. Si isolano dapprima i condotti con cui eseguire la rivascolarizzazione:
i più utilizzati sono l’arteria toracica interna, la vena safena, l’arteria radiale.
L'arteria toracica interna (o mammaria) che ha oggi un ruolo centrale nella rivascolarizzazione miocardica,
viene generalmente impiantata sull’arteria interventricolare anteriore. La sua pervietà a dieci anni è di oltre
il 95%.
Figura 7,2 isolamento Arteria mammaria
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La vena safena: viene isolata dalla gamba del paziente per una porzione del suo decorso, se ne preleva un
segmento e lo si impianta di solito sui rami dell’arteria coronaria circonflessa e della coronaria destra.
Figura 7,3 isolamento v safena
L’arteria radiale può essere considerata come alternativa alla vena safena. È utilizzata in genere quella del
braccio non dominante, dopo aver verificato con il test di Allen se l’arteria ulnare è in grado di provvedere
efficacemente alla perfusione dell’avambraccio.
Figura 7,4 isolamento arteria radiale
Una volta eseguite le anastomosi dei condotti sulle arterie coronarie, nel caso della vena safena e
dell’arteria radiale si provvede a confezionare le anastomosi prossimali a livello dell’aorta
ascendente(derivazione o bypass aorto-coronarico), mentre per l’arteria mammaria il capo prossimale
rimane a livello dell’arteria succlavia.
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Figura 7.5 esempio di anastomosi di un bypass aorto-coronarico.
Rivascolarizzazione miocardica a cuore battente.
Allo stato attuale non sono stati riscontrati vantaggi assoluti dalla rivascolarizzazione miocardica a cuore
battente.
Tuttavia è possibile individuare alcune categorie di pazienti che possano giovarsi di questa tecnica: pazienti
con età maggiore di settanta anni, con bassa frazione di eiezione del ventricolo sinistro, pazienti affetti da
vasculopatia cerebrale e periferica, broncopatia cronica ostruttiva, disfunzione epatica, coagulopatie,
insufficienza renale, calcificazione dell’aorta ascendente.
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Complicanze meccaniche dell’infarto miocardico
Aneurismi del ventricolo sinistro
Storicamente dal 30% al 10% dei pazienti che sopravvivevano a un IMA maggiore evolvevano in aneurisma
del ventricolo sinistro. Attualmente, grazie al miglioramento della terapia dell’IMA, questo dato appare in
discesa, in particolare grazie alla trombolisi e all’angioplastica.
Anatomia patologica
L’aneurisma consiste in una cicatrice fibrosa transmurale, dai limiti ben definiti, in cui sia la superficie
interna finemente trabecolata che il tessuto muscolare della parete sono sostituiti da tessuto fibroso
liscio. Può essere Localizzato in sede apicale,anteriore, posteriore o laterale
La formazione di un Aneurisma del ventricolo sinistro può essere riassunta in tre fasi, la prima fa seguito
all’evento infartuale in cui comincia a verificarsi il rimodellamento a carico della zona infartuata dove si
forma la cicatrice. Nella seconda fase cicatrice infartuale si assottiglia
e prosegue nell’aumento di
diametro. Nell’ultima fase il ventricolo sinistro in toto subisce un rimodellamento sferico e a livello della
porzione di parete ancora vitale i miociti si ipertrofizzano e si assiste ad un incremento del collagene
interstiziale.
Fisiopatologia
Durante la sistole il segmento di parete coinvolto è acinetico o discinetico, cioè acquisisce un movimento
paradosso in sistole. L’evoluzione della funzione ventricolare in caso di aneurisma del ventricolo sinistro di
grandi dimensioni è caratterizzata da aumento del volume tele diastolico e riduzione della FE, che causa un
incremento della pressione di parete a carico della porzione non aneurismatica della parete ventricolare
(secondo la legge di Laplace). Questo processo conduce alla perdita della riserva sistolica nella residua
parte contrattile del ventricolo sinistro, e contribuisce all’allargamento del ventricolo sinistro e
all’insufficienza cardiaca.
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fig
7.6 -7 fasi evolutive e schema del rimodellamento del ventricolo Sinistro con aneurisma.
In assenza di correzione chirurgica si possono quindi verificare diverse complicazioni, insufficienza cardiaca
causata dalla dilatazione della camera ventricolare, la fibrosi della parete ventricolare può predisporre a
circuiti di macro-rientro e aritmie ventricolari maligne, sulla superficie interna della cicatrice si può avere
apposizione trombotica con conseguente rischio trombo – embolico, infine il continuo assottigliamento
della parete un comporta rischio di rottura della stessa.
Le forme di presentazione clinica possono essere diverse, oltre allo scompenso cardiaco possono verificarsi
embolie cardiogene (stroke, embolie periferiche), aritmie ventricolari (sincopi o arresto cardiaco) e in
ultimo un tamponamento Cardiaco per rottura dell’aneurisma.
Diagnosi
Può essere fatta con l’ecocardiogramma, la ventricolografia e con l’utilizzo della risonanza magnetica.
figura 7.8 -9 ventricolografia e RMN con riscontro di aneurisma ventricolare sinistro
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In particolare con quest’ultima metodica l’enhancement tardivo di contrasto aiuta a distinguere il vero
aneurisma dal falso: in quello vero l’enhancement si verifica a livello del miocardio, in quello falso a livello
del pericardio. Inoltre il colletto del falso è generalmente più stretto rispetto al vero, in particolare il
rapporto tra Ø colletto e Ø massimo della camera è più alto nel falso che nel vero: rispetto al diametro
della camera aneurismatica, il diametro del colletto dei falsi è più piccolo, nei veri è più grande.
Vengono applicate principalmente due tecniche:
per gli aneurismi di dimensioni non troppo estese si può applicare il metodo di riparazione con chiusura
lineare. Si esegue un’ incisione nel punto più sottile della cicatrice di cui poi si asporta una parte. Per
chiudere l’incisione si applicano dei punti singoli o doppi, con filo con doppio ago, rinforzati con due fasce di
teflon (una per ogni lato). Questi punti devono essere passati profondi , in modo da comprendere nella
sutura la maggior parte di cicatrice settale possibile. Come la incisione inizia ad essere chiusa, si procede al
debullaggio delle VVPP, dell’atrio e del ventricolo sinistri. Una volta che la sutura ventricolare a punti
staccati è completata, si rinforza con due suture continue di polipropilene, ognuna con partenza alla fine
dell’incisione, passando attraverso il margine della cicatrice e la striscia di teflon.
Tecnica ripartiva con chiusura lineare figure 7.10 e 7.11 (cardiac surgery 3° ediz. Churcill Livingston)
Per correggere gli aneurismi di dimensioni maggiori si utilizza la tecnica con patch di pericardio, che è stata
chiamata endoaneurismorraffia da Cooley, e plastica riparativa
endoventricolare con patch da Dor.
L’utilizzo di questa tecnica è conveniente quando la cicatrice aneurismatica coinvolge, oltre alla parete
libera del VS, un’importante parte del setto interventricolare, in quanto permette la sua esclusione e allo
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stesso tempo ripristina la fisiologica geometria del ventricolo sinistro. Il patch deve essere ovale, con Ø tra
2-2,5 cm. Conviene tuttavia prepararlo con Ø di 2,5-3 cm per compensare lo spazio preso dentro alla
sutura. Dopo l’incisione sulla parete aneurismatica, viene identificata la linea di confine tra cicatrice e
miocardio vitale.
A livello di tale linea viene confezionata una borsa con polipropilene due zeri. I diametri longitudinale e
trasverso del difetto che residua dopo aver confezionato la borsa sono misurati per ritagliare un patch di
dimensioni un poco maggiori di 0,5 cm. Questo patch viene quindi suturato, sempre a livello della linea di
demarcazione, con una sutura continua di polipropilene tre zeri. Prima di terminare questa sutura, dovrà
essere eseguito il debullaggio. La sutura deve essere stagna per evitare la formazione di falsi aneurismi.
La restante parte dell’aneurisma è in parte tagliata se ridondante, e quindi suturata sopra il patch con una
sutura continua di due zeri.
Figura 7.12-13 tecnica ripartiva con patch (cardiac surgery 3° ediz. Churchill Livingston)
Indicazioni alla correzione chirurgica
Per gli aneurismi piccoli e medi solo se è indicata anche la chirurgia coronarica, e/o in caso di disfunzione
ventricolare sinistra e insufficienza cardiaca.
Per gli aneurismi di grandi dimensioni, in pazienti sintomatici per angina o insufficienza cardiaca, c’è
indicazione a prescindere dall’anatomia coronarica.
La mortalità postoperatoria intraospedaliera va dal 5 al 7% (negli anni dal 1958 al 1978 andava dal 10% al
20%). La sopravvivenza postoperatoria a 1 mese è del 90%, a 1 anno è 85%, a 3 anni 75%, 5 anni 65%.
Studi più recenti hanno evidenziato una sopravvivenza a 5 anni che va dall’ 80 all’88%. Lo studio STICH ha
dimostrato una mortalità a 5 anni del 67% non significativa rispetto ai pazienti trattati con solo CABG
(pazienti trivasali), tuttavia con una riduzione significativa del diametro tele diastolico del VS per gli operati
con ricostruzione del ventricolo sinistro.
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Falso aneurisma del ventricolo sinistro.
Si sviluppa a seguito di una rottura della parete libera del ventricolo sinistro. Solitamente tale rottura è
letale, ma quando il pericardio è sufficientemente aderente all’epicardio, la rottura può evolvere in un
emopericardio localizzato. La persistenza della comunicazione dell’emopericardio con la cavità del
ventricolo sinistro evolve verso una graduale espansione dell’emopericardio in un falso aneurisma, la cui
parete è costituita da pericardio e aderenze. I falsi aneurismi hanno forte tendenza alla rottura per cui
l’indicazione alla correzione chirurgica è concomitante con la diagnosi.
Rottura postinfartuale della parete libera del ventricolo sinistro.
Si verifica nel 2%-4% dei pazienti con IMA, nello shock trial 2,7%. È la seconda causa di morte per infarto
dopo l’insufficienza cardiaca, causando circa il 20% delle morti per infarto. La rottura avviene solitamente
tra il primo ed il settimo giorno post-infarto. A volte la rottura è massiva e la morte avviene per
esanguinamento. La rottura solitamente inizia con una piccola lesione della parete che causa la formazione
di un ematoma, il quale gradualmente si fa strada attraverso l’area di necrosi evolvendo verso un
improvviso e fatale tamponamento pericardico. La rottura si verifica più frequentemente nella parete
anteriore o laterale del ventricolo sinistro.
La rottura postinfartuale della parete libera del ventricolo sinistro deve essere sospettata in caso di recente
infarto miocardico cui si associano dolore toracico ricorrente o persistente, instabilità emodinamica,
sincope, dissociazione elettromeccanica transitoria. L’intervento chirurgico è indicato a meno che il
paziente non sia moribondo. La coronarografia non è consigliabile se non in condizione di emodinamica
molto stabile.
La riparazione chirurgica della rottura di parete libera si esegue in sternotomia mediana, previa istituzione
della CEC può essere eseguita mediante chiusura diretta o con il posizionamento di un patch in Dacron
La sopravvivenza a 5 anni è del 44%, e a 10 anni del 26%.
Insufficienza mitralica post-ischemica

Acuta: dovuta a rottura di un muscolo papillare, complica lo 1%-3% dei casi di IMA, si
verifica solitamente tra il secondo e il settimo giorno post-infarto, ma può verificarsi da
poche ore a 14 giorni dopo l’infarto. La tecnica riparativa è in questi casi difficile da
applicare, e spesso si preferisce la sostituzione. La mortalità intraospedaliera è tra il 18% e
il 22%.
La presentazione clinica consiste in genere in edema polmonare acuto e/o Shock
cardiogeno.
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
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Cronica: è determinata dal disfunzionamento della parete del ventricolo sinistro, che causa
sia una dilatazione dell’anulus sia una retrazione (tethering) verso il basso dei lembi
mitralici. Si verifica come IM severa nel 3% dei pazienti con cardiopatia ischemica cronica.
(si veda classificazione di Carpentier)
Figura 7.14 schema della retrazione (tethering) verso il basso dei lembi mitralici
La tecnica utilizzata è solitamente la riparazione tramite impianto di un anello completo
rigido sottodimensionato. La mortalità post-operatoria intraospedaliera varia tra il 3% e
l’ 11%. Per quanto la riparazione sia preferibile, non si è notato un significativo aumento
della sopravvivenza nei pazienti sottoposti ad anuloplastica rispetto alla sostituzione
valvolare: a 7 anni si è riscontrato il 67% contro il 62% di sopravvivenza.
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Difetti interventricolari post-infartuali
fig 7.15 DIV postinfartuale
Si verificano nello 1-2% degli infarti miocardici. Si verificano più spesso negli infarti trans-murali a distanza
di due o tre giorni, ma possono verificarsi in qualsiasi momento entro due settimane dall’infarto.
La localizzazione è nel 70% anteriore, nel 30% posteriore. La prognosi senza adeguato trattamento è
severa, con mortalità del 25% in 24h, 50% in 48 ore, 65% in 1 settimana e 80% in 4 settimane.
Le alterazioni emodinamiche saranno quelle tipiche di un infarto miocardico esteso con in più il
sovraccarico acuto a livello del cuore destro e del circolo polmonare, con eventuali segni di scompenso
acuto del ventricolo destro.
Presentazione clinica.

Anamnesi di recente infarto miocardico esteso (clinica, alterazioni ECG, enzimi cardiaci)
•
Rapida comparsa di Sindrome da bassa gittata (pz freddo, ipoteso, oligurico, confuso)
•
Esame obiettivo: soffio pansistolico, mesocardico (margine sternale inferiore sinistro). Rantoli:
edema polmonare.
Diagnosi
ECG (aspecifico per diagnosi di DIV) individua segni di ischemia e necrosi, alterazioni della conduzione
intraventricolare (BBSx, EAS), segni di sovraccarico Ventricolo Destro (rotazione asse cardiaco, BBDx)
Radiografia del torace: mostra in genere un importante sovraccarico del circolo polmonare fino all’edema
polmonare acuto.
L’ecocardiografia individua lo shunt e ne può valutare la posizione e l’ampiezza. L’entità del flusso del DIV
è direttamente proporzionale al rapporto Qp/Qs misurato con il catetere di Swan-Ganz.
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La gestione del paziente con DIV post-infartuale consta di tre aspetti principali, il trattamento dell’IMA
(PPCI o PCI) e la stabilizzazione emodinamica a cui fa seguito la chirurgia riparativa DIV.
Tempistica: idealmente sarebbe opportuno operare a due settimane dall’infarto, ma questo dipende dalle
condizioni emodinamiche e cliniche del paziente, che spesso tendono a scadere sia sotto il profilo
emodinamico e quindi anche come condizioni generali, in maniera assai rapida. Perciò una volta fatta la
diagnosi questi pazienti ricoverati in terapia intensiva, devono essere strettamente monitorati con catetere
di Swan-Ganz, gli deve essere impiantato un contro pulsatore aortico e deve essere eseguita una
coronarografia. Se si instaurano i segni di shock cardiogeno, ipertensione polmonare, disfunzione renale
non controllabili con dosi moderate di farmaci inotropi, si dovrà procedere all’intervento in maniera
urgente.
Tecnica di riparazione per i DIV anteriori:
Fig 7.16 -17 tecnica di riparazione di un DIV anteriore
L’accesso al difetto può avvenire per via trans ventricolare attraverso la zona infartuata della parete libera
del ventricolo sinistro, a cui fa seguito l’impianto a punti staccati a materassaio o con sutura continua di un
patch per chiudere il difetto. Il patch può essere di pericardio autologo o bovino, o di teflon. I punti
dovranno essere passati nella zona di miocardio non infartuato che circonda il difetto.
In caso di necrosi miocardica estesa il patch dovrà anch’esso essere più esteso, ed escludere tutta la parte
del setto e della parete libera del VS coinvolte nel processo infartuale.
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In caso di DIV apicale è stata proposta da Daggett fig 7.18 la tecnica di amputazione dell’apice (ventricolo
destro e ventricolo sinistro) che è asportato con un’incisione.
La parete libera del ventricolo sinistro e del ventricolo destro e il setto interventricolare sono riuniti con una
sutura a punti staccati 1-0 con interposizione di una striscia di teflon all’esterno del ventricolo destro,
ventricolo sinistro e da ambo i lati del setto interventricolare (4 in tutto).
DIV posteriori:
fig 7.19: tecnica tradizionale di riparazione di DIV posteriore
L’accesso al difetto avviene per via trans ventricolare, attraverso la zona infartuata della parete libera del
ventricolo sinistro. Si asportano il setto interventricolare posteriore e la porzione di parete del ventricolo
destro e ventricolo sinistro adiacenti al setto coinvolte nell’infarto, e si posizionano due patch, uno che
separi il ventricolo destro dal ventricolo sinistro, e l’altro che ricostituisca la parete libera del ventricolo
destro. Il patch settale è anastomizzato da un lato sul setto residuo anteriore, e dall’altro assieme al patch
di chiusura del ventricolo destro sulla parete libera del ventricolo sinistro, con punti 2-0 a materassaio
rinforzati con pledget, e una striscia di teflon dall’altro lato della parete.
E’ stato inoltre descritto da alcuni autori un accesso trans atriale destro per la correzione dei DIV postinfartuali posteriori, che ha il vantaggio di non produrre l’interruzione della parete ventricolare.
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Risultati: la mortalità ospedaliera post-operatoria è del 30-40% essenzialmente per insufficienza cardiaca, a
distanza di 5 anni è tra il 44 e il 57%. La causa più frequente è sempre l’insufficienza cardiaca.
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