disegno di legge sulla procreazione assistita: societa` e

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Tibet:violazione delle libertà politiche, culturali e religiose.
Seminario tenuto il 18 marzo 1998 presso la CGIL Nazionale.
Claudio Tabacco:
Sono Claudio Tabacco, obiettore della CGIL nazionale, lavoro nell'ufficio Nuovi Diritti qui in CGIL
nazionale; sono anche un attivista di Amnesty International.
Volevo fare una breve presentazione del seminario partendo dallo scopo di questa iniziativa che è
quello di ricordare in CGIL, e anche a voi, a noi, a tutti quanti, la situazione attuale della
popolazione tibetana in Tibet, quindi di ricordare i problemi legati alla politica della Cina in Tibet.
Problemi come il tentativo, da parte delle autorità cinesi occupanti, di normalizzare la cultura e la
religione tibetana alla cultura cinese, al partito comunista cinese, oppure il problema della
limitazione del numero dei monaci buddisti che possono far parte di un convento o anche
l'imposizione di un'età minima per l'ingresso nel monastero per i monaci stessi.
Tutte restrizioni che hanno lo scopo principale, per la Cina, di sgominare il movimento
indipendentista del Tibet ma che comunque hanno l'effetto di distruggere, annientare la cultura e la
religione del Tibet che al momento sopravvive in esilio in India.
Altro argomento è il problema dei diritti umani sia in Tibet che in tutta la Cina, i diritti sanciti nella
Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, quindi si parla di violazioni del diritto di avere
un'opinione, della libertà di parola, si parla della detenzione di prigionieri politici, della tortura nei
centri di detenzione ma anche dei diritti sociali, come il diritto alla sussistenza, che ultimamente per
la popolazione tibetana è diventato un problema con l'introduzione di nuove tasse anche sul
foraggio, sul latte, sul burro e cose di questo genere, il diritto a scegliere per i propri figli
un'educazione che rispecchi la propria cultura religiosa.
Questo seminario ha quindi lo scopo di aumentare la conoscenza di questi problemi qui in CGIL. È
stato scelto il mese di marzo per questa iniziativa per ricordare anche la rivolta del 10 marzo del
1959 della popolazione tibetana per l'occupazione cinese del Tibet.
Concludo brevemente dicendo che nella cartellina con il materiale distribuito c'è anche una
petizione di Amnesty International che riguarda il caso di Ngawang Sangdrol, Ngawang Sangdrol è
una monaca buddista tibetana che è stata arrestata all'età di 15 anni e condannata a ben 18 anni
di carcere semplicemente per aver espresso in modo pacifico il proprio dissenso alla politica
cinese in Tibet. Quindi quello che vi chiedo è, oltre ad ascoltare il seminario, anche di raccogliere
firme e spedire la petizione all'ambasciata cinese qui a Roma, per effettuare un'azione concreta
per la liberazione di questa monaca. La stessa petizione è stata inviata a tutte le strutture e le
Camere del Lavoro della CGIL, con la stessa richiesta che sto facendo a voi.
Lascio ora la parola alla prima relazione, a Maria Laura Polichetti.
Nota: il seguente testo corrisponde alla trascrizione, non corretta, della registrazione audio
dell'intervento. Esso verrà rimpiazzato dalla versione corretta dall'autrice non appena quest'ultima
ci sarà fatta pervenire
Maria Laura Polichetti:
Generalmente con il nome Tibet, ci si riferisce alle tre province dello Tsang, del Kham (?) e
dell'Amdo.
Uno dei primi effetti dell'invasione cinese è stato quello di scorporare il Tibet, di smembrarlo e di
annettersi le due province orientali. Quindi attualmente il Kham e l'Amdo fanno parte delle regioni
cinesi dello Yunnan, (?) e del Sichuan e quello che viene chiamato Tibet, ovvero Tibetan
Autonomous Region, dove non c'è nessuna forma di autonomia - è una presa in giro questo nome
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- si riferisce soltanto all (?) quello che è il Tibet centrale. Il Tar, Tibet Autonomous Region, è nato
nel 1965.
La Repubblica Popolare Cinese riconosce la legge internazionale sancita dalla convenzione di
Vienna, ovvero considera illegale ogni pretesa di sovranità su di uno stato da parte di un altro,
basata sulla conquista, l'occupazione, l'imposizione di iniqui trattati. L'uso e la minaccia della forza,
l'imposizione di un trattato ingiusto e la continua e illegale occupazione di un paese, non possono
in alcun modo garantire all'invasore il diritto di proprietà del territorio occupato. E questo la Cina lo
applica molto strettamente nei suoi casi, poiché la stessa Cina, quando era più debole, è stata
costretta a firmare una serie di trattati dalle potenze occidentali e quindi ritiene non validi tutti i
trattati che essa stessa ha dovuto firmare sotto la pressione della forza.
Inoltre, la carta delle Nazioni Unite, ratificata sempre dalla Cina, afferma nel primo articolo che
"vanno sviluppate relazioni amichevoli tra le nazioni, basate sul rispetto dei principi di eguali diritti e
autodeterminazione tra i popoli". Inoltre, l'articolo 2 della carta dell'Onu vieta la violenza, quindi
ancora una volta vieta l'annessione con la forza di qualsiasi territorio.
Ma in fondo c'è anche una posizione veramente bellissima, che io personalmente sottoscriverei,
una posizione ufficiale del governo cinese, una dichiarazione del 29 ottobre 1971. Questa
dichiarazione la cito tra virgolette.
"Il governo della Repubblica Popolare Cinese e del popolo cinese, si oppongono
permanentemente alla politica di aggressione e di guerra perseguita dall'imperialismo,
appoggiando nella loro giusta lotta le nazioni assoggettate ed i popoli oppressi, per una liberazione
nazionale contro ogni ingerenza dall'esterno per un governo autonomo.".
Questo è un grande controsenso perché se abbiamo visto che nessuna annessione territoriale con
la forza, e la Cina firma tutte queste convenzioni, costituisce il diritto ad impadronirsi di un territorio,
la Cina viola fragrantemente tutte le convenzioni di cui essa stessa è firmataria. Ma cosa sostiene,
a questo proposito, il governo cinese? In realtà quando parliamo di Cina io in realtà mi riferisco
sempre la governo cinese, perché oggi c'è un forte movimento di dissidenza di democratici cinesi,
dopo piazza Tiennamen molti vivono all'estero, prima tra tutti (?) che recentemente è uscito, dopo
moltissimi anni, di prigione il quale ha delle posizioni sul Tibet molto diverse dal governo cinese.
Quindi quando parlo di Cina in realtà mi riferisco a questo governo e a quello precedente dal '49
fino ad oggi.
La Cina sostiene che il Tibet non è stato occupato, perché il Tibet ha sempre fatto parte della Cina.
Questo è un falso storico, poiché il Tibet non ha mai fatto parte della Cina. La Cina si attacca a tre
momenti storici, riscrivendo la storia con la solita arroganza dei dominatori, dei colonizzatori e degli
imperialisti, perché questo è la Cina di oggi, e questo è quello che è sempre stata la Cina in realtà,
e si attacca a tre momenti storici falsificando completamente la storia. Noi adesso, brevemente e
sinteticamente, analizziamo questi tre momenti storici, con rigore scientifico, per dimostrare e
smantellare le vere e proprie bugie che dicono i cinesi.
Il primo momento storico al quale si attaccano i cinesi per sostenere che il Tibet fa parte della
Cina, è l'epoca monarchica. Il Tibet è stato una grande monarchia; per circa 250 anni il regno del
Tibet, tra il 610 all'842, ha conosciuto una grandissima espansione in tutta l'Asia centrale. Il primo
re del Tibet, che in realtà è il 33 delle cronache tibetane ma è il primo re ad avere una importanza
storica, che perlomeno anche dalle cronache cinesi risultano le sue gesta, si chiamava Song Tsan
Gampo, il quale ebbe due mogli, sposò sue principesse, una nepalese Brikudi (?), e una cinese (?)
della dinastia Tang. Questa, secondo i cinesi, è la prima prova che il Tibet ha sempre fatto parte
della Cina.
Non ci sarebbe bisogno di commenti in realtà, però facciamo un paio di commenti. Prima di tutto,
generalmente quando si dà una principessa in sposa ad un re, non è un segno di potere ma caso
mai è un segno di sottomissione da parte di uno stato verso quell'altro. Secondo, allora il Tibet
dovrebbe anche far parte del Nepal, perché la seconda moglie di questo re era una principessa
nepalese, e per fortuna il Nepal non ha mai rivendicato nessuna sovranità sul Tibet. Terzo, in
realtà il Tibet non solo era uno stato completamente indipendente ed autonomo, ma era uno stato
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veramente molto grosso. All'epoca il buddhismo stava appena arrivando, poi, con l'avvento del
buddhismo, il Tibet non fu più uno stato guerriero ma all'inizio della monarchia il Tibet era uno
stato guerriero, aveva un esercito molto forte, tant'è che conobbe una grandissima espansione e
questa immagine (diapositiva) e un'immagine della vita della seta, è una diramazione meridionale
della carovaniera che oggi è asfaltata, questa foto è stata scattata nell'89, però ancora ci sono le
carovane, e il regno Tibetano tra il 645 e il 787 conquistò praticamente tutta la via della seta, tutte
le città carovaniere (?) fino al famoso deserto del Taklimakan, quello che Marco Polo chiamava il
deserto del senza ritorno, conquistando quindi tutti questi nodi di grande importanza commerciale
ed estromettendo la Cina stessa dai traffici commerciali lungo la via della seta.
Questo significava che era una grossa affermazione di potere poiché lungo la via della seta
transitava tutta la ricchezza da Venezia all'estremo oriente e questo era il grande impero cinese
che i tibetani, in 250 anni, praticamente sbriciolarono, debellarono.
Qui va anche segnalato che, oltre alla seta, lungo la via della seta transitavano, a parte altre merci
preziose come oro, tappeti eccetera, ma transitava anche la cultura, transitavano anche le idee.
Quindi possedere e controllare le città carovaniere, significava entrare in contatto con il mondo
persiano, con il mondo greco, con il mondo indiano, con tutte le culture che si intrecciavano lungo
questa via. Addirittura, se proprio vogliamo studiare attentamente la storia, l'unica volta che c'è
stata una vera guerra importante tra Tibet e Cina, furono i Tibetani a conquistare l'antica capitale
della Cina nel 763 conquistarono (?) l'odierna Xi'an (?) e la tennero per un brevissimo periodo.
Però, se qualcuno dovesse rivendicare, casomai, sul piano storico una sovranità, sarebbero i
Tibetani, dovrebbero essere i Tibetani perché i Tibetani conquistarono la capitale della Cina,
l'antica capitale (?). E questa è storia, non è storia di parte: questa è storia oggettiva che stiamo
analizzando scientificamente senza nessuna analisi di parte.
Un altro documento di estrema significanza, è un documento che è stato scritto sulla pietra in due
lingue, in cinese e in Tibetano - e si trova ancora oggi, se non lo hanno demolito negli ultimi giorni
perché stanno demolendo, dopo la rivoluzione culturale hanno demolito e stanno demolendo, sotto
i nostri occhi, e continuano a demolire il Tibet - un trattato di pace siglato tra l'821 e l'822 tra Cina e
Tibet. Se fosse stata parte della Cina, perché mai queste due nazioni avrebbero dovuto stabilire,
fare un trattato di pace? Questo trattato di pace, ripeto, è a tutt'oggi osservabile e inciso sulla
pietra nella capitale del Tibet a Lhasa. Ve ne leggo solo un passo per rendersi conto sul piano
politico come erano chiare le posizioni. "Il Tibet e la Cina si manterranno entro i loro confini attuali.
Tutto ciò che si trova ad oriente appartiene alla grande Cina, e tutto ciò che si trova ad occidente
costituisce, senza possibilità di contestazione, il grande Tibet. Questo solenne accordo dà inizio ad
una grande epoca nella quale i tibetani saranno felici nella terra del Tibet ed i cinesi felici nella
terra di Cina.". Questo trattato ha 1.200 anni ed è ancora leggibile.
Facciamo un salto di circa 400 anni, ed andiamo a vedere qual è il secondo momento storico sul
quale si basano i cinesi per dire che il Tibet ha sempre fatto parte della Cina. Siamo nel 1260 circa,
siamo in epoca mongola. Come tutti sapete, l'impero mongolo è stato l'impero più grande nella
storia dell'umanità, praticamente dall'oceano Pacifico fino a Vienna, fino all'Europa orientale.
I mongoli nella loro conquista, con Gengis Khan prima e Altan Khan dopo e con Kubilai (?),
conquistano tutta l'Asia centrale. Kubilai, per l'appunto, conquistò Pechino, Begin, la capitale della
Cina, la distrusse e la saccheggiò completamente e vi costruì la sua nuova reggia, ne fece la
capitale dell'impero mongolo.
Quindi la Cina fu, a sua volta, conquistata dai mongoli. Questo dato tenetevelo bene in mente
perché è un dato molto importante perché è così palese la mistificazione della storia che hanno
fatto i cinesi che da qui risulta con estrema evidenzia.
Allora, i mongoli conquistano tutta l'Asia e tra questi paesi conquistano, appunto, la Cina e
conquistano anche il Tibet. Adesso vedremo, però, c'è una differenza molto importante della
conquista del Tibet. La dinastia mongola si chiamerà la dinastia Yuen (?). Quindi i cinesi erano, a
loro volta, assoggettati dai mongoli. In base a questo, i cinesi sostengono, gli storici di parte cinesi,
che, poiché il Tibet era anch'esso sotto il controllo mongolo, il Tibet fa parte della Cina. È talmente
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paradossale, anche qui un paio di commenti. Se tutti i paesi che erano sotto il controllo mongolo
dovessero oggi far parte della Cina, anche la Corea, anche gran parte dell'Asia centrale,
praticamente mezzo mondo oggi dovrebbe far parte della Cina, ma vi assicuro, andate a vedere il
libro bianco che distribuiscono all'ambasciata cinese, questi sono i punti, la loro ricostruzione, la
loro riscrittura della storia sulla base del fatto che i mongoli avevano conquistato e tutto quello che
faceva parte dell'impero mongolo dovrebbe far parte della Cina.
Però è anche molto interessante un altro piccolo approfondimento dell'epoca mongola, perché
mentre i mongoli, nel conquistare la Cina e molte altre aree dell'Asia, si comportarono come quei
gran guerrieri nomadi che erano, cioè saccheggiavano, ferro e fuoco distruggevano tutto,
uccidevano tutti e risparmiavano solo le donne e gli artisti: le donne per unircisi in matrimonio e gli
artisti per farsi costruire le regge, perché i mongoli viaggiavano e vivevano nelle tende, non
avevano mai costruito nulla.
In Tibet successe un fenomeno completamente diverso, e questo poi portò anche alla caduta poi
dell'impero mongolo perché ebbero un grosso impatto con la spiritualità Tibetana, con il
buddhismo. Kubilai Khan incontrò - infatti in Tibet le istruzioni furono molto limitate - questo grande
Lama del monastero Sakyapa e lo nominò suo maestro spirituale Ti shi (?) che è un termine
mongolo. Da quel momento in poi, tutti gli abati dei monasteri Sakyapa, in particolare è
famosissimo l'abate Pac Pa (?), saranno i maestri spirituali degli imperatori mongoli, e gli
imperatori mongoli, in cambio, li nomineranno governatori di tutte e tredici le province del Tibet.
Quindi si instaura un rapporto che è completamente diverso dal rapporto che i mongoli avevano
stabilito con la Cina.
Tutto questo che sto dicendo è documentato da testi scritti nel 1260, in cui i mongoli, invece di
saccheggiare il Tibet, riempivano di doni i monasteri. E quando dico doni mi riferisco a oro, a
tappeti; pagavano intere équipe di pittori per dipingere ed affrescare i templi, li facevano venire dal
Bhutan, dal Sikkim, dalla Cina stessa, dall'India. I mongoli elargirono doni infiniti ai loro Lama per il
grande rispetto che avevano per questi maestri spirituali.
Si instaurò un rapporto - che adesso in questo momento è di grande attualità nella Tibetologia
internazionale, lo stanno analizzando - che in tibetano si chiama che-ion (?). Io adesso non lo
approfondisco più di tanto, ve lo segnalo perché non esiste una vera e propria traduzione. Il
rapporto tra maestro spirituale e imperatore è chiamato il rapporto che-ion dove che è la prima
sillaba di (?) che si riferisce a qualcosa di sacro, qualcosa di spirituale, mentre ion è la prima
sillaba di Iondag (?) che si può tradurre come benefattore. In pratica, che-ion è il rapporto tra
l'intellettuale e lo sponsor, però alla traduzione ci stanno lavorando molto perché abbiamo delle
cose simili da noi, ma non perfettamente identiche. Quindi è importantissimo tenerlo a mente
perché questo si ripeterà ancora con gli imperatori mancesi, con gli imperatori della dinastia dei
Manciù, si instaura questo rapporto che-ion per cui il Lama tibetano è l'intellettuale, è il maestro
spirituale e l'imperatore mongolo è lo sponsor. Quindi un rapporto completamente diverso.
Saltiamo ancora un sacco di secoli, accenniamo appena che ben 18 anni prima che i mongoli
andassero via dalla Cina, andarono via completamente anche dal Tibet. Per cui dal 1351 fino al
1600 per secoli il Tibet fu di nuovo autonomo, indipendente e governato dai principi (?) e da altri
principi Tibetani. Senza neanche più il rapporto che-ion, il Tibet fu completamente Tibetano, non
c'era più neanche il maestro spirituale, cioè loro governavano il loro paese.
(Altra diapositiva) Saltiamo ancora tantissimi secoli e arriviamo al 1617, al grande V Dalai Lama. Il
V Dalai Lama, ormai abbiamo il Tibet configurato come ce lo abbiamo praticamente adesso,
questa diapositiva ve l'ho voluto far vedere perché questo è il Potala, è il palazzo dove risiedevano
e hanno sempre risieduto i Dalai Lama; è considerato il castello, il tempio, la fortezza, ed è molto
significativo a parte perché riassume tutte le caratteristiche dell'architettura tibetana perché è come
una fortezza. Come diceva il grande tibetologo italiano, il pioniere degli studi tibetologici moderni,
sembra proseguire le forme della natura, appollaiato in cima alla montagna riprende le linee stesse
del paesaggio con questa sua rastremazione, e gli stessi materiali con i quali è costruito sono
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materiali ecologici, compatibili con l'ambiente, naturali (la terra cruda, il legno e la pietra), i colori
utilizzati anche questi non staccano dall'ambiente.
Purtroppo, quello che vedete in primo piano è praticamente la tabula rasa che hanno fatto i cinesi
praticamente bombardando e radendo al suolo. Qui c'era un piccolo quartiere tutto di piccole
casette tibetane che è stato completamente raso al suolo. Questo grande palazzo, in qualche
modo, controbilancia l'assenza del Dalai Lama del Tibet: per i tibetani è il monumento simbolo, è
quello che utilizzano per tutte le loro... per il loro logo, è il momento simbolo del loro paese. Su
questo monumento adesso stanno anche molto lavorando perché rappresenta, in qualche modo, il
Tibet.
Adesso occupiamoci del rapporto tra i manciù e il Tibet. Questo è il terzo momento storico al quale
si attacca la Cina per dire che il Tibet fa parte della Cina, ma in realtà anche questa è una pura
costruzione astratta perché, in realtà, tra gli imperatori manciù e i Dalai Lama si instaura lo stesso
rapporto di cui vi ho parlato, il rapporto che-ion: il maestro spirituale e l'imperatore manciù è il suo
discepolo. Abbiamo anche dipinti che raffigurano i Dalai Lama seduti in alto su dei troni, che
insegnano la dottrina del Buddha e gli imperatori Manciù seduti più in basso alle loro ginocchia ad
ascoltare ed abbeverarsi della dottrina.
Ci fui una reale ed effettiva influenza manciù in Tibet - perché raccontiamo la storia tutta intera ed
obiettivamente - soltanto tra il 1720 e il 1792, quando l'esercito manciù intervenne in Tibet su
richiesta degli stessi Dalai Lama. Cioè in realtà non è che loro invasero eccetera, intervenne per
l'esattezza quattro volte perché li chiamarono i Dalai Lama, già il Tibet ormai era un paese
buddista, dedito alla meditazione e alla religione, per cui non aveva un esercito molto efficiente, e
quando ci fu l'invasione degli zungari nel 1720, quella dei gurka nepalesi nel 1792 e in altri
momenti di disordine, loro chiamarono l'esercito e l'imperatore, ai comandi del Dalai Lama, mandò
subito il suo esercito per cacciare gli zungari, per cacciare i gurka, dopo di che se ne tornava in
Cina l'esercito manciù.
Anche qui va segnalato che i mancesi non sono cinesi: la Manciuria è un altro stato, la Manciuria
conquistò, a sua volta, la Cina, conquistò Pechino, non sono Han (?), per capirci, come Deng Xiao
Ping, (?) Li Peng, Mao Tse Tung, questa è l'etnia Han che tra l'altro hanno anche il mito di essere
la razza pura, i Tibetani sono dei montanari, dei selvaggi, delle bestie, cioè gli Han hanno questo
pericolosissimo mito della razza pura, di essere proprio il cinese mandarino. I mancesi non sono
cinesi Han, i mancesi a loro volta conquistarono la Cina, furono dei conquistatori della Cina, e oggi
sono una delle minoranze etniche della Cina. Anche qui poi la pulizia etnica è quasi
completamente avvenuta perché oggi in Manciuria ci sono pochissimi Mancesi, in realtà.
Quindi, l'unico momento in cui ci fu una reale influenza fu questo qui tra il 1720 e il 1792 per
queste spedizioni che i mancesi fecero in soccorso del Dalai Lama. L'unica volta - adesso stiamo
per arrivare nel ventesimo secolo, ai giorni nostri - che effettivamente i cinesi, ovvero i manciù,
cercarono con la forza di effettuare un controllo sui tibetani, fu tra il 1907 e il 1911. Nel 1908 ci fu la
vera prima invasione del Tibet da parte dei Manciù. Nel 1910 il Dalai Lama, il XIII Dalai Lama,
dichiara decaduto il rapporto che-ion, cioè non vuole più essere il suo maestro spirituale. In Tibet si
scatena una grandissima resistenza, anche abbastanza violenta, contro la presenza dell'esercito
manciù, e poi i tibetani furono aiutati dal fatto che nel 1911 ci fu la rivoluzione nazionalista cinese e
con l'instaurazione del Qo min tang (?) il regno manciù crollò, per cui nel 1911 i manciù si ritirarono
dal Tibet.
Il 14 febbraio del 1913, il XIII Dalai Lama riafferma definitivamente l'indipendenza del Tibet, quindi
dal 1911 al 1950 abbiamo una completa indipendenza de facto del Tibet dalla Cina. Questo è un
dato da tenere molto presente, questo dato è provato - e adesso vi cito alcune fonti - da una serie
di eventi storici. Nel 1904 c'è la spedizione (?) proveniente dall'India britannica che arriva fino a
Lhasa per stabilire dei trattati commerciali con il Tibet, e firmano un trattato che ancora oggi è
osservabile direttamente con i tibetani su basi egualitarie da nazione a nazione.
Nel 1914 c'è l'accordo di Simla, anche questo firmato dai governatori dell'India britannica
direttamente con i Tibetani su basi paritarie. Quindi, dal 1913 al 1950, il Tibet ha dimostrato le
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condizioni di uno stato come generalmente accettato dalle leggi internazionali. Nel 1950 c'era un
popolo e un territorio, un governo che funzionava in quel territorio, conducendo i suoi affari interni,
libero da ogni influenza esterna. Dal 1913 al '50, le relazioni estere del Tibet venivano condotte
esclusivamente dal governo tibetano, e i paesi con i quali il Tibet aveva relazioni, hanno trattato il
Tibet in pratica come uno stato indipendente, come risulta da tutti i documenti ufficiali.
Nel 1939 il Tibet si dichiarò neutrale durante la seconda guerra mondiale e non permise di passare
nel suo territorio il materiale bellico. E poi batteva moneta, aveva i suoi francobolli, i suoi
passaporti e via dicendo.
Questo è confermato in realtà anche dalle fonti cinesi, poiché (?), che fu l'ultimo ambasciatore
cinese a Lhasa, nel 1948 lasciando il paese scrisse: "Sin dal 1911 il governo tibetano di Lhasa ha
goduto, sotto tutti gli aspetti, della piena indipendenza". E lo stesso Mao, che durante la lunga
marcia era passato lungo tutte le zone di frontiera e aveva avuto bisogno di rifornimenti per lui e
per i suoi uomini e li aveva avuti proprio dai Tibetani e dai manciù, lo stesso Mao scriverà: "Questo
è il nostro solo debito straniero", quindi se sono stranieri non fanno parte della Cina "ed un giorno
dovremmo ripagare i manciù e i tibetani per le provvigioni che siamo stati costretti a prendere da
loro". Questi sono tutti documenti ufficiali. E non a caso, nel 1959, nel '60, nel '61 e nel '65, alle
Nazioni Unite dall'ambasciatore delle Filippine, che definisce l'invasione cinese come il peggior tipo
di colonialismo imperialismo passato presente, all'ambasciatore americano che definisce
l'invasione cinese aggressione e invasione, appunto, del Tibet, ma una delle più interessanti è
quella di Frank Hiken (?), 1960 assemblea generale dell'Onu, che è il rappresentante dell'Irlanda,
che sostiene "per migliaia di anni, o almeno per gli ultimi duemila anni, il Tibet è stato libero ed in
pieno controllo dei suoi affari, come ogni nazione in questa assemblea e mille volte più libero di
condurre i suoi affari di molte nazioni che oggi siedono qui.".
Andiamo ancora avanti, ci avviciniamo sempre di più ai nostri giorni. Nel 1949, nonostante, come
abbiamo visto, il Tibet non faceva parte della Cina, radio Pechino annuncia che il People Liberation
Army, le armate di liberazione popolare, hanno intenzione di liberare tutti i territori cinesi, incluso il
Tibet, (?) e Taiwan. Subito i tibetani tentano le trattative, ovviamente respinte. Il 7 ottobre 1950
l'esercito cinese, composto da 40.000 unità, attacca il Tibet nord-orientale. 8.000 soldati Tibetani lo
presidiavano, 4.000 vengono massacrati.
1950. La popolazione a gran voce vuole il potere al Dalai Lama. Il Dalai Lama ha solo 15 anni,
chiede di aspettare la maggiore età ma Lhasa è piena di manifesti attaccati ai muri dove tutta la
popolazione chiede il potere al Dalai Lama; e l'assemblea del popolo, che poi sarà il più grande
movimento di resistenza tibetano, chiede anch'esso a gran voce il potere al Dalai Lama. Il Dalai
Lama si sottomette alla volontà del suo popolo ed accetta i pieni poteri.
La prima cosa che fa è iniziare un programma di riforme e dare una amnistia generale. Il
programma di riforme e di modernizzazione era già incominciato col precedente XIII Dalai Lama,
ma il XIV, negli anni che ha avuto a disposizione, l'ha intrapreso più seriamente - se vi interessa ci
possiamo tornare - comunque la sua riflessione fu questa: "l'ineguaglianza nella distribuzione della
ricchezza non era certamente in accordo con gli insegnamenti buddhisti, e nei pochi anni in cui ho
avuto un effettivo potere in Tibet, iniziai a fare alcune riforme fondamentali". Nominò un comitato di
riforma con 50 membri e cominciarono a redistribuire le terre, ridistribuzione del territorio eccetera.
Qui però permettetemi di aprire una piccola parentesi. Quindi il Tibet, lo stesso XIV Dalai Lama
andava modificato e infatti avrebbe continuato a modificarlo senonché nel '59 il Tibet non è stato
più in mano dei tibetani, come avete appena sentito, e quindi sin da allora il Tibet è rimasto
oppresso da una schiavitù socioeconomica e una servitù politica che ancora oggi continua a
rendere il suo popolo vittima di uno dei più viziosi regimi coloniali della storia dell'umanità.
Comunque, volevo fare una piccola parentesi, perché quando si parla del Tibet prima
dell'invasione cinese, ci si riferisce generalmente ad uno stato teocratico medioevale e feudale. In
effetti è vero: il Tibet era uno stato teocratico, medioevale e feudale, però vanno fatte delle
precisazioni.
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Il Tibet era un paese tecnologicamente arretrato, ma era un paese un felice; era un paese che
stava intraprendendo il cammino verso la modernizzazione con i suoi tempi, gradualmente, e il
Dalai Lama aveva intenzione, e lo stava facendo, in accordo alla volontà del suo popolo,
rispettando la loro tradizione e la loro cultura. Poi va ancora precisato, perché i cinesi hanno
dipinto a tinte molto fosche questo Tibet pre '59. In realtà il governo tibetano era una teocrazia, ma
in realtà era una teocrazia molto diversa. Quando si pensa alla teocrazia, uno fa immediatamente
un paragone con il nostro papato. Bene, la situazione è molto diversa perché la religione qui è il
buddhismo, il buddismo è una religione principalmente e basicamente molto tollerante e nella
Lhasa già del 1600 c'erano missioni di gesuiti che costruivano le loro chiese e dialogavano con i
buddhisti. Il buddhismo non è una religione rivelata, i buddisti non dicono di essere l'unica religione
e gli altri sono atei o kefir o infedeli eccetera. In nome del buddha, non si è mai fatta una guerra di
religione, non ci sono state mai crociate, non si è mai ucciso, non hanno una jihad loro, non hanno
né crociate né jihad, si è ucciso in nome di Allah, in nome di Gesù ma non si è mai ucciso in nome
del buddha. Il buddhismo è una religione profondamente tollerante, quindi quando si parla di
teocrazia bisogna stare attenti ad applicare come una fotocopia a quello che abbiamo in mente
quando pensiamo al papato e ad altre forme di teocrazia di casa nostra.
Secondo, il governo Tibetano era composto per il 50% dal clero, ma l'altro 50% era laico, e - anche
questo osservava sempre Giuseppe Tucci, il nostro grande tibetologo italiano - questa era una
misura molto buona perché ogni posto decisionale, ogni carica era divisa tra due persone, un laico
e un monaco ed era molto difficile, quindi, anche se ovviamente episodi di corruzione c'erano
anche lì, però era più difficile perché c'era sempre l'altro che apparteneva ad un altro gruppo
sociale che controllava: il clero controllava il laico, il laico controllava clero.
L'amministrazione tibetana era molto decentrata per la grandezza di questo paese, e l'ultima cosa,
per farvi questo quadro sul Tibet prima del '59, da segnalare molto interessante è il discorso della
reincarnazione.
Non ho intenzione di entrare nei meandri della metafisica, ma soltanto per segnalare, anche
questa è un'osservazione di Tucci, che questo impediva qualsiasi forma di nepotismo, poiché gli
abbati dei grandi monasteri, delle grandi abbazie, che in effetti erano luoghi molto importanti, molto
prestigiosi del Tibet, molto ricchi, non erano mai neanche lontanamente parenti all'abate che c'era
in precedenza, poiché, con la teoria della reincarnazione, l'abate successivo veniva scelto tramite
visioni, oracoli, pronostici, meditazioni, una serie di procedure che ci si possa credere o non
credere, ma di fatto non aveva mai nessun legame con l'abate precedente.
Lo stesso Dalai Lama viene scelto con questi criteri: il XIV Dalai Lama, quello attuale, quello
vivente, è stato trovato in un villaggio a settimane e settimane di cammino da Lhasa, figlio di una
famiglia umile di contadini che nessun legame ha quindi con il XIII Dalai Lama.
Finisco con questo quadro sul Tibet, comunque ciò non toglie che il Tibet andava modificato, la
società tibetana doveva essere modificata, però va pure specificato quale tipo di società hanno
trovato i cinesi.
Il 3 settembre del 1951 l'esercito cinese entra a Lhasa, dopo aver costretto il governo tibetano, una
delegazione del governo tibetano a firmare, sotto la minaccia della forza, il famigerato trattato in 17
punti.
Questo trattato, che fu immediatamente ripudiato dal Dalai Lama e dal governo tibetano, è un
trattato firmato, ripeto, sotto la pressione della forza, ma devo osservare - se poi vi interessa lo
possiamo anche leggere insieme - che se lo avessero rispettato, tutto sommato, i cinesi, sarebbe
stato meglio perché i cinesi, oltre ad averlo imposto con la forza, poi lo hanno anche trasgredito
perché in questo trattato si parlava di libertà religiosa che poi i tibetani non hanno avuto.
Nel '51 l'esercito cinese entra a Lhasa e qui cominciano i veri problemi con la popolazione perché il
P.L.A. entra con migliaia e migliaia di unità in un paese in cui la popolazione era di circa 6 milioni,
un paese autosufficiente, un paese che non aveva mai avuto carestie, e improvvisamente
svuotano tutti i granai, saccheggiano migliaia di tonnellate di orzo, di grano, di quelle che erano le
riserve di un paese che è un deserto di alta montagna, per cui non è che avevano un
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supermercato e possibilità di approvvigionassi di cibo, loro essiccavano cereali che poi
consumavano durante l'inverno.
L'esercito di liberazione consuma tutte le riserve, i prezzi nel mercato di Lhasa salgono alle stelle,
la popolazione non può neanche... vietano assemblee, adunate di più di due persone, allora il
gruppo principale di resistenza tibetana, l'assemblea del popolo, (?), presenta una petizione al
comando del P.L.A. chiedendogli di lasciare la Cina e chiedendogli anche di smettere con le
interferenze nel loro governo. A questa petizione la risposta è l'arresto di cinque leader della
resistenza e costringere alla dimissione i due ministri più indipendentisti.
Da questo momento la resistenza tibetana entrerà in clandestinità e nel '56 inizia la guerriglia e per
un certo periodo di tempo hanno dato anche del filo da torcere ai cinesi perché i guerriglieri tibetani
erano molto ben armati e si muovevano molto bene nel territorio. I cinesi si sono serviti di armi
molto subdole, come scudi umani di donne e bambini intorno ai loro accampamenti per impedire ai
coraggiosi Khampa di assalirli, quindi la resistenza tibetana nel '69 è stata quasi completamente
massacrata.
Il Dalai Lama, rispetto al buddhismo e alla violenza, si è espresso in questo modo: "Come
buddhista sono contrario ad ogni forma di violenza, ma come uomo sono pieno di ammirazione per
questi coraggiosi guerriglieri.".
Arriviamo al drammatico 10 marzo 1959, ed è la ragione per cui a marzo è stato indetto questo
seminario.
Dopo che sono passati tutti questi anni tra trattative e tra aumento di violenza, distruzione di
monasteri e negazione di ogni minima forma di autonomia, il 10 marzo del 1959 è quello che si
può dire la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
I cinesi residenti a Lhasa invitano il Dalai Lama ad assistere ad uno spettacolo teatrale nel loro
accampamento, sembra una sciocchezza, e gli chiedono di andare senza scorta, da solo. In
questo modo erano scomparsi i più grandi Lama di tutti gli altri monasteri: venivano invitati negli
accampamenti cinesi ad assistere a spettacoli teatrali e non ritornavano mai al monastero.
Il Dalai Lama, che però è ancora propenso alle trattative, accetta l'invito. La notizia si sparge in un
baleno in tutta Lhasa; 30.000 tibetani circondano il palazzo del Dalai Lama per impedirgli di uscire.
Loro non vogliono che si rechi all'appuntamento con i cinesi perché temono di non vedere mai più
ritornare il Dalai Lama nel suo palazzo.
Ci sono giorni e giorni di estenuanti trattative, il dato più vigliacco, più subdolo che all'ultimo giorno
prima del bombardamento, i cinesi mandano una spia dentro il palazzo con una mappa del
palazzo e chiedono al Dalai Lama di fare una croce per segnalare l'ala dove si sarebbe trovato
quella notte perché quella notte avevano intenzione di bombardarlo, e gli dicono che vogliono
risparmiarlo, lui e la sua famiglia, quindi gli dicono di mettere una croce sulla pianta - questi sono
tutti fatti storici mai smentiti. Il Dalai Lama si rifiuta di mettere questa croce perché se dovevano
bombardare il palazzo vuole morire insieme a tutti gli altri tibetani, quindi rimanda questa pianta
così come gliela hanno mandata e in poche ore cambia il corso della storia del Tibet.
I capi della resistenza hanno elaborato un piano che il Dalai Lama fa fatica ad accettare ma gli
dicono: "entro poche ore tu devi scappare, ti portiamo fuori dal Tibet". Il Dalai Lama non vuole, lui
dice: "no, io rimango qui con la mia gente". Questa è una cosa molto ben documentata e anche
molto drammatica, l'analisi a posteriori, in realtà, è stato bene così perché se il Dalai Lama fosse
rimasto in Tibet - è stato recentemente scritto un libro in America che analizza questa situazione sarebbe diventato come Pui, l'ultimo imperatore della dinastia dei manciù, praticamente una
marionetta in mano a dei cinesi.
E infatti quella notte il Dalai Lama fuggì, travestito da guerrigliero, passando in mezzo alla sua
gente e la maggior parte sapevano che quello era il Dalai Lama che stava passando, ma tutti
facevano finta di niente perché i cinesi non avrebbero permesso questa fuga. Fu una fuga molto
lunga, molto pericolosa; 100.000 Tibetani si unirono al Dalai Lama e alla sua scorta in questa fuga,
moltissimi Khampa persero la vita in manovre diversive per permettere alla maggioranza dei
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tibetani di raggiungere la libertà nell'esilio, il 17 marzo 1959 inizia la fuga, il 31 marzo 1959
arrivano in India.
(Prossima diapositiva) Questa è Dharamsala, la sede del governo tibetano in esilio. Siamo
nell'India libera e democratica, si trova a circa 2.000 metri di altitudine sulle pendici dell'Himalaya,
siamo nell'India nord-occidentale in Himachal Pradesh. In realtà, fu anche un po' sofferto l'arrivo di
tutti questi tibetani, il Dalai Lama più 100.000 tibetani arrivarono tutti insieme nel 1959.
Furono bloccati, in realtà, alle frontiere, perché era il momento in cui l'India si stava riavvicinando
alla Cina e il (?) ebbe dei problemi a fare entrare tutti questi tibetani, anche perché i cinesi avevano
cercato il Dalai Lama per settimane ed erano stati, in qualche modo, beffati da questa eroica
resistenza, da questi guerriglieri a cavallo che erano riusciti, con manovre diversive, a fare arrivare
questo incredibile fiume di gente sano e salvo fino ai confini.
L'india ha delle perplessità, per alcuni giorni i tibetani aspettano dall'altra parte della frontiera, dopo
di che - quella è la frase che è scritta nei libri di storia - "l'umanità prevalse sulla politica" (?) diede
il permesso ai tibetani, come ospiti dell'India, di entrare nel suo paese.
Qui ci sono delle immagini, veramente indimenticabili, lungo il treno sul quale salirono i tibetani, e
questa poi è quest'india piena di contraddizioni ma questo paese veramente democratico e
tollerante, lungo i binari un'ala di folla per chilometri, chilometri e chilometri applaudiva al
passaggio dei tibetani che arrivavano finalmente nella libertà, in un paese libero, in un paese
democratico.
Appena arrivato a Dharamsala, il Dalai Lama ovviamente sconfessa il governo cinese instaurato a
Lhasa ed instaura il governo tibetano in esilio.
(Altra diapositiva) Queste sono altre immagini di Dharamsala, come vedete anche l'ambiente
boscoso di pendici himalaiane ricrea un po' quello che è il contesto tibetano, anche se siamo a
quota un pochino più bassa.
(Altra diapositiva) Altra immagine di Dharamsala. Quelli che vedete in primo piano non sono dei
panni stesi ad asciugare ma sono (?), i cavalli del vento, sono delle bandiere sulle quali sono
scritte formule sacre e i tibetani credono che facendole sventolare diffondano benedizioni in tutta
l'atmosfera.
(altra diapositiva) Questa è un'altra immagine di Dharamsala con i tibetani, e i tibetani continuano
comunque ad arrivare.
(altra diapositiva) Ci fermiamo un attimo su questa immagine. Il Dalai Lama dichiaro: "Dovunque
sarò accompagnato dal mio governo, il popolo del Tibet ci riconoscerà come governo del Tibet".
Nel 1963 fu approvata la Costituzione. Il Tibet in esilio ha oggi una Costituzione che si basa
essenzialmente sulla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Il 2 settembre 1960, la prima assemblea dei deputati del popolo tibetano presta giuramento perché
il governo tibetano in esilio è un governo democraticamente eletto. Questo è un altro punto
fondamentale, anche se abbiamo spiegato che il tipo di teocrazia tibetana non era poi come
l'hanno dipinta, ma i tibetani non vogliono liberare il Tibet per reinstaurare lo stesso tipo di regime
che c'era prima: i Tibetani adesso hanno una democrazia già dal 1960, che poi ha subito
miglioramenti e modifiche nel corso degli anni, i tibetani non vogliono reinstaurare lo stesso tipo di
governo, i tibetani vogliono ormai portare...
[...]
... che loro riproporranno nel Tibet una volta libero.
Lo stesso Dalai Lama ha dichiarato: "Il futuro capo del governo tibetano, dovrà essere qualcuno
eletto popolarmente e democraticamente dal popolo". Il Dalai Lama ha già più volte fatto questa
dichiarazione e vorrebbe abbandonare la sua carica anche adesso, ha detto: "Una volta tornato in
Tibet, io farò il monaco buddhista, non sarò più il capo temporale di questo paese", ma sono i
tibetani che in questo momento lo stanno pregando, l'hanno pregato e lui ha accettato di rimanere
alla guida del loro popolo perché in questo momento il Dalai Lama è una figura simbolo, è più che
un leader spirituale, è il simbolo del Tibet libero, è il simbolo dell'indipendenza, è il simbolo della
loro nazione. Per cui in questo momento, e io anche penso sinceramente, come tutti gli altri
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tibetani, se il Dalai Lama si tirasse indietro, sarebbe in qualche modo una grossa défaillance per
tutto il movimento per la liberazione del Tibet, ma il Dalai Lama non occuperà più il suo ruolo
politico in un Tibet libero.
Una parola sulla bandiera. Vedete in primo piano questa grande bandiera tibetana, per dare un
esempio di quanta ferocia oggi i cinesi utilizzino contro i tibetani, perfino la bandiera oggi è proibita
in Tibet: se si viene trovati in possesso di una bandiera tibetana durante una perquisizione
domiciliare, ci sono da quattro ai cinque anni di prigione; se si viene trovati in piazza a sventolare
in un corteo una bandiera tibetana, ci sono nove anni di prigione; ma se la bandiera tibetana risulta
prodotta in India, allora sono fino a venti anni di prigione, perché si viene accusati di essere una
spia di Dharamsala, del governo tibetano in esilio.
(altra diapositiva) Qui vedete delle immagini di bambini e tutti hanno un cartello "I'm an orfan, the
chineses have killed my parents", "io sono un orfano, i cinesi hanno ucciso i miei genitori". Nelle
settimane che seguirono, mentre i tibetani riparavano in India, in Tibet vennero massacrate 87.000
persone: fu la più brutale repressione che seguì a una grande ribellione di massa.
Io vi leggo una brevissima sintesi di quello che è stato il rapporto della commissione internazionale
dei giuristi a Ginevra nel 1960, una fonte neutrale, la commissione dei giuristi di Ginevra, nel 1960
cosa hanno dichiarato in base alle prime testimonianze dei primi tibetani che arrivarono in India,
cosa successe in realtà tra il 10 marzo e l'aprile 1959, cosa successe in realtà in Tibet.
"Sono stati uccisi senza processo perché sospettati di opporsi al regime cinese o di possedere
denaro o semplicemente a causa della loro posizione o addirittura senza nessuna ragione. Non
solo sono stati fucilati, ma picchiati fino alla morte, crocifissi, seppelliti vivi, annegati, vivisezionati,
fatti morire di fame, strangolati, impiccati, ustionati, bruciati vivi, sbudellati, decapitati. Queste
uccisioni sono state eseguite pubblicamente, gli amici delle vittime sono stati costretti a guardare,
uomini e donne sono stati uccisi lentamente mentre le loro famiglie venivano obbligate a guardare
e talvolta persino i bambini sono stati costretti a sparare ai loro genitori, in particolare sono stati
perseguiti i Lama. La Cina fu riconosciuta colpevole del più grave delitto che una nazione possa
commettere: l'intento di distruggere totalmente o in parte un gruppo nazionale etnico e religioso,
ovvero il genocidio". Questa è la fonte dei giuristi di Ginevra.
A questo punto ci si può porre un interrogativo: ma perché questo accanimento sul Tibet? Perché i
cinesi volevano possedere a tutti i costi il Tibet? Molto sinteticamente, per due importantissime
ragioni: una, per la posizione strategica. Il Tibet si trova nel vero cuore dell'Asia; occupando il
Tibet, i cinesi adesso hanno un confine che prima non avevano, cioè adesso la Cina confina con
l'ex Unione Sovietica e con l'India.
Finché c'era il Tibet, un grande stato buddhista, un grande stato cuscinetto, tutto questo confine
era un confine molto pacifico che veniva valicato liberamente in entrambe le direzioni. Da quando
la Cina ha occupato il Tibet, tutto questo è un confine altamente militarizzato, già nel '62 c'è stato il
conflitto indo-cinese, è un confine di 3.500 chilometri tutto altamente militarizzato. Forse va detta
una cosa: magari quando si pensa al Tibet, perché c'è talmente tanta censura e poca
informazione, uno immagina un piccolo staterello di montagna. Il Tibet è grande 2.500.000
chilometri quadrati, è grande come tutta l'Europa occidentale, ed è il paese più alto del mondo (ha
un'altitudine media di 4.000 metri); è circondato a sud dalla barriera dell'Himalaya e a nord dai
monti del Kunlun ed è costituito da una serie di altipiani che si aggirano dai 3.000 ai 3.500 metri. È
conosciuto come il tetto del mondo, il paese delle nevi.
Occupare il Tibet, per i cinesi cosa ha significato? Avere una posizione di enorme importanza
strategica poiché dal Tibet hanno potuto minacciare quello che era l'antico asse, anche se l'India è
il primo dei paesi non allineati, però è chiaro che era molto simpatizzante con l'Unione Sovietica.
Io non sono un'esperta di balistica, però so che piazzare un missile a testata nucleare a 4.000
metri, aumenta senz'altro al sua gittata che piazzarlo a livello del mare. I cinesi hanno riempito il
Tibet di basi militari per puntare i loro missili verso l'Unione Sovietica, che oggi non dovrebbe più
far paura, e verso l'India, l'altro grandissimo stato dell'Asia che, a differenza della Cina, che è la più
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grande dittatura dell'Asia e del mondo, l'India è la più grande democrazia del mondo: 950 milioni di
persone che hanno il diritto di voto.
Questa è una ragione, e un'altra ragione è anche il discorso delle ricchezze del Tibet. Il Tibet uno
magari lo immagina come un altopiano pietroso tutto desertico, in realtà era un paese ricco di
biodiversità, con fasce di vegetazione boscose quelle più meridionali, conifere di alto fusto
eccetera. È pieno di risorse anche del sottosuolo. I Tibetani avevano un grande rispetto, erano
degli ambientalisti ante litteram perché credevano nella divinità dell'albero, nella divinità del fiume,
nella divinità della terra per cui non scavavano miniere, non abbattevano alberi, non inquinavano
fiumi. I cinesi hanno cominciato a scavare tutto il Tibet, soltanto nel 1994 hanno estratto 13.527
chilogrammi di oro, nonché hanno trovato l'uranio nel Tibet e ci sono miniere di uranio off limits,
una documentazione recente ci parla di 35 morti per contaminazioni in un villaggio tibetano.
Gli animali. Stanno sparendo una marea di specie animali oggi in Tibet un po' perché non hanno
più il loro habitat, un po' perché i cinesi organizzano dei cinici safari di caccia, vi voglio dire solo
questo: una battuta di caccia per qualche turista senza scrupoli all'antilope tibetana, costa 35.000
dollari. L'international Union for Conservation of Nature ha documentato che ci sono 30 specie di
animali tibetani nella lista rossa in via di estinzione, e la Cina monopolizza l'attenzione
internazionale sul panda gigante per ottenere massicci finanziamenti e sostegno politico, ma
anche il panda gigante è in via di estinzione.
Inoltre i cinesi stanno utilizzando il Tibet come deposito di scorie nucleari e radioattive, e quindi
questo implica per loro dei grandissimi profitti. Green peace ha documentato che soltanto nel 1991
Baltimora ha venduto 20.000 tonnellate di rifiuti tossici alla Cina, la Cina ha guadagnato per questo
1.044.000 dollari. I rifiuti tossici vengono tutti scaricati nel Tibet, inquinando l'altopiano tibetano;
non solo inquinando, ma questi rifiuti nucleari e queste scorie radioattive stanno provocando
malattia della pelle, perdita dei capelli, deformità congenite e morte di uomini e animali.
Inoltre c'è il problema della deforestazione: i cinesi fino all'85 hanno deforestato il 46% delle
foreste tibetane per un incasso di 54 miliardi di dollari, ovviamente tutti finiti nelle tasche dei cinesi.
Quello che è grave non è il fatto in sé per sé soltanto della perdita del bosco, ma quello che è
importante da segnalare in questo caso è che dal Tibet nascono i più grandi fiumi dell'Asia, gli
stessi fiumi che poi bagnano anche la Cina, come lo Tsangpo, che poi diventa il Brahmaputra, il
Fiume Giallo, (?) avendo deforestato, adesso c'è un forte processo di erosione del terreno,
quando, durante la stagione monsonica, i fiumi si gonfiano di acqua, diventano pieni di acqua, non
essendo più gli argini trattenuti dalle foreste, vengono giù con una portata molto superiore al
passato.
E così vi potrei spiegare perché recentemente si parla continuamente di inondazioni del
Bangladesh, inondazioni nella stessa Cina con migliaia di morti, perdita infinita di terre, di denaro,
di bestiame eccetera.
Queste inondazioni sono dovute alla deforestazione selvaggia che gli stessi cinesi mettono in atto.
Questo per 54 miliardi di dollari che comunque non so se può giustificare, in un progetto a lungo
termine, il danno che stanno comportando.
(Altra diapositiva) Dal Tibet continuano a fuggire. Dal '59 fino ad oggi sono stati calcolati 1.200.000
morti per causa diretta dall'occupazione cinese. Secondo il rapporto del dipartimento di stato
americano al congresso degli Stati Uniti, il governo cinese controlla direttamente accesso a
informazioni sul Tibet. Le autorità cinesi continuano a violare i diritti umani in Tibet con molti casi di
tortura, arresti arbitrari, detenzioni senza processo pubblico e lunghe detenzioni per aver espresso
soltanto le loro idee politiche.
Senza successo è anche la campagna per screditare il Dalai Lama: secondo le stime del
dipartimento di Stato degli Stati Uniti, almeno 3.000 tibetani l'anno riescono a fuggire dal Tibet, ho
detto riescono perché in realtà sono molti di più.
(Altra diapositiva) Altre immagini di tibetani appena arrivati a Dharamsala. Per loro Dharamsala
non è solo la libertà, essere giunti in un paese democratico ma è anche arrivare dal Dalai Lama
che per loro, come vi ho già detto, è il simbolo della indipendenza, della libertà e Dharamsala è la
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Lhasa legittima in questo momento, è la vera Lhasa per loro, come aveva già detto Claudio, la
vera cultura tibetana oggi sopravvive nell'esilio, non nel Tibet occupato dai cinesi. Ho detto 3.000
riescono ad arrivare perché non tutti i tibetani... mentre stiamo parlando, anche in questo
momento, ci sono decine, centinaia di tibetani che stanno scappando dal Tibet con le scarpe da
tennis, in condizioni veramente disperate, senza mappe e molti rimangono accecati dal riverbero
della neve, non hanno neanche occhiali da sole. Molti hanno arti congelati e se riescono ad
arrivare, devono subire spesso l'amputazione di uno, due arti o delle dita della mano. Ma non tutti
riescono ad arrivare perché ai posti di frontiera la polizia nepalese spesso li rivende alla polizia
cinese che li deporta di nuovo in Tibet. Quindi per riuscire ad arrivare passano dove non ci sono le
frontiere, quindi a 5.000, 6.000 metri, dove non ci sono i posti di frontiera. Comunque 3.000 tibetani
l'anno riescono a raggiungere Katmandu dove c'è l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni
Unite e da Katmandu vengono istradati verso l'India.
(altra diapositiva) Altri immagini di tibetani appena arrivati e in primo piano c'è un bambino.
(altra diapositiva) Il 96% dei tibetani che fuggono sono bambini. Per quale ragione sono bambini?
Anche qui vi aveva accennato Claudio, uno dei problemi più gravi è quello che viene chiamato il
genocidio culturale: oggi in Tibet non si parla più tibetano. Nelle scuole tibetane si parla cinese,
nelle scuole elementari, in alcune scuole elementari viene ancora mantenuta la lingua tibetana ma
le stanno chiudendo; dalle scuole medie all'università la lingua è il cinese, la musica è la musica
cinese, la storia è la storia della Cina.
In tutto questo, per accedere a queste scuole, ovviamente l'accesso è privilegiato per i cinesi, per i
figli dei coloni cinesi Han. Tra i tibetani ormai c'è un tasso di analfabetismo dell'80%. L'ultima
commissione che fece una visita nel Tibet scoprì paradossalmente, viaggiando tra i nomadi del
Tibet del nord, che i nonni, quelli che erano vissuti nell'antico regime feudale teocratico, sapevano
leggere e scrivere, i bambini, che vivono in un paese liberato e moderno, erano analfabeti.
Quindi la maggioranza della popolazione tibetana in fuga è costituita da bambini poiché, una volta
in India, lì solo potranno ricevere un'educazione conforme alla cultura tibetana, studiare la loro
lingua, la loro cultura, parallelamente ad una educazione moderna, perché nel Tibetan Children
Village in India si studia l'inglese, si studia la moderna geografia, si studia la storia, c'è
un'educazione comparata, un'educazione moderna pur mantenendo quella tradizionale.
Inoltre, la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, sancisce il diritto all'educazione, e la Cina è
anche segnataria di questa convenzione nonché di quella sui diritti economici e sociali e culturali
tenutasi a Copenaghen nel '95. Quindi è tenuta a garantire che le minoranze etniche possano
manifestare la propria cultura, religione, tradizione e lingua. I bambini in Tibet vengono anche
torturati, costretti a pulire le latrine e a lavare i vestiti degli insegnanti, a pulire aree industriali e
anche picchiati con bastoni, fruste, cinghie, fili elettrici eccetera e tutto questo succede anche ai
bambini dai 13 ai 18 anni. Noi abbiamo documentato 39 arresti di ragazzi tra i 13 e i 18 anni che
avevano attaccato dei manifesti con scritto "Tibet libero, Tibet indipendente" e hanno subito questo
tipo di maltrattamenti, l'imprigionamento per più di sei, sette anni, insieme con gli adulti.
In tutto questo, voglio accennarvi che la Cina detiene uno dei record più raccapriccianti di tutto il
pianeta, detiene, da più di tre anni, il prigioniero politico più piccolo del mondo (?) l'XI (?) Lama, un
bambino di otto anni che è scomparso dal 1995 e, nonostante interrogazioni del Parlamento
Europeo, non si sa neanche dove si trovi, non sappiamo in realtà neanche se sia ancora vivo. I
cinesi dicono che è ancora vivo, che è sotto custodia a Pechino e anche sua madre è sparita,
anche suo padre e anche la sua famiglia. È il più giovane prigioniero politico del mondo. Sul caso
del (?) Lama, se c'è tempo, magari poi viene approfondito dopo.
(altra diapositiva) Un'immagine di un piccolo monaco tibetano che legge le scritte in inglese perché
finalmente in libertà e può scegliere anche di farsi monaco.
(altra diapositiva) Questa è la ricostruzione in esilio che adesso vedremo molto velocemente, una
carrellata di immagini del vero Tibet, del Tibet che sopravvive oggi. Ho voluto cominciare con
questa immagine perché questa è importante perché è il simbolo del buddismo. È una ruota, è
chiamata la ruota del (?); è una ruota perché la ruota è un simbolo solare, il centro è come il sole e
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tutti i raggi rappresentano la luce del sole che si diffonde in tutte le direzioni. Questo è il simbolo
per eccellenza del buddhismo perché si dice che l'insegnamento del Buddha sia come un sole che
dissipa le tenebre e l'ignoranza. È importante perché si può accennare un attimo all'essenziale
differenza tra il buddhismo e le altre religioni: il Buddha non è un dio, la parola Buddha non è un
nome proprio come Mohamed, come Gesù, ma è soltanto un appellativo che ebbe quel tale che si
chiamava Siddharta Gotama della stirpe degli (?) che nacque nell'India nord-orientale nel 563 che
solo a un certo punto della sua vita divenne il Buddha, il risvegliato.
Il Buddha fu essenzialmente un maestro spirituale, la miracolistica ha un aspetto molto marginale
nel buddhismo. Quello che è importante nel buddhismo, cioè il concetto basico, ogni buddhista ha
come obiettivo non di andare in paradiso ma di diventare Buddha egli stesso. Buddha non è il dio
creatore: il Buddha è colui che ha sviluppato al massimo le potenzialità della sua mente, appunto
per questo è chiamato il Buddha, l'illuminato, il risvegliato. Non esiste dualismo fra uomo e dio nel
buddhismo: tutti i buddhisti hanno come obiettivo di risvegliare la potenzialità al risveglio,
all'illuminazione, al massimo utilizzo della propria mente, quindi di diventare Buddha essi stessi.
(Altra diapositiva) Questo è il monastero di (?). Ovviamente i monaci sono quelli che hanno subito
di più le persecuzioni. 6.000 tra monasteri, templi e monumenti religiosi sono stati rasi al suolo in
Tibet, soprattutto durante gli anni della rivoluzione culturale, e molti di questi monasteri vengono
ricostruiti oggi in India.
È importante segnalare che distruggendo un monastero non si distruggevano solo dei beni artistici,
senz'altro di grande importanza, ma si distruggevano dei luoghi di cultura, perché i monasteri
erano delle vere e proprie università dove non si studiava solo in buddhismo ma si studiava anche
medicina, astrologia, ingegneria, architettura, matematica, musica, danza teatro, tutte le discipline
tradizionali del Tibet.
I monasteri erano aperti a tutti, laici e monaci, e dipendeva solo dalla scelta individuale se si voleva
studiare, se si voleva fare il mercante o scegliere un altro tipo di vita.
Sempre secondo il rapporto del dipartimento di stato degli Stati Uniti d'America, oggi in Tibet i
monasteri buddhisti e l'attività per l'indipendenza sono strettamente associati. Il controllo dei
monasteri e l'espulsione dei simpatizzanti per l'indipendenza va di pari passo e soprattutto i
monaci sono costretti a firmare una dichiarazione che se non firmano vengono espulsi dal
monastero, gli viene anche proibito di tornare a casa per lavorare. Quindi praticamente sono delle
non persone, perché in Tibet non è che si può andare a fare degli acquisti, cioè in Tibet bisogna
avere una carta, una tessera, se non hai quella tessera non è che se hai del denaro puoi entrare in
un negozio e comprare del cibo.
E cosa devono firmare questi monaci? Devono firmare una dichiarazione in cinque punti. Primo,
ripudiare l'indipendenza del Tibet; due, ripudiare questo bambino di otto anni, il (?) Lama; tre,
ripudiare e denunciare il Dalai Lama; quattro, riconoscere l'unità della Cina e del Tibet; cinque, non
ascoltare i programmi radiofonici di voice of America, che è una radio che trasmette anche in
cinese mandarino e trasmette in tibetano e trasmette notizie dal mondo libero. Se vengono
sorpresi ad ascoltare questo canale, voice of America, sono puniti; se non firmano questa carta
sono delle non persone e molti non firmano, c'è un'intensa resistenza di monaci e laici che
continuano a fuggire.
(Altra diapositiva) Qui siamo all'interno del tempio (?) il tempio del vittorioso ricostruito a
Dharamsala, vedete dei monaci durante una cerimonia.
(Altra diapositiva) Altre immagini durante cerimonie religiose con strumenti musicali: tamburi e le
trombe classiche della liturgia tibetana.
(Altra diapositiva) Anche qui vedete un'immagine di una cerimonia, dove un monaco suona una
vera conchiglia con una parte in argento con incastonati turchesi e coralli, che fa parte della
sonorità tradizionale tibetana.
(Altra diapositiva) Questo è un dipinto, è arte contemporanea tibetana e risponde però, in tutto e
per tutto, a quelli che sono i canoni iconografici dell'arte classica buddhista Tibetana. Questa è
l'arte che producono gli esuli nell'esilio in India, questa è un'immagine del Buddha potremmo
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descriverla in ogni dettaglio ma voglio solo accennarvi al linguaggio delle mani. Ogni posizione che
vedrete non è mai casuale ma esiste un preciso codice gestuale. Per esempio, quello che state
vedendo adesso con la mano destra il palmo rivolto verso l'esterno è l'atto della generosità, in
sanscrito si chiamano mudra (?) e questo è (?), ovvero l'atto dell'offerta. Ogni gesto ha un suo
preciso codice simbolico.
(Altra diapositiva) Questa è la statua che hanno costruito nel nuovo tempio in metallo dorato ed è
alta due metri e settanta. È una statua del Buddha che si trova sempre nel Tibet libero, nel Tibet in
esilio a Dharamsala.
(Altra diapositiva) Questa è un'immagine del Buddha (?), in Tibetano (?), ed è quel Buddha di cui
si crede che il XIV Dalai Lama sia la reincarnazione. È il Buddha della compassione, e per
compassione non si intende pietà ma si intende altruismo, amore infinito, amore universale, ed ha
undici teste e mille braccia poiché si dice che, avendo undici teste, può guardare in tutte le
direzioni dello spazio e avendo mille braccia, così possa aiutare tutti gli esseri a salvarsi dalla
sofferenza. É ricoperta di vere gemme preziose.
(Altra diapositiva) Questo è il Tibetan Astromedical Institute, anche questa era un'istituzione che
c'era a Lhasa ed è stata demolita dopo l'occupazione cinese, si trovava su una collina in Lhasa, è
stata demolita.
Adesso c'è un'antenna al suo posto ma i tibetani hanno ricostruito il loro Medical Institute in esilio e
qui si studia e si prepara l'antica medicina Tibetana, fanno più di 200 tipi di pillole basandosi su
2.000 sostanze medicinali.
(Altra diapositiva) Queste sono le immagini delle pillole messe a seccare al sole.
(Altra diapositiva) Qui mentre fanno le pillole all'interno dell'istituto.
(Altra diapositiva) Questa è un'immagine dello studio che fanno i Tibetani. Io non mi addentro più
di tanto dentro la medicina, so solo che si tratta di una medicina di carattere psicosomatico che
divide le componenti del corpo in tre: l'elemento aria, la flemma e la bile. Quando c'è uno squilibrio
tra aria, flemma e bile, da lì vengono tutti i problemi dell'uomo.
(Altra diapositiva) Questo è il dispensario di medicina dove si possono acquistare, previa ricetta e
incontro e colloquio con medico Tibetano, le medicine tibetane.
(Altra diapositiva) Altre immagini di ricostruzione del Tibet in esilio. Questa forse è la più
importante.
Questa è L.T.W.A, Library of Tibetan works and archaic (?), è la grande biblioteca di Dharamsala.
Anche nell'architettura è stato ricostruito quello che è il cromatismo e lo stile dell'architettura
tibetana, anche se i materiali sono completamente diversi.
(Altra diapositiva) Questo è l'ingresso della biblioteca e anche qui tutti gli effetti cromatici e lo stile,
il dipingere, non so, queste figure di leoni sopra i capitelli, fa tutto parte del repertorio artistico
tradizionale tibetano, soltanto che i materiali non sono più il legno e la terra cruda ma il cemento
perché con il clima indiano il legno e la terra cruda non sopravviverebbero. I materiali sono
moderni ma lo stile è quello tibetano.
(Altra diapositiva) Qui siamo all'interno della biblioteca. Questo è (?) che nell'89 era i direttore della
biblioteca. Alla domanda spontanea che mi è venuta da fargli: quando siete partiti, quando siete
scappati, che cosa avete privilegiato? Cosa avete portato con voi? Denaro, statue, oggetti
preziosi? Qual è la cosa che portavate nella fuga? La risposta è stata: libri. La maggior parte dei
libri che sono sopravvissuti alla rivoluzione culturale, all'invasione cinese, si trovano qui a
Dharamsala, in questa biblioteca.
(Altra diapositiva) Questa è l'immagine di un libro. In realtà, non tutti i libri..., perché prima avete
visto quelli che non sembravano libri, sembravano dei fagotti per capire come sono fatti i libri
tibetani, non tutti ovviamente hanno delle copertine intagliate così pregiate, questo è un libro che
abbiamo trovato di dieci secoli fa, lo abbiamo trovato nel Tibet occidentale, comunque i libri tibetani
hanno una forma rettangolare e sono racchiusi fra due tavolette di legno.
(Altra diapositiva) Questo è un libro tibetano, i fogli hanno forma rettangolare e questo è l'alfabeto
tibetano.
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Anche questo è molto interessante da segnalare. I Tibetani scrivono con un alfabeto che deriva da
un alfabeto indiano di epoca (?) di tipo sanscrito. I cinesi scrivono con ideogrammi che è tutto un
altro metodo di scrittura. Anche questo, se fosse necessario provare ulteriormente come la cultura
Tibetana è completamente una cosa a sé, diversa da quella cinese...
(Altra diapositiva) Qui potete vedere ancora più da vicino l'alfabeto tibetano. Spesso questi
manoscritti sono decorati con dipinti in miniatura raffiguranti immagini buddhiste.
(Altra diapositiva) Un'altra immagine di un testo sacro su carta di riso.
(Altra diapositiva) Questo è quello che stanno facendo adesso, ossia stanno ristampando i loro
testi sacri - perché queste carte e pergamene questi fogli di (?) e carta di riso si possono
deteriorare - per conservarli per la posteriorità. Ovviamente oggi i tibetani scrivono anche su libri
normali come quelli che usiamo noi, però utilizzano ancora questi libri.
(Altra diapositiva) Adesso potete capire cosa sono queste immagini, cioè questi sono gli scaffali
che contengono questi libri che poi vengono avvolti nella stoffa.
(Altra diapositiva) Immagine della biblioteca.
(Altra diapositiva) Nella biblioteca ci sono svariati dipartimenti: ricerca e traduzioni, pubblicazioni,
storia orale e documentazione filmata, sala di lettura, museo eccetera, e c'è anche una scuola di
pittura e una scuola di intaglio del legno per conservare le loro tradizioni, e questa è un'immagine
del laboratorio di intaglio del legno.
(Altra diapositiva) Questo è il tempio dell'oracolo di stato, il tempio (?) è un altro degli elementi
della ricostruzione del Tibet in esilio.
(Altra diapositiva) Questo è il Dalai Lama che, come tutti gli anni, il 10 marzo celebra a
Dharamsala la ricorrenza. Nel '95 disse: "Desidero rendere omaggio a tutti i coraggiosi uomini e
donne del Tibet che sono morti per la causa della nostra libertà. Prego anche per i nostri
compatrioti nelle prigioni cinesi che in questo momento stanno sopportando sofferenze mentali e
fisiche. Non passa un solo giorno senza le mie ferventi preghiere per una fine veloce delle
sofferenze al mio popolo. Io credo che oggi la questione non sia tanto se il Tibet sarà mai libero,
ma piuttosto fra quanto tempo.".
Tra quanto tempo perché? Perché in realtà uno degli aspetti forse più drammatici della pulizia
etnica del genocidio è il trasferimento forzato di popolazione cinese in Tibet.
(Altra diapositiva) Queste sono le immagini delle manifestazioni che si svolgono a Dharamsala. Un
altro aspetto del genocidio, dicevo, è il trasferimento forzato di popolazione cinese, coloni Han in
Tibet, ed è questo quello che minaccia più gravemente la sopravvivenza dei tibetani nel loro stesso
paese, poiché oggi ci sono già 7 milioni e mezzo di coloni cinesi in Tibet contro 6 milioni di
Tibetani: i Tibetani sono già una minoranza nel loro stesso paese.
L'articolo 49 della convenzione di Ginevra sancisce che uno stato occupante non è autorizzato a
deportare o a trasferire parte della popolazione nello stato occupato. Questo è un crimine di guerra
e la Cina, ovviamente, ha accettato la convenzione e questo è uno dei più gravi crimini di guerra,
cioè una pulizia etnica attraverso la deportazione di coloni.
(Altra diapositiva) Altre immagini delle manifestazioni di massa a Dharamsala. A questo punto
permettetemi un interrogativo proprio veloce: come mai, se i tibetani stavano tanto male nel Tibet
prima che arrivassero i cinesi, quando l'esercito tibetano praticamente non aveva nessuna forza
militare, non esisteva nessuna polizia, ma perché mai i Tibetani non avevano mai fatto una
dimostrazione nell'epoca cosiddetta teocratica, feudale e medioevale? E perché mai i Tibetani,
oggi che manifestare è così pericoloso, oggi che solo sventolare una bandiera può portare da 9 a
20 anni di prigione, oggi che si può essere addirittura fucilati, come è stato ascoltato da testimoni
oculari durante le manifestazioni dell'87 dove i capi di polizia dicevano: prendete la mira e sparate
ai tibetani, oggi che manifestare è cosi pericoloso i tibetani hanno inscenato almeno 400
manifestazioni di protesta soltanto negli ultimi dieci anni. Viene da pensare che si tratti proprio di
una strana liberazione, cioè da che cosa hanno liberato il Tibet i cinesi? Dai tibetani.
(Altra diapositiva) Qui vediamo una donna tibetana e anche sulla donna avrete un
approfondimento molto più accurato. Io intendo solo dirvi che le donne sono impegnate in prima
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fila nella battaglia per la libertà del Tibet e che soffrono delle peggiori discriminazioni razziale,
etnica e culturale e anche attraverso le donne si attua il genocidio attraverso sterilizzazioni di
massa e aborti forzati anche al settimo mese.
Qualcuno potrà osservare che il controllo delle nascite viene effettuato anche in Cina, ma a questo
proposito va ricordato che i cinesi sono 1 miliardo e 200 milioni, anche se comunque metodi così
cruenti come aborti al settimo mese e iniezioni letali non sono mai auspicabili e comunque un
discorso di pianificazione familiare forse in Cina sarebbe auspicabile, ma i tibetani sono 6 milioni
su un territorio di 2 milioni 500.000 chilometri quadrati, quindi non c'è nessuna necessità di
sterilizzare le donne tibetane, non ce n'è assolutamente nessuna di costringere ad aborti forzati.
Una donna molto rappresentativa è Ngawang Sangdrol, una monaca buddhista di cui vi hanno
appena parlato e di cui saprete di più più tardi.
(Altra diapositiva) Questa è la risposta internazionale: dal 1996 si stanno svolgendo ogni anno
delle grandissime manifestazioni europee. Queste sono immagini della manifestazione di
Bruxelles, sono immagini che non avete mai visto perché censurate dalla nostra televisione, dalla
nostra radio, dai nostri giornali ma questi non sono fotomontaggi. In effetti, a Bruxelles il 10 marzo
1996 eravamo in 8.000 a marciare per la libertà, per la solidarietà del Tibet, una grande
manifestazione di sostegno internazionale da tutta l'Europa.
(Altra diapositiva) Altre immagini della manifestazione di Bruxelles. Va ricordato che il tribunale
permanente dei popoli a Strasburgo nel '92 ha dichiarato che la presenza dell'amministrazione
cinese in territorio Tibetano deve essere considerata come dominazione straniera sul popolo
Tibetano e il verdetto finale è stato che il popolo Tibetano dal 1950 è stato privato
continuativamente del suo diritto all'autodeterminazione.
(Altra diapositiva) Questa è Ginevra 1997, difronte al palazzo delle Nazioni Unite. Il sostegno
internazionale per il Tibet comunque non si è limitato a queste grandi manifestazioni, ci sono state
le tre famose risoluzioni dell'Onu, otto risoluzioni del Parlamento Europeo, due della Germania,
due dell'Italia, dieci dell'America, sei dell'Australia.
Ciò nonostante, sul Tibet continua ad esserci un muro di silenzio. Le ragioni, che meriterebbero di
per sé un altro seminario solo per poter essere indagate, comunque sinteticamente sono dovuti a
due motivi principali: i Tibetani sono non violenti, i Tibetani non dirottano aerei, i Tibetani non fanno
stragi, non fanno terrorismo, sono pronti a morire ma non a uccidere e questo purtroppo non attira
l'attenzione di molti mass media che sono attirati soprattutto dallo stragismo e dal sangue.
E poi l'altro discorso è i rapporti economici con la Cina, questo capitalismo stile cinese che attira
tanti investitori occidentali dove però oggi ci sono 110 milioni di lavoratori che stanno rischiando il
licenziamento perché non possono essere pagati. In Cina, in realtà, come tutti sappiamo, c'è una
grandissima corruzione interna, l'industria statale è in condizione di completa bancarotta, 125.000
industrie sono statali e sono obsolete, stanno privatizzando tutto e ciò nonostante ci sono dei
grandissimi problemi poiché la liberalizzazione economica non va di pari passo a quella politica
con acrobazie verbali... (?) parla di socialismo con caratteristiche cinesi, in realtà si tratta di
capitalismo più dittatura, ovvero fascismo. E gli operai in Cina non hanno nessun tipo di libertà,
nessun diritto sindacale: tutti sanno del caso delle 87 operaie morte bruciate vive nella fabbrica
poiché erano state chiuse dentro e non potevano uscire quando è divampato l'incendio.
(Altra diapositiva) Queste ormai sono immagini di esasperazione; in realtà i tibetani, che pure sono
non violenti e sono buddhisti, ormai sono esasperati. L'ultimo documento sulla soluzione finale che
è uscito fuori dalla Cina nel '94, grazie alla corruzione di un funzionario cinese, parla per l'appunto
di soluzione finale, il Tibet è la spina nel fianco per l'immagine Cina che vuole aggredire i mercati
internazionali e il Tibet è sempre di più una grossa spina nel fianco, quindi i cinesi stanno mettendo
in atto la soluzione finale: entro il 2020, documenti ufficiali cinesi, ci saranno 40 milioni di cinesi in
Tibet.
I Tibetani praticamente non esisteranno più; in più hanno previsto di smantellare il sostegno
internazionale, questo è trapelato da questo documento che poi è stato tradotto in inglese
dall'International Campaign for Tibet di Washington; l'altro metodo è dividere le comunità tibetane
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in esilio, i tibetani in Tibet e dividere i sostenitori della causa tibetana in Europa e in tutto
l'occidente tramite l'infiltramento di spie e screditare la figura del Dalai Lama. In questo modo, i
cinesi credono di distruggere definitivamente l'immagine Tibet.
(Altra diapositiva) Queste sono le immagini del premio nobel per la pace al Dalai Lama. Ci
troviamo a Dharamsala nel 1989 quando gli fu conferito il nobel e quindi vedete tutte di seguito le
immagini della festa.
(Altra diapositiva) Vedete due ali di folla. I tibetani furono molto felici perché fu il primo
riconoscimento internazionale di questa grande lotta non violenta. Deng Xiao Ping disse che tutto
si può discutere eccetto che l'indipendenza, allora il Dalai Lama ha formulato un piano di pace in
cinque punti.
(Altra diapositiva) Questo è Tenzin Gyatso, il XIV Dalai Lama del Tibet, premio nobel per la pace
1989.
Alla risposta a Deng Xiao Ping che tutto si poteva discutere tranne l'indipendenza, nel piano di
pace in cinque punti lui prevede: la trasformazione dell'intero Tibet, comprese le frontiere orientali
del Kham e dell'Amdo, in una zona di non violenza; smilitarizzazione e divieto di fabbricare,
sperimentare e immagazzinare armi; l'abbandono da parte della Cina della politica di trasferimento
di popolazioni e il rispetto dei diritti umani fondamentali e la libertà democratica del popolo
Tibetano; il ripristino e la salvaguardia dell'ambiente, nonché l'inizio di costruttivi negoziati.
Come vedete, non c'è assolutamente la parola indipendenza; ciò nonostante i cinesi non si sono
ancora voluti sedere a un tavolo di trattative con il Dalai Lama. In questo momento c'è un grande
dibattito tra la comunità Tibetana in esilio poiché molti tibetani sostengono che il Dalai Lama
parlando di autonomia e autodeterminazione, sta dimenticando l'indipendenza che è un diritto del
popolo del Tibet ma questo il Dalai Lama lo fa per cercare di trattare con i cinesi, ma loro non
rispettano neanche le loro stesse parole.
(Altra diapositiva) Sono le immagini di questa grande festa. Questa è l'opera tibetana, è la (?), la
folk opera tibetana, sono gli attori. Anche il teatro è una delle tradizioni che i tibetani amavano di
più ed è stata una delle tradizioni ricostruite nell'esilio, è stata la prima ad essere ricostruita
nell'esilio.
(Altra diapositiva) Rimaniamo un momento su questa ultima immagine per concludere dicendo che
vedete la grande quantità di gente? Questa fu appunto la grande festa per celebrare il nobel
dell'89 e questa grande festa vide tutta la popolazione del Tibet in esilio raccogliersi intorno alla
figura del Dalai lama perché si vedevano, in qualche modo, riconosciuti. Qui nella piccola Lhasa, il
governo tibetano in esilio governa e quel giorno furono chiusi tutti gli uffici e qui si conserva la vera
identità culturale tibetana.
Io vorrei concludere osservando che se il Tibet dovesse vincere e vincerà questa battaglia
attraverso la non violenza, riuscirà ad ottenere attraverso i dialogo la sua indipendenza, la sua
libertà, io credo che sarà veramente un grande esempio per tutto il mondo dove la maggioranza
dei conflitti vengono risolti facendo ricorso alle armi. Ma se il Tibet perde, con il Tibet perde la
libertà, perde il rispetto dei diritti umani, con il Tibet perde la parte migliore dell'umanità, perdiamo
tutti.
Paolo Pobbiati:
Mi chiamo Paolo Pobbiati, lavoro sul Tibet per conto di Amnesty International. Prima di iniziare il
mio intervento, vorrei fare una precisazione, visto che l'intervento di Laura Polichetti è stato
prevalentemente incentrato sul tema dell'indipendenza del Tibet e sulla illegittimità
dell'occupazione cinese. Io vorrei ricordare che Amnesty International è un'organizzazione che si
occupa esclusivamente di violazioni dei diritti umani e quindi non ha alcuna posizione riguardo a
questa questione.
Proprio a questo proposito vorrei esordire ricordandovi il caso di Ngawang Sangdrol. Vorrei farlo
perché, oltre ad essere la prigioniera per cui è stata preparata la petizione che avete trovato nel
fascicolo, è anche un caso emblematico.
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La sua storia è particolarmente drammatica: arrestata nel 1992 in seguito ad una manifestazione,
inscenata insieme ad altre tre monache attorno al Jokang, uno dei luoghi di culto più famosi della
capitale tibetana, nel corso della quale erano stati scanditi degli slogan indipendentisti, è stata
condannata a tre anni di reclusione.
L'anno successivo, mentre si trovava in carcere, aveva inciso, assieme a delle compagne di
detenzione, una audiocassetta con delle poesie e delle canzoni che inneggiavano al Tibet libero e,
per la verità, in modo abbastanza innocente: facevano riferimento al cielo blu del Tibet, come
simbolo di libertà; al gioiello, cioè al Dalai lama, costretto a fuggire in esilio. Quindi non erano
assolutamente canzoni che potessero esplicitamente o implicitamente incitare alla rivolta o alla
violenza nei confronti dei cinesi. Questa cassetta fu fatta uscire clandestinamente dal carcere e
divenne in un certo qual modo un simbolo per il movimento indipendentista. Per questo motivo,
tutte le monache che avevano partecipato a questa incisione, furono condannate a degli aggravi di
pena. Ngawang Sangdrol ebbe altri sei anni di reclusione.
Nel 1996 è stata condannata ad altri nove anni di reclusione per alcuni gravi infrazioni disciplinari:
non si era alzata in piedi all'ingresso nella stanza di una funzionaria cinese, si era rifiutata di
riordinare la propria cella ed aveva gridato "viva il Tibet libero" mentre stava subendo una
punizione corporale, che, sommati ai 3 e ai 6 precedentemente comminati, fanno 18 anni di
carcere. 18 anni di carcere, non per aver commesso delitti efferati o aver fatto parte di chissà quale
formazione guerrigliera, ma per aver chiesto, in maniera assolutamente pacifica e non violenta, la
libertà per il proprio paese.
Ora, queste storie, che sono tutt'altro che uniche in Tibet, ci devono far pensare.
Io vorrei fare un'altra premessa. Oggi parliamo principalmente di Tibet, ma noi consideriamo gli
stessi problemi di violazioni dei diritti umani che ci sono in Tibet come una parte di quelli che
avvengono in tutto il territorio della Repubblica Popolare Cinese. In realtà, in Tibet sono esacerbati
dalla presenza di un movimento indipendentista forte, sentito da gran parte della popolazione e
soprattutto così visibile all'estero, come diceva giustamente Laura prima, una tipica spina nel
fianco per l'immagine cinese. Quindi in Tibet la repressione è più forte ma le molle, i meccanismi di
questa repressione sono gli stessi del resto del paese.
Chi di voi è stato in Cina ultimamente, magari chi ha avuto occasione di andarci più volte, avrà
notato quanto la società cinese stia correndo in questi ultimi anni non soltanto come crescita
economica, ma anche proprio come crescita sociale. Quindi la Cina, da paese arretrato, arcaico
quale era 50 anni fa, sta diventando un paese moderno senza però che il governo, le autorità
riescano a metabolizzare quella che di un paese moderno è una delle caratteristiche fondamentali:
il dissenso. Quando parliamo di dissenso, è bene precisarlo, noi pensiamo a qualche cosa di
effettivamente organizzato: la fondazione di un partito di opposizione, la scrittura o la diffusione di
articoli o di libri che critichino più o meno apertamente le politiche governative. In realtà, in Tibet
per essere arrestati oggi basta molto meno: basta uno slogan, una canzone che richiami al Tibet
libero, basta essere trovati in possesso di una fotografia del Dalai Lama… E a questo dissenso il
governo reagisce con i sistemi repressivi che erano propri non soltanto degli anni più bui del
governo comunista come quelli della rivoluzione culturale, ma addirittura con gli stessi metodi che
erano propri degli imperatori del regno di mezzo: gli arresti, i pestaggi, le torture.
Sì, perché nelle carceri cinesi i maltrattamenti e le torture sono una prassi comune, sia per
l'estorsione di confessioni in fase istruttoria, sia come strumento di vessazione nei confronti di
detenuti condannati, e questo avviene nonostante che sia la Costituzione Cinese e il Regolamento
degli Istituti di Detenzione e Pena proibiscano tassativamente l'uso della tortura e nonostante la
Cina abbia firmato la Convenzione Internazionale contro la Tortura delle Nazioni Unite. Ma in
realtà, l'impressione che dà la Cina di oggi è che la legge non serva a tutelare i cittadini ma a dare
uno strumento in più al potere per reprimerli.
Infatti è possibile verificare nel codice penale cinese la presenza di articoli che comprendono, per
esempio, i "crimini controrivoluzionari" oppure i "reati contro la sicurezza dello stato", o la
"diffusione di segreti di stato", senza però che sia specificato in base a quali criteri siano
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considerati tali; si tratta di reati dalla formulazione particolarmente vaga che rappresentano, di
fatto, una vera e propria miniera di capi di imputazione nei confronti di chiunque svolga qualsiasi
attività che possa essere considerata pericolosa per lo status quo.
Non solo, ma questi reati prevedono addirittura la possibilità di una detenzione amministrativa per
un periodo di tempo sino a tre anni in una particolare condizione che è quella della "rieducazione
attraverso il lavoro". Rieducazione attraverso il lavoro è una formula moderna, in realtà, per
definire un concetto molto antico che è quello della schiavitù. E così noi vediamo queste grandi
opere: strade, centrali idroelettriche, ferrovie, dighe, spesso costruite in condizioni ambientali
proibitive che la Repubblica Popolare Cinese vanta come risultati della politica socialista, spesso
sono stati costruiti col sudore e con il sangue di centinaia di migliaia di detenuti, comuni e politici,
in condizioni che non erano e non sono oggi particolarmente differenti da quelle in cui, centinaia di
anni fa, è stata costruita la grande muraglia cinese.
Cosa significa detenzione amministrativa? Significa che un funzionario in un ufficio appone la sua
firma su di un pezzo di carta e l'imputato si trova automaticamente condannato, senza processo,
ad una pena fino a tre anni di rieducazione attraverso il lavoro. Non che quando i processi
vengono celebrati siano poi in regola con gli standard internazionali: i diritti della difesa sono
particolarmente limitati, non si possono chiamare testimoni a discarico, il diritto a ricorrere in
appello esiste virtualmente ma raramente sortisce effetto. Addirittura c'è una formula in cinese:
"xian pan huo shen" che significa "prima la sentenza e poi il processo". Questo significa che,
anche se non è nell'ordinamento giuridico in maniera esplicita, di fatto il processo spesso non è
altro che una ratifica di una decisione presa in altra sede. Questo accade per i detenuti comuni e, a
maggior ragione, per i detenuti politici.
Prima Laura ha fatto riferimento al fatto che queste cose accadono non soltanto nel caso di
imputati o di detenuti adulti ma anche di minorenni, di giovani. Noi abbiamo una cinquantina di
nominativi di ragazzi minorenni al momento dell'arresto; addirittura qualcuno di loro era stato
arrestato a dodici, tredici anni, e sono stati tenuti in condizioni di detenzione praticamente uguale a
quella degli adulti. Anche in questo caso in contravvenzione non soltanto delle leggi cinesi che
prevederebbero una distinzione, ma anche della Convenzione Internazionale per i Diritti del
Fanciullo di cui la Cina è appunto firmataria. Caso emblematico è quello, citato da Laura, del
piccolo Panchen Lama fatto sparire dai cinesi, che è il più giovane prigioniero politico del mondo.
Mi riallaccio a questa vicenda perché è sintomatica di uno strano paradosso.
Probabilmente conoscete già la storia. Il Dalai lama ha comunicato l'avvenuto riconoscimento di
questo bambino, i cinesi non hanno gradito la cosa e lo hanno fatto sparire facendo nominare da
una commissione un altro Panchen Lama; una vicenda tipo papa e antipapa, praticamente.
Il paradosso è quello di un governo, di un potere, espressione di una cultura prevalentemente laica
come quella cinese e di una ideologia come quella marxista che è assolutamente tutto ma non
religiosa, anzi decisamente antireligiosa, che si arroga il diritto di intervenire nelle questioni
religiose di un popolo che della spiritualità fa la sua caratteristica principale.
Prima citavamo questo sinistro primato di avere il detenuto politico più giovane del mondo, non è
l'unico purtroppo che la Cina ha: ne ha un altro molto grave che è quello del numero di condanne a
morte. Noi non abbiamo ancora i dati del 1997 perché il governo cinese ha fatto in modo che non
uscissero dal paese, ma abbiamo quelli relativi al '96 che sono agghiaccianti: nel 1996 sono
avvenute 4.800 esecuzioni. 4.800 esecuzioni per reati che, tra l'altro, noi non esiteremmo a
definire minori: oltre a quelli più "classici", previsti anche in altri ordinamenti legislativi, come
l'omicidio, la strage eccetera, ci sono dei reati come per esempio produzione e spaccio di denaro
falso, produzione e diffusione di materiale pornografico, falsificazione sulle ricevute di quello che è
l'equivalente cinese dell'Iva. Questa situazione ci deve fare riflettere perché che dà proprio
l'indicazione di quanto il potere cinese in questo momento sia in difficoltà a controllare una società
che sta cambiando velocemente, troppo velocemente perché possa essere ancora gestita con
questi metodi e riesce a farlo soltanto incrementando il livello repressivo: nel 1996 le esecuzioni
sono state 4.800; l'anno precedente erano state 2.700. Quindi sono quasi raddoppiate nel giro di
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un anno: ci troviamo in presenza di un governo, di un potere che per mantenere il controllo sociale,
per mantenere l'ordine pubblico è costretto a mandare a morte una persona ogni ora e mezza. In
questo sistema c'è un qualche cosa decisamente che non va.
E la comunità internazionale nel frattempo cosa fa? Poco o nulla. Prima abbiamo visto immagini di
manifestazioni, prese di posizioni spesso non ufficiali, eccetera. In realtà la comunità
internazionale, rispetto a questi fatti che credo destino indignazione da parte di chiunque li ascolti e
ne venga a conoscenza, risponde unicamente con delle tiepide condanne. Basti pensare che
l'ultima risoluzione di condanna delle Nazioni Unite nei confronti della Repubblica Popolare Cinese
risale al 1965, quindi prima dell'inizio della rivoluzione culturale e da allora di tempo ne è passato
parecchio, di fatti ne sono successi, ma per le Nazioni Unite non è successo nulla in questi
trentatré anni. Ci sono anche delle "storie dell'orrore", l'ultima delle quali è di qualche settimana fa.
Voi sapete che in marzo in genere si riunisce la commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite
e, singolarmente o a gruppi, i paesi partecipanti possono presentare mozioni di condanna nei
confronti di governi che sono accusati di violare i diritti umani. Lo scorso anno Olanda e Danimarca
chiesero ai colleghi dell'Unione Europea di presentare una mozione comune di condanna nei
confronti della Repubblica Popolare Cinese, peraltro molto blanda.
Subito serpeggiò il panico, e alcuni paesi con, dispiace dirlo, Italia e Francia in testa, si mossero
affinché la risposta fosse negativa. Di fatto, l'Unione Europea decise di non presentare questa
mozione. Danimarca e Olanda decisero di presentarla autonomamente. Naturalmente non
sostenuta dagli altri paesi dell'Unione Europea, e alla fine non venne nemmeno discussa perché i
cinesi presentarono una loro contro-mozione. Il meccanismo è questo: quando viene presentata
una mozione di condanna nei confronti di un paese, il paese in oggetto può presentare una contromozione in cui chiede di non discuterla. I cinesi hanno fatto così, non era la prima volta, e potendo
contare sull'alleanza di paesi che sono sempre più legati a loro dal punto di vista economico, come
per esempio molti paesi africani, questa mozione non passò.
Quest'anno è successo anche di peggio: all'inizio di febbraio il consiglio dei ministri dell'Unione
Europea ha deciso che non presenterà comunque alcuna mozione di condanna nei confronti della
Cina, e ha invitato i suoi stati membri a votare contro nel caso qualche indisciplinato, come Olanda
e Danimarca l'anno scorso, decidesse di fare qualche colpo di testa.
Noi, come Amnesty international, ovviamente abbiamo come interlocutori principali i governi che
violano i diritti umani ma, come sezione italiana, ci rivolgiamo al governo italiano e gli chiediamo:
"perché non andate dai cinesi e cercate di affrontare il discorso delle violazioni dei diritti umani?"
La risposta, indipendentemente dalle varie parti politiche che si sono avvicendate negli ultimi anni
al governo, è un po' sempre la stessa: "sì, in effetti è vero, è un problema grave quello dei diritti
umani, però voi sapete noi non possiamo permetterci di irritare i cinesi" e spesso viene utilizzata
questa espressione, coniata da Andreotti qualche governo fa, e fatta propria poi anche da molti
altri: "queste cose non vanno dette apertamente, ma sussurrate all'orecchio dei cinesi". In realtà si
combina ben poco a livello internazionale. Il mondo economico addirittura risponde in maniera più
esplicita: " i diritti umani, un problema gravissimo, siamo preoccupatissimi eccetera, però voi capite
che noi non possiamo farci niente. Però pensate che la Cina in questo momento si trova in un
momento di difficoltà lasciamo che risolvano i loro problemi principali, quelli economici, e vedrete
che poi col tempo insieme ai soldi ed al benessere arriveranno in Cina anche idee di democrazia e
di libertà e quindi di rispetto per i diritti umani". Evidentemente si tratta di gente che ha molta fretta;
inoltre questa tesi mi sembra sia già stata smentita nel senso che queste cose ci venivano dette
nove anni fa, all'indomani dei fatti di piazza Tiennamen. Da allora la Cina è diventata molto più
ricca, la società cinese si è sviluppata sotto tantissimi ambiti, tantissimi settori, ma la repressione e
le violazioni dei diritti umani continuano come prima e anzi più di prima, perché la Cina è anche più
attrezzata legalmente per poter gestire la repressione.
Ora, non mi sembra di fare una gran previsione dicendo che tra una ventina di anni la Cina
potrebbe essere una delle potenze, dal punto di vista economico e quindi dal punto di vista politico,
egemoni del nostro pianeta; nel contempo, però, sarà una Cina che avrà imparato a imporre i
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propri punti di vista con la forza, avrà imparato che può firmare trattati internazionali e non
rispettarli assolutamente e nessuno potrà dire o fare nulla. Io non so se a noi conviene tanto
confrontarsi con una Cina su queste posizioni. Personalmente sono contento di questo interesse
crescente da parte del sindacato. Banalizzando al massimo, il costo di un lavoratore in Cina come
in altri paesi dell'Asia, Indonesia, Birmania, Vietnam eccetera, mediamente è quello di 30, 40, 50
dollari al mese. Quanto costa un lavoratore qui in Europa? Costa parecchio di più, siamo
sull'ordine delle 50, 100 volte di più, costa 2 o 3.000 dollari al mese, 4.000 dollari al mese. Sì,
perché in un paese dove è proibito andare in giro con la foto del Dalai lama, dove è proibito dire
"viva il Tibet libero", dove è proibito criticare il governo è anche proibito organizzare dei sindacati
indipendenti e quindi è proibito cercare di organizzarsi e di attrezzarsi nei confronti di una politica
salariale. Ed è ovvio che non si tratta soltanto di salari, ma di condizioni di lavoro, di controlli per la
sicurezza, di ammortizzatori sociali, di garanzie. Ora, la globalizzazione di cui si parla tanto, non
significa soltanto entrare in succulenti mercati dove vendere tantissimo, non vuol dire soltanto
integrazione a livello economico ma vuole dire anche messa in comune del mercato del lavoro, e i
fatti di questi mesi, di questi anni ci danno indicazione che questo, almeno in certi settori, tenderà
sempre di più ad avvenire. Allora, se noi vogliamo combattere la disoccupazione in Europa, se
vogliamo reggere la concorrenza di questi mercati del lavoro, sarà bene che cominciamo a
preoccuparci delle loro condizioni perché o saranno loro a doversi avvicinarsi alle nostre, oppure
dovremo essere noi ad avvicinarci alle loro. Questo è un aspetto abbastanza inquietante, se volete
più egoistico rispetto ad una considerazione prettamente umanitaria sui diritti umani, ma credo che
questa sia proprio la sede per fare questo tipo di riflessione.
Vorrei fare un'ultimissima riflessione riguardo l'indipendenza del Tibet. Come dicevo prima,
Amnesty International non ha una posizione a riguardo. Io però ho una speranza, ed è quella che i
cinesi comprendano ciò che in altri ambiti, sicuramente diversi ma abbastanza simili, è stato capito
per esempio dai bianchi sudafricani o, almeno in una prima fase, dagli israeliani nei confronti dei
palestinesi e cioè che in Tibet è in atto un conflitto e che questo conflitto non può concludersi con
l'eliminazione fisica o culturale della controparte. Questo è un augurio che faccio ai tibetani e
faccio anche ai cinesi.
Valentina Dolara:
Oggi sono presente a questo seminario quale rappresentante del centro buddhista tibetano di
Firenze, il Centro Ewam, ed in quanto nel 1997 ho lavorato al Tibet Bureau di Ginevra, che è
l'agenzia ufficiale del governo tibetano in esilio, responsabile della rappresentanza diplomatica
dello stesso in nove paesi dell'Europa sud-orientale (Italia, San Marino, Germania, Austria,
Svizzera, Liechtenstein, Cipro, Turchia, Grecia) e delle attività inerenti alle Nazioni Unite.
Vorrei effettuare qualche precisazione rispetto a quanto detto da Laura.
In
primo
luogo
per
quanto
concerne
il
Panchen
Lama:
Il Panchen Lama è la seconda più alta carica spirituale nella gerarchia buddhista, seconda soltanto
al Dalai Lama, i cui mutui rapporti si sostanziano in una tradizione secolare di riconoscimenti delle
rispettive reincarnazioni e, quando possibile, di instaurazione di un rapporto maestro/discepolo
l'uno dell'altro. La ricerca della reincarnazione del Panchen Lama e il suo riconoscimento, così
come tutte le attività inerenti alle reincarnazioni in generale, sono questioni prettamente religiose,
che afferiscono esclusivamente alla sfera spirituale. Ciò che dunque appare impressionante è il
tentativo da parte delle autorità di un governo dichiaratamente ateo di imporre la prorpia
supervisione su una vicenda religiosa, attribuendole implicazioni politiche alle quali invece è
assolutamente estranea. Dal V secolo il Panchen Lama è anche l'abate del monastero di
Tashilhumpo e, in questo senso, "possiede" questo monastero, ma qui termina la rilevanza
temporale di tale carica.
Il precedente Panchen Lama è stato un personaggio estremamente controverso, in quanto i conesi
hanno cercato di farlo apparire un acceso sostenitore del regime comunista, ed anche le
circostanze della sua morte sono piuttosto misteriose, in quanto è deceduto pochi giorni dopo un
discorso pubblico nel quale aveva duramente criticato la presenza cinese in Tibet.
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Subito dopo la sua morte il Dalai Lama ha inviato dei messaggi, tramite l'ambasciata cinese a
Delhi, alle autorità cinesi, chiedendo di poter seguire la tradizionale procedura per la ricerca della
reincarnazione. A tali richieste non è mai stato dato seguito ed anzi è stato fatto presente di non
gradire "interferenze esterne" in tale ricerca. Al momento in cui tale reincarnazione è stata poi
effettivamente trovata e ne è stato dato pubblicamente l'annuncio dal Dalai Lama, i cinesi hanno
rapito il bambino tibetano indicato, insieme ai suoi genitori e al suo tutore. Soltanto un anno più
tardi, durante i lavori della Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra,
l'Ambasciatore cinese ne ha ammesso la detenzione, ma ancora non se ne conosce né il luogo né
le condizioni di salute (ammettendo che sia ancora in vita). In ogni caso questo bambino non è in
grado di ricevere l'educazione religiosa che sarebbe necessaria affinché potesse assumere la
carica spirituale che gli è propria. La progressiva ostilità e mancanza di rispetto del sentimento
religioso del popolo tibetano, posta in essere da tale comportamento cinese, ha avuto il suo
epilogo nella nomina e insediamento di un altro bambino, cinese, figlio di quadri del partito.
Attualmente sono in corso "sessioni di rieducazione" nei monasteri per "convincere" i monaci e le
monache a professare la loro fede e lealtà nei confronti di quest'ultimo.
Cercando di ampliare il discorso relativo alla situazione in Tibet: è possibile affrontare la "questione
tibetana" da un punto di vista giuridico, interrogandosi sul diritto, tuttora negato, del popolo tibetano
all'autodeterminazione. Questo comporta la conseguente negazione non soltanto di tale diritto
collettivo, spettante ai tibetani nella loro identità culturale e nazionale, ma necessariamente anche
dei fondamentali diritti individuali dei singoli. E in Tibet la lista delle violazioni delle libertà e dei
diritti è tridstemente lunga.
Si possono dunque elencare le singole voci una ad una, e per ognuna di esse possono essere
spese parole di condanna e di indignazione, ma bisogna tener presente che il contesto in cui
questi comportamenti si collocano è quello di un regime di occupazione di tipo coloniale; il resto ne
è la esecrabile conseguenza.
Dunque, per toccare alcuni aspetti sollevati da Laura, è vero che è in corso una politica ambientale
metaforicamente "disattenta" da parte della Cina: il Tibet ha una configurazione climatica
estremamente delicata ed è anche il luogo da cui hanno origine i più importanti corsi d'acqua del
continente asiatico. In Tibet è in corso una deforestazione massiccia senza che ad essa segua
nessun serio impegno di ripristino del territorio, alla quale dunque segue una rilevante erosione;
sono in molti a sostenere che i mutamenti climatici che si sono verificati negli ultimi anni e il
conseguente incremento delle inondazioni verificatesi per esempio in Bangladesh, siano da
mettere ion relazione a tale processo degenerativo del microclima himalayano.
Per quanto concerne le scorie nucleari alcune organizzazioni non governative sono venute a
conoscenza di contratti stipulati tra paesi occidentali e la Cina per lo smaltimento di rifiuti tossici
ma, per quanto rientra nella mia personale conoscenza, non esiste alcuna prova specifica in
merito. In linea teorica, i luoghi di stoccaggio potrebbero essere situati in qualunque altra zona
della Repubblica Popolare.
(domanda fuori microfono)
No, non credo che le nostre responsabilità come occidentali siano da considerarsi minori solo
perché premetto che non si è in possesso di fondate prove dell'esistenza di tali accordi; le nostre
responsabilità, a mio parere, sono precedenti a questa valutazione e più ampie; la mia
precisazione era soltanto tesa a fornire la necessaria certezza e documentazione in relazione a
quanto affermato.
Una ulteriore specificazione rispetto a quanto detto relativamente allo status del Tibet prima del
1959: questo aspetto è stato oggetto di studio nel corso degli anni (da parte del Dipartimento di
Ricerca del Bundestag tedesco nel 1986, da parte della International Commission of Jurists nel
1960,1964 e 1998, dalla Conferenza Internazionale di Giuristi di Londra nel 1984); a tale riguardo
è vero che non è mai intervenuto alcun riconoscimento ufficiale dell'indipendenza del Tibet da
parte di altri Stati, ma in base al diritto internazionale tale requisito può anche essere ritenuto
esistente in base a fatti concludenti, e la presenza delle missioni diplomatiche nepalese, indiana,
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inglese e cinese a Lhasa prima del 1949 può senz'altro considerarsi elemento a sostegno di tale
tesi.
<inizio parte non corretta>
Pobbiati:
Io volevo fare una brevissima considerazione ma più che altro come eventuale spunto per un
dibattito. Riguardo a questo fatto delle responsabilità, le responsabilità sono poco definibili nel
senso che non sono responsabilità localizzate sul fatto delle scorie nucleari piuttosto che non su
altre questioni, me ne viene in mente una particolare. Forse molti di voi conosceranno o avranno
sentito parlare di (?). (?) è stato un nostro prigioniero di opinione di cui noi ci siamo occupati per
anni fino alla sua liberazione avvenuta nel '92. Lui era in carcere dal '59, arrestato all'indomani
della rivolta di Lhasa.
Anche lui non aveva fatto niente di particolare, voleva il Tibet libero, in carcere non ha mai
ammesso che il Tibet fosse cinese e quindi è stato tenuto in carcere e condannato, poi aveva
attaccato anche dei manifesti, fatto delle cose terribili tipo attaccare dei manifesti chiedendo
l'indipendenza eccetera, ed è rimasto in carcere per 33 anni nel corso dei quali è stato torturato più
volte, in effetti porta sul suo corpo e nello spirito sicuramente anche dei segni molto pesanti.
Una delle torture subite, tra l'altro nel 1990, quindi neanche negli anni più caldi ma proprio l'altro
ieri, praticamente, è stato quello di essere torturato con un bastone elettrico che gli è stato ficcato
in bocca, gli ha ustionato praticamente la bocca e gli ha fatto perdere tutti i denti. (?) è stato
liberato nel 1992; per evitare di essere riarrestato subito dopo come spesso è la prassi, è fuggito
attraverso il Nepal e poi è arrivato a Dharamsala.
Prima di scappare però è riuscito, tramite alcuni amici tibetani, a comperare da una guardia cinese
corrotta, una serie di strumenti che le guardie cinesi, le guardie tibetane comunque al servizio dei
cinesi, utilizzano per torturare i prigionieri con una gamma di...
Ho la sua biografia che è uscita qualche mese fa e, tra l'altro, ci sono le fotografie di questi
strumenti. Ha fatto un libro molto istruttivo sulla repressione e anche un po' su quello che era la
vita in Tibet anche prima del 1950. Lui da allora ha come missione nella sua vita quella di
testimoniare la sua esperienza come esperienza indicativa, perché in effetti lo è, del dramma di un
popolo intero.
È stato in Italia già due volte e verrà ancora in Italia a maggio ed è stato anche in altri paesi, ha
testimoniato alla commissione dei diritti umani di Ginevra e ha parlato anche, tra l'altro, alla
camera dei comuni a Londra, questo tre anni fa. Quando ha aperto il suo fagottino - è sempre una
cosa che mette i brividi anche a me ricordare perché è veramente drammatico anche per chi
lavora da anni sui diritti umani - mentre apriva, appunto, in quell'occasione il suo fagottino ha fatto
vedere questi strumenti ai deputati che gli stavano davanti e a un certo punto è venuto fuori uno
dicendo: "io le chiedo perdono perché questo bastone elettrico l'ho venduto io ai cinesi".
Qui ci sono delle connivenze che sono gravi, certo questo è successo in Inghilterra, questo era
stato mandato proprio in una missione del governo inglese in Cina a vendere alcune cose, a
siglare dei contratti tra cui c'era anche quello della vendita di questi manganelli elettrici, forse
progettati inizialmente come punzonatori per bestiame, in realtà la Cina ha un patrimonio bovino
risibile rispetto al numero di manganelli che importa e che vengono usati poi praticamente...
Questo sottintende che molto spesso anche un paese dalle innegabili tradizioni democratiche
come l'Inghilterra, molto spesso qualche cosa da nascondere ce l'ha e ha delle responsabilità
pesanti nei confronti della violazione dei diritti umani.
La considerazione proprio che potrebbe servire anche da spunto è che le violazioni dei diritti
umani, io ci lavoro da anni, non crescono mai come i funghi, non è che spuntano qua e là, c'è un
uomo molto cattivo, può anche capitare, però difficilmente assumono le proporzioni e la
drammaticità che hanno assunto per esempio in Cina, non c'è un uomo cattivo che decide di fare il
repressivo ma nascono sempre da delle contraddizioni che sono all'interno di una società.
Prima ho fatto più volte riferimento a questo potere cinese che, di fronte a questi cambiamenti, di
fronte alla mutazione di una società, reagisce soltanto aumentando il livello di repressione. Sotto
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questo punto di vista, noi abbiamo delle enormi responsabilità perché anziché aiutare i cinesi,
aiutare il governo cinese ad affrontare e quindi a cercare di risolvere queste contraddizioni, noi,
così bravi nel fare ammenda nel disperarci rispetto agli olocausti passati, siamo altrettanto bravi a
girare la testa nei confronti degli olocausti che stanno avvenendo proprio in questo momento.
Alessandro:
Solo una domanda breve su un fatto in particolare che forse non è collegato direttamente al
problema Tibet-Cina, ma approfitto della tua presenza del fatto che collabori con Amnesty per i
problemi nell'estremo oriente. È vero che c'erano anche monaci buddhisti detenuti per altri motivi
in paesi cosiddetti filo-occidentali, corea del sud? Ti risulta?
Pobbiati:
Sì. Adesso io lavorando esclusivamente su alcuni paesi del sud-est asiatico e sul Tibet, non so
darti dei riferimenti precisi. Ho sentito parlare di sud corea, ho sentito parlare di Indonesia. Vorrei
ricordare, per esempio, che in Vietnam, qualcuno si ricorderà che negli anni '60 quelle
drammatiche immagini di monaci buddhisti vietnamiti che andavano a Saigon e si davano fuoco, si
bruciavano vivi per protestare contro la repressione religiosa del governo di Dhiem (?). Dhiem fu
questo dittatore fantoccio degli americani messo su, quindi decisamente filo-occidentale.
La mia esperienza, al di là adesso del discorso dei monaci buddhisti, è che è molto difficile trovare
una linea di demarcazione tra regimi di differenti politiche, di differenti ideologie. Cioè, veramente
le violazioni dei diritti umani sembrano essere un territorio comune assolutamente indipendente
dalle ideologie. Potrei citare l'esempio della Cambogia degli anni '70 durante il periodo di governo
dei khmer rossi, dove, appunto, bastava soltanto portare gli occhiali per essere considerati come
degli intellettuali e quindi contro il popolo e venire uccisi, di conseguenza. Potrei citare Indonesia,
dove mezzo milione di persone sono state fatte sparite o uccise perché possibili fiancheggiatori di
un partito comunista che avrebbe dovuto fare questo colpo di stato che in realtà forse quasi
sicuramente non avrebbe mai fatto. Potremmo andare, cambiando parte del mondo, a pensare a
regimi di Cile e Argentina, anche quelli negli anni '70. Purtroppo le ideologie totalitarie hanno
questo denominatore comune. Spesso anche paesi democratici o pseudo democratici hanno le
loro gravissime pecche nei confronti delle violazioni dei diritti umani perché purtroppo un'altra
considerazione che viene spontanea è dire che non sempre la democrazia elimina completamente
le violazioni dei diritti umani.
Alessandro:
Dopo il '49 praticamente, cioè nel '50 quando sono entrati praticamente i cinesi ad occupare il
Tibet, qual è stato il tipo di rapporto che c'è stato tra il Dalai lama e il regime cinese che si era
installato in Tibet, e soprattutto una domanda: il Dalai lama è andato via per reazione a ciò che
voleva essere una ribellione del popolo tibetano contro i cinesi o se il Dalai Lama ha accettato solo
dietro costrizione da parte dei tibetani stessi ad andare via.
Pobbiati:
Andate a vedere Kundum, che è un film bellissimo e spiega proprio queste cose qua, tra l'altro.
<fine parte non corretta>
Valentina:
Per quanto concerne i rapporti tra cinesi e governo tibetano dal 1949 al 1959:
Nel 1951 è stato firmato il cd. "Accordo in 17 Punti" da una delegazione tibetana recatasi a
Pechino per aprire delle trattative con le autorità cinesi e in tale sede costretta a sottoscrivere quel
documento. In primo luogo, sulla base del diritto internazionale, e più specificamente in base alla
Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, nessun accordo o trattato sottoscritto sotto la
minaccia o l'uso della forza può essere considerato valido: in Tibet c'erano già consistenti
contingenti cinesi e una massiccia presenza militare e una massiccia presenza militare può
senz'altro considerarsi elemento di coartazione. In ogni caso la Cina non ha mai rispettato i termini
di questo accordo, rendendo a maggior ragione le sue clausole invalide. I cinesi hanno cominciato
ad inviare contingenti militari dal 1949 ma fino al 1959 il governo tibetato ha tentato una
impossibile coabitazione: nel 1959 la situazione è precipitata e il 10 marzo di quell'anno, oggi
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considerato il National Upspring Day, le truppe cinesi hanno ucciso oltre 80,000 tibetani che
stavano manifestando contro la presenza dell'Esercito di Liberazione Popolare Cinese. Queste
cifre sono confermate anche da fonti ufficiali cinesi.
<inizio parte non corretta>
Pobbiati:
Comunque anche i fatti accaduti tra la fine degli anni '40 e questa data che fa un po' da
spartiacque, che è quella appunto del marzo del '59, purtroppo sono poco controllabili nel senso
che probabilmente diverse decine di migliaia di tibetani sono morti in quegli anni e oltre tutto la
massima parte delle distruzioni è avvenuta in quegli anni, quindi distruzioni di monasteri,
saccheggi di oggetti preziosi, di oggetti religiosi sembra sia avvenuto in quegli anni ancora di più
che negli anni della rivoluzione culturale.
Bisogna tener presente però che in quegli anni la Cina era veramente chiusissima e quindi le
notizie arrivavano con il contagocce, credo che per gli stessi tibetani sia stato un problema anche
accertare ciò che succedeva in aree magari isolate perché Lhasa era facilmente controllabile, nelle
altre aree dell'Amdo e del Kham chissà che cosa succedeva.
<fine parte non corretta>
Valentina:
Una delle ragioni probabilmente è anche da ricercare nell'isolamento del Tibet in quel momento; il
Tibet era un paese chiuso agli stranieri: una delle affermazioni tristemente ironiche del governo
cinese è proprio quella che sostiene che i cinesi andarono a "liberare" il Tibet dagli stranieri,
quando nel paese, allora, c'erano 6 occidentali (quello che viene ricordato nel film "Sette anni in
Tibet" è vero: gli alpinisti austriaci e i rappresentanti diplomatici britannici erano gli unici stranieri
nell'intero paese). Questo isolamento si è rivelato un'arma a doppio taglio: da un lato ha permesso
lo sviluppo di una cultura di eccezionale valore, ma dall'altro ha impedito di creare alleanze
internazionale. Per quanto concerne le motivazioni che hanno spinto il Dalai Lama a prendere
determinate decisioni piuttosto di altre, francamente non posso azzardare alcuna risposta:
probabilmente rimaneere più a lungo in Tibet rischiando di farsi uccidere sarebbe stato di minor
beneficio rispetto all'alternativa di rifugiarsi all'estero e continuare a cercare il dialogo con le
autorità cinesi. Ma questo è soltanto il mio personale punto di vista.
Nota: il seguente testo corrisponde alla trascrizione, non corretta, della registrazione audio degli
interventi.
Sauro Magnani:
Più che altro, farò qualche osservazione se avete pazienza, giusto una manciata di minuti. Voglio
richiamare che, come ufficio internazionale della Cgil, da alcuni anni noi, in occasione di ricorrenze
come questa della rivolta del 10 marzo '59, abbiamo avuto modo, in qualche maniera, di esprimere
attenzione e sensibilità riguardo la problematica dei diritti umani nel Tibet e tra l'altro nel '96, a
maggio, il segretario generale della Cgil, insieme a Cisl e Uil, si incontrò a Roma col Dalai Lama.
Però oggi, in qualche modo, iniziamo un'altra fase, una fase di approfondimento, di conoscenza. Il
fatto che ci siamo valsi del contributo di Pobbiati e di Polichetti che, è chiaro, in certi momenti era
presa dal sentimento anche politico della situazione, può avere anche dato sottolineature
abbastanza colorite dei fatti, però il fatto che abbiamo fatto questa scelta sta a indicare anche una
volontà poi di poggiare le nostre iniziative, la continuità delle nostre iniziative in materia anche su
basi approfondite di ricerca che certamente vanno successivamente perfezionate.
Qui colgo anche l'occasione, oltre che ringraziare i due relatori, anche di ringraziare in particolare
Claudio Tabacco che ha introdotto i lavori e che è stato essenziale nella preparazione complessiva
del seminario. Questo, aprendo una parentesi, vuol dire che la risorsa obiettori, quando è
accompagnata sia dalla volontà dell'obiettore di impegnarsi, sia dalla volontà dell'organizzazione,
dell'ente che lo utilizza, può dare dei risultati positivi e e ne abbiamo avuto un esempio di una certa
validità di questo.
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La Cgil, facendo questo seminario in cui il perno è la denuncia della violazione dei diritti in un
mondo abbastanza lontano, non si tratta né di Kosovo, né di Bosnia e né di Algeria che in rapporto
al Tibet stanno nel cortile vicino, molto vicino, si colloca, con una certa tenacia e volontà, in quel
solco del suo tradizionale impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell'uomo ovunque avvengono
nel mondo.
Noi abbiamo tutta una storia di impegni su situazioni che si presentavano ugualmente difficili e
aspre in relazione ai tempi e alle situazioni, ricordiamo in un mondo diviso dalla guerra fredda, la
Cgil, uscendo dai vincoli costituti, appunto, da questo schieramento di blocchi, denunciò
fortemente l'invasione sovietica del '56 in Ungheria, così come fece per l'invasione del '68 in
Polonia; la Cgil si è impegnata contro l'apartheid in Sudafrica, per la Palestina, in Cile, in tante altre
situazioni.
Io credo che poi la nostra iniziativa ha anche un sapore particolare perché quest'anno ricorre il
cinquantennale della dichiarazione dei diritti dell'uomo approvata nell'assemblea delle Nazioni
Unite nel dicembre del 1948. Ricordo, tra parentesi, che il 1° maggio di quest'anno, la celebrazione
del 1° maggio sarà dedicata ai diritti umani, a determinati componenti dei diritti umani quali il
divieto del lavoro minorile.
[...] di tali diritti.
Questa violazione dei diritti, tuttavia, è ancora molto ampia e a me piace ricordare spesso la frase
che un grande politico italiano di sinistra diceva riguardo ai diritti umani. Mi riferisco a Giorgio
Amendola. Lui diceva che, e Pobbiati me lo conferma, in sostanza, l'eccezione riguardo alla
violazione dei diritti umani è costituta dai paesi in cui questi diritti sono rispettati, cioè a un certo
punto può venire fuori Danimarca, Svezia, Norvegia ma già anche l'Italia ha dei problemi riguardo
ai detenuti, ai 50.000 detenuti in Italia come sono nelle prigioni, le capienze, ci sono problemi
abbastanza...
Poi è chiaro che ci sono certi paesi, dalla Cina all'Indonesia, alla Tailandia ai buchi neri della
Birmania dove abbiamo, come in Birmania, dei governi fatti da bande criminali di narco-trafficanti.
Ma io credo che se cadessimo in una posizione di rassegnazione, di accettazione realistica, come
in fondo si è fatto finora riguardo alla questione del Tibet, il Tibet è così, l'alibi è quello che non si
può contrastare, metterci in cattiva luce riguardo a un grande paese così importante nell'economia,
nella strategia internazionale.
Io credo, in questo modo noi maschereremmo, appunto, una nostra posizione fatta di cinismo e di
egoismo, perché se noi vediamo che certe situazioni che sembravano chiuse in veicoli ciechi in cui
gli esiti potevano sembrare quelli di repressioni sanguinose senza speranza eccetera, oppure era
quella dell'accettazione di situazioni senza diritti, senza speranze però, per un insieme di
convergenze di forze, in primo luogo sensibilizzazione opinione pubblica, governo e
interessamento (?) di forze democratiche si è arrivati verso soluzioni - a questo mi sembra che
faceva anche cenno Pobbiati - che, in qualche modo, sono gestibili democraticamente.
Noi in Sudafrica avevamo una situazione in cui 5 o 6 milioni di bianchi avevano fatto un regime
estremamente prevaricante, fondato quasi su uno schiavismo di altri 20 milioni di neri; eppure, con
un numero accettabile di vittime o di martiri, si è giunti verso un processo impostato sul dialogo,
sulla democrazia, insomma uno sviluppo accettabile.
Situazioni così difficili, contrastanti come quelle in Palestina dove con le azioni abbastanza rilevanti
si accalcavano su spazi, territori, risorse limitate, eppure lì si è riusciti a costruire una cornice dove,
pure in mezzo a conflitti, ad attriti, tensioni stop and go, però è indicato un processo di soluzione.
Poi basta pensare inoltre anche alla situazione che abbiamo avuto all'est, dove si viveva nella
paura: da una parte c'era l'auspicio che anche lì avanzasse, dove i diritti umani erano piuttosto
abbastanza violati in maniera massiccia, allora c'era da una parte la speranza di uno sviluppo
democratico, da una parte c'era la paura che un avvio, una tensione verso uno sviluppo
democratico potesse provocare una catastrofe che poi andava oltre quei paesi. Eppure, anche in
quelle situazioni lì, anche a persone come Gorbaciov ed altre eccetera, si è avviato un processo di
soluzione.
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Poi un'ultima cosa, una situazione che può sembrare marginale che a parer mio però può avere un
valore esemplare. Noi avevamo una situazione nel Sahara occidentale dove, nel '75, è finita la
colonizzazione spagnola e quindi, dovendosi affermare il diritto, come è sancito dalle Nazioni
Unite, di autodeterminazione della popolazione prima sotto colonia spagnola, noi abbiamo avuto
subito una specie di occupazione manu militare del Marocco di questo paese.
Allora, questo nel '75, c'è stata una guerra della popolazione locale fino al '91; nel '91 abbiamo
avuto una soluzione negoziata sotto l'egida dell'Onu per avviare un processo di
autodeterminazione, poi un lungo periodo di stagnazione messo nel dimenticatoio, poi in questi
ultimi anni la cosa è stata ripresa anche per l'impegno di quella popolazione, dopo l'accordo sotto
l'egida dell'Onu, di non ricorrere alle armi, di giocare soprattutto con le armi della forza della
ragione, noi abbiamo avuto il risultato, e la Cgil con le sue modeste forze, ha appoggiato anche
questo orientamento, abbiamo avuto finalmente un accordo negoziato tra Marocco, che amava
avere questa fetta di Sahara ricca di giacimenti di fosfato - sotto il deserto ci sono immense
ricchezze, e i rappresentanti del popolo (?) per una autodeterminazione, per raggiungere un
referendum di autodeterminazione alla fine di quest'anno.
Quindi vediamo che situazioni anche difficili possono avere, in una situazione di sensibilizzazione
dell'opinione pubblica, di volontà convergenti, possono avere anche soluzioni pacifiche che
possono soddisfare anche esigenze contrapposte: problemi geo-strategici mondiali ed esigenze di
autogoverno, di autonomia, di salvaguardia dei diritti del popolo in questione - ci riferimento in
particolare al Tibet.
Qui dobbiamo ricordare che nel piano di pace proposto dal governo in esilio tibetano, si chiede
rispetto dei diritti, rispetto dell'ambiente, le libertà eccetera, non si chiede l'indipendenza tout court
ma si chiede soprattutto di aprire un dialogo, di negoziare, tra parentesi, insomma di recuperare
almeno quei livelli di autonomia di autogoverno che in un primo tempo lo stesso governo cinese
aveva proposto. Poi ci possono essere anche spinte dei tibetani di dire: no, noi vogliamo
l'indipendenza.
Qui io mi rifaccio a quello che si diceva prima. La chiusura del Tibet è stata un'arma a doppio taglio
perché nel dopoguerra, mentre tutti gli stati piccoli o piccolini come l'Afganistan eccetera - poi dirò
perché richiamo l'Afganistan - entrarono a far parte delle Nazioni Unite, quello era anche un criterio
fondamentale di protesta delle Nazioni Unite o della comunità internazionale quando c'è stato, in
alcune situazioni, una invasione da parte di uno stato sull'altro, quando ci fu l'invasione sovietica in
Afganistan nel 1979 dice: beh, questo è un paese indipendente eccetera, perché tu vai lì a
prendertelo, a instaurargli a viva forza il socialismo, come è stato ultimamente riguardo
all'invasione da parte dell'Iraq del Kuwait. No, purtroppo, stando in una situazione di chiusura, si
era tenuto fuori dalla comunità internazionale per cui ciò ha reso più difficile la sua difesa.
Tuttavia, quello che ci preme affermare che in questo dopoguerra come è stato con l'esempio che
ho chiamato (?) occidentale, la comunità internazionale ha teso a non legittimare l'occupazione di
altri paesi a manu militare, salvo che poi i paesi si accordino tra di loro per fondersi e per
trasformarsi, com'è nell'Unione Europea.
E qui mi avvio alla fine, se n'è fatto qualche riferimento, qui a questo nostro incontro noi abbiamo
un convitato che è essenziale riguardo agli obiettivi che ci proponiamo di affermazione dei diritti
umani, noi abbiamo un convitato essenziale. Da quello che mi diceva Pobbiati, mi confermo che
non è un convitato di pietra: mi riferisco alla Cina. Noi in Cina abbiamo un mutamento, una
trasformazione, forse è importante andare a vedere questo ultimo film "Keep cool" che dà un'idea
di questi mutamenti. Bene, uno dei sistemi per controllare questi mutamenti è la repressione, ma io
qui faccio una domanda, richiamando un dato che non so se qualche milione in più o in meno ma a
noi anche il sindacato ci costa con la partecipazione della Cina nel grande mercato globale e con
lo sviluppo di quella che chiamano economia di mercato socialista, la Cina deve sbarazzarsi di
quegli enormi conglomerati dove ci sono milioni però di occupati che prendono un loro salario,
perché? perché questi sono estremamente improduttivi, pensiamo a delle Iri al 2.000%.
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E allora, considerando le cifre, la ha tutta un'altra dimensione, sono 1 miliardo e 200 milioni, allora
che ci sia un esubero, le cifre che avevo io fino a poco tempo fa parlavano di 60 milioni, non so lei
ha parlato di 120, forse saranno 80 milioni ma c'è questo problema. Noi adesso abbiamo situazioni
in cui dall'interno della Cina sono decine di milioni di persone che cercano occupazione,
condizione di lavoro nelle zone di sviluppo costiere. Poi c'è il problema di questo esubero: dove va
a finire? Cosa può succedere? Noi pensiamo che passando da 4.800 condanne a morte, sembra
che queste condanne a morte poi abbiano anche qualche risvolto economico riguardo
specialmente a questi giovani prigionieri condannate a morte.
E allora come fare a gestire questo, senza che ci sia un ammortizzatore tipo quello che è il
sindacato? Oggettivamente qui in Italia noi abbiamo sempre situazioni estremamente tese di
Napoli, Palermo eccetera, però in questi anni abbiamo visto il passaggio di enormi quantità di
riduzione dei lavoratori dalla grande industria, praticamente grandissime imprese statali o
parastatali hanno chiuso o hanno ridotto all'osso. Non c'è stata una rivolta perché c'è una forza
sindacale, non è che faceva da pompiere, come si potrebbe facilmente dire, ma in qualche modo
gestiva questi vuoi prepensionamento, vuoi cassa integrazione, vuoi sollecitazione ad altre attività
economiche, insomma una forza sindacale autonoma e libera in un paese in cui ci sono qualche
principio di democrazia, può aiutare a gestire in maniera passabile questi problemi.
Là in Cina, ad un certo punto possono essere trascinati a modifiche anche per quel che riguarda i
diritti, in primo luogo noi auspichiamo sindacali o civili, appunto per gestire questi enormi problemi.
Quindi in questo senso, io credo che la scelta operata dalla comunità internazionale, stati,
ultimamente anche qualche riflessione sindacale c'è in merito, di non fare una scelta di chiusura
rispetto a questo grande paese, non è solo, qui forse posso essere un'interpretazione ottimistica
derivata da un senso realista e così grande che non possiamo isolarlo, lì in genere i cinesi hanno
una concezione per cui loro sono il mondo e poi c'è il resto, tradizionalmente loro si consideravano
l'impero di mezzo, ma anche c'è una scommessa per cui questo paese può avere anche,
naturalmente grazie anche ad un'azione in questo senso della comunità internazionale,
un'evoluzione positiva che noi pensiamo può avere anche i suoi risvolti verso il rispetto dei diritti
umani.
Quindi diciamo che, forse può sembrare retorico, oggi noi, facendo questo seminario, da una parte
non è che ci poniamo o vogliamo soprattutto accentuare o fare un atto di ostilità verso la Cina,
anche se la nostra critica riguardo la violazione dei diritti umani sia nel Tibet sia in Cina, come
giustamente diceva Pobbiati, deve essere ferma, continua, decisa, tenace; ma adesso è un
impegno verso l'affermazione della universalità dei diritti umani e, nello stesso tempo, dobbiamo
anche noi operare e nel momento che stringiamo rapporti di cooperazione, nel momento che
l'Unione Europea colloca la Cina nel sistema di preferenze generalizzato dove, appunto, questo
sistema permette una certa discrezionalità riguardo il paese, non è l'equivalente del sistema
generale di commercio internazionale, beh è necessario, come ha fatto finora anche il Parlamento
Europeo riguardo la questione del Tibet, incalzare e sospingere, non dimenticare perché, come
abbiamo visto quando ci fu lo scontro di Tiennamen, ci sono, in quelle centinaia di migliaia di forze
dirigenti in Cina, c'è anche chi è più sensibile verso questi problemi, verso questi diritti.
Domanda:
Più che una domanda un completamento della cosa che è stata illustrata adesso. Si è parlato del
fatto che la difesa del Tibet non era possibile perché era un paese isolato, tutti sapevano della sua
situazione e dal '13 tutti sapevano che il Tibet era un paese costituito almeno da un punto di vista,
se non formale, da un punto di vista sostanziale.
Per quanto riguarda gli interessi geopolitici, il fatto che il nostro peso di pressione per rendere il
Tibet libero deve tener conto di quelle che sono le esigenze della Cina, secondo me è una
valutazione limitante del problema nel senso che nel nostro futuro, l'unica nostra salvezza è il
rispetto soprattutto dei popoli, e questo lo dobbiamo avere sia noi, sia i cinesi, sia gli americani, sia
i tedeschi, qualsiasi popolazione nel mondo. E questa è una cosa fondamentale.
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Confederazione Generale Italiana del Lavoro
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Secondo me il Dalai lama all'inizio non vedeva questa cosa della coabitazione con i cinesi
negativamente, cioè lui pensava che fosse una cosa possibile e molto probabilmente diventerà
possibile in un prossimo futuro perché, secondo me, oltre a molte persone che lottano perché il
Tibet sia libero, almeno da un punto di vista proprio morale non tanto sostanziale in quanto nella
presentazione dell'89 che fece il Dalai Lama per la costituzione di uno stato federato e
democratico con la Cina, aveva lasciato addirittura, o aveva proposto di lasciare la cosiddetta
politica estera cioè il comportamento allo stato cinese. E questo non solo per un fatto di
convenienza, secondo me. E questo è un punto molto importante e forse questo è l'unico punto
che penso sia strettamente correlato all'analisi che è stata fatta adesso in questa finale.
Maria Gigliola Toniollo:
Io sono la responsabile dell'Ufficio Nuovi Diritti, ho lasciato a Claudio tutto il posto, volevo soltanto
fare una brevissima considerazione.
Noi quotidianamente, come ufficio, ci occupiamo di una serie di problemi che riguardano alcune
realtà di cui spesso ci si chiede "cosa c'entra il sindacato?": ci occupiamo, per esempio, delle
discriminazioni omosessuali; comunque di realtà particolari. Su questa esperienza, che è durata
diversi anni, io ho sempre pensato, e comunque ho avuto conferme sempre maggiori, che il
problema non era mai quello di correre in soccorso di alcune categorie ma quello
dell'inadeguatezza che c'è in tutte le persone a tutti i livelli nel recepire delle situazioni che non
siano le più standard, le più banali, le più comode e quelle in cui può essere esercitato meglio il
potere.
Questa riflessione di oggi ha un pregresso molto lungo dovuto a tanti motivi, che la comunità
internazionale intendeva, per motivi anche abbastanza tangibili, ragionevoli, riallacciare i rapporti
con la Cina, e tra questi c'era anche il nostro sindacato.
Io non entro nel merito perché non credo che questa sia la sede, credo che la sede onesta
sarebbe una discussione nel direttivo anche per capire; però una cosa voglio lasciarla scritta in
questo pomeriggio, voglio dire: la stessa inadeguatezza che ci perseguita, che abbiamo tutti,
anche noi, anche io, nel recepire delle realtà che sono così vicine a noi, che peso avrà nei rapporti
che si vanno sempre più stringendo con questi potenti nazioni, cioè che peso avrà, nella bilancia
del rapporto commerciale, per esempio, delle attività che è comodo intrattenere con la Cina,
quanto saremmo capaci di far valere quello che noi diciamo: "i diritti matureranno con il progredire
dei rapporti con l'occidente o con le nazioni che noi riteniamo più civili o comunque di civiltà più
simili alla nostra.".
Ecco, io mi faccio questa domanda, temo moltissimo questo avvicinamento e tutto quello che
sento che viene da parte economica, da parte commerciale che è molto cogente in questo
rapporto e mi chiedo che tipo di attività possiamo svolgere noi, assieme agli amici di Amnesty,
assieme a tutti quelli che denunciano, assieme alle campagne e alle firme per fare in modo che
qualcuno, governo, politici, sindacati, non mettano mai in secondo piano questa istanza che si
rivolge ai diritti delle persone.
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