Derivazioni inventate

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Rosaria Solarino, "Derivazioni inventate ", Lavori in Corso, 20/2015, 101108.
Si ricorderà che nel primo di questi articoli avevamo anticipato che in questa
seconda ‘puntata’ sugli errori di italiano ci saremmo soffermati sugli errori di
apprendimento, soprattutto di quelli che si osservano nella acquisizione
avanzata (dunque in età scolare, fino ai 14-15 anni e oltre) e che sono relativi
alla formazione delle parole. Ne abbiamo anticipato anche qualche esempio:
votatura, regressimento, insignificazione. Affronteremo ora il discorso in
maniera ordinata, partendo da alcune precisazioni.
Morfologia lessicale e morfologia grammaticale
La derivazione delle parole rientra in quella che più precisamente si chiama
morfologia lessicale. Proviamo a spiegarci meglio. La morfologia lessicale si
differenza da quella grammaticale perché le sue regole non sono prevedibili:
se a partire dal verbo amare so, per esempio, di poter costruire con certezza il
futuro amerò e a partire dal nome casa il suo plurale case, non posso dire
altrettanto per le parole derivate. Non è infatti certo che se ho, poniamo un
verbo della prima come cantare io possa coniare senza tema di sbagliare il
derivato cantamento o cantazione per indicare l’azione di cantare, mentre
esiste spostamento (ma non spostazione) da spostare e …derivazione (ma
non derivamento) da derivare.
Ancora: dal nome fiore in italiano si possono derivare altri nomi che indicano
chi si occupa di fiori (fiorista) o chi li vende (fioraio), ma non esiste il nome
fioreto, per indicare il luogo in cui si trovano i fiori , mentre esistono i nomi
agrumeto e aranceto per indicare il luogo in cui si trovano agrumi in generale
o arance in particolare.
Il lessico è fatto di maglie non regolari, dunque: in certi casi mostra una serie
molto ampia di parole derivate, che coprono molte delle possibilità offerte
dal sistema, in altri i derivati non esistono e bisogna ricorrere a perifrasi per
esprimere il concetto che in quegli altri casi può essere espresso da una sola
parola...
Le regole di morfologia grammaticale e quelle di morfologia lessicale –in
particolare quelle di derivazione con suffissi- viste dall'esterno si somigliano
però molto: in entrambi i casi modificando la forma con piccole aggiunte
finali si ottiene un cambio di significato. Si comprende dunque perché un
apprendente iniziale dell’italiano non si renda conto della differenza tra questi
due tipi di regole e tenda a trattarle allo stesso modo, creda cioè di poter
costruire liberamente parole derivate, possibile ma inesistenti, a partire dai
modelli a cui viene più frequentemente esposto.
E' una tendenza che, significativamente, si osserva nei bambini che imparano
a parlare, che a partire dai due-tre anni sono degli attivi produttori di
derivazioni inventate. Eccone alcuni esempi, tratti dalla letteratura1 sulla
questione o dai miei dati personali:
1
L’analisi linguistica delle coniazioni spontanee di bambini si deve a Lo Duca M.G. (1990),
Creatività e regole. Studio sull’acquisizione della morfologia derivativa dell’italiano, Il
Mulino.
Mamma, mi sono allucciata (“fatta male all’alluce”)
Mi svicini (‘allontani’) la sedia?
pittaio ("pittore")
io sono un vero pizzatore ("uno che ama la pizza")
Fabio è un raccoltatore! "(uno che raccoglie bacche, fiori ecc.")
(Francesca a 2 e mezzo) Io faccio i compiti come Stefano. Più tardi alla
mamma che le chiede: Hai finito? risponde: Sì, ho già compitato.
Alesandra (3 anni e 2 mesi), guardando un cantiere in costruzione: Ah, sì:
anche questi fanno i lavoraggi.
Come si vede i bambini mostrano una grande creatività linguistica, ma
rispettano quasi sempre le regole di derivazione dell’italiano: se da lontano
formo il verbo allontanare, perché da vicino non posso formare il verbo
svicinare (con il prefisso s- nel suo significato di “uscire da un luogo o da uno
stato”, come in sfuggire)?
Lo stesso vale per allucciata, pulmista, pittai, raccoltatore: sono parole
possibili ma inesistenti in italiano, almeno nel senso utilizzato dai bambini.
Una parte importante dell’apprendimento avanzato di una lingua come
l’italiano consiste dunque nel limitare l’estensione delle regole di derivazione
ai casi in cui l’italiano lo consente, a parole realmente esistenti nella nostra
lingua.
E' un processo continuo, che dura tutta la vita, dato che parole nuove derivate
si creano continuamente nella nostra lingua: l'unica regola possibile diventa
allora abituarsi a registrare inconsciamente la regola di costruzione di ogni
singola parola derivata che si ascolta, senza scambiarla con altre, altrimenti è
facile continuare a commettere errori.
Acquisizione avanzata
Se questo è vero per la prima acquisizione, che cosa avviene nell’acquisizione
avanzata, in particolare alla scuola media superiore di primo e secondo grado
(ma anche oltre…) , quando gli allievi, per il moltiplicarsi delle discipline e
dei loro linguaggi si imbattono in parole nuove, che non hanno mai sentito
prima? Succede che ricorrono, nei casi dubbi, allo stesso meccanismo che
hanno usato nella prima acquisizione, tirano cioè a indovinare, provando a
costruire parole derivate con le regole che hanno appreso fin da piccoli, di
nuovo procedendo a tentoni, come allora, e aspettando una conferma o una
correzione nel comportamento linguistico di nei parlanti ‘esperti’ che li
circondano, in primo luogo negli insegnanti, di cui però temono anche il
giudizio.
Valgono infatti ancora di più, per questa età, le raccomandazioni che abbiamo
fatto nel primo articolo a proposito della correzione coperta e scoperta:
correggere senza umiliare, recuperando sempre la positività di questo tipo di
errore. Esso mostra infatti che il meccanismo di apprendimento si è rimesso
in moto, che l’allievo sa di dover imparare cose nuove e sta tentando di farlo,
e ci chiede aiuto per controllare la correttezza di quanto dice.
Ma torniamo ai dati e osserviamo questi esempi reali di coniazioni possibili
ma inesistenti prodotte da allievi dagli 11 ai 15 anni (e oltre):
perfidita', ferocita', malmessità inettezza, ciarlataggine, maldestrezza,
lucidezza
Anche in queste derivazioni inventate si vede all'opera un principio di
sovraestensione (di estensione cioè di una regola oltre i suoi limiti di
applicazione): alcuni suffissi (ità, -aggine, -ezza) vengono usati al posto di
altri, perché per qualche ragione (sono maggiormente frequenti, per esempio
nella lingua comune, quella di cui finora l’allievo si è servito) vengono
preferiti a quelli ‘veri’.
Quello che va sottolineato ai fini del nostro discorso è che queste derivazioni
inventate degli apprendenti avanzati sono delle produzioni in qualche modo
‘intelligenti’, rivelano cioè una notevole competenza linguistica. Esse
appartengono tutte infatti a quell’insieme di nomi derivati che si formano
partendo da basi aggettivali.
Non vogliamo tediarvi con l’elenco delle cosiddette regole di derivazione che
distinguono le varie basi (nome, aggettivo, verbo) e i suffissi che possono
combinarsi con le basi per formare parole derivate in italiano (basterà
consultare una buona grammatica dell'italiano per trovarle2), ci limiteremo a
portare qualche altro esempio. Prendiamo queste altre due derivati inesistenti
tratti dalla lingua degli studenti:
fondatura e alternamento,
Anche in questi casi si sono usati i suffissi sbagliati, ma scegliendoli sempre
tra quelli compatibili con basi verbali, che seguono cioè la regola di
derivazione per cui si costruiscono nomi di azione a partire da un verbi. Non
accade invece, di solito, negli errori degli studenti, che per formare un nome
da un aggettivo venga usato, poniamo, un suffisso derivativo deverbale come
-mento o zione, con un esito finale come perfidamento o maldestrazione, non
succede cioè che questo tipo di parlanti costruisca un derivato ”impossibile”
per le regole della nostra lingua
Ciò significa che nel coniare queste parole, per quanto esse siano errate
rispetto alla norma, si sono rispettate delle regole piuttosto complesse di
compatibilità tra basi e suffissi, che rivelano una notevole competenza
semantica e morfologica: essa non deve sorprendere, però, in parlanti, sia
pure non del tutto esperti, di una lingua ricca di morfologia come l'italiano,
che costringe sin da piccoli a destreggiarsi tra basi e morfemi.
Vogliamo però osservare a questo punto che se i meccanismi con cui si
coniano i derivati possibili ma inesistenti in italiano sono gli stessi nella
prima acquisizione e in quella avanzata, si deve fare una ovvia constatazione:
il lessico, le parole a cui si applicano queste regole in modo arbitrario è
diverso. Se i bambini che imparano l'italiano da piccoli creano queste parole
partendo da basi che appartengono al lessico fondamentale dell'italiano,
quelle parole che "per frequenza, diffusione nei testi, significato
rappresentano l'impalcatura di ogni nostro discorso parlato e di ogni testo
2
. Per esempio M. Dardano, P. Trifone La nuova grammatica della lingua italiana, Zanichelli 1997 o
M.G. Lo Duca,R. Solarino (2006), Lingua italiana. Una grammatica ragionevole, Unipress, Padova.
All'argomento è dedicato il par. 3 del cap. 6 di R. Solarino (2013), Imparare dagli errori, Youcanprinti,
da cui il presente articolo riprende gran parte degli esempi.
scritto."3 (come abbandonare, conto, gridare) i preadolescenti e gli
adolescenti che fanno la stessa cosa partono da basi che appartengono
all'italiano usato da parlanti che abbiano frequentato un corso di studi
superiori. Si tratta perciò di due stadi profondamente diversi di maturazione
linguistica, ma, come abbiamo osservato sopra, mostrano l'uno una
attivazione, l'altro una riattivazione del meccanismo di apprendimento: nel
caso dell'acquisizione avanzata è un segnale che l'allievo ha capito che ci
sono cose nuove da apprendere e vuole farlo, chiedendo implicitamente il
nostro aiuto. Non facciamoglielo mancare....
Derivati a suffisso zero
Il sistema di regole dell'italiano prevede anche la possibilità di formare
nominali derivati da un verbo senza aggiungere nulla alla base, se non le
marche della flessione: prendiamo il caso di verificare/verifica,
rinunciare/rinuncia, inoltrare/inoltro: si tratta di derivati senza suffisso o a
suffisso zero, che a differenza dei derivati in -mento e -zione non rivelano
attraverso la forma che al verbo è stato aggiunto un “pezzo” nuovo di
significato (“azione di..”).
Come si comportano gli studenti rispetto a quest'altra possibilità dell'italiano?
Poiché questo appare un sistema “facile” di formazione di parole, perché non
prevede alcuna particolare selezione di suffisso, sembra logico aspettarsi che
ne facciano un largo uso, e invece nei loro errori colpisce la estrema rarità di
derivati inventati formati con il suffisso zero.
A patto di numerosi casi del tipo di quelli visti prima (ricompensamento per
ricompensa, votatura e votamento per voto, scippamenti per scippi,
equipaggiamento per equipaggio, rivoltazione per rivolta, paralizzamento per
paralisi, analizzazione per analisi, riportazione per riporto) sono
estremamente rari casi di sovraestensione del suffisso zero (ne abbiamo
registrati pochissimi, tra cui danneggio per danno e ritrovo per ritrovamento.
Come si spiega questa riluttanza degli studenti ad impiegare la derivazione
zero? Entra in gioco qui probabilmente un principio che sembra curiosamente
guidare sia il modo in cui le lingue (alcune di più, altre di meno) sono
organizzate, sia l'apprendimento e che, a nostro parere, è utile che gli
insegnanti conoscano per poter valutare la lingua dei loro studenti. Si tratta
del principio di iconicità, di somiglianza forma-significato che si manifesta
realizzando, da parte di una lingua _o cercando di realizzare, da parte degli
apprendenti- una quale corrispondenza 'fisica', percepibile, tra una parola e il
suo significato.
Nel caso del suffisso zero esso sembra regolarsi più o meno così: parole che
derivano da altre parole e che hanno rispetto a queste un qualche significato
in più, devono essere più corpose della parole di base. Ci si aspetta insomma,
in modo molto “naturale”, iconico, che a significati più numerosi corrisponda
una parola più lunga.
Se queste sono le aspettative di un apprendente, le parole derivate con
suffisso zero le deludono: esse significano, rispetto al verbo, qualcosa di più
(azione di rinunciare/verificare ecc.), ma sono "più brevi" del verbo: di fronte
a questa stranezza della lingua, alla controiconicità di queste formazioni, gli
3
T. De Mauro, Prefazione a E.D'Aniello, T.De Mauro, G.Moroni (1997), Prime parole.
Dizionario illustrato di base della lingua italiana, Paravia.
apprendenti reagiscono ignorando quasi, nelle loro regole, questo tipo di
derivazione.
Ma c'è un'ultima osservazione da fare a proposito delle parole derivate con
suffisso zero: esse sembrano in regresso in italiano, a favore della derivazione
con i suffissi “pieni”, quelli che aggiungono una parte più o meno cospicua di
materiale linguistico alla base.
Questi suffissi hanno a loro volta un diverso indice di produttività, cioè sono
più o meno usati nella formazione dei neologismi, le parole nuove che la
lingua italiana conia per “aggiornare” il suo lessico. Se si considera in questo
modo la vitalità dei suffissi, si osserva un altro fenomeno interessante: i
suffissi derivativi più frequentemente usati dall'italiano contemporaneo per
formare parole nuove coincidono con quelli che più spesso gli studenti
sovraestendono nelle loro coniazioni spontanee; d’altra parte se è vero che le
parole derivate con suffisso zero sono in diminuzione in italiano, anche la
scarsa presenza del suffisso zero nei loro errori corrisponde alla produttività
decrescente di questo meccanismo di derivazione nell'italiano
contemporaneo. C’è insomma una curiosa convergenza tra i dati che
emergono dagli errori degli studenti e le tendenze in atto nell'italiano. E' come
dire, in altri termini, che la lingua degli studenti registra meglio di tante
ricerche dove sta andando l'italiano...:.
Ci siamo soffermati a lungo su questi errori di apprendimento perché essi
rivelano meglio di tanti altri come procede l’apprendimento di una lingua.
Esso parte dai dati più evidenti offerti agli apprendenti dagli usi linguistici cui
è esposto e li applica secondo regole che da generali, ispirate dai caratteri più
‘evidenti’ di una lingua, diventano sempre più particolari, di applicazione
sempre più limitata. Se in un certo settore di una lingua ci sono regole in
conflitto tra loro, la tendenza degli apprendenti è di sovraestendere quella che
hanno imparato prima o che per qualche ragione è più presente alla loro
competenza linguistica. Solo l’esposizione agli usi corretti, la correzione
implicita nell’uso di parlanti ‘colti’ serve a mostrare che si è sbagliato:
purché, come abbiamo detto nel primo articolo, la correzione non porti a
‘perdere la faccia’, non sia cioè troppo esposta o umiliante. In questo caso
rischia di essere dimenticata, insieme alla sgradevole esperienza o, peggio, di
andare a costruire un'immagine di sé come di un irrimediabile somaro..
Il tipo di errori di cui ci siamo occupati in questo articolo è particolarmente
adatto a questo scopo, perché permette di mettere in evidenza il processo
‘intelligente’ messo in atto dall’apprendente: se l’errore ha creato una parola
possibile ma inesistente, l’apprendente sarà quindi disposto ad accettare il suo
errore, la sua autostima è meno a rischio e la correzione avrà più possibilità di
essere accolta.
Derivati fraintesi
Prima di abbandonare l'argomento della derivazione, ci sembra opportuno
parlare di un altro fenomeno osservabile nella lingua di apprendenti più o
meno avanzati dell’italiano, che si può ricondurre alle regole di derivazione:
l’attribuzione di significati possibili ma inesistenti a parole derivate realmente
esistenti in italiano. Partiamo, come abbiamo fatto finora, da errori della
prima acquisizione:
geloso viene interpretato da una bambina come "freddoloso, che ha molto
freddo", immaginando che la parola sia derivata da gelo;
mia madre in cucina è ottimista ( ‘fa cose ottime’, ‘è bravissima’);
no, non sono famosa (“non ho fame”);
voglio vedere Gesù crociato (“sulla croce, in croce”);
mamma, io ti ho bucato ("guardata dal buco della serratura").
Guardiamo ora invece questi errori di apprendenti avanzati
indisposizione (“avversione, rifiuto”) alla vita monacale
perciò con decisione e affermazione… ("fermezza") rispose...
ci vuole una smobilitazione (per mobilitazione) unitaria contro il terrorismo
Nel primo caso è chiaro che il significato della parola indisposizione è stato
costruito con i pezzi ‘in’ ("non") e disposizione (nel senso letterale del
derivato e cioè "azione di essere disposto a"). In italiano invece la parola ha
subito uno slittamento dal significato letterale, e ha acquistato quello di
"malessere, malattia lieve". L’apprendente non se ne è reso conto e ha
impiegato la parola -che aveva sentito usare da parlanti esperti- nel suo
significato 'superficiale' per dare una vernice ‘colta’ alla sua prosa…
Ora, se la cosa gli viene fatta notare nei termini che abbiamo suggerito prima,
osservando che l’italiano ha deciso diversamente, ma la parola potrebbe
effettivamente significare quello che lui ha inteso e magari in epoche
precedenti alla nostra le parole da lui coniate erano realmente esistenti (gli
esempi in questo senso potrebbero essere moltissimi, risalenti anche a epoche
non poi tanto lontane: penso per esempio al vocabolario di Riccardo Bacchelli
in cui, tra i molti altri si trova impotente, nel senso di "incapace di intendere"
settarietà per settarismo, ruvidità per ruvidezza, speditivo per spedito) è
probabile che oltre alla correzione entri nella sua competenza di parlante
anche una regola in più: non fidarsi delle apparenze, della superficie
linguistica, ma risalire al significato utilizzando il contesto in cui ha udito
usare la parola. E’ una strategia importantissima, ancora più importante
dell’abitudine a ricorrere al vocabolario, di cui forse avremo occasione di
riparlare.
Prima di chiudere vorrei citare un ultimo esempio di questo tipo, appena
sfornato da un'anziana contadina pugliese. Parlando di un suo conoscente ha
detto che era un maggiore dell'esercito, ma "era stato sgradito perché aveva
rubato..". Interdetta, le ho chiesto di ripetere la parola e finalmente ho capito:
voleva dire che era stato degradato. Un chiaro esempio di errata
interpretazione del significato di una parola sulla base della sua forma, simile
a quelli di cui abbiamo appena parlato (insignificazione, smobilitazione).
Anche se la sua origine non è dovuta a interferenza con il dialetto, ma ad
errata interpretazione di una parola italiana, ne prendiamo spunto per
annunciare l'argomento della prossima puntata, che sarà, appunto, sugli errori
di interferenza.
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