L`Angolo del Fitness

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L’Angolo del Fitness
TRA VOLARE E CADERE: RITROVARE
E MANTENERE LA PEAK PERFORMANCE
Q
(Foto V. Biffani)
uando l’atleta è in flow, è in quello stato di grazia
in cui tutto accade senza sforzo, in cui ci si sente
un tutt’uno con l’azione, spesso si riesce ad andare oltre, a portare la propria performance all’eccellenza. Ma
talvolta nell’atleta, spesso all’improvviso, apparentemente
senza motivi evidenti, si rompe qualcosa, non si è più in
grado di fare quello che prima avveniva fluidamente.
Non riuscire a trovare spiegazioni, errori tecnici, qualcosa di controllabile e quindi di affrontabile, insinua
il dubbio: sulle proprie capacità, sulla reale difficoltà del compito, sulle proprie aspettative di performance futura. E questo può offuscare i propri obiettivi, far calare la motivazione che
spinge ad allenarsi con impegno, far perdere lucidità e fiducia in sé e negli altri.
Può arrivare la paura: di sbagliare, di non
riuscire a essere più quelli di prima, di non
poter recuperare, né di avere ancora margini di miglioramento. L’atleta perde il flow, lo
stato di grazia e con esso l’eccellenza della
performance. In queste situazioni, diviene essenziale esaminare in dettaglio i fattori che
possono essere implicati nel calo di prestazione. Rapidità e precisione sono d’obbligo
per evitare che a difficoltà non ancora chiarite si sommino altri fattori di disturbo. Le caratteristiche e lo stile mentale dell’atleta, oltre
a tutti i fattori personali e ambientali che normalmente favoriscono od ostacolano la sua performance vanno analizzati nel dettaglio: l’atleta va capito, profondamente, e così le sue difficoltà. Questo perché solo attraverso un chiarimento della situazione, sia essa mentale o fisica, o legata a specifici contesti, è possibile riprogrammare e
cercare di far ripristinare all’atleta le condizioni che lo
possono riportare al flow, a riappropriarsi della propria immagine di atleta e, infine, a ritrovare l’eccellenza nella propria performance. Le ipotesi sul perché, dopo una lunga
serie di risultati prestigiosi, si possa perdere il flow sono molteplici ed è impossibile passarle in rassegna. Molte però
partono da un punto: la vittoria. Talvolta percepirsi come
vincente crea nell’atleta aspettative di miglioramento rispetto a uno standard di per sé già elevato: risultano quin-
di irrealistiche, o comunque non raggiungibili se non attraverso una precisa definizione degli obiettivi e dei mezzi
necessari al loro conseguimento. Viceversa, l’atleta può percepirsi come “non ulteriormente migliorabile”, o provare
una sorta di appagamento per quanto già ottenuto, con
un calo dell’aspettativa. Ma le aspettative agiscono su meccanismi legati alla percezione di sé, delle proprie
capacità, della difficoltà
del
compito, e
finiscono per
incidere sulla
prestazione. Il
“non ci riuscirò” diventa un
“non ci sono riuscito”: si tratta
dell’Effetto Pigmalione o “effetto delle profezie che si autoavverano”. In altri casi,
può essere la motivazione ad
avere un ruolo chiave: negli atleti di vertice le motivazioni intrinseche (il piacere nel dare il
massimo) e quelle estrinseche
(vittoria, fama, premi) si intrecciano spesso profondamente.
Talvolta una “striscia positiva”
può spingere un atleta motivato intrinsecamente a cercare nelle competizioni successive maggiori soddisfazioni estrinseche. Ma
quando l’obiettivo di performance “slitta” in un obiettivo di risultato, può cambiare la disposizione mentale alla gara (“battere quell’avversario” vs. “fare una prestazione perfetta”) o l’impegno in allenamento. Così come
i buoni risultati normalmente innescano un aumento dell’autostima e del
di Francesca Borgo
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(Foto Minkus)
senso di autoefficacia, il potere/dovere riconfermarsi (o l’ottenere un risultato mediocre) può far emergere una reazione di paura: questo è spesso il caso dei crolli di prestazione in gara a fronte di allenamenti perfetti. Il circolo “paura-ansia-calo attentivo” non solo influenza la performance,
ma può aumentare la sensibilità dell’atleta alle fonti di interferenza e distrazione, e con queste il rischio di infortunio. La paura, poi, innesca altra paura: dopo un errore, la
paura di rifare quello stesso errore alimenta la paura di fare errori di altro tipo: ciò può compromettere l’esecuzione
di un intero esercizio, o di una serie di prove all’interno di
una competizione, con ovvie conseguenze. Tra i fattori ambientali, vincere comporta maggiore attenzione da parte
dei mass media: aumenta la visibilità, e con essa gli impegni sociali. Questo, così come la necessità di imparare a gestire la propria immagine pubblica, può influenzare pesantemente i ritmi di vita e di allenamento dell’atleta. Ritrovare e mantenere uno standard di performance eccellente
sembra spesso molto più difficile che conseguire il primo
risultato di prestigio. Ripensando alle considerazioni fatte
nello scorso numero sulla relazione tra flow e peak performance, appare fondamentale, all’interno di un programma di preparazione mentale, individuare (1) le cause interne/esterne delle difficoltà esperite dall’atleta e (2) le caratteristiche di flow atleta-specifiche. Di solito, le prime vanno affrontate mediante l’apprendimento di tecniche mentali individualizzate, in base alle necessità e priorità che si
sono individuate nella fase di analisi del problema; inoltre,
per l’atleta imparare le tecniche porta a un miglioramento
dell’autoconsapevolezza rispetto alle proprie risorse, e alla
possibilità di riappropriarsi del controllo dei fattori mentali ed esterni che condizionano la sua prestazione. Rispetto
al secondo punto, il processo di ottimizzazione della performance dopo un crollo di prestazione si fonda sulla possibilità di riattivare lo stato di flow nell’atleta, insegnandogli a richiamare mentalmente tutte le sensazioni, emozioni e pensieri che caratterizzano il suo stato di flow. Lo scopo è uno: imparare a controllare il flow. Questo processo
dipende innanzitutto dal rispetto di alcuni requisiti, sia in
allenamento (con compiti adeguati alle capacità dell’atleta, goal ben definiti e misurabili, feedback immediati) sia in
gara (con una maggiore importanza data agli obiettivi di
prestazione rispetto a quelli di risultato). Fatto questo primo (grosso) passo, normalmente l’atleta è in grado di investire il massimo delle proprie risorse sul compito (che gli
permetterà di sentirsi un “tutt’uno” con l‘azione e di provare il piacere legato al “fare” quell’attività); questo favorisce un aumento della motivazione intrinseca, che lo porterà a ricercare e voler affrontare difficoltà maggiori, con
una rinnovata consapevolezza delle proprie risorse e capacità di controllo su di sé (sul flow!) e sulla situazione. “Rievocare” mentalmente il flow provato nei momenti di peak
performance e “rivivere” tutte le sensazioni ad esso associate, non può che innalzare le aspettative personali. Mantenere eccellente la propria prestazione è un obiettivo percorribile: l’effetto Pigmalione funziona anche in positivo.
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