GENESI DELL’ANFITEATRO D’IVREA Tra 900.000 e 18.000 anni fa, le condizioni climatiche instauratesi sulle nostre regioni furono tali da favorire lo sviluppo ciclico dei ghiacciai. A più riprese le Alpi furono quasi completamente seppellite da una coltre glaciale che nelle valli principali poteva superare i 1000 m di spessore e dalla quale emergevano solo i rilievi più elevati (così come avviene ancor oggi ad esempio in Alaska). I principali ghiacciai del versante meridionale delle Alpi, tra i quali il ghiacciaio balteo, sopravanzarono lo sbocco dalle loro valli spingendosi anche per decine di chilometri nella pianura padano-veneta a formare ampi lobi circondati da un complesso sistema di morene terminali. Il ghiacciaio balteo, un ghiacciaio vallivo composto pedemontano(1), edificò con le m odalità precedentemente illustrate e durante successive pulsazioni le morene laterali e le cerchie concentriche terminali che costituiscono l'attuale Anfiteatro morenico di Ivrea che si colloca al terzo posto in ordine di dimensione e forse al primo per spettacolarità, fra gli anfiteatri morenici del versante meridionale delle Alpi. (1) ghiacciaio vallivo composto pedemontano: quando la convergenza di due o più ghiacciai vallivi forma un unico corpo glaciale che fuoriesce dalla valle per allargarsi nelle vicine aree pianeggianti (da Selby - 1985). A Secondo studi recenti, i depositi glaciali più antichi rintracciabili nell'anfiteatro risalgono a circa un milione di anni fa, i più recenti a 10.000 anni fa. Tra 1.000.000 e 730.000 anni fa, il ghiacciaio si spinse con pulsazioni successive sempre più dentro la pianura padana formando i rilievi biellesi di Torrazzo, Sala Biellese e Zubiena costituenti parte del fianco sinistro dell'anfiteatro e, con ogni probabilità, altri ancora sul fianco destro (attualmente osservabili in lembi a Rueglio) e lungo il fronte glaciale, abbandonandoli con il successivo ritiro. B Tra 730.000 e 130.000 anni fa un'altra avanzata glaciale, superò quella precedente distruggendo gran parte delle morene ad essa correlate e edificando lo straordinario rilievo della Serra (Andrate, Torrazzo, Magnano), le colline di Cavaglià, Moncrivello, Mazzè, Cuceglio, Torre Canavese e Colleretto Giacosa la gran parte cioé, dell' anfiteatro morenico attualmente esistente. Infine, tra 130.000 e 10.000 anni fa una successiva avanzata glaciale edificó e abbandonò i rilievi di Burolo, Albiano, Tina e San Martino Canavese. Fig.11 - Ricostruzione della fronte del ghiacciaio balteo durante la massima espansione (circa 150.000 anni fa) A e la morfologia attuale dell’Anfiteatro morenico di Ivrea B. Sulla destra si riconosce la Serra, in primo piano i Laghi di Candia e Viverone (Disegno G. Susella da AA VV, 1991: La montagna di ghiaccio. Walser Kulturzentrum Gressoney e Issime, Valle d’Aosta, Comitato Glaciologico Italiano -Torino) I MEANDRI ABBANDONATI DELLA DORA BALTEA Fig.14 - Vista dalla Serra di Ivrea su meandri abbandonati. m n d r o m e a a b b a n d o n a t o PUNTO DI OSSERVAZIONE Giunti al punto di osservazione si può scorgere, sulla superficie della pianura interna dell’Anfiteatro, da una finestra di visuale lasciata libera dalla fitta vegetazione che ricopre la Serra, il disegno di un semicerchio messo in evidenza dalla disposizione degli appezzamenti variamente coltivati. Se ci si sposta di poco sulla strada e si spinge lo sguardo oltre il gruppo di case in primo piano (le stesse visibili nella foto di Fig. 14), o verso destra, in direzione di Ivrea, si possono scorgere altri meandri abbandonati (m), sebbene meno evidenti e interrotti da alberi, case e strade, a disegnare ghirigori di vegetazione, come se i contadini della zona si fossero divertiti a far gimcane con i loro trattori. Questi semicerchi sono quanto oggi rimane visibile degli antichi meandri della Dora Baltea progressivamente colmati e quindi abbandonati dalla Dora stessa in tempi successivi al ritiro del ghiacciaio. FERMATA A F. Dora Balte a Fig. 15—Carta schematica delle modificazioni dell’alveo della Dora Baltea ricavata dal confronto della Carta Tecnica Provinciale (1997), del Foglio IGM (1960) e della Carta degli Stati Sardi (1820). Le tracce dei meandri sono state ricavate dalla fotointerpretazione delle foto aeree del volo GAI del 1954, strisciata 8 fotogrammi 7192 e 7193 e strisciata 7 fotogrammi 3271 e 3272. Tutti i corsi d’acqua, nel tempo, tendono a mutare il loro percorso migrando lateralmente e modificando la forma dell’alveo. Tali cambiamenti sono relativamente veloci, nel senso che possono essere apprezzati alla scala della vita umana e subire improvvise accelerazioni in occasione di eventi di piena. Se, ad esempio, con l’aiuto di punti di riferimento fissi sul territorio, si confronta il corso di un fiume attuale con quello riportato dalle carte storiche, le differenze di percorso sono spesso così evidenti da lasciare sorpreso chi non ne sia in qualche modo avvertito. FERMATA A SERRA BOLLENGO DORA B. Fig. 16 - Immagine aerea del settore nord-orientale dell’Anfiteatro morenico con la sua pianura interna compresa tra Serra di Ivrea e Dora Baltea. Le frecce rosse coincidono con gli assi dei principali meandri abbandonati, le tracce dei quali sono evidenti anche ad occhio nudo (da volo GAI del 1954, strisciata 7, fotogramma 3272). Attraverso la fotointerpretazione di fotografie aeree le tracce delle antiche migrazioni del fiume sono visibili nei meandri abbandonati. Queste forme sono riconoscibili anche sul terreno e consentono di raccogliere informazioni preziose sulla dinamica fluviale e sul comportamento idraulico dell’alveo. FERMATA A Sono molti, e spesso di difficile quantificazione, i fattori che influenzano la forma e le modalità di migrazione dell’alveo di un corso d’acqua e sono ancor oggi oggetto di studio le complesse interazioni che si instaurano fra i deflussi e le forme d’alveo nonché l’influenza di queste ultime sull’evoluzione del corso d’acqua nello spazio e nel tempo. Fig. 17 Rappresentazione schematica in pianta e in sezione della modalità di migrazione laterale dell’ansa di un corso d’acqua (da Zaggia, 1989: Sulla morfologia dei corsi d’acqua, CNR Padova, modificato). Il tratto d’alveo disegnato in rosso rappresenta la prima fase di formazione di un’ansa che può accentuarsi evolvendosi come rappresentato nei disegni in blu e in nero. Le frecce indicano l’asse lungo il quale si dispongono nell’alveo i filetti della corrente più veloce; a lato sono riportati i disegni delle sezioni corrispondenti rispettivamente ai tratti A-A’, B-B’ e C-C’. Dal confronto dei disegni in pianta con le rappresentazioni in sezione si intuisce la dinamica di migrazione dell’alveo connessa allo spostamento laterale dell’asse della corrente: si nota cioè, che la zona più profonda dell’alveo (P) è sita in corrispondenza dell’asse della corrente (H) perché da questa generata. Quando il rapporto fra il massimo raggio di curvatura dell’ansa e l’ampiezza d’alveo di un fiume sinuoso raggiunge un certo valore si innesca una inversione della direzione di spostamento dell’ansa, purché le condizioni al contorno lo consentano. Tale situazione è rappresentata dalla sezione C-C’ nella quale l’asse di deflusso veloce (H) ha abbandonato la zona profonda precedentemente generata (P) e si presenta spostato verso l’interno dell’ansa a formare, con il tempo, un’altra zona profonda ed a riempire contemporaneamente la zona profonda abbandonata, invertendo così la direzione di migrazione. SCHEMA DELL’EVOLUZIONE E DELLA MIGRAZIONE LATERALE DELL’ANSA DI UN CORSO D’ACQUA H H P H * * P * PUNTO DI FLESSO La Dora Baltea, nel tratto interno all’Anfiteatro Morenico assume l’aspetto di un fiume ad alveo sinuoso. Un corso d’acqua di questo tipo è caratterizzato da un alveo in cui si alternano zone più o meno profonde. Le zone più profonde si generano a causa dell’erosione fluviale prodotta dai vortici della corrente che sono influenzati, fra gli altri fattori, dalla conformazione e consistenza dei sedimenti in cui l’alveo stesso è inciso. Questi vortici comportano zone di accelerazione e decelerazione della corrente d’acqua alternate in relazione alla sezione d’alveo. Le zone più profonde si situano in prossimità di massima curvatura di un meandro, le zone meno profonde si ritrovano invece in corrispondenza dei punti di flesso del meandro. Il variare della velocità della corrente comporta una diversa capacità di erosione e trasporto dei sedimenti; l’erosione e il trasporto si innescano quindi lungo l’alveo in modo selettivo e non casuale e, nel tempo, danno corpo al fenomeno dell’evoluzione sia dei meandri che dell’intero corso d’acqua. FERMATA A LA SERRA DI IVREA Il primo incontro con la Serra d’Ivrea può avvenire a grande distanza lungo l’autostrada TorinoCourmayeur dove un cartellone segnala la presenza all’orizzonte del maestoso rilievo. A quella distanza la Serra appare come una lunga collina talmente regolare e uniforme che, se non fosse per le dimensioni imponenti, potrebbe sembrare opera dell’uomo e non della natura. Fig.18 - La Serra di Ivrea vista dalla pianura interna all’Anfitetro morenico (punto di osservazione I). Sullo sfondo, l’abitato di Piverone. Lasciata l’autostrada, l’avvicinamento alla Serra è graduale attraverso la pianura interna all’Anfiteatro e se da un lato comporta la perdita della visione del rilievo nel suo complesso dall’altro consente di distinguere altri interessanti particolari. Partendo dalla caratteristica piazza del municipio di Azeglio e percorrendo la pianura, il versante interno della Serra si mostra regolare e continuo, appena addolcito in corrispondenza dell’abitato di Piverone (punto di osservazione I). La Serra in questo tratto è costituita esclusivamente da depositi accumulati durante una fase intermedia di espansione del ghiacciaIo (depositi del “Gruppo della Serra”). Procedendo in direzione nordovest, la base del versante interno della Serra ad un tratto scompare dietro un altro rilievo parallelo, meno elevato, ai piedi del quale sorge l’agglomerato di Bollengo. Ancora più ad ovest, l’abitato di Burolo si inerpica su queste nuove dolci pendici (visibili dai punti di osservazione II e III). Questa seconda collina è costituita dai depositi glaciali abbandonati dal ghiacciaio balteo in ritiro al termine dell’ultima fase glaciale riconosciuta (depositi del “Gruppo Bollengo-Albiano”). La posizione interna all’Anfiteatro della collina di Bollengo, rispetto al rilievo della Serra, consente infatti di considerarla di genesi più recente: si tratta infatti di una collina che si è formata circa 500.000 anni dopo il rilievo della Serra; le pulsazioni ancora successive del ghiacciaio (delle quali però non vi è rimasta testimonianza) non sono state in grado di distruggerla. La pianura tra Azeglio e Bollengo offre l’opportunità di godere del panorama della Serra e del fianco sinistro dell’Anfiteatro. Spostandosi in bicicletta, di cascina in cascina e percorrendo un itinerario ad anello tra i campi coltivati, è possibile osservare, con un po’ di fortuna, anche il volo dell’airone. FERMATA B ...in bici ai piedi della Serra... LA FREISA III ria II 80 le SP MEINA PARISE GOUS LA CARISIA C.NA GORERA C.NA BARBANIA rio er lb ll’a de o MARTINETTO SS COSSAVELLA CAPAN TIVOLERA GIORCHINA AIRONE 80 io vecc hio C.NA GORERA SP navigl C.NA S. ANNA 22 8 C.NA PEZZATA C.NA MANDRIOTA ontile rio p riale fine con del C.NA BANNO C.NA BORUNDO SP 262 LEGENDA C.NA GRANDE POBBIA SP v gia rog PERCORSO CICLABILE na iola 2 26 DIREZIONE PROPOSTA PERCORSO AUTOMOBILISTICO POBBIETTA SP STRADA PROVINCIALE O STATALE 79 I STRADA STERRATA RIO, BIALERA N PARTENZA - ARRIVO LAGO DI CAVA FRAZIONE, CANTONE, CASCINA Fig. 19 – Carta orientativa del percorso ciclabile. 1 Km AZEGLIO PUNTO DI OSSERVAZIONE FERMATE B-C Fig.20 – Il fianco sinistro dell’Anfiteatro morenico tra Burolo e Bollengo. I puntini blu sottolineano il profilo della Serra, quelli rossi la morena più recente del Gruppo Bollengo-Albiano (punti di osservazione II e III). Fig.21 - Schema della sedimentazione dei detriti ai margini del ghiacciaio (da Gianotti, 1996: Bessa paesaggio ed evoluzione geologica delle grandi aurifondine biellesi. Eventi&Progetti Ed., modificato). morena di Bollengo - Albiano in formazione la Serra d’Ivrea detrito ghiacciaio substrato Lo schema vuole dare un’idea del processo geologico che ha portato alla conformazione attuale del fianco sinistro dell’Anfiteatro Morenico, “fotografando” uno stadio intermedio del processo di edificazione. La Serra (contrassegnata con i pallini azzurri) già in posto funge da bastione sul fianco del quale poggiano e si accumulano i detriti abbandonati dal ghiacciaio che hanno iniziato a formare la morena di Bollengo (contrassegnata con i pallini rossi). In questo stadio il ghiacciaio balteo non si è ancora ritirato e quindi il processo di edificazione della morena di Bollengo è ancora in corso. FERMATA C Risalendo la Serra, scollinando e scendendo in direzione dell’abitato di Zimone, una piccola valle si interpone inaspettata tra il cordone morenico più esterno della Serra ed un’altra morena, più antica ed ancora più esterna, edificata nel corso della massima espansione del ghiacciaio balteo di cui si abbia testimonianza (morena appartenente al “Gruppo di San Michele-Borgo”). Si tratta di un segmento di valle intermorenica asciutta dal fondo piatto, una sorta di grondaia naturale, troncata a monte e a valle che, nel corso della formazione dell’anfiteatro morenico, fungeva da scaricatore glaciale consentendo il deflusso delle acque di fusione del ghiacciaio. Fig.22 - Vista da monte della suggestiva vallecola intramorenica tra Zimone e Magnano. Sulla sinistra la morena esterna, sulla destra la Serra. In primo piano: il fondo piatto e un masso erratico parzialmente inglobato nei sedimenti. PUNTO DI OSSERVAZIONE GHIACCIAIO SC AR IC A TO RE MORENA Fig. 23 - Nel disegno i puntini azzurri indicano uno scaricatore glaciale attivo. FERMATA D LA ZONA DEI CINQUE LAGHI DI IVREA Fig. 24 - Vista panoramica dei laghi di Ivrea. Dal sagrato della chiesa di S. Pietro Apostolo di Andrate e dalla strada che collega Andrate a Nomaglio, si gode di una vista particolarmente scenografica dei laghi di Ivrea: il Lago Nero, il Lago Pistono, il Lago Sirio e il Lago Campagna. Rimane nascosto alla vista il Lago San Michele. I laghi sono incastonati in morbidi rilievi verdeggianti di castagni, querce, betulle, ontani e numerose altre essenze. I rilievi e i colori della vegetazione che circondano i laghi sembrano essere stati appositamente creati per dar loro maggiore risalto. I laghi sono ospitati in conche rocciose esarate dal ghiacciaio nel corso dell’ultima pulsazione glaciale. La zona dei laghi è quindi impostata entro quel che resta del bastione roccioso che costituiva l’antica soglia glaciale allo sbocco della valle. PUNTO DI OSSERVAZIONE Quali rocce potevano resistere alla potente azione esaratrice del ghiacciaio balteo? Solo rocce particolarmente "dure" potevano sostenere un’azione di tale portata, dure come quelle che costituiscono appunto il substrato in quest'area. Queste rocce, presenti con continuità appena al di sotto di una sottile coltre di copertura, si possono osservare sporadicamente, in piccoli affioramenti, oppure in dossi isolati che emergono dalla pianura, spesso in modo inaspettato e con forme particolari. FERMATA E Fig. 25 - Vista da valle del dosso che si erge nei pressi di Villa De La Pierre a Biò. PUNTO DI OSSERVAZIONE Una prima visione diretta delle rocce del substrato si può cogliere a Biò, nei pressi di Villa De La Pierre alla base dell’estrema propaggine del versante sinistro della Valle d’Aosta. Si tratta di un dosso subtondeggiante che si erge sulla pianura, come la cappella di un enorme fungo. Filari di vite sorretti da caratteristici tutori in pietra(1) lo avvolgono a spirale sfruttando lo scarso suolo a disposizione. Il dosso è costituito da micascisti eclogitici appartenenti ad un insieme di rocce metamorfiche (2) denominato “Zona Sesia-Lanzo”, (perché affiorante tra la Val Sesia e le valli di Lanzo). I micascisti eclogitici si presentano all’esterno bruno rossicci a tratti ricoperti di scagliette argentee traslucide e brillanti. Difficile da rompere, all’interno sono a grana fine, grigio-verdina, con lamelle di quarzo. (1) detti “Töpiun” dai locali. Fig. 26 - Un campione di micascisto eclogitico. DOSSO (2) Rocce di diversa origine, le caratteristiche e l’aspetto delle quali sono stati trasformati nel tempo da modificate condizioni di temperatura, pressione o dal contatto con fluidi. FERMATA F Salendo sulle pendici del Monte Albagua, a nord ovest del Lago Sirio, a 3,5 km circa di distanza dal dosso di Villa De La Pierre, oltre ad godere di uno stupendo panorama del lago e dei rilievi circostanti si ha modo di camminare su rocce metadioritiche( 1) dall’aspetto massivo, scure in superficie, chiare in frattura, completamente diverse da quelle precedentemente descritte. Esse affiorano sulla sommità del rilievo in plaghe levigate dall’azione del ghiacciaio e rugose sui fianchi. Si tratta di roccia metamorfica appartenente ad un complesso denominato Zona IvreaVerbano. Fig. 27 - Il Lago Sirio dalle pendici del Monte Albagua. (1) Rocce di origine magmatica intrusiva (Vedi scheda Fermata P) grigio scure qui eccezionalmente chiare per abbondanza di plagioclasio e metamorfosate. PUNTO DI OSSERVAZIONE Figg. 28 e 29 - Le metadioriti del Monte Albagua come si presentano sui fianchi (sopra) e sulla sommità levigata (destra). Le rocce che affiorano nella zona dei laghi di Ivrea sono una testimonianza dei complicati processi che hanno portato alla formazione della catena alpina. Il loro studio ha consentito di aggiungere importanti tasselli di conoscenza al difficile puzzle della geologia alpina. FERMATA G 200 milioni di anni fa, l’area dell’attuale sommersa dall’acqua di un ampio mare chiamato continenti di forma diversa da quella attuale, gli trasformati successivamente, e in milioni di anni, Europa e Africa. anfiteatro morenico era Tetide interposto tra due stessi che si sarebbero negli attuali continenti di TETIDE CROSTA CONTINENTALE EUROPEA crosta oceanica crosta continentale superiore O 4 km MANTELLO LITOSFERICO 0 mantello superiore 680±20 km mantello inferiore nucleo esterno 2900 km nucleo interno Fig. 30 - Sezione schematica dell’interno della Terra. CROSTA CONTINENTALE AFRICANA MOHO LITOSFERA 6370 km CROSTA OCEANICA 130 milioni di anni fa, a causa della deriva verso nord-est della zolla litosferica del continente africano, dovuta alla sua caratteristica di galleggiare sul mantello spostandosi per complicati processi fisici che là avvengono, la Tetide si restringe fino a chiudersi nel corso dei successivi 80 milioni di anni. L’avvicinamento delle due zolle è reso possibile dallo sprofondamento della zolla europea al di sotto di quella africana. SEDIMENTI MARINI DELLA TETIDE MOHO MOHO M OH Se da qualsiasi punto della pianeta si perforasse la roccia verticalmente per raggiungere il centro della 0 Terra ci si troverebbe ad attraversare una successione di “strati” a diversa composizione e spessore: la crosta (oceanica o continentale), il mantello superiore con un livello più rigido esterno (che insieme alla crosta forma la litosfera) il mantello inferiore, il nucleo esterno, il nu- 20-25 km cleo interno. Il limite superiore del mantello è chiamato crosta continentale MOHO. Nei pressi d’Ivrea la ricerca geofisica ha scoper- inferiore to che la MOHO si attesta, in modo anomalo, appena a circa 15 km di profondità sebbene la zona di Ivrea sia ubicata all’interno di un continente. Il motivo di tale anomalia è da ricercare nella storia geologica dell’area e in particolare nell’orogenesi alpina (il complesso processo che ha portato al sollevamento delle Alpi e che ha causato la risalita della litosfera verso la superficie). Quando le zolle europea ed africana entrano in collisione, la crosta oceanica si disgrega in cunei, i sedimenti marini e le rocce continentali si deformano in scaglie che si piegano e si accavallano. Nel corso dei successivi 30 milioni di anni, l’intero complesso di cunei, scaglie accavallate e piegate si innalza a causa della compensazione isostatica favorita dal rallentamento dell’avvicinamento delle zolle, formando così la catena alpina. MOHO MOHO FERMATA G Nella zona dei laghi di Ivrea gli accavallamenti e le deformazioni dovuti alla collisione delle zolle europea ed africana sono resi più comprensibili, e in qualche modo visibili, dall’affioramento in contatto, e nel raggio di pochi chilometri, di litotipi molto differenti fra loro per genesi ed età. Le rocce policrome di origine sedimentaria e vulcanica della chiesa di San Rocco a Montalto Dora, di seguito descritte, quelle metamorfiche di Villa De La Pierre e del Monte Albagua sono “frammenti” di zolla africana originatisi in tempi differenti, a profondità diverse e a seguito di molteplici processi chimicofisici, dislocati e posti a contatto nel corso della formazione della catena alpina. Dal sagrato della chiesetta di San Rocco a Montalto Dora, si può ammirare il castello che sovrasta il paese ed osservare rocce variamente colorate molto diverse da quelle finora descritte. L’insieme policromo appare curioso e, unito al castello, conferisce alla zona un aspetto fiabesco. Il sagrato della chiesa è riparato da uno sperone roccioso verdastro costituito da rocce di origine sedimentaria (meta arenarie e metaconglomerati); se si risale lo sperone, a contatto con le metaarenarie, spiccano inaspettatamente delle rocce biancastre (dolomie). Raggiunta la sommità, se si sposta l’attenzione sul panorama circostante, si possono scorgere ammassi rocciosi rossi-violacei (vulcaniti) che interrompono in modo vistoso la continuità delle arenarie verdi vicine. Fig. 31 - La chiesetta di San Rocco vista dall’alto dello sperone; in primo piano il contatto litologico sottolineato dal puntinato rosso. PUNTO DI OSSERVAZIONE Fig. 32 - Particolare del contatto tra le dolomie biancastre e le arenarie verdi. FERMATA H Percorrendo i numerosi sentieri che si inoltrano nei boschi che circondano i laghi di Ivrea, tra il Lago Sirio e il Lago Pistono si raggiunge un settore di bosco caratterizzato da un singolare fenomeno: saltando a piè pari, il terreno è così elastico che rimbalza facendo oscillare all’unisono le piante circostanti. Questo luogo, conosciuto come ”le terre ballerine”, è in realtà una torbiera che occupa un lembo dello scomparso Lago Coniglio prosciugato artificialmente per lo sfruttamento della torba. La torbiera, ormai quasi completamente mimetizzata dalla vegetazione, all’inizio del secolo scorso era infatti coltivata quale combustibile per le industrie siderurgiche della vicina Pont Saint Martin. Fig. 33 - Le terre ballerine Fig. 34 - La torba La torbiera è un fondo di lago o di palude dove si accumulano ammassi vegetali che, decomponendosi parzialmente per mezzo di batteri in ambiente anaerobico(1), subiscono un lento processo di carbonizzazione, dando luogo alla torba. La torba è un aggregato di color bruno-nerastro, spugnoso, poco coerente, imbevuto di acqua che dopo l’essicazione può essere utilizzato come combustibile o come migliorativo delle proprietà assorbenti del terreno di coltura. PUNTO DI OSSERVAZIONE (1)L’ambiente anaerobico è un ambiente privo di ossigeno. FERMATA I IL MONTE NERO PUNTO DI OSSERVAZIONE Fig. 35 - Vista da ovest della sommità rocciosa del Monte Nero con le chiome verde scuro di alcuni esemplari di Pinus nigra. Poco a monte di Ivrea si erge il rilievo isolato del Monte Nero, un grande dosso montonato caratterizzato dal profilo a “dorso di cetaceo”. Il Monte Nero rappresenta uno degli esempi meglio conservati del modellamento esercitato dal ghiacciaio balteo sui gabbri del substrato roccioso nella zona di Ivrea. Il dosso presenta una sommità arrotondata e, visto dall’alto, disegna una grande ellisse con l’asse maggiore disposto nord – sud coerentemente con la direzione di scorrimento del ghiacciaio. Dalla cima del Monte Nero si gode di uno splendido panorama a 360° su Serra di Ivrea, Castello di Montaldo Dora, Laghi Sirio e San Michele, città di Ivrea. FERMATA L Fig. 36 - Masso erratico granitico sul dosso montonato del Monte Nero. Fig. 37 - Esemplari di pino nero. Gironzolando sulla sommità del Monte Nero, l’attenzione è attirata da un blocco di roccia di colorazione molto più chiara rispetto a quella bruno rossiccia della superficie su cui si cammina. Il contrasto cromatico si spiega con la diversa natura litologica del blocco roccioso (granito) rispetto a quella del dosso che lo sostiene (gabbro). Poiché nella zona non affiorano graniti, come si spiega la presenza di questo blocco? Si tratta di un “masso erratico”, cioè di un frammento roccioso trasportato dal ghiacciaio e da questo abbandonato lontano dal luogo di origine al momento della fusione. Per avere un’idea della distanza minima percorsa dal blocco (ma potrebbe aver percorso molta più strada), si pensi che le rocce granitiche più prossime al Monte Nero affiorano nei pressi di Biò a circa 4 km di distanza. Fig. 38 - Particolare della superficie alterata del masso erratico. Il Monte Nero serba altre sorprese: sulle sue pendici vegetano alcuni esemplari di pino nero (Pinus nigra Arnold) e altre specie vegetali quali la betulla (Betula pendula Roth.) e la roverella (Quercus pubescens Willd.) mentre nel piano arbustivo sono presenti la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius L.) e il brugo (Calluna vulgaris (L.) Hull.). Queste essenze costituiscono un’associazione vegetale termofila e xerofila in quanto amante di ambienti caratterizzati da condizioni microclimatiche di temperatura elevata e basso tenore di umidità. I suoli superficiali, che hanno ridotta capacità di trattenere scorte idriche, e gli affioramenti rocciosi che si riscaldano rapidamente in seguito all’irraggiamento solare, favoriscono la creazione di questo particolare microhabitat. FERMATA L Il pino nero è originario dell’estremità sud-orientale dell'Europa e dell'Asia Minore; in Italia è stato introdotto per i rimboschimenti e in seguito si è naturalizzato. Resiste e prospera anche sul Monte Nero in quanto specie che cresce bene e rapidamente sulla roccia sufficientemente fessurata e nella terra vegetale. A questo proposito si può osservare come la rinnovazione di questa specie sia particolarmente attiva: sono infatti presenti, attorno alla pianta madre di maggiori dimensioni alcuni giovani esemplari nati per disseminazione. Il pino nero è una pianta appartenente al piano montano e quindi nelle stazioni di pianura risulta più debole e perciò particolarmente soggetta agli attacchi di patogeni quali ad esempio quelli della Processionaria della quale possono essere osservati i nidi sericei biancastri posizionati sui rami. Fig. 39 - Nido di Processionaria che infesta un esemplare di Pinus Nigra sul Monte Nero. La Proce ssionari a (Thaumetopoea pityocampa) è un lepidottero defogliatore che, nello stadio larvale, si nutre degli aghi di pino scheletrizzandoli. Le larve sono ricoperte di peli urticanti che, a seguito di contatto diretto o in conseguenza a dispersione, possono innescare reazioni epidermiche e allergiche. Fig. 40 - Larva di Processonaria. FERMATA L Una particolarità floristica del Monte Nero è rappresentata dall’Opuntia compressa (Salisb.) detta anche “fico d’India nano”. Si tratta di un vero e proprio cactus in miniatura, importato dagli altopiani desertici del Messico nel 1500 per scopi ornamentali. La specie si è naturalizzata rapidamente in stazioni rupestri aride ed esposte al calore solare e ritrova sulla sommità del Monte Nero le microcondizioni ambientali simili a quelle desertiche (calore e aridità) originarie. Infatti è una pianta succulenta caratterizzata da un fusto carnoso appiattito e verdastro per la presenza della clorofilla e dalle foglie ridotte a spine molto sottili (tipico adattamento vegetale agli ambienti desertici). La resistenza della specie a brevi gelate ne ha permesso la diffusione in diversi particolari siti dell’anfiteatro morenico. Fig. 41 - Il fico d’India nano sul Monte Nero. A sinistra: i fiori ermafroditi; sotto: i piccoli frutti rossi. Sia alla sommità che lungo i fianchi del Monte Nero, sono presenti nel piano arbustivo la ginestra dei carbonai (Cytisus scoparius L.) e il brugo (Calluna vulgaris (L.) Hull.). Il brugo è un cespuglietto sempreverde molto ramoso e con i rami tortuosi. I fiori, generalmente rosei, formano infiorescenze alla sommità dei fusti e dei rami. Fiorisce da agosto a ottobre. Fig. 42- Fusto di brugo. Il nome calluna proviene da una parola greca che significa "spazzolare": infatti i fusti del brugo venivano spesso in passato legati assieme per farne spazzole o scope, oppure intrecciati per farne ceste. FERMATA L IL LAGO DI MEUGLIANO Fig. 45 - Vista del Lago di Meugliano dal casotto di pesca. PUNTO DI OSSERVAZIONE Il Lago di Meugliano è un piccolo lago intermorenico, situato cioè in una depressione circondata completamente da rilievi morenici. In occasione del ritiro glaciale, questa particolare conformazione ha favorito la raccolta delle acque di fusione. Nel tempo, la presenza di sedimenti a granulometria fine, frequentemente rinvenibile nei depositi glaciali, ha fatto sì che le acque non si disperdessero completamente per filtrazione attraverso le pareti della conca ospitante, bensì si raccogliessero e potessero essere parzialmente ricambiate ed alimentate dagli apporti meteorici e dal ruscellamento superficiale. LAGO DI MEUGLIANO STAGNO FERMATA M IL LAGO DI MEUGLIANO Il Lago di Meugliano (•) è separato da un debole rilievo da un altro piccolissimo stagno in stato avanzato di interrimento. Se si raggiunge un punto sufficientemente elevato favorevole alla visione contemporanea dei due specchi d’acqua, si può osservare come la superficie del Lago di Meugliano sia posta visibilmente ad una quota inferiore rispetto a quella dello stagno ad indicare intuitivamente l’isolamento idraulico delle due conche lacustri. Fig. 46 - Vista delle due conche lacustri separate da un cordone morenico. Le sponde del Lago di Meugliano sono coperte da una fitta boscaglia; se lo si circumnaviga passeggiando lungo le rive, si possono osservare da vicino numerose essenze vegetali appositamente piantate con l’intento di arricchire la vegetazione locale e di fornire spunti di interesse. Il confronto con una immagine scattata attorno al 1930 rivela, inaspettatamente, un ambiente completamente spoglio di vegetazione d’alto fusto tale da consentire la vista di un masso erratico isolato sulla sponda meridionale del lago. Oggi, lo stesso masso quasi scompare tra la vegetazione. Fig. 47 - Il Lago di Meugliano negli anni ‘30 del secolo scorso (sopra) ed oggi (sotto). La freccia rossa indica un grande masso erratico mascherato oggi dalla vegetazione. Foto storica tratta da Sacco, 1934: Le Alpi, TCI Milano). FERMATA M I DINTORNI DEL LAGO DI MEUGLIANO I sentieri che percorrono i boschi nei dintorni del Lago di Meugliano offrono l’occasione di brevi passeggiate e diversi spunti d’interesse. E’ possibile, per esempio, rinvenire ciottoli levigati e striati (graffiati); essi rappresentano il prodotto dell’abrasione operata dal fondo roccioso sui ciottoli inglobati nel ghiaccio che assumono così la classica forma “a ferro da stiro”. Oppure percorrere una vallecola immersa in un bosco di castagni disseminata di massi erratici, seminascosti dalla vegetazione e disomogenei dal punto di litologico. C B F B A D E Fig. 48 - Ciottolo serpentinitico “a ferro da stiro” rinvenuto nei pressi del lago; sulla superficie superiore si possono notare le strie di abrasione (la freccia rossa ne segnala uno particolarmente visibile). A STAGNO C B D A F E B B B D PUNTO DI OSSERVAZIONE Fig. 49 - Schema della morfologia del ciottolo striato “a ferro da stiro” (da Foster Flint, 1971: Glacial Quaternary Geology, John Wiley & Sons, Inc. Canada). FERMATA N LAGO DI MEUGLIANO Fig. 50 - Masso erratico al margine della strada che conduce al lago. PUNTO DI OSSERVAZIONE Fig. 52 - Il masso inciso da una scultrice (della quale non si legge più il nome) e da Francesco Gioana, maestri di Alice Superiore con raffigurato lo stemma di Alice Superiore. Fig. 51 - Sequenza di massi erratici all’ombra dei castagni. O, ancora, imbattersi in un masso erratico che si differenzia dagli altri per un curioso graffito scolpito da moderni incisori. FERMATA O LA CATTURA DEL CHIUSELLA SE DORA BALTEA ORCO NW Fig. 53 - Vista panoramica dalla Torre Cives. I pallini rossi indicano l’attuale corso del Chiusella, i pallini blu l’originario andamento del corso d’acqua. PUNTO DI OSSERVAZIONE Dalla suggestiva Torre Cives, mastio del XII secolo, si gode di un ampio panorama che spazia dal lago della diga di Gurzia a sinistra, ai Monti Pelati a destra. Il luogo è particolarmente favorevole per farsi un’idea del complesso processo di modellamento che ha generato l’attuale conformazione del territorio. L’attuale conformazione è infatti molto articolata e caratterizzata dalla profonda forra incisa dal Chiusella a valle della diga di Gurzia e dalla marcata ansa a gomito che questo corso d’acqua disegna prima di confluire, ad est, nella Dora Baltea. Sebbene possa essere difficile da immaginare, circa 150.000 anni fa, il paesaggio doveva essere molto diverso: lo studio geomorfologico del versante destro dell’Anfiteatro Morenico infatti ha portato gli esperti a ritenere che, a seguito di un fenomeno di “cattura”, il Chiusella scorresse allora verso sud-ovest in direzione dell’Orco, nel quale poi confluiva. FERMATA P IL LAGO DELLA DIGA DI GURZIA LA FORRA DEL CHIUSELLA L’ABITATO DI VIDRACCO TORRE CIVES NE CHIUSELL A L’ANTICO CORSO DEL CHIUSELLA L’ABITATO DI BALDISSERO SW I MONTI PELATI Rappresentazione tridimensionale a cura di: M. Muti (CSI Piemonte). Fig. 54 - Rappresentazione tridimensionale del settore di cattura del Torrente Chiusella con angolo visuale da sud ovest verso nord est. La forra creata dal Chiusella, insieme alle profonde incisioni scavate più a sud dai rii Boriana e Ruglio, nel fianco dell’Anfiteatro, sono l’effetto dell’intensa erosione operata su di un settore montuoso sottoposto ad un lento fenomeno di sollevamento nei confronti della pianura, avvenuto prima dell’ultima pulsazione glaciale. Infatti, l’aumento del dislivello e quindi della ripidità dei versanti, comportò l’incremento dell’energia cinetica dei corsi d’acqua del settore in sollevamento e quindi un aumento della loro capacità erosiva. FERMATA P L’aumento della capacità erosiva, oltre ad incrementare e rendere più veloce l’approfondirsi delle incisioni comportò l’innescarsi di un fenomeno conosciuto come arretramento delle testate dei corsi d’acqua per erosione regressiva; cioè lo spostarsi sempre più verso monte dell’azione erosiva stessa(1). Questo fenomeno interessò tutti i corsi d’acqua dell’area con velocità di arretramento e approfondimento diverse a seconda del tipo di materiale che l’acqua si trovò a erodere. (1)…” L’approfondimento del letto in un tratto di corso d’acqua fortemente inclinato provoca una diminuzione del dislivello rispetto al tratto immediatamente a valle e l’accentuazione della pendenza nel tratto posto subito a monte. In tal caso l’erosione si propaga verso monte, mentre a valle, un po’ alla volta, si costituisce un alveo a minor pendenza non soggetto a erosione.” (da Castiglioni,1998: Geomorfologia , Utet Torino). A 3 2 1 Fig. 55 - Schema della propagazione dell’erosione verso monte: erosione fluviale regressiva (da Castiglioni,1998: Geomorfologia, Utet Torino, modif.). B C Fig. 56 - Le fasi della cattura del Chiusella. A il Chiusella scorre in direzione dell’Orco (tratteggio rosso), un corso d’acqua indipendente scorre nell’attuale alveo del Chiusella (tratteggio blu). B l’erosione regressiva ha notevolmente ridotto la distanza fra i due corsi d’acqua. C la cattura è avvenuta e il Chiusella scorre nell’alveo del corso d’acqua una volta indipendente. Antecedentemente al fenomeno di cattura, a valle dell’ampia ansa a gomito e in corrispondenza dell’attuale corso del Chiusella, un altro corso d’acqua indipendente scorreva in direzione della Dora Baltea (A). A causa dell’erosione regressiva la testata di questo corso d’acqua, approfondendosi e arretrando a mano a mano in direzione nord ovest andò a intercettare l’antico corso del Chiusella (B) “catturando” quest’ultimo nel proprio alveo e deviandolo definitivamente in direzione della Dora (C). FERMATA P La cattura del Chiusella, con ogni probabilità, fu facilitata dal fatto che l’azione regressiva dell’erosione, innescatasi lungo il corso d’acqua indipendente risultò più veloce ed efficace di quella innescatasi lungo l’originario corso del Chiusella a causa della minore erodibilità delle rocce da attraversare: le dure peridotiti dei Monti Pelati. Fig. 57 - Le peridotiti verdi bluastre di Torre Cives. Le peridotiti dei Monti Pelati, sono un raro caso, almeno nel territorio piemontese, di affioramento di rocce formatesi nel mantello, cioè al di sotto della crosta continentale della zolla africana, spinte in superficie durante la collisione continentale (al proposito si veda la fig. 30 e la scheda relativa alla fermata G). Le peridotiti sono rocce magmatiche intrusive(1) dalla colorazione verde bluastra con venature biancastre che danno luogo in superficie a terreni di per sé poco favorevoli alla copertura vegetale. Da Torre Cives i Monti Pelati spiccano infatti per l’aspetto brullo, arido, quasi lunare della loro superficie, così suggestivo e diverso, anche per la presenza di specie animali che normalmente occupano habitat molto differenti. Per queste peculiarità la Regione Piemonte, nel 1993, istituì la “Riserva Naturale Speciale dei Monti Pelati e di Torre Cives”. (1) Le rocce magmatiche intrusive sono rocce che si solidificano lentamente per cristallizzazione del magma allo stato fuso, a grandi profondità e a grandi pressioni. Fig. 58 - I Monti Pelati visti da Torre Cives. FERMATA P IL LAGO DELLA DIGA DI GURZIA Fig. 59 - Vista panoramica da Torre Cives del lago artificiale generato della diga di Gurzia (in primo piano sulla destra, in stagione di magra). Il lago della diga di Gurzia è un bacino artificiale di circa 1 milione di mc che si è formato a seguito della costruzione di una diga di ritenuta, realizzata tra il 1922 e il 1925, a servizio della vicina centrale di Ponte Preti. Il lago è alimentato dalle acque del Chiusella ed è confinato, in sponda destra, da un versante formato dalle rocce peridotitiche precedentemente descritte e, in sponda sinistra, da una morena costituita da depositi glaciali molto compatti che ricopre la roccia sottostante fino a 10 m sotto il livello di massimo invaso della diga (427,50 m sul livello del mare). La diga, in calcestruzzo armato, fondata su roccia in corrispondenza di una stretta della valle, è a volta a curvatura semplice ed è impostata a destra su roccia e a sinistra su una spalla in muratura che funziona per gravità. Fig. 60 - La diga di Gurzia in una immagine del 1961. La cascata lascia presumere che il livello d’invaso del lago fosse molto alto (da: AA.VV, 1961: Le dighe di ritenuta degli impianti idroelettrici italiani. Anidel). FERMATA P La spalla sinistra della diga è adibita a sfiorare le acque del bacino quando è necessario ridurre il livello del lago. Lo sfioro dà origine, in occasione di troppo pieno, a spettacolari cascate. Il materiale necessario alla costruzione della diga fu ottenuto per frantumazione di rocce cavate in prossimità del sito e trasportato tramite vagoncini direttamente nel cantiere. I resti di un frantoio dell’epoca si possono osservare lungo la strada che collega Vidracco a Baldissero. Fig. 61 - Le tramogge del vecchio frantoio lungo la strada che collega Vidracco a Baldissero. Fig. 62 - Il masso erratico quarzitico del mulino. PUNTO DI OSSERVAZIONE Partendo dal frantoio è possibile costeggiare la sponda destra del lago utilizzando un sentiero attrezzato in allestimento (2004), e raggiungere un grande masso erratico bianco deposto nel bel mezzo di un prato. Nei pressi sorge un caratteristico vecchio mulino, in corso di restauro (2004), destinato ad ospitare un ecomuseo dell’acqua. La colorazione chiara e uniforme del masso è tipica della quarzite che lo costituisce, roccia a prevalente componente di quarzo, molto dura e poco alterabile, assente negli immediati dintorni, a testimonianza, ancora una volta, della grande capacità di trasporto del ghiacciaio. FERMATA Q L’INCISIONE DEL RIO BORIANA Fig. 63 – Le sponde del Rio Boriana incise in limi sabbioso-argillosi giallo ocra. Fig. 64 – Particolare dei limi sabbioso argillosi. Risalendo il Rio Boriana fino quasi alla testata è possibile toccare con mano gli effetti del sollevamento del fianco destro dell’Anfiteatro Morenico, avvenuto prima dell’ultima pulsazione glaciale, e del contemporaneo approfondimento per erosione dei corsi d’acqua coinvolti nel fenomeno. Le acque del rio infatti dopo aver attraversato i depositi glaciali superiori, approfondendosi per alcune decine di metri, hanno iniziato a scavare i limi sabbioso debolmente argillosi sottostanti antichi un milione e mezzo di anni. La colorazione intensa giallo ocra di questi materiali a granulometria fine dona all’ambiente di fondoalveo una particolare suggestione e consente anche all’occhio meno esperto di individuare il contatto con i depositi soprastanti. PUNTO DI OSSERVAZIONE FERMATA R I limi sabbiosi giallo-ocra costituiscono il livello di base sul quale il ghiacciaio balteo ha edificato l’Anfiteatro Morenico d’Ivrea; l’incisione del Rio Boriana offre quindi la rara occasione di “gettare uno sguardo” all’interno degli imponenti depositi glaciali che costituiscono in Se si prosegue la passeggiata lungo l’alveo, è possibile scorgere qua e là, nell’acqua e sulle rive, plaghe di limi grigio marroncini inglobanti piccoli clasti e ciottoli di dimensioni centimetriche. Fig. 65 - A sinistra, un piccolo lembo residuale di deposito glaciale di fondo. L’aspetto più strano di questi depositi e che appaiono completamente diversi da quelli circostanti; sono non stratificati e particolarmente difficili da incidere con una punta. Si tratta di lembi residuali del deposito glaciale di fondo, quel deposito, ricco di frazione fine, che il ghiacciaio forma direttamente alla base e abbandona molto addensato perché sottoposto al suo grande peso. I clasti inglobati sono qui di diversa misura, spigolosi, disposti casualmente e qualcuno si presenta persino striato o “a ferro da stiro” (si veda al proposito le schede relative alla fermata N). Questi depositi giacciono al di sopra dei limi sabbiosi giallo ocra precedentemente descritti e si sono conservati in modo discontinuo evidentemente a causa di episodi erosionali successivi alla loro deposizione. Lungo la sponda destra, immediatamente al di sopra dei limi, l’azione erosiva dell’acqua del rio ha liberato alla vista altri depositi dalle caratteristiche molto differenti. Si tratta di depositi fluvioglaciali costituiti per la maggior parte da ciottoli centimetrico— decimetrico privi di spigoli, tondeggianti o discoidali, inglobati in poca sabbia mediogrossolana. Fig. 66 – I depositi fluvioglaciali costituiti da ciottoli arrotondati in scarsa sabbia medio grossolana soprastanti i limi sabbiosi . Al loro interno si scorgono livelli alterati riconoscibili per le colorazioni giallo-brune connessi a cambiamenti chimico-fisici indotti dall’acqua che si infiltra nel sottosuolo successivamente alla loro deposizione. Nel piccolo riquadro è messa in evidenza la disposizione embricata dei ciottoli. FERMATA R Una sguardo più attento rivela: i ciottoli, sostanzialmente omogenei nella forma e nelle dimensioni, sono di diversi litotipi ad indicare la loro provenienza da un’area sufficientemente ampia da racchiudere molti tipi differenti di rocce; i ciottoli sono organizzati in strati e talvolta “embricati” cioè disposti in fila e leggermente inclinati in modo da appoggiarsi uno sull’altro. Queste caratteristiche indicano che la loro deposizione è avvenuta per mezzo di una corrente d’acqua torrentizia sufficientemente forte da trasportali per un lungo tratto, da smussarli e da depositarli in modo regolare e ordinato, ma non più adeguata, in questa area, al trasporto e alla deposizione di grandi elementi lapidei. Al momento di formazione di questi depositi, la principale fonte di materiale, il ghiacciaio, doveva quindi essersi già ritirato e trovarsi molto distante ad alimentare, con le sue acque di fusione, i torrenti glaciali. L’aspetto di questi depositi ricalca quindi quello che normalmente assumono i depositi alluvionali, cioè i depositi connessi all’attività fluviale. Proseguendo la passeggiata e volgendo l’attenzione alla sponda destra, i depositi costituiscono una imponente parete subverticale alta circa 30 m che consente di farsi un’idea delle dimensioni del fenomeno di deposizione fluvioglaciale. E’ come avere di fronte uno spaccato di un ampio fondovalle fluviale completamente riempito dai depositi dal fiume stesso nel corso di oltre un milione di anni. Una osservazione più attenta della parete consente di notare alcune forme deposizionali che danno informazioni sulla dinamica dell’antico corso d’acqua. Fig. 67– La parete subverticale formata dai depositi fluvioglaciali. Nell’ingrandimento i livelli sabbiosi alla base della parete. Alla base della parete infatti si possono scorgere stratificazioni incrociate con lenti sabbiose che poggiano su livelli più grossolani a stratificazione piano parallela. FERMATA R La diversa orientazione degli strati e la diversa dimensione del materiale che li costituisce (ciottoli prevalenti o sabbie prevalenti) sono connessi a condizioni di deposizione differenti che possono presentarsi contemporaneamente in zone contigue o, in corrispondenza degli stessi punti, in tempi diversi. L’aspetto complessivo dello spaccato naturale è quello dovuto alla deposizione di un torrente che migrando lateralmente dava origine a barre (isole fluviali) ghiaiose in continua trasformazione (al proposito si vedano le schede della fermata A) . Fig. 68 – Particolare dei depositi fluvioglaciali a stratificazione incrociata: le righe tratteggiate gialle mettono in evidenza gli strati piano paralleli, quelle blu la stratificazione obliqua. Il deposito fluvioglaciale non solo registra le diverse condizioni deposizionali sotto le quali si è formato ma riporta anche le tracce di eventi naturali successivi. Relativamente a ciò la parete mostra una lunga frattura verticale che si è aperta perpendicolarmente alla parete stessa e che si è riempita di sedimenti fini giallastri nel corso stesso della sua graduale apertura . Il fatto che la frattura con il suo riempimento intersechi senza soluzione di continuità le diverse strutture deposizionali dimostra che la sua formazione è avvenuta dopo la costituzione del deposito. Il fatto che sia possibile riconoscere tali strutture da una parte all’altra della frattura stessa in posizione raccordabile dimostra che la frattura, aprendosi, si è limitata ad allontanare i due lembi separati del deposito senza comportare loro spostamenti reciproci verso il basso o verso l’alto. LA FRATTURA RIEMPITA Fig. 69 – La frattura che taglia gran parte del deposito fluvioglaciale riempitasi nel corso della sua graduale apertura dei sedimenti fini provenienti dalla superficie e ivi trasportati dall’acqua di infiltrazione o per gravità. FERMATA R LA TORBIERA DI VIALFRE’ Alla torbiera di Vialfrè si accede dall’alto, posizione che consente di spaziare su un’ampia area pianeggiante caratterizzata da suoli molto scuri. Fig. 70 – L’antica torbiera di Vialfrè. ...in bici in cerca di torba... VIALFRE’ PUNTO DI OSSERVAZIONE PARTENZA - ARRIVO Lago del Paulat Fig. 71 – Carta orientativa del percorso ciclabile. PERCORSO CICLABILE DIREZIONE PROPOSTA PERCORSO AUTOMOBILISTICO LEGENDA CANALE DI DRENAGGIO, BIALERA TORBIERA ACQUITRINO CON SIGNIFICATIVO ACCUMULO DI TORBA STRADA PROVINCIALE STRADA STERRATA N SP 55 400 m ABITATO FERMATA S LA TORBIERA DI VIALFRE’ Fig. 72 – Il colore scuro dell’acqua del tondeggiante Lago intramorenico del Paulat. Se con l’immaginazione si sostituisce il suolo scuro dei campi arati con l’acqua ferma di un acquitrino, la visione della campagna si trasforma in quella di un acquitrino circondato da dolci rilevi morenici. Tale doveva essere quest’area prima che i sedimenti arricchiti da organismi vegetali la colmassero trasformandola in torbiera. Una fase intermedia di questo processo si ha al Lago del Paulat dove il colore scuro dell’acqua rivela la presenza di uno strato di torba sul fondo. Anche la torbiera di Vialfrè, come molte altre in Piemonte, fu sfruttata in passato. Il lavoro era svolto manualmente ed era organizzato in piccole squadre composte da quattro o cinque operai: uno scavatore ed un aiutante, che estraevano dei grossi parallelepipedi di torba approfondendo lo scavo fino a raggiungere il fondo, un caricatore-tagliatore che riduceva la torba in pezzi più piccoli, facilitandone così il trasporto e da un paio di trasportatori che trasferivano il materiale estratto in zone apposite dove veniva disposto in cumuli per una iniziale essiccazione. Il lavoro iniziava a febbraio con la rimozione del terriccio superficiale, mentre lo scavo veniva effettuato tra marzo e agosto. Fig. 73 – Il lavoro in torbiera nelle vicinanze di Condove in Val di Susa (da Bertacchi e Piazza, 1941: Condove e la sua montagna. Edizioni L’Impronta, Torino). FERMATA S