Le basi biologiche del comportamento

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APPROFONDIMENTO
Modulo 1
Le basi biologiche
del comportamento
1 Introduzione: l’evoluzione
e la genetica
La psicologia, in quanto scienza, ha come oggetto il comportamento degli uomini,
i loro processi mentali e la loro vita interiore.
I comportamenti umani possono essere relativamente semplici, come quello del bambino che cerca di stare vicino alla madre; o molto complessi, come quelli con cui gli
uomini regolano la propria vita sociale attraverso regole codificate quali le leggi.
I comportamenti sono resi possibili da processi mentali, quali la percezione, la memoria o l’intelligenza e trovano la propria origine nella vita interiore delle persone,
nelle loro emozioni e motivazioni. Un’indagine scientifica sul comportamento non
può però prescindere dalla loro base biologica. Per questi motivi iniziamo questa
unità didattica descrivendo i meccanismi dell’evoluzione e le principali scoperte della w genetica.
L’evoluzione
L’evoluzione è lo sviluppo progressivo di organismi complessi da organismi originari più semplici.
Prima delle teorie evoluzioniste gli scienziati credevano che tutti gli organismi fossero stati creati così come apparivano ai loro occhi. Il naturalista svedese Carlo Linneo
(1707-1778), verso la metà del XVIII secolo, elabora un metodo di classificazione degli esseri viventi in due regni, quello vegetale e quello animale (oggi se ne contano
cinque), seguendo l’idea che le varie w specie, attraverso le generazioni, si conservino uguali a se stesse.
© Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012
genetica
scienza che studia
i meccanismi
dell’ereditarietà
w
specie
popolazioni di individui
simili in grado di
accoppiarsi e dare
origine a prole feconda
w
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1
LE
Gli scienziati ritengono
che alcune specie, come
i batteri, siano derivate
dai procarioti,
organismi dalle cellule
primitive sprovviste di
membrana; altri, come
le piante e gli animali,
dagli eucarioti,
organismi dalle cellule
più complesse,
provviste di
membrana.
unicellulari
composti di una sola
cellula
w
arboricoli
animali o vegetali che
vivono negli alberi
w
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
Alghe
Batteri azzurre Funghi
Alghe
Piante
L’idea di evoluzione casuperiori Protozoi Animali
povolge completamente
questa concezione: dai
primi organismi w unicellulari si sono prodotti esseri viventi sempre più
complessi fino alla specie
umana. Tale sviluppo ha
la forma di un albero genealogico in cui le varie
famiglie dei viventi seguono percorsi evolutivi
diversi e molte specie si
Eucarioti
sono via via estinte. Ciò
che persiste è tuttavia l’origine comune delle varie
Procarioti
specie e l’unità della vita.
Il classico dilemma se sia
nato prima l’uovo o la gallina con il concetto di evoluzione trova una soluzione convincente. In una certa fase evolutiva un animale, di una specie simile all’attuale gallina,
fa nascere un uovo da cui si sviluppa, per un errore genetico, un individuo con caratteristiche relativamente nuove. Gli errori genetici, in genere, danno luogo ad animali “difettosi” che non riescono a sopravvivere. In questo caso, però, l’“errore” si rivela utile
perché le caratteristiche nuove, rispetto a quelle dei suoi simili, lo rendono più adatto
all’ambiente, per cui riesce a riprodursi di più e a diffondere e affermare i suoi caratteri. Certo un solo evento del genere non dà origine a una nuova specie, ma un accumularsi di mutamenti di questo tipo può consolidarsi e dare origine a un nuovo essere vivente che si riproduce solamente con altri che presentano le sue stesse caratteristiche.
Andando indietro nel tempo, per milioni di anni, si vedrebbe che gli antenati della
gallina somigliano sempre meno a questo animale, fino a trovare un essere che non
è più un uccello, bensì un rettile. Infatti è probabile che tutti gli uccelli, galline comprese, discendano da dinosauri w arboricoli di piccole dimensioni. Se potessimo proseguire in questo viaggio nel tempo, dai rettili si arriverebbe agli anfibi, poi ai pesci,
sino a giungere alle prime cellule comparse nella terra oltre 3,5 miliardi di anni fa.
I meccanismi dell’evoluzione
Quali sono i meccanismi che regolano l’evoluzione? L’esempio relativo alla nascita
dell’uovo e della gallina ci fornisce un’idea di tali meccanismi. Vediamoli ora in modo più dettagliato seguendone anche lo sviluppo storico.
Un meccanismo fondamentale che regola l’evoluzione è l’adattamento.
L’adattamento è l’acquisizione da parte di un organismo di caratteristiche tali da
porlo in condizione di essere più idoneo a vivere e riprodursi nel suo ambiente.
nicchia ecologica
il posto occupato da un
organismo biologico
dato dalle sue relazioni
con l’ambiente
circostante
w
2
Secondo il naturalista Jean Baptiste Lamarck (1744-1829) le specie animali non sono
fisse, come riteneva Linneo, ma si trasformano continuamente per adattarsi al loro
ambiente naturale.
Lo studioso illustra queste sue idee con l’esempio delle trasformazioni adattative che
hanno dato origine alle giraffe. Secondo lo studioso, gli antenati di questo animale
avevano il collo corto, in quanto erano abituati a brucare l’erba. La w nicchia ecolo-
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
gica dove vivevano tali antenati offriva però le foglie degli alberi, situate in alto, come cibo particolarmente appetibile. Alcuni di questi animali si sono sforzati di allungare il collo per raggiungerle e cibarsene. I piccoli allungamenti del collo, acquisiti dagli antenati della giraffa durante la loro vita, sono stati trasmessi ai discendenti.
Va specificato che, secondo Lamarck, solo una parte dei discendenti acquisisce tali
caratteri dando origine alle giraffe, la parte restante continua a brucare l’erba originando altre specie di erbivori.
La teoria di Lamarck si basa sull’idea che i caratteri acquisiti da un animale durante
la propria vita possano essere trasmessi ai figli di generazione in generazione. Le
scoperte della genetica dimostrano però che tale concezione è errata.
La selezione naturale
Un notevole progresso nella spiegazione dei meccanismi evolutivi si deve a Charles
Darwin (1809-1882) e all’idea di selezione naturale.
La selezione naturale è l’insieme dei processi che, all’interno di una popolazione
(animale o vegetale), fa sì che gli individui che possiedono le caratteristiche più idonee alla sopravvivenza abbiano più probabilità di riprodursi.
Nella competizione che si compie in natura, per procurarsi le risorse necessarie alla
sopravvivenza e per difendersi dagli attacchi degli altri esseri viventi, gli individui più
favoriti hanno maggiori probabilità di tramandare i loro w caratteri ereditari alle generazioni successive.
Il naturalista Charles Darwin nel 1831 si imbarca sul brigantino Beagle per un viaggio
intorno al mondo che dura cinque anni. Nella pampa osserva i resti fossili di animali
molto diversi da quelli viventi. Nelle isole dell’arcipelago delle Galápagos osserva, invece, le differenze fra le specie affini viventi. Da queste osservazioni nasce l’idea di una
lenta modificazione delle varie specie. Lo scienziato, inoltre, è colpito dalle variazioni presenti negli animali e nelle piante selezionate dagli allevatori e dagli agricoltori e
ha l’idea che un simile meccanismo di selezione possa agire anche in natura.
Lo studioso allora ipotizza che tra gli individui di una popolazione animale di una
certa specie ci sia una competizione per la sopravvivenza. In genere nascono più individui di quanti possono sopravvivere con le risorse limitate dell’ambiente. In tale
competizione soltanto una parte degli individui sopravvive e questo spiega perché gli
animali che vivono in un certo territorio mantengono un numero stabile, nonostante l’alto numero di nascite.
mano
caratteri ereditari
insieme degli aspetti
fisici e comportamentali
trasmessi dai genitori
ai figli
w
omero
radio
ulna
Uomo
Talpa
Leone
Uccello
Gli arti dei vertebrati derivano dalla trasformazione dello stesso tipo di ossa e le ossa corrispondenti
sono dette omologhe.
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LE
paleontologi
scienziati che studiano
i resti organici fossili
w
anatomia
comparata
scienza che studia
e raffronta la forma
e la struttura degli
organismi, sia animali
che vegetali
w
embriologia
scienza che studia lo
sviluppo degli organismi
viventi partendo dalla
fecondazione della
cellula uovo fino
alla formazione
dell’organismo
complesso
w
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
Tutti gli individui appartenenti a una data specie nascono con differenze o varietà al
loro interno (per riprendere l’esempio degli antenati delle giraffe, alcuni nascono con
un collo più lungo). La comparsa di una variazione oppure di un’altra è determinata
dal caso, ma soltanto gli individui che hanno le variazioni più adatte rispetto alle risorse dell’ambiente dove vivono riescono a sopravvivere e a riprodursi: in ciò consiste appunto la selezione naturale.
Non è il singolo individuo che dà origine a una nuova specie, tuttavia i singoli nel loro insieme costituiscono una popolazione e questa nel suo complesso può evolversi
perché, attraverso gli incroci, le variazioni favorevoli si accumulano nelle generazioni successive. Ciò determina un graduale cambiamento della popolazione, che permette, nel tempo, il sorgere di una nuova specie.
Darwin ritiene l’evoluzione un processo graduale che richiede tempi molto lunghi. I
resti trovati dai w paleontologi non sempre però risultano probatori di tale gradualità dell’evoluzione. Infatti, spesso mancano le forme intermedie, i cosiddetti “anelli
mancanti”, che testimoniano il passaggio da una specie a un’altra. Gli studiosi americani Stephen J. Gould (1941-2002) e Niles Eldredge (1943) ipotizzano che in molti
casi tali anelli mancanti non siano mai esistiti in quanto il processo evolutivo è caratterizzato sia da periodi pressoché stabili, sia da improvvisi squilibri che hanno dato
origine, in tempi relativamente brevi, a specie nuove.
Dopo Darwin altri studiosi osservano resti fossili di organismi vissuti in epoche remote che confermano l’universalità di questo fenomeno. Altre prove derivano dall’w anatomia comparata e dall’w embriologia. Come è illustrato dalla finestra 1, Il metodo sperimentale, vi sono anche delle prove sperimentali, per cui oggi tale teoria è ritenuta quasi universalmente un dato di fatto dalla comunità scientifica.
FINESTRA 1
IL METODO SPERIMENTALE
Il metodo sperimentale consiste in
un intervento dello scienziato che
crea le condizioni opportune per
verificare se un certo fenomeno
(denominato variabile indipendente in quanto manipolata dallo
sperimentatore) influisce su un altro (denominato variabile dipendente in quanto è conseguenza
dell’azione svolta dalla variabile
indipendente).
Per realizzare un esperimento vengono scelti due gruppi con caratteristiche analoghe, il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo.
Nel gruppo sperimentale lo scienziato fa agire la variabile indipendente, in quello di controllo non la
fa agire. L’ipotesi è verificata confrontando i diversi risultati ottenuti
4
dal gruppo sperimentale e dal
gruppo di controllo.
In questa finestra riportiamo, come
esempio di tale metodo, un duplice esperimento condotto da Henry
Bernard Davis Kettlewell (19071977), considerato dallo scienziato una prova dei meccanismi della
selezione naturale.
Oggetto della ricerca dello studioso è la geometra betularia, una farfalla notturna che ha l’abitudine di
sostare sul tronco delle betulle, alberi che hanno una corteccia chiara con piccole chiazze scure. Di
questi lepidotteri se ne conoscono
due tipi: il primo con ali chiare
punteggiate di piccoli disegni neri,
il secondo, che è una variante del
primo, presenta ali scure. Prima
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della rivoluzione industriale le betularie con le ali scure erano rarissime; un secolo dopo la rivoluzione
diventano invece nettamente prevalenti e sono chiamate carbonarie.
Lo scienziato è convinto che ciò
sia da mettere in relazione con l’inquinamento atmosferico provocato
dalle industrie: la fuliggine che va
a coprire le cortecce impedisce la
formazione dei licheni e rende
più scuri i tronchi dei boschi di betulle. Così le farfalle chiare diventano facili prede degli uccelli che
se ne cibano, mentre, prima, erano le farfalle scure sui tronchi chiari dei boschi non inquinati a essere maggiormente in pericolo.
Per provare questa ipotesi il naturalista realizza i seguenti esperimenti.
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LE
Sono allevate quantità enormi di
farfalle di entrambe le forme.
Quando le pupe sono pressoché
pronte a dischiudersi, vengono suddivise in due gruppi di ugual numero, composti ciascuno metà di farfalle chiare e metà di farfalle scure.
Nel primo esperimento uno dei
gruppi è introdotto in un bosco delle Midlands, un bosco inquinato,
con i tronchi scuri, dove quasi tutte
le geometra betularia sono carbonaria.
Nel secondo esperimento l’altro
gruppo è introdotto in un bosco del
Dorset, un bosco non inquinato,
con tronchi chiari, dove la carbonaria è rara e la forma tipica è abbondante. Tutte le farfalle introdotte
nei due boschi sono contrassegnate con una macchiolina colorata
sulla faccia inferiore delle ali, per
essere riconoscibili dalla popolazione selvatica locale di farfalle.
I soggetti dei due esperimenti sono
lasciati sugli alberi, non più di un individuo per albero, per un giorno intero. Il giorno successivo, utilizzando
luci notturne, sono catturate le farfalle dei due gruppi utilizzati per l’esperimento, scampate ai predatori. Nel
bosco inquinato le farfalle sopravvissute scure sono circa il doppio delle
sopravvissute chiare. Nel bosco non
inquinato le farfalle sopravvissute
chiare sono circa il doppio delle sopravvissute scure.
Esaminiamo questi esperimenti in
base alle loro caratteristiche metodologiche.
Nel primo esperimento il colore
scuro della corteccia delle betulle
del bosco inquinato costituisce la
variabile indipendente.
Nel secondo esperimento il colore
chiaro della corteccia delle betulle
del bosco non inquinato costituisce
la variabile indipendente.
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BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
In entrambi gli esperimenti, il tasso
di sopravvivenza delle farfalle ai
predatori dell’habitat in cui sono
introdotte costituisce la variabile
dipendente.
L’ipotesi dello sperimentatore è che
le farfalle che riescono a mimetizzarsi sulla corteccia, grazie al colore delle loro ali, sopravvivono in
maggior numero all’azione dei
predatori.
Per verificare tale ipotesi il ricercatore si è servito di due gruppi: il
gruppo sperimentale e il gruppo
di controllo.
Il gruppo sperimentale nel primo
esperimento è costituito dalle farfalle scure.
Il gruppo di controllo nel primo
esperimento è costituito dalle farfalle chiare.
Il gruppo sperimentale nel secondo esperimento è costituito dalle
farfalle chiare.
Il gruppo di controllo nel secondo
esperimento è costituito dalle farfalle scure.
La verifica dell’ipotesi è fatta, in entrambi gli esperimenti, confrontando
il tasso di sopravvivenza ai predatori delle farfalle nel gruppo sperimentale e nel gruppo di controllo. Tale
confronto evidenzia che le capacità
mimetiche delle farfalle influenzano
in modo molto significativo il loro
tasso di sopravvivenza nei rispettivi
ambienti.
Le farfalle che riescono a sopravvivere in maggior numero hanno una
più alta probabilità di trasmettere i
loro caratteri ereditari (capacità mimetiche): in tal modo abbiamo una
conferma sperimentale dei meccanismi della selezione naturale.
Concludiamo con una notazione
positiva: la costante diminuzione
dell’inquinamento nei boschi inglesi ha riportato le betularie con le
ali bianche a prevalere su quelle
con le ali nere.
lepidotteri
ordine di insetti con quattro ali e una
proboscide per succhiare, tra cui si
annoverano le farfalle
w
lichene
vegetale formato dall’associazione di
un’alga con un fungo
w
pupa
forma di passaggio dalla condizione di
larva a quella d’insetto compiuto
w
tasso
rapporto, espresso in termini numerici, tra
due fenomeni in una data unità di tempo
w
Le carbonarie non riescono a mimetizzarsi sulle cortecce chiare e le betularie chiare
sulle cortecce scure.
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
Evoluzione e mutazioni genetiche
Un punto debole della teoria darwiniana, come delle altre teorie dell’evoluzione, era
l’assenza di dati scientifici che spiegassero la comparsa casuale dei nuovi caratteri (variazioni) che danno origine a nuove specie.
Questi dati scientifici sono ora forniti dai progressi della genetica. I genetisti, come
vedremo, hanno scoperto negli ultimi decenni i meccanismi biochimici che sono alla base della trasmissione dei caratteri ereditari.
Studiando il modo in cui avviene tale trasmissione, gli scienziati si sono accorti che,
sia pure in casi molto rari, si verificano delle mutazioni, degli “errori” di copia spontanei, che provocano delle alterazioni di parti più meno piccole del patrimonio genetico che sarà ereditato da un nuovo individuo. Questi perciò nascerà leggermente diverso dai soggetti tipici della sua specie.
In molti casi, specialmente se le mutazioni sono prodotte da agenti esterni quali le radiazioni e i virus, tali cambiamenti sono nocivi per il soggetto, in altri casi invece ne
facilitano l’adattamento all’ambiente. In tale situazione il meccanismo della selezione
naturale favorisce la riproduzione di tali individui e, quindi, una maggiore diffusione
di tali cambiamenti. Dall’accumulo di tali errori “vantaggiosi” si formano le nuove
specie. Vediamo ora più da vicino le scoperte della genetica.
Le leggi di Mendel
L’abate e naturalista boemo Johan Gregor Mendel (1822-1884) compie degli studi
pionieristici sui meccanismi dell’ereditarietà, incrociando migliaia di piante appartenenti a varie specie, utilizzando in particolare alcune varietà di piselli. Mendel e i suoi
contemporanei non conoscono la struttura della cellula che racchiude in sé i segreti
dell’ereditarietà. Per questi motivi le scoperte di Mendel non vengono comprese, nonostante la loro validità.
In base ai risultati ottenuti con gli incroci e basandosi su un calcolo probabilistico, l’abate formula l’ipotesi che, nel trasmettere una data caratteristica, gli esemplari di una
coppia di piante (l’ipotesi si dimostra poi valida anche per gli animali) che s’incrociano siano entrambi portatori di due tipi di caratteri (caratteri che saranno poi chiamati dai biologi geni ). Essi sono il carattere dominante e il carattere recessivo (oggi queste
due forme alternative del gene sono denominati alleli ). Ogni esemplare della coppia
che s’incrocia può perciò presentare: 1. due caratteri dominanti, 2. due caratteri recessivi, 3. un carattere dominante e uno recessivo.
I caratteri dominanti e recessivi sono responsabili di un determinato aspetto, per
esempio il colore degli occhi. Quando il dominante e il recessivo sono presenti insieme, prevale il dominante. Se, a titolo di esempio, denominiamo dominante N il carattere responsabile degli occhi scuri, e recessivo n il carattere responsabile degli occhi
chiari, il carattere dominante N prevale sul carattere recessivo n e determina la presenza nel figlio di occhi scuri. Abbiamo perciò tre leggi che regolano la trasmissione
ereditaria.
La prima legge di Mendel è quella dell’uniformità degli ibridi: se uniamo due esemplari puri, il primo con occhi scuri e portatore di due caratteri dominanti NN e il secondo con occhi chiari e portatore di due caratteri recessivi nn, avremo quattro ibridi Nn Nn Nn Nn, tutti con occhi scuri, in quanto prevale il carattere dominante N.
La seconda legge è quella della disgiunzione dei caratteri: se uniamo i figli ibridi,
le probabilità sono 25% di figli puri NN con occhi scuri, 50% di figli ibridi Nn con
occhi scuri e 25% di figli puri nn con occhi chiari.
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
Caratteri dominanti e recessivi
Prima legge di Mendel
Uniformità degli ibridi della prima generazione.
Seconda legge di Mendel
Disgiunzione dei caratteri alla seconda generazione.
La terza legge è quella della indipendenza dei caratteri: se incrociamo individui
che differiscono per due o più caratteri (colore degli occhi, dei capelli, della pelle, forma del naso ecc.), ognuno di essi si comporta in modo indipendente dagli altri e segue la prima o la seconda legge di Mendel. Va però considerato che vi sono casi in
cui più caratteri si trasmettono in blocco come fossero un solo carattere.
Il DNA e la trasmissione genetica
I risultati ottenuti da Mendel pongono le basi della genetica. Il loro significato diviene però più chiaro quando il progresso tecnologico consente agli scienziati di osservare il nucleo della cellula. Tale nucleo contiene delle strutture denominate cromosomi che si presentano a coppie analoghe, il cui numero, forma e grandezza sono costanti per ogni specie. Nell’uomo tali coppie sono 23, in tutto 46 cromosomi.
I cromosomi sono portatori dei geni che contengono le informazioni necessarie al
funzionamento dell’intero organismo e alla sua riproduzione.
I geni sono segmenti di una molecola straordinariamente lunga, l’acido deossiribonucleico, in sigla DNA, portatore dell’informazione genetica. La molecola del DNA si
struttura in due filamenti omologhi, avvolti a spirale l’uno intorno all’altro. Questi,
nella fase di duplicazione della cellula, si separano come avviene in una cerniera lampo e danno origine, con un processo denominato mitosi, a due cellule con 46 cromosomi identici a quelli della cellula genitrice. La struttura del DNA è stata scoperta dal
fisico e biologo inglese F. Crick (1916-2004) e dal biochimico statunitense J. D. Watson (Chicago, 1928).
Il DNA codifica l’informazione genetica mediante uno speciale alfabeto formato da
quattro basi chimiche: l’adenina, la timina, la citosina e la guanina.
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LE
proteina
combinazione
di amminoacidi presente
negli organismi animali
e vegetali per i quali
è indispensabile
w
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
Queste sostanze funzionano come “lettere” che si dispongono insieme a tre a tre. Le
triplette, che si combinano in innumerevoli modi, forniscono le informazioni che sono alla base della vita. Ciò avviene in modo assai complesso grazie a un altro acido,
denominato RNA (acido ribonucleico), che funge da messaggero tra DNA e i ribosomi,
strutture della cellula che fabbricano le w proteine.
L’organismo adulto non contiene solo le cellule somatiche, con cui si formano i tessuti e gli organi del corpo, ma anche le cellule germinali che, prima della maturità sessuale, si riproducono come le somatiche. Quando l’organismo maturo sessualmente
produce gli spermatozoi nell’uomo e gli ovuli nella donna, lo schema si modifica.
Con un processo complesso denominato meiosi, la cellula germinale si divide in due
cellule speciali denominate gameti. Lo spermatozoo è il gamete maschile e l’ovulo il
gamete femminile. Ognuno di essi contiene solo un elemento delle 23 coppie dei cromosomi presenti nella cellula madre, in tutto, perciò, 23 cromosomi ciascuno. Con la
fecondazione, poi, i gameti maschili e femminili si combinano a caso.
Lo zigote, ossia la cellula uovo fecondata da cui si origina il nuovo individuo, pur
ereditando i caratteri dai genitori, presenta un corredo genetico unico di 46 cromosomi, 23 materni e 23 paterni.
Tale unicità del nuovo individuo è rafforzata dal processo chiamato crossing-over che
comporta un’ulteriore ricombinazione di materiale genetico. Fanno eccezione a queste regole i gemelli, che hanno origine da un unico zigote e che sono geneticamente
identici.
genoma
corredo dei geni
presenti in un
organismo
w
Negli ultimi decenni la genetica ha fatto degli enormi progressi. Mediante computer molto potenti è stato decodificato interamente il w genoma di molti esseri viventi.
Nel 2005 è stato decodificato interamente anche il genoma dell’uomo. Tutto ciò apre
prospettive, un tempo impensabili, per la comprensione dei meccanismi che sono alla base della formazione della vita e fa sperare che presto saremo in grado di diagnosticare e di curare malattie su cui oggi è difficile intervenire (come per esempio il cancro o demenze come il morbo d’Alzheimer). Già oggi, tramite le tecniche dell’ingegneria genetica, vengono isolati singoli tratti del DNA cellulare. Essi sono poi introdotti, dopo averli eventualmente modificati, nel DNA di cellule ospiti. In questo modo, per esempio, è stata prodotta un’insulina sintetica per curare i diabetici. Dalla modificazione di microrganismi geneticamente modificati si ricava anche l’interferone
che è usato per la cura di alcune forme di leucemia e di tumore. Tramite l’ingegneria
genetica è possibile far secernere a mucche o pecore latte contenente particolari proteine da cui ricavare anticoagulanti del sangue. Con la manipolazione delle cellule sono poi prodotti speciali anticorpi utilizzati per riconoscere molte malattie, per test di
gravidanza e per individuare i diversi tipi di sangue.
La genetica del comportamento
La genetica del comportamento studia i rapporti che esistono tra i geni e il comportamento, compreso quello patologico.
Gli individui che appartengono a una stessa specie hanno molti tratti in comune, ma
presentano anche una notevole variabilità di comportamenti che dipende dall’interazione tra i fattori genetici e quelli ambientali.
Alla nascita, tutti i neonati sono dotati di alcuni riflessi che permettono loro di rispondere agli stimoli ambientali e imparano ad adattarsi all’ambiente di vita. Ciono-
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
nostante, sin dai primi giorni di vita, essi si differenziano per una serie di fattori fisici
quali l’altezza, il peso, la muscolatura o il colore degli occhi e dei capelli. Altre differenze riguardano tratti comportamentali, come le fasi di riposo e di attività, la forza
e il ritmo con cui succhiano, la maggiore o minore tendenza a piangere, il tipo e la
frequenza di esplorazione visiva dell’ambiente o il tipo di risposta a situazioni spiacevoli o che generano ansia. Una volta divenuti adulti, tali individui presentano personalità differenti e infine alcuni di loro, in fase precoce o negli anni successivi, possono presentare dei caratteri patologici. Come avviene tutto questo?
La genetica del comportamento cerca le prime risposte a questi interrogativi soprattutto osservando le differenze tra i gemelli monozigoti (identici) e bizigoti (non identici).
schizofrenia
grave disturbo psichico
cartterizzato da
un’alterazione profonda
del rapporto con
la realtà, con gravi
disordini emotivi,
cognitivi e motori
w
I dati ottenuti con questo metodo, anche se abbastanza controversi, hanno confermato l’influenza sia dei fattori ereditari sia dei fattori ambientali, in caratteristiche
generali quali l’intelligenza, ma anche in malattie quali la w schizofrenia.
William Quinn, biologo dell’Università di Princeton, negli USA, per individuare i processi biochimici di natura genetica che regolano l’apprendimento, ha realizzato un
esperimento con i moscerini della frutta. Lo scienziato ha insegnato a questi insetti a
riconoscere il diverso odore piacevole emanato da due tubi di vetro. Uno dei tubi è
però rivestito di filamenti elettrici che producono una scossa. Ai moscerini che sono
in grado di imparare a riconoscere dall’odore il tubo pericoloso viene somministrata
una sostanza mutagena. I loro figli, per lo più, muoiono. I sopravvissuti vengono sottoposti alla prova di apprendimento fino a che si trova qualcuno che, pur reagendo
alla scossa, non è in grado di associare a essa l’odore. Vengono poi confrontati i moscerini “stupidi” con i loro genitori. In tal modo gli scienziati hanno formato cinque
razze di moscerini incapaci di apprendere e hanno individuato in tali specie mutanti
delle alterazioni a livello della biochimica cerebrale.
I progressi della genetica consentono oggi di decodificare le informazioni presenti
nei geni e di stabilire correlazioni tra geni, eventi biochimici a livello dei neuroni e
comportamenti diversi.
Per esempio alcuni scienziati hanno di recente identificato un “marcatore”, ossia hanno descritto la sequenza di informazioni che, a livello di un frammento del DNA, è
responsabile della codificazione del recettore della dopamina, un w neurotrasmettitore che agisce nelle zone del cervello che controllano le sensazioni di piacere (come quelle sessuali e quelle derivate dall’uso di sostanze stupefacenti). Negli individui
dipendenti da alcol o eroina questi marcatori sono presenti in eccesso e hanno alcune particolarità anomale. Va specificato che i geni in sé agiscono sulla biochimica del
cervello e non sui comportamenti, le emozioni e i pensieri.
I fattori biochimici creano delle predisposizioni comportamentali su cui agiscono numerose influenze ambientali.
Queste ultime, a loro volta, agendo sulle emozioni e i pensieri dell’individuo, necessariamente influenzano anche i processi biochimici del suo cervello.
L’influenza dei geni e dell’ambiente è di natura molto complessa. Infatti è abbastanza
raro che un determinato carattere dipenda dall’azione di un solo gene: questo avviene perlopiù per alcune caratteristiche fisiche (per esempio il colore degli occhi) e alcune patologie (come l’emofilia, grave malattia che impedisce la coagulazione del
sangue). Nella maggior parte dei casi i caratteri ereditari dipendono dall’azione combinata di più geni.
L’azione dell’ambiente deriva da fattori generali, determinabili attraverso la ricerca
statistica, come l’istruzione media della famiglia del soggetto studiato, l’attività dei ge-
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neurotrasmettitore
sostanza chimica
prodotta a livello delle
terminazioni nervose
w
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
nitori ecc. Oltre a tali fattori, si ha l’influenza, assai importante, delle relazioni che si
intrecciano tra le varie persone. Così i gemelli monozigoti (con lo stesso patrimonio
genetico), anche se condividono lo stesso ambiente familiare, vivono ognuno relazioni diverse con le varie persone della famiglia.
Per i caratteri complessi (come l’intelligenza o altri fattori della personalità) non è
possibile separare l’azione dell’ambiente da quella dei geni.
I geni predispongono l’azione dell’ambiente e l’ambiente innesca, a sua volta, l’azione
dei geni: abbiamo quindi un processo causale reciproco.
2 L’evoluzione e la struttura
del cervello
La struttura biologica che dirige la complessa “macchina” umana è il sistema nervoso centrale che si suddivide in midollo spinale ed encefalo. L’encefalo è, a sua
volta, composto dal cervello e dal cervelletto.
Il cervello è composto da varie parti, ognuna delle quali con delle funzioni particolari. Tali parti sono il risultato di una lenta evoluzione delle varie specie animali: da
quelle dotate di un sistema nervoso relativamente semplice (per esempio i pesci) fino all’uomo. Il cervello dell’uomo, in un certo senso, comprende e racchiude in sé l’evoluzione del cervello delle altre specie.
Alcune parti del cervello sono molto antiche e presiedono agli istinti primitivi di sopravvivenza (fame, sete, sonno, aggressività, riproduzione). Altre, sviluppatesi in
tempi successivi, permettono la comparsa delle emozioni; la parte più recente è sede di apprendimenti complessi.
In linea generale il volume del cervello varia con le dimensioni dell’animale, per
esempio quello della balena è più voluminoso di quello umano e l’uomo ha un cervello più grande del gatto. Nelle diverse specie animali la complessità del cervello è
individuabile dal rapporto esistente tra la parte più recente del cervello (corteccia cerebrale) e quella più antica (paleoencefalo). Nelle specie più evolute la parte più recente è maggiormente sviluppata e svolge un ruolo più importante rispetto a quelle
meno evolute.
Il cervello è composto da miliardi di cellule nervose che, attraverso complessi processi biochimici, stabiliscono tra loro una rete di comunicazione infinitamente grande.
Analizziamo ora sinteticamente le varie funzioni del midollo spinale e dell’encefalo.
Quest’ultimo si suddivide in midollo allungato, ponte, talamo, cervelletto, formazione reticolare, paleoencefalo e corteccia cerebrale.
n Midollo spinale. È situato nella spina dorsale ed è composto da una serie di segmenti che trasmettono, tramite i nervi, gli impulsi nervosi ai muscoli che governano il movimento degli organi periferici, come le braccia e le gambe. Il midollo spinale, inoltre, riceve dalla pelle del corpo le sensazioni tattili e le sensazioni dolorose che, attraverso il midollo allungato e il talamo, sono trasmesse e smistate alla
parte sinistra o destra del cervello.
n Midollo allungato e ponte. Il midollo allungato è una continuazione del midollo
spinale e, insieme al ponte, è il luogo dove le fibre che trasmettono gli impulsi motori e quelle che trasmettono le sensazioni si incontrano per essere inviate e smi10
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
IL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Paleoencefalo
n È la parte più antica del cervello.
n Si è evoluto da strutture che ritroviamo oggi nel
cervello dei rettili.
n È situato sotto lo strato più interno del cervello.
n È responsabile delle reazioni emotive.
Corteccia cerebrale
n È la parte più esterna e di più recente evoluzione
del cervello.
n La sua forma può essere paragonata al cappello di
un fungo che copre le parti sottostanti.
n È responsabile delle attività mentali più complesse
(azioni volontarie, ricordi, risoluzione di problemi,
decisioni).
Talamo
n È situato sotto la corteccia e a contatto con l’ipotalamo.
n Costituisce una “stazione intermedia” di smistamento delle informazioni che arrivano e che
provengono dalla corteccia cerebrale.
Formazione reticolare
n È situata nella parte profonda
del tronco dell’encefalo.
n È un potente centro che tiene
vigile l’attenzione e regola il
ritmo del sonno e della veglia.
Midollo allungato e ponte
n Il midollo allungato è una continuazione
del midollo spinale.
n Insieme al ponte, è il luogo dove le fibre
che trasmettono gli impulsi motori e quelle
che raccolgono i segnali dell’ambiente
esterno si incontrano per essere inviate e
smistate, attraverso il talamo, al cervello.
n Queste aree esercitano anche un controllo
sulla respirazione, sull’alimentazione (masticazione, deglutizione e salivazione), e sul
funzionamento del cuore.
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Cervelletto
n È situato in prossimità della nuca.
n È responsabile del tono muscolare, dell’equilibrio del corpo e della coordinazione dei movimenti
volontari.
Midollo spinale
n È collocato all’interno della spina dorsale.
n Costituisce la “via di conduzione” degli impulsi
sensori e motori.
n È composto da una serie di segmenti che trasmettono, tramite i nervi, gli impulsi nervosi ai muscoli
che governano il movimento degli organi periferici, come le braccia e le gambe.
n Inoltre, riceve dai recettori sensoriali sparsi nella
pelle le sensazioni tattili e le sensazioni dolorose
che, attraverso il midollo allungato e il talamo,
vengono trasmesse e smistate alla parte sinistra o
destra del cervello.
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LE
n
n
n
n
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
state, attraverso il talamo, al cervello. Queste aree esercitano anche un controllo
sulla respirazione, sull’alimentazione (masticazione, deglutizione e salivazione) e
sul funzionamento del cuore.
Talamo. Il talamo, situato sotto la corteccia e a contatto con l’ipotalamo, è una stazione di smistamento delle informazioni che arrivano alla corteccia cerebrale e che
provengono dalla corteccia cerebrale.
Cervelletto. Situato in prossimità della nuca, è fondamentale per la coordinazione
dei movimenti, per il controllo dei muscoli e per il mantenimento dell’equilibrio.
Formazione reticolare. La formazione reticolare è situata nella parte profonda del
tronco dell’encefalo. È un potente centro che tiene vigile l’attenzione e regola il ritmo del sonno e della veglia.
Paleoencefalo. Detto anche”cervello antico”, deriva dal cervello dei rettili ed è situato sotto lo strato più interno del cervello, al di sotto della corteccia cerebrale. È
costituito da un insieme di nuclei cerebrali profondi, che i biologi chiamano sistema limbico, e dall’ipotalamo.
Il sistema limbico svolge un ruolo importante nelle emozioni, nelle pulsioni e nei
comportamenti istintivi.
È in tale sistema che hanno origine la paura, l’aggressività, l’euforia del benessere,
IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO
Parasimpatico
Iride, cuore, polmoni, stomaco
e altri organi digestivi
Porzione Porzione
sacrale lombare
Porzione
toracica
Simpatico
Iride, cuore, polmoni,
ghiandole salivari
SIMPATICO
PARASIMPATICO
Il sistema nervoso autonomo è composto da due strutture nervose che
fiancheggiano la colonna vertebrale:
il sistema nervoso simpatico, che
ha un’azione eccitante, e il sistema
nervoso parasimpatico, che invece
favorisce il recupero e opera in genere negli stati di quiete.
Queste due strutture controllano il
funzionamento di organi interni come il cuore, il fegato, lo stomaco, i
reni e gli intestini. Sono poi responsabili delle manifestazioni fisiologiche (battito cardiaco accelerato, sudorazione, rossore ecc.) che accompagnano le emozioni.
Gangli del simpatico
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Simpatico
Fegato, stomaco, pancreas,
intestini, surrenali, reni
Simpatico
Vescica, intestini, organi genitali
Simpatico
Vasi sanguigni, ghiandole
sudoripare, follicoli piliferi
Parasimpatico
Vescica, colon, retto e organi
genitali
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
la tristezza e l’angoscia. Gli aspetti emotivi del comportamento sono poi mediati e
controllati dalla corteccia cerebrale.
Una famosa dimostrazione del ruolo di mediazione della corteccia è il caso di Phineas Gage, un artificiere che nel 1848, a causa di un incidente, subì una lesione nella corteccia frontale. Gage, che era conosciuto da tutti come un brav’uomo, dopo
l’infortunio divenne una persona irresponsabile e aggressiva.
Il sistema limbico svolge anche un ruolo nei processi relativi alla memoria.
Una struttura di tale sistema, l’ippocampo, svolge un ruolo importante nell’organizzazione iniziale della memoria che si completa successivamente nelle aree associative del cervello. Il sistema limbico, inoltre, svolge un ruolo importante nel collegare le emozioni agli eventi che verranno poi fissati nella memoria. Anche l’olfatto e il gusto sono collegati alle aree cerebrali del sistema limbico e questo potrebbe spiegare l’effetto particolare che determinati odori e sapori hanno nel risvegliare i ricordi dell’infanzia.
Fa parte del paleoncefalo anche l’ipotalamo che interviene nelle funzioni vitali
del sonno e della veglia, regola la temperatura corporea, i meccanismi relativi alla fame e alla sete e agisce sul comportamento sessuale stimolando la ghiandola dell’ipofisi che, a sua volta, stimola le ghiandole sessuali (gonadi) a produrre
ormoni. L’ipotalamo ha un ruolo nella percezione delle emozioni in quanto, in
stretta connessione con il sistema limbico, agisce sul sistema nervoso autonomo.
La soddisfazione dei bisogni (fame, sete, bisogni sessuali) provoca piacere e l’ipotalamo è collegato ai centri del piacere.
n Corteccia cerebrale. È la parte più esterna del cervello. È responsabile delle attività mentali più complesse (vedi il paragrafo 4): registra le sensazioni, immagazzina i ricordi, è la parte coinvolta quando si prendono decisioni o si compiono azioni volontarie.
3 Cervello e comportamento
La corteccia cerebrale e le sue funzioni
Ognuno dei due
La corteccia cerebrale è la parte più evoluta del cervello e, come abbiamo visto, svol- emisferi cerebrali è
ge le funzioni più complesse del sistema nervoso. Essa presiede alla pianificazione del- suddiviso in quattro
le azioni e alla risoluzione dei problemi. Inoltre è in grado di controllare e reprimere lobi: frontale,
temporale, parietale
gli schemi di comportamento del paleoencefalo (per esempio, quando si controllano e occipitale.
reazioni violente provocate da uno stato di collera).
La corteccia di entrambi gli emisferi cerebrali è divisa in quattro lobi
che comprendono più aree con funzioni diverse: lobo frontale, lobo
Lobo
temporale, lobo parietale e lobo occipitale.
Lobo
temporale
I mammiferi più evoluti, oltre alle aree sensitive e motrici (adibite
frontale
all’elaborazione delle informazioni relative alle sensazioni e ai moLobo
vimenti), hanno ampie zone della corteccia, definite aree associatioccipitale
Lobo
ve, adibite a compiti complessi. Nell’uomo le aree associative occupaparietale
no la maggior parte della corteccia cerebrale.
Alla corteccia cerebrale giungono le informazioni visive, acustiche, olfattive,
gustative, tattili e dolorose. Gran parte di tali informazioni è prima smistata dal
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LE
Motoria
Associativa
Olfattiva
Le aree della corteccia
cerebrale.
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
talamo, una “stazione” situata sotto la corteccia e a contatto con l’ipotalamo.
Associativa
Nel cervello vi è una “rappresentazione” completa del
nostro corpo, che permette di localizzare gli stimoli tatVisiva
tili. Tali rappresentazioni si formano in aree corticali di
varia grandezza. Nell’uomo sono particolarmente numerosi i neuroni (cellule nervose) che localizzano la testa e
la mano.
Se si costruisse una figura umana in proporzione alla superficie di queste aree si otterrebbe un’immagine del
Uditiva
tutto sproporzionata rispetto alla realtà (vedi la figura
rappresentante l’omuncolo sensitivo). I muscoli, che permettono il movimento, sono
pure controllati da aree motrici di varia grandezza, per cui un’analoga rappresentazione esiste anche per i movimenti del corpo e delle sue varie parti (vedi la figura rappresentante l’omuncolo motorio).
Le due aree, sensitiva e motrice, sono tra loro associate attraverso specifici circuiti
nervosi.
Basandosi sul modello dell’omuncolo nel 1998 il neuroscienziato americano, di origine indiana, Vilaynaur S. Ramachandran (Tamil Nadu, India, 1951) e il filosofo americano William Hirstein sono riusciti a dare una spiegazione plausibile del cosiddetto fenomeno dell’arto fantasma. Dopo l’amputazione di un arto, i pazienti possono
continuare a percepire come presente l’estremità che è stata amputata, sentirvi dolore e avvertire anche le relazioni spaziali che esso ha con le altre parti del corpo. Tale fenomeno, quasi sempre presente nei giorni immediatamente dopo l’asportazione,
sparisce poi gradatamente, anche se si riscontrano casi in cui dura per anni.
Il modello dell’omunculo, oltre all’estensione delle aree, rappresenta anche la loro
disposizione. Le aree specifiche della mano e del volto sono tra loro molto vicine e
Somatica
L’omuncolo sensitivo.
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L’omuncolo motorio.
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LE
BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
così è per la loro rappresentazione (vedi le figure degli omuncoli). Può così verificarsi che l’area corticale, che prima dell’amputazione rispondeva alle sensazioni provenienti dalla mano, dopo l’intervento risponda a quelle provenienti dal volto. Infatti, se si mette un cubetto di ghiaccio sul volto di una persona a cui è stata amputata una mano, il contatto provoca in lei una sensazione di freddo nell’arto mancante.
Cervello destro e cervello sinistro
Come l’uomo ha due mani, due occhi, due orecchie o due reni, così ha anche due
cervelli. Il cervello, infatti, è un organo doppio, formato da due emisferi di struttura analoga e tra loro connessi da un ampio fascio di fibre nervose, chiamato corpo
calloso.
L’emisfero sinistro controlla la parte destra del corpo e l’emisfero destro la parte sinistra del corpo.
Le informazioni elaborate dai due emisferi non rimangono però separate in quanto
esiste un sufficiente collegamento tra le due strutture attraverso le fibre del corpo calloso. In situazioni particolari gli scienziati hanno potuto studiare il funzionamento separato dei due emisferi cerebrali (vedi il paragrafo successivo, le neuroscienze).
La simmetria dei due cervelli non è rigorosa: inizialmente esiste nel neonato una certa “plasticità” dei due emisferi e solo in seguito si specializzano nelle loro funzioni.
Negli individui con la mano destra dominante, l’encefalo sinistro controlla la parte
destra del corpo, mentre l’encefalo destro controlla la parte sinistra del corpo. L’inverso avviene per i mancini.
Un disturbo molto studiato di recente, in relazione alla specializzazione dei due emisferi, è il fenomeno del neglect visuospaziale.
Il neglect visuospaziale è dovuto a una lesione cerebrale, in genere nell’area parietale inferiore dell’emisfero destro, e consiste nell’inabilità, totale o parziale, a individuare gli stimoli provenienti dalla parte opposta alla sede della lesione.
I pazienti affetti da neglect non percepiscono lo spazio sinistro, se la lesione è posta
nell’emisfero destro. Non percepiscono quello destro se la lesione è posta nell’emisfero sinistro. Camminando urtano le pareti collocate dalla parte per loro invisibile. A
tavola non mangiano la porzione di cibo che si trova su tale lato del piatto. Per i soggetti affetti da questa patologia è come se una parte del mondo non esistesse.
Secondo il modello proposto dal neuropsicologo americano Kenneth M. Heilman
(New York, 1938) la sindrome di neglect è dovuta alla diminuita attivazione dei processi relativi all’attenzione.
La lesione cerebrale provocherebbe il danneggiamento del circuito di attivazione
cortico-reticolare dell’emisfero leso. Se la lesione parietale si manifesta nell’encefalo
destro, essa è maggiormente persistente nel tempo (fino al 50% dei casi a due mesi
di distanza dal trauma, contro il 15% nel caso di lesione nell’encefalo sinistro). Tale
fenomeno è spiegato dal neuropsicologo statunitense e dai suoi collaboratori in base
all’ipotesi che, mentre l’emisfero sinistro controlla il solo spazio destro, l’emisfero destro controllerebbe, oltre allo spazio sinistro, in una certa misura anche lo spazio destro, riuscendo talora a compensare il deficit.
In base ad altre ricerche, la sindrome di neglect, anche nei casi più gravi, non comporterebbe una completa mancanza di cognizioni dell’area spaziale interessata. Due neuropsicologi inglesi, John Marshall e Peter Halligan, nel 1988 hanno scoperto, mediante alcuni esperimenti ingegnosi, che i pazienti con neglect sono inconsapevoli di una
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BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
parte del mondo ma, in qualche modo, apprendono lo stesso qualcosa su di essa. In
un esperimento i due studiosi mostrano a una loro paziente il disegno schematico di
due case identiche: una delle due, però, presenta nella zona sinistra delle fiamme che
escono da una finestra. Interrogata, la paziente le giudica identiche. Alla domanda in
quale casa preferirebbe vivere, però, la paziente indica la casa dove non ci sono fiamme, nonostante non sappia spiegare il motivo della sua risposta.
Questo esperimento fa ipotizzare l’esistenza in tali pazienti di un’elaborazione implicita delle informazioni presenti nello spazio “negletto”.
Vediamo ora le funzioni specifiche dei due emisferi.
Nell’esperimento di
Marshall e Halligan,
il paziente affetto
da neglect indica
di preferire di vivere
nella casa senza
fiamme, pur non
riuscendo a spiegare
perché.
Nell’emisfero sinistro del soggetto non mancino vi sono due aree importanti che
controllano il linguaggio verbale, nel soggetto mancino tali aree sono nell’emisfero destro. La prima di tali aree, scoperta dal chirurgo francese Paul Broca (18241880), denominata “area di Broca”, corrisponde alla parte inferiore del lobo frontale e consente di articolare il linguaggio.
I soggetti che presentano delle lesioni nell’area di Broca, pur comprendendo il linguaggio e, nonostante che abbiano i muscoli della bocca, della lingua e della laringe
intatti, non sanno trasformare le idee in parole. In loro manca la “memoria” dei movimenti necessari per articolare le parole. Tale disturbo è definito afasia motoria.
Nelle scimmie esiste solo un’area arcaica, che non corrisponde a quella umana, che
permette a tali animali di produrre delle vocalizzazioni istintive. Nell’uomo, invece,
l’area di Broca consente di eseguire i movimenti necessari per articolare il linguaggio.
La seconda area responsabile del linguaggio è localizzata dal neuropsichiatra tedesco Carl Wernicke (1848-1905) in una zona della corteccia temporale. Tale zona, denominata “area di Wernicke”, è fondamentale per l’ideazione delle parole e per la
comprensione del loro significato.
Una lesione nell’area di Wernicke crea un’afasia sensoriale: il soggetto non capisce il
significato delle parole e, pur riuscendo ad articolare il linguaggio, parla in modo
sconclusionato, con ripetizioni e senza riuscire a dare ordine alle parole stesse.
Nell’emisfero destro la musica e i rumori sono analizzati meglio che nell’emisfero
sinistro. Le informazioni visive sono analizzate sia nel lobo occipitale (il lobo corrispondente alla zona posteriore del cervello) sinistro, sia nel lobo occipitale destro,
ma quello sinistro è specializzato nella scrittura, quello destro nel riconoscimento
delle figure e delle forme.
Emisfero
sinistro
Emisfero
destro
Il cervello è diviso
in due emisferi,
ognuno dei quali
controlla la parte
opposta del corpo.
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Area di Broca
Area di Wernicke
Le aree di Broca e di Wernicke.
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BASI BIOLOGICHE DEL COMPORTAMENTO
Gli impulsi in arrivo dalle varie aree specializzate in funzioni particolari sono ritrasmessi tramite le numerose connessioni in tutto il cervello dove sono poi immagazzinati. Il cervello è una struttura organizzata che funziona in modo unitario.
Le neuroscienze
Le neuroscienze sono un insieme di discipline che, in stretta connessione tra loro,
studiano il cervello e il sistema nervoso degli organismi viventi a livello w molecolare, w biochimico e genetico.
Lo scopo delle neuroscienze è scoprire la base biologica delle varie espressioni mentali e dei comportamenti negli animali e nell’uomo. Oggi è possibile, grazie al progresso scientifico e tecnologico, studiare le singole cellule nervose e i loro collegamenti a livello della struttura delle singole molecole. È possibile individuare così i
processi biochimici che sono alla base di emozioni, pensieri e comportamenti. In particolare sono state scoperte le sostanze chimiche che consentono il passaggio dell’impulso nervoso da neurone a neurone: questi “messaggeri”, denominati neurotrasmettitori, inviano le informazioni che costituiscono la base biologica dei fenomeni mentali connessi ai comportamenti umani.
I primi studi nel campo delle neuroscienze hanno riguardato le lesioni cerebrali e i
loro effetti, gli interventi di neurochirurgia, la stimolazione elettrica dei neuroni. Un
esempio di tale tipo di ricerche è il lavoro di Roger Wolcott Sperry (1913-1994), un
neurofisiologo del Californian Institute of Technology. Lo scienziato ha avuto modo
di studiare dei pazienti ai quali, a causa di gravi patologie cerebrali non curabili in altro modo, è stato tagliato, con un intervento chirurgico, il corpo calloso che tiene
uniti i due emisferi cerebrali. In tal modo Sperry ha potuto indagare sulla diversa specializzazione dei due emisferi, che in tali pazienti funzionavano separatamente, in
modo indipendente, come se avessero “due coscienze” anziché una.
In tempi più recenti tecnologie sofisticate hanno permesso di osservare l’attività cerebrale in modo non invasivo, “fotografando” il cervello mentre pensa, prova emozioni, ricorda, compie operazioni aritmetiche, fa uso del linguaggio verbale. La più
nota di tali tecniche è la tomografia a emissione di positroni (PET) che funziona più
o meno in questo modo: gli scienziati utilizzano del glucosio (uno zucchero che serve da combustibile per le cellule), che viene “marcato” con radiazioni e iniettato nel
sangue di volontari. Speciali sensori che circondano la testa del soggetto riescono a
“vedere” nel suo cervello le attività delle cellule più impegnate, mentre parla, scrive e
compie altre operazioni mentali. In tali aree, infatti, affluisce più sangue ed è bruciato più “combustibile”. Il computer “traduce” tutto
questo in immagini colorate del cervello dove le zone più attive metabolicamente appaiono rosse e gialle.
Un’altra tecnica è costituita dalla risonanza magnetica che agisce sugli atomi dell’idrogeno presente nell’acqua delle cellule nervose. Tali atomi assumono movimenti e posizioni diverse che, analizzate ed
elaborate dal computer, sono trasformate in immagini da cui possono essere dedotte sia le attività sia le patologie cerebrali.
Queste tecniche sono usate in medicina per indagare le alterazioni
nella struttura e nel funzionamento del cervello. Gli scienziati le utilizzano anche per disegnare la “mappa” delle varie funzioni cerebrali così come si manifestano nel loro funzionamento normale. Nei
prossimi moduli citeremo molti di tali lavori.
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molecolare
relativo alle molecole,
le parti più piccole di
un composto chimico
w
biochimico
che riguarda i processi
chimici che avvengono
negli esseri viventi
w
Immagine PET
del cervello.
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