Luigi Pirandello. L'INNESTO - LA PATENTE - L'UOMO, LA BESTIA E LA VIRTU'. Con la cronologia della vita di Pirandello e dei suoi tempi un'introduzione e una bibliografia a cura di Corrado Simioni e Elena Albertini. "L'innesto" copyright Fratelli Treves 1921. "La patente" copyright La Rivista d'Italia 1918. "L'uomo, la bestia e la virt—" copyright Comoedia 1919. Copyright 1950 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano la raccolta di tutto il teatro in lingua italiana. Prima edizione B.M.M. gennaio 1950. 4 edizioni Oscar Mondadori. Prima edizione Oscar Teatro e Cinema novembre 1984. Quinta ristampa Oscar Teatro maggio 1991. SOMMARIO. Pirandello e il suo tempo: pagina 3. Introduzione: pagina 19. Bibliografia: pagina 44. Alcuni giudizi critici: pagina 61. L'innesto: pagina 77. La patente: pagina 155. L'uomo, la bestia e la virt—: pagina 176. Pirandello e il suo tempo. La vita e le opere (1867-1936) 1867-1879. per Luigi Pirandello nasce a Girgenti - poi Agrigento - il 28 giugno 1867 da Caterina Ricci-Gramitto e da Stefano Pirandello. La madre proveniva da una famiglia che aveva partecipato alle lotte antiborboniche e per l'unit… d'Italia. Il padre Stefano era stato garibaldino. Luigi trascorse la sua prima infanzia tra Girgenti e Porto Empedocle, sul mare. Assiduo lettore di romanzi, a dodici anni scrive una tragedia in cinque atti che rappresent• con le sorelle e gli amici. 1880-1886. Il padre, vittima di una frode, cade in dissesto, e la famiglia si trasferisce a Palermo. Nascono in Pirandello, fanciullo e poi adolescente, le prime appassionate accensioni sentimentali; comincia, in quegli anni, la sua preparazione umanistica e si palesa la sua vocazione letteraria. Nel 1885 la famiglia si stabilisce a Porto Empedocle e Luigi rimane a Palermo, dove, lo stesso anno, termina il liceo. Ritornato a Porto Empedocle prende coscienza della realt… umana e sociale delle solfatare. Si iscrive alle facolt… di legge e di lettere a Palermo, dove conosce alcuni dei futuri dirigenti dei Fasci siciliani. 1887-1891. Nel novembre del 1887 si iscrive all'universit… di Roma. Vive alcuni mesi in casa dello zio Rocco, luogotenente di Garibaldi ad Aspromonte. Scrive in questo periodo alcune opere teatrali che sono andate perdute. Nell"89 pubblica "Mal giocondo", una raccolta di poesie. In seguito a un incidente con un insegnante decide di abbandonare l'universit… di Roma e continua gli studi a Bonn, dove scrive le liriche raccolte in "Elegie renane" e "Pasqua di Gea". Il 21 marzo 1891 si laurea con una tesi sugli sviluppi fonetici dei dialetti greco-siculi. 1892-1902. Rientrato a Roma, collabora a diverse riviste letterarie. Il 27 gennaio 1894 sposa a Girgenti Maria Antonietta Portulano. Fra il 1895 e il 1899 nascono tre figli: Stefano, Lietta e Fausto. Nel 1894 pubblica una prima raccolta di novelle "Amori senza amore". Dal 1897 insegna letteratura italiana all'Istituto superiore di Magistero. Nel 1898 stampa sulla rivista "Ariel" il primo testo teatrale, un atto unico dal titolo "L'epilogo", poi ribattezzato "La morsa". Nel 1901 pubblica il romanzo "L'esclusa" e nel 1902 "Il turno". 1903-1910. Una frana allaga all'improvviso la zolfara nella quale il padre di Pirandello aveva investito i suoi averi e la dote di Maria Antonietta. Lo scrittore si trova in gravi difficolt… economiche e sembra pensare al suicidio. Forse sulla base di questa esperienza scrive "Il fu Mattia Pascal" (1904). Moltiplica il suo lavoro letterario. Continua a collaborare al "Marzocco" e alla "Nuova antologia" e comincia a dare lezioni private di tedesco e di italiano: una vita di intenso lavoro. Nel 1908 viene nominato ordinario dell'Istituto superiore di Magistero; nello stesso anno scrive due saggi: "L'umorismo" e "Arte e scienza". Ne nasce una lunga polemica con Benedetto Croce. Il successo del "Fu Mattia Pascal", tradotto subito in varie lingue, vale a Pirandello l'ingresso nella importante Casa editrice Treves. Collabora alla rivista "Trisettimanale politico-militare" e successivamente al "Corriere della Sera". Nel 1909 pubblica sulla "Rassegna contemporanea" il romanzo "I vecchi e i giovani". Il 9 dicembre 191O vengono rappresentati al Teatro Metastasio di Roma gli atti unici "La morsa" e "Lumie di Sicilia". Nel 1910 pubblica la raccolta di novelle "La vita nuda". 1911-1917. Nel 1913 riscrive "I vecchi e i giovani", che viene pubblicato in volume da Treves. Nel 1912 pubblica la raccolta di novelle "Terzetti"; "La trappola", altra raccolta di novelle, esce nel 1915, sempre per le edizioni Treves. Tra il 1912 e il 1915 scrive una cinquantina di novelle, tra cui "Berecche e la guerra", in parte pubblicate su rivista, le pi— raccolte in volume. Nel luglio del 1916 Angelo Musco porta al successo "Pensaci, Giacomino!". Pirandello, stimolato dall'esito della commedia, scrive altre opere teatrali: "Il berretto a sonagli" e "Liol…", entrambe rappresentate da Musco. Nel 1917 scrive le commedie: "Cos Š (se vi pare)", "La giara" e "Il piacere dell'onest…", che vengono rappresentate lo stesso anno. Queste opere segnano il passaggio dal verismo all'arte propriamente pirandelliana. Nel 1915 gli muore la madre, e si aggrava la malattia psichica della moglie. Inoltre il figlio Stefano viene inviato al fronte e cade prigioniero. 1918-1922. Scrive "Il giuoco delle parti" e "Ma non Š una cosa seria", portati in scena rispettivamente da Ruggero Ruggeri e da Emma Gramatica sul finire del 1918. Presso Treves esce il volume di novelle "Un cavallo nella luna". Nel 1920 lascia l'editore Treves e diventa autore di Bemporad. Il 10 maggio 1921 Dario Niccodemi rappresenta "Sei personaggi in cerca d'autore", che provoca contrasti nel pubblico e nella critica. Nel 1921 la figlia Lietta si sposa e si trasferisce nel Cile. Il 24 febbraio 1922 viene rappresentato l'"Enrico Quarto", mentre altre sue opere entrano nel repertorio di molte compagnie italiane. Nello stesso anno scrive "Vestire gli ignudi", mentre a Londra e a New York vengono rappresentati i "Sei personaggi in cerca d'autore". Sempre nel 1922, Adriano Tilgher, amico e ammiratore di Pirandello, pubblica "Studi sul teatro contemporaneo", opera che pone le basi della critica pirandelliana. 1923-1930. Prosegue la febbrile attivit… letteraria di Pirandello: fra il '22 e il '23 scrive gli atti unici "All'uscita", "L'imbecille", "L'uomo dal fiore in bocca" e "L'altro figlio", e la commedia in tre atti "La vita che ti diedi". Nel 1924 scrive per il teatro "Ciascuno a suo modo", nel 1927 "Diana e la Tuda", nel 1929 "Lazzaro", nel 1930 "Come tu mi vuoi" e "Questa sera si recita a soggetto". Contemporaneamente riprende a scrivere novelle e romanzi nel 1926 pubblica "Uno, nessuno e centomila". Stefano Pirandello, Orio Vergani, Massimo Bontempelli e altri fondano a Roma un Teatro d'Arte: la direzione artistica Š assunta da Pirandello. In questa Compagnia debutta Marta Abba, la giovanissima interprete che diverr… l'ispiratrice dell'opera di Luigi Pirandello degli ultimi anni. Nel 1928, scioltasi la Compagnia Pirandelliana, Marta Abba former… poi una propria Compagnia che porter… ovunque il teatro di Luigi Pirandello. 1931-1936. Il successo internazionale del suo teatro induce Pirandello a viaggiare ininterrottamente. Sono forse gli anni migliori della sua vita. Il 9 novembre 1934 riceve a Stoccolma il Premio Nobel per la letteratura. Scrive i drammi "Trovarsi" (1932), "La favola del figlio cambiato" (1933), "Quando si Š qualcuno" (1933), "Non si sa come" (1934) e "I giganti della montagna". Quest'ultimo rester… incompiuto (manca il terzo atto, che Pirandello non giunse a scrivere ma che raccont• al figlio Stefano) e andr… in scena, postumo, a Boboli il 5 giugno 1937. Scrive inoltre un soggetto cinematografico e un libretto d'opera. Muore il 10 dicembre 1936. La vita politica e sociale. 1867-1879. Sono gli anni in cui l'Italia unificata deve affrontare gravi problemi. La questione romana divide gli italiani sul piano politico e religioso. La guerra franco-prussiana consente all'esercito italiano di entrare in Roma, che diventa capitale del regno. Si attua in questi anni il passaggio dal governo della Destra a quello della Sinistra, guidata da Depretis, con il suo cosiddetto "trasformismo". Nel 1878 muore Vittorio Emanuele Secondo. 1880-1886. Il "trasformismo" di Depretis riesce a dare un governo stabile al paese, ma non ne risolve i problemi: primo fra tutti quello sociale. Si rafforza il movimento operaio e nelle elezioni dell"82 si verificano i primi successi socialisti. L'Italia stringe con Germania e Austria la Triplice Alleanza, mentre nel paese prendono forza le correnti militariste. Garibaldi muore nei 1882. 1887-1891. Primo ministero Crispi, che intraprende la politica coloniale. Si allarga in Italia e in Europa la questione sociale: nelle maggiori citt… italiane si costituiscono le prime Camere del Lavoro. Nel 1889 vengono fondati a Messina i Fasci siciliani, che si estendono poi a Catania e a Palermo. 1892-1902. Nel 1893 si produce in tutta la Sicilia un'impetuosa agitazione sociale. Nello stesso anno avviene lo scandalo della Banca Romana. Nel 1894, in seguito a gravi disordini, viene proclamato lo stato d'assedio per l'intera Sicilia. Nel 1898 la tensione sociale in Italia si aggrava: a Milano il generale Bava Beccaris dichiara lo stato d'assedio, e molti cittadini cadono vittime della repressione militare. 1900: Umberto Primo Š ucciso a Monza dall'anarchico Bresci. 1903-1910. Dopo la caduta - 1903 - del ministero Zanardelli, l'Italia si riaccosta alla Francia. La vita politica italiana Š dominata per oltre un decennio da Giolitti. Il distacco progressivo dagli imperi centrali Š stimolato dal nazionalismo. All'interno si inizia una politica di apertura sociale e viene richiesto il suffragio universale. In questi anni l'Italia progredisce economicamente e socialmente; aumenta tuttavia la sperequazione economica tra nord e sud. Giolitti tenta di assorbire sul piano parlamentare le forze socialiste. 1911-1917. La guerra in Libia - 1911-1912 - termina con la vittoria italiana sulla Turchia. L'introduzione del suffragio universale e il ritiro dell'appoggio da parte dei socialisti porta Giolitti ad accostarsi ai cattolici. Le elezioni del 1913 vedono la vittoria del blocco clericomoderato, che d… al governo un'impronta conservatrice. Nel 1914, avvengono in Italia gravi disordini sociali, mentre scoppia la prima guerra mondiale. L'Italia interviene nel 1915. Nel 1917 l'esercito italiano subisce la sconfitta di Caporetto. In Russia trionfa la rivoluzione bolscevica. 1918-1922. Conclusa vittoriosamente la guerra, l'Italia entra in uno tra i periodi pi— tormentati della sua storia. Il ritorno di Giolitti al governo non ristabilisce l'equilibrio politico. Mentre gran parte dell'Europa Š scossa dalla lotta tra forze rivoluzionarie e forze conservatrici o reazionarie, in Italia le agitazioni prendono caratteri di violenza particolarmente aspri e prolungati. Nascono il Partito popolare e il Partito comunista. L'impresa dannunziana a Fiume e i timori della piccola e media borghesia favoriscono le correnti nazionalistiche. Mussolini guida il movimento fascista che giunge al potere nel 1922. In Germania la lotta politico-sociale mette gi… in pericolo la repubblica di Weimar che ha raccolto l'eredit… del disciolto impero germanico. La Societ… delle Nazioni, fondata nel 1920, Š incapace di ristabilire un equilibrio mondiale. 1923-1930. Superata la crisi per l'assassinio di Matteotti (1924), che sembrava aver segnato la condanna definitiva per il governo fascista, Mussolini rafforza il suo potere. Nel 1925 viene soppressa ogni libert…, e negli anni seguenti tutte le organizzazioni democratiche sono sciolte. Il crollo della Borsa di New York porta, nel 1I929, a una gravissima crisi mondiale. 1931-1936. Germania, Austria e Portogallo cadono a loro volta sotto regimi fascisti; in Russia lo stalinismo soffoca ogni fermento di libert… politica e culturale. L'Italia invade l'Etiopia e dopo averla conquistata (1935-'36) si trasforma in "impero". Hitler riarma la Germania e si appresta a scatenare l'attacco contro le nazioni democratiche e l'Unione Sovietica. Ha inizio la guerra di Spagna. La vita letteraria e artistica. 1867-1879. Nascono in questi anni Trilussa, Marinetti, la Deledda, Proust e Thomas Mann. Nel 1873 muore Manzoni. Nel 1870-1871 viene pubblicata la "Storia della letteratura italiana" di De Sanctis; nel 1872 il "Teatro italiano contemporaneo" di Luigi Capuana, manifesto del verismo italiano. Carducci pubblica "Giambi ed epodi" e le "Odi barbare". La letteratura europea si arricchisce di nuove opere di Dostoevskij, Flaubert, Ibsen, Tolstoj, Zola. 1880-1886. Nascono Saba, Tozzi, Gozzano, Joyce, Kafka, Luk…cs, Pound. Mentre Carducci domina nella cultura letteraria italiana, comincia a emergere D'Annunzio, che pubblica nel 1882 "Canto novo", e quindi "Intermezzo di rime" e i migliori racconti. Verga pubblica alcuni tra i suoi capolavori: "Vita dei campi" (1880), "I Malavoglia" (1881), le "Novelle rusticane" (1883). "Cavalleria rusticana" viene rappresentata per la prima volta nel 1884. Tra il 1885 e il 1886 si diffonde il termine "decadente" per indicare le opere di poeti come Verlaine e Mallarm‚. Nel 1883 Nietzsche pubblica "Cos parl• Zaratustra". 1887-1891. In Italia, accanto a Carducci, si riafferma il valore delle opere di D'Annunzio e si rivela quello della poesia pascoliana. Nel 1888 De Marchi pubblica il "Demetrio Pianelli"; nel 1889 appaiono il "Mastrodon Gesualdo" di Verga e "Il piacere" di D'Annunzio. Si stampano le opere dei filosofi Henri Bergson e William James. Sulle scene italiane primeggiano gli attori Zacconi e Salvini, con un repertorio che comprende Giacosa, Praga, Bertolazzi, Shakespeare e Ibsen. L'attivit… drammaturgica di Ibsen e Strindberg continua ad affermarsi. Comincia a prendere rilievo la personalit… di Stanislavskij, che fonda il Circolo moscovita di arte e letteratura. 1892-1902. Muoiono in questo periodo Daudet, De Marchi, Zola. Corrado Alvaro, Montale, Quasimodo, Majakovskij, Brecht. si Nascono In Italia pubblicano "I vicer‚" di De Roberto (1894), "Piccolo mondo antico" di Fogazzaro (1895), "Senilit…" di Svevo (1898), "Il Marchese di Roccaverdina" di Capuana (1901). Thomas Mann pubblica "I Buddenbrook" (1901), Maurice Blondel "L'azione" (1893), Bergson "Materia e memoria" (1896), James "La volont… di credere" (1897), Bergson "Il riso" (1900), Croce "L'Estetica" (1902). Sulle scene italiane vengono rappresentati "Come le foglie" di Giacosa, "Cirano di Bergerac" di Rostand e "Romanticismo" di Rovetta. Eleonora Duse porta sulle scene i primi drammi di D'Annunzio. Nel 1898 Stanislavskij fonda il Teatro d'Arte di Mosca: si rappresentano opere di Ibsen, Gorkij, e soprattutto di Cechov. 1903-1910. Nascono in questo periodo Brancati, Moravia, Vittorini, Pavese e Sartre. Muoiono Ibsen, Cechov e Jarry, Carducci e Tolstoj. Pascoli eredita la cattedra di Carducci a Bologna. Il 20 febbraio 1909 Marinetti pubblica il primo manifesto del futurismo. Prezzolini e De Robertis fondano "La voce". Sulle scene vengono rappresentate opere di D'Annunzio e di Sem Benelli. Stanislavskij allestisce con Gordon Craig un memorabile "Amleto", che esemplifica tutte le nuove teorie rappresentative. Freud pubblica i "Tre saggi sulla teoria della sessualit…"; nel 1908 si tiene a Salisburgo il primo convegno sulla psicoanalisi. 1911-1917. Muoiono in questo periodo Fogazzaro, Pascoli, Graf, Capuana, Tommaso Salvini, Gozzano e Strindberg. Poeti come Palazzeschi e Gozzano, Saba, Rebora, Campana, Ungaretti, Cardarelli, Bacchelli segnano, insieme ai nuovi prosatori, una rigogliosa fioritura letteraria. Il neoidealismo di Gentile e di Croce si Š ormai affermato sulle vecchie correnti positivistiche. Dopo che nel 19I0 Marinetti, Carr…, Boccioni, Balla, Russolo e Severini hanno pubblicato il primo manifesto della pittura futurista, nel 1912 appare il "Manifesto tecnico della letteratura futurista". Nascono nel frattempo in Russia i gruppi egofuturisti e cubofuturisti. Majakovskij scrive nel 1913 il suo primo testo teatrale: "Vladimir Majakovskij". Viene fondata l'Associazione internazionale di psicoanalisi. Nel 1913 comincia la pubblicazione della "Ricerca del tempo perduto" di Proust. Lo stesso anno Einstein diffonde la teoria della relativit…. 1918-1922. Muoiono Tozzi, Verga, Wedekind, Proust. Anche in Italia si diffondono le esperienze di avanguardia europee. Si pubblicano le raccolte di poesie di Ungaretti. Sulle scene appaiono i drammi di Bontempelli e di Rosso di San Secondo, nei quali Š evidente l'influenza di Pirandello. Dal 1919 al 1923 esce a Roma la rivista "La Ronda". Nel 1918 Simmel pubblica "Il conflitto della civilt… moderna", e Joyce, nel 1922, l'"Ulisse". In questi anni Brecht scrive e rappresenta i suoi primi drammi. In Russia fioriscono, favoriti dalla rivoluzione, gli esperimenti teatrali di Majakovskij e di Mejerchol'd. Vengono pubblicate alcune opere fondamentali di Freud e di Jung. 1923-1930. Muoiono De Roberto, Svevo, Praga. Si pubblicano "Ossi di seppia" di Montale (1925), "Gente di Aspromonte" di Alvaro (1930), "Gli indifferenti" di Moravia (1929). Nel 1925 Gentile e altri intellettuali sottoscrivono il "Manifesto degli intellettuali fascisti", e Umberto Fracchia fonda la "Fiera letteraria". Sempre nel 1925 Kafka pubblica "Il castello". Mentre in Francia si affermano i surrealisti, il cui testo teatrale principale Š "Victor, o i bambini al potere", in Germania si diffondono le esperienze dadaiste ed espressioniste. Toller rappresenta "Uomo massa" e Goering "Battaglia navale". Piscator fonda il Teatro politico, e Brecht pubblica nel 1926 la sua prima raccolta di poesie; scrive in seguito una serie di drammi, il pi— famoso dei quali, "L'opera da tre soldi", viene rappresentato in Italia da Anton Giulio Bragaglia. Si affermano i nuovi scrittori americani: Hemingway, Scott Fitzgerald, Dos Passos, Faulkner. Nel cinema emergono Eisenstein, Pudovkin, Pabst, Chaplin. In Russia lo stalinismo comprime il fervore creativo del periodo rivoluzionario. Majakovskij rappresenta "La cimice e il bagno" (1930); qualche settimana dopo si uccide. 1931-1936. Muoiono in questi anni Dino Campana, Di Giacomo, Grazia Deledda, Gor'kij e Unamuno. In Italia si pubblicano opere di Saba, Ungaretti, Cardarelli, Moravia, Bacchelli, Cecchi, Quasimodo e Gadda. Compaiono sulla scena letteraria anche Vittorini e Pavese. In campo teatrale si rappresentano opere di De Filippo e di Viviani, attori e drammaturghi. In questi anni il trionfo delle dittature arreca un danno irreparabile alla cultura europea: in Italia sono arrestati Giulio Einaudi, Pavese e Ginzburg, in Germania sono proscritti i maggiori scrittori, in Spagna viene ucciso Garcia Lorca. Nel 1934 si pubblica "Il pensiero" di Blondel, e "Assassinio nella cattedrale" di Eliot. INTRODUZIONE. Il teatro Pirandelliano. Nel luglio del 1916, dopo il fortunato esito di "Pensaci, Giacomino!" Pirandello scriveva al figlio Stefano: "... La commedia 'Pensaci, Giacomino!' ha avuto una serie di repliche con esito felicissimo e correr… certo la penisola trionfalmente. Musco Š entusiasta della parte... Ho preso l'impegno di scrivergli un'altra commedia per il prossimo ottobre, e spero di mantenerlo, bench‚ il teatro, come tu sai, mi tenti poco". E in effetti Pirandello giunse al teatro relativamente tardi, dopo aver scritto alcuni romanzi e centinaia di novelle, e quasi controvoglia. Tuttavia il teatro costitu•, in qualche misura, lo sbocco naturale dell'arte pirandelliana. Non solo perch‚ all'epoca in cui Pirandello si dedic• precipuamente alla composizione drammatica - gli anni intorno alla prima guerra mondiale - le novelle contenevano gi… un impianto teatrale fatto di intensi, quasi frenetici dialoghi; ma anche perch‚ tutto lo sviluppo della sua tematica artistica conteneva un elemento di "teatralit…". Il concetto cardine del suo pensiero estetico, quello di umorismo - cos• com'egli lo aveva elaborato nel saggio "L'umorismo" del 1908 sfociava nel convincimento che la vita fosse una "buffonata", una finzione molto simile a quella che si svolge sul palcoscenico. Da questo punto di vista appare assai poco accettabile la tesi esposta da Luigi Russo, secondo la quale: "Il teatro, succeduto nella vita spirituale dell'artista quand'egli aveva in gran parte vuotato la sua anima e dato sfogo alle sue pi— genuine ispirazioni, non poteva essere che una forma divulgativa o una complicazione intellettuale del primitivo problema artistico". E' indubbio che con il teatro Pirandello arricchisce, e quindi complica e in qualche modo appesantisce, la sua tematica pi— genuina. Ma non si tratta di un mero procedimento tecnico, di una "descrizione" delle novelle; si tratta, piuttosto, di una chiarificazione interiore che lo conduce a una dimensione creativa nuova e pi— elevata, il cui perno Š costituito dal rapporto tra realt… e finzione, tra persona e personaggio, tra normalit… e anormalit…. In questo senso, possiamo distinguere tre fasi nello sviluppo dell'opera drammatica pirandelliana. Particolarmente importante per la comprensione del primo periodo - che giunge fino al 1918 e comprende commedie come "Pensaci, Giacomino!", "Lum¡e di Sicilia", "Liol…", "Il berretto a sonagli" - Š "Pensaci, Giacomino!". Come scrive Mario Baratto: "L'individuo che vuol far apparire delle ragioni personali, pi— meditate, non conformiste, accetta gi…, se si guardi bene, non solo di apparire, ma di essere anormale. Al tipico si sostituisce allora l'originale, lo strano... Da una parte l'anormale diventa una sorta di ascesso che la societ… tende continuamente a riassorbire come un male episodico: mentre esso Š il prodotto costante della sua normalit…... Dall'altra la psicologia tesa e maniaca, la pazzia latente ed espressa, Š una realt… interiore connessa a una condizione umana: l'individuo Š sempre insidiato da un conflitto interiore insanabile". Il professor Toti, il protagonista di "Pensaci, Giacomino!", Š il tipico personaggio pirandelliano di questo periodo: un egocentrico piccolo borghese che non riesce ad acquistare consapevolezza storica della propria condizione. Tuttavia, rispetto ai personaggi delle commedie pi— "naturalistiche", d'ambiente siciliano, entra qui un elemento dialettico: il farsesco, il comico diventa "anormale" e quindi si contrappone alla "normalit…" dell'ambiente, mettendola radicalmente in discussione. La conseguenza di questo dramma Š per• la frustrazione dell'individuo, la sua impotenza ad agire. Questo si nota, per esempio, nell'ambito dei rapporti sentimentali e sessuali. I personaggi pirandelliani cercano il paradosso, si assumono l'incarico di offendere a ogni costo la sensibilit… morale della borghesia, ma non sperimentano mai l'amore. Si limitano a una serie di esercitazioni verbali intorno a che cosa potrebbe essere l'amore senza mai coglierlo. La seconda fase del teatro pirandelliano - che giunge fino al 1927 e comprende le maggiori opere pirandelliane, dal "Giuoco delle parti" ai "Sei personaggi in cerca d'autore", da "Enrico Quarto" a "Vestire gli ignudi" - ruota intorno al problema del rapporto con la realt…. Dice Pirandello: "La vita allora, che si aggira piccola, solita, tra queste apparenze, ci sembra quasi che non sia davvero, che sia come una fantasmagoria meccanica. E come darle importanza? Come portarle rispetto?". E' su queste domande che il teatro pirandelliano prende un nuovo respiro: esasperando cioŠ i conflitti tra apparenza e realt…, fra normalit… e anormalit…, fra individuo e mondo esterno, che nelle commedie del primo periodo dava luogo - per esprimerci in chiave psicoanalitica - a uno stato perenne di ansiet…, determinato dall'incapacit… di interpretare tutte le percezioni che affluiscono dal mondo esterno, nella seconda fase genera uno stato di schizofrenia. CioŠ, il personaggio pirandelliano si chiude ermeticamente in se stesso. La dialettica tra anormalit… e normalit… stessa si spezza; l'anormalit… diventa sistema di vita, incurante del rapporto col mondo. Il rapporto fra apparenza e realt… assume dimensioni tanto pi— tragiche quanto pi—, come scrive Silvio D'Amico, Pirandello "rinnega addirittura il 'penso, quindi sono' di Cartesio: per lui neanche pensare significa essere. Qui sarebbe lecito chiedersi: ci• non finisce col distruggere l'essenza della grande poesia tragica, la nobilt… del dolore? Ma appunto qui vuole essere l'originalit… del Pirandello drammaturgo; appunto da questa impossibilit… di una tragedia egli trae la pi— disperata delle tragedie, la sua". L'ultimo periodo del teatro pirandelliano - che, da "Uno, nessuno e centomila" giunge sino ai "Giganti della montagna" - nasce da una crisi profonda dello scrittore e della sua arte. L'individuo pirandelliano, il personaggio, scopre la sua inadeguatezza nell'affrontare la realt…; I'isolamento soggettivistico in cui opera lo conduce continuamente allo scacco, anzi a una sconfitta che si verifica ancor prima della lotta. Nella "Favola del figlio cambiato", e ancor pi— nei "Giganti della montagna", la coerenza "ideologica" dell'arte pirandelliana si dissolve nell'ambiguit…, in una sorta di grandioso sdoppiamento: mentre si eleva l'elegia all'individualit… destinata a sparire, condannata da forze cieche e brutali che la frantumano, entrano in gioco, come protagonisti, entit… collettive, personaggi corali ai quali spetta "l'ultima parola". Nello stesso tempo, si scioglie la contrapposizione fra arte e vita. L'arte, come momento privilegiato, Š destinata a sparire; ma forse potr… essere sostituita dalla creativit… generale, cioŠ da un mondo che viva secondo ritmi e leggi di armonia e di bellezza. Questa grande utopia Š presente nelle parole con cui Stefano Pirandello, su indicazione del padre morente, ricostruisce il finale dei "Giganti della montagna": "Non Š, non Š che la Poesia sia stata rifiutata; ma solo questo: che i poveri servi fanatici della vita, in cui oggi lo spirito non parla, ma potr… pur sempre parlare un giorno, hanno innocentemente rotto come fantocci ribelli, i servi fanatici dell'arte, che non sanno parlare agli uomini perch‚ si sono esclusi dalla vita, ma non tanto poi da appagarsi soltanto dei propri sogni, anzi pretendendo di imporli a chi ha altro da fare, che credere in se stessi". Pirandello e il pirandellismo. Si Š molto parlato della filosofia pirandelliana, del "pirandellismo" come concezione generale della vita. Dal "Fu Mattia Pascal" in poi, ogni opera di Pirandello scatenava una gara tra pubblico e critica nella scoperta del problema, della cifra che doveva puntualmente nascondersi dietro le complicate trame di parole. Come scrisse Giacomo Debenedetti, "(La critica), di fronte all'artista di apparentemente difficile accesso, sent• il bisogno di chiarire pi— che di capire; e con le sue lanterne cieche corse e si ravvolse dietro Pirandello per gli speciosi labirinti di Pirandello... Sulla facciata esterna della sua opera Pirandello mostrava quella che si chiama una 'filosofia', e la critica sotto, a dare una traduzione, una divulgazione letterale di quella filosofia". L'origine di questa "maniera" critica Š da ricercarsi all'interno del clima culturale in cui si trov• a operare lo scrittore; un periodo caratterizzato in Italia dall'egemonia crociana, che se da un lato ha contribuito alla liquidazione di anacronistici residui positivistici, dall'altro ha indubbiamente bloccato, o comunque ritardato, la comprensione dei fenomeni artistici e culturali pi— nuovi. Cos• critici di derivazione crociana (Russo, Momigliano, Flora, e i loro epigoni) mostrano, come il Croce stesso, nei confronti di Pirandello un impaccio che impedisce loro di "calarsi" entro la sua opera. E invero anche i pi— benevoli sembrano guardare lo scrittore dall'esterno; circoscrivendolo entro aspetti marginali del suo mondo, quelli di derivazione veristica, oppure limitandolo a mere rappresentazioni di quel sentimento doloroso della vita che Š solo un elemento - e neppure il pi— importante - della tematica pirandelliana. Contro questa interpretazione e valutazione dell'opera pirandelliana (che contribu• a ritardare il successo dello scrittore) si schier• decisamente Adriano Tilgher, il quale gi… nel 1913 aveva pubblicato una "Teoria della critica d'arte". Questa, rifacendosi alla "filosofia della vita" di Simmel e Dilthey, spezzava l'antitesi neoidealistica tra poesia e non-poesia per sostituirvi quella tra vita e forma, assai pi— adatta all'intendimento della "poesia dialettica" di Pirandello. In seguito Tilgher dedic• a Pirandello un saggio nel suo libro "Studi sul teatro contemporaneo" (1922), del quale lo stesso Tilgher scriver… pi— tardi: "Io mostravo che tutto il mondo pirandelliano faceva centro intorno a una visione della Vita come forza travagliata da un'intera antinomia per la quale la Vita Š, insieme, necessitata a darsi forma e, per uguale necessit…, non pu• consistere in nessuna forma, ma deve passare di forma in forma. E' la famosa, o famigerata, antitesi di Vita e Forma, problema centrale dell'arte pirandelliana". Si stabilisce a questo punto un rapporto tra Pirandello e Tilgher che rischia di incapsulare l'artista nell'ambito di una forma. Anche perch‚ il Croce, dal canto suo, finiva per accettare l'interpretazione tilgheriana, rovesciandone il valore: non esiste il Pirandello artista ma soltanto il Pirandello "filosofo", e cattivo filosofo. Dal canto suo Pirandello nutre verso il critico che sembra quasi gestire la sua fama e la sua concezione del mondo un sentimento ambivalente: da un lato ne accetta alcuni parametri interpretativi, ma dall'altro si ribella non tanto a Tilgher quanto all'immagine globale che (dopo il giudizio di Tilgher), circola nei confronti delle sue opere. E nella prefazione al "Dramma di Pirandello" di Domenico Vittorini, scrive: "Fra i tanti Pirandello che vanno in giro da un pezzo nel mondo della critica letteraria internazionale, zoppi, deformi, tutti testa e niente cuore, strampalati, sgarbati, lunatici, nei quali io, per quanto mi sforzi, non riesco a riconoscermi per un minimo tratto...". E altrove precisa: "In Italia pare si voglia insistere a seguire la falsariga di qualche critico che ha creduto di scoprire nelle mie cose un contenuto filosofico, che non c'Š, vi garantisco che non c'Š". E' tuttavia soltanto con Massimo Bontempelli (e con alcune note di Gramsci che riguardano per• la valutazione ideologico-culturale e non quella artistica dell'opera pirandelliana) che l'interpretazione "intellettualistica" viene superata. Nella commemorazione di Pirandello pronunciata il 17 gennaio 1937, Bontempelli affermava che la qualit… fondamentale dello scrittore Š il "candore", precisando che "La prima qualit… delle anime candide Š la incapacit… di accettare i giudizi altrui e farli propri... Luigi Pirandello si affacci• anima candida alla vita e alla intelligenza delle cose, in uno dei tempi meno candidi che si possano immaginare... Quel tempo, con gli anni che lo seguirono fino alla guerra d'Europa, segna la fine del mondo romantico, nato diciannove secoli prima. E nell'opera di Pirandello, il mondo romantico e le sue postreme deduzioni si distruggono fino all'ultima cellula. Di qua dal mondo che Pirandello ha denudato la compagine umana non pu• trovare che la distruzione totale o il ricominciamento". La forza dell'arte pirandelliana non consisterebbe dunque in una scelta "filosofica" dei temi, dei personaggi e dello stile, ma piuttosto in una non-scelta: nell'avere pescato con obiettivit… (ma non con neutralit…) nel mare della vita, e nella vita della piccola borghesia italiana del suo tempo, raccogliendo tutto ci• che in essa si agitava. "L'umanit… del mondo pirandelliano Š veramente per servirmi d'una parola venuta in grande uso alcuni anni pi— tardi, cioŠ con la guerra - 'massa'." Ed Š appunto in questa massa che Pirandello trova quella "smania di vivere", al tempo stesso irriducibile e debole - quella vitalit… incrinata e ottusa che costituisce il sottofondo di tutta la grande letteratura europea (non tornano a sproposito i nomi di Proust e di Joyce). Contrapposta a questo vitalismo immotivato Š la conoscenza, ma una conoscenza ottenebrata, involuta, priva di luce e incapace di uscire dal proprio tortuoso labirinto: appunto la conoscenza (si potrebbe anche dire l'ideologia) delle masse piccolo borghesi. E anche qui, sempre secondo Bontempelli, Pirandello non sceglie: "Ha accolto le conoscenze che erano state date alla gente per aiutarla a vivere". Discorso quest'ultimo, che potrebbe essere integrato da un'acuta osservazione di Gramsci, il quale si chiede se in Pirandello non prevalga l'umorismo, e cioŠ se egli non si "diverta a far nascere dubbi 'filosofici' e meschini per 'sfottere' il soggettivismo e il solipsismo filosofico". E, dal canto suo, Giacomo Debenedetti avanzava in un saggio del 1937 l'ipotesi che la "filosofia" pirandelliana altro non fosse se non un'astuzia della Provvidenza: il materiale isolante che gli permetteva di maneggiare il fuoco bianco del suo nucleo poetico e umano. Nell'ambito della critica pi— recente la tendenza a darci un "Pirandello senza pirandellismi" Š nettamente prevalsa anche se si Š forse rischiato di andare troppo oltre, negando cioŠ a Pirandello una problematica intellettuale, che resta probabilmente il motivo fondamentale della sua arte. In questo senso appare assai interessante la posizione assunta da Renato Barilli in un suo saggio sulla "Poetica di Pirandello" dove si pone in discussione tanto l'interpretazione tilgheriana del "poeta del problema centrale", quando l'interpretazione a-ideologica di gran parte della critica attuale. Il discorso viene invece impostato sulla "Weltanschauung", sulla concezione del mondo di Pirandello: e cioŠ su una visione globale della vita che ha il suo perno nel gi… citato concetto di umorismo, o meglio in una scala di gradazioni che dal comico passa all'umorismo e via via giunge alla tragedia. Tragedia che non ha radici epiche, come quella, ad esempio, di un Verga (e cioŠ dedotta da una concezione statica della vita, entro la quale il poeta ha la funzione di riconoscere, di ritrovare, l'eterno ripetersi del dramma di essere uomo) ma che si sviluppa dialetticamente da una iniziale disponibilit… verso la vita com'Š, da un'accettazione incondizionata del reale. La prima rottura di questa compattezza del reale avviene inizialmente attraverso il comico, e cioŠ attraverso l'avvertimento di qualcosa che non Š come dovrebbe essere, qualcosa di anormale, di abnorme. E' a questo punto che nasce la possibilit… di una valutazione dell'opera pirandelliana alla luce della cultura contemporanea e nell'ambito di quella crisi della civilt… che ha avuto i suoi maggiori interpreti letterari in Proust, Joyce, Kafka, Musil, e altri. Frantumato il vecchio ordine di valori (e non sarebbe avventato, al di l… della contingente polemica, scorgere nell'avversione di Croce verso Pirandello un momento della lotta del filosofo contro la crisi dei valori borghesi, o piuttosto della sua disperata negazione di un fatto incontestabile), sparisce la distinzione tra normale e anormale, tra giusto e ingiusto, tra bello e brutto. Tutto diventa problematico, tutto diventa possibile: la compagine della vita quotidiana si frantuma nella girandola degli atti gratuiti, delle scelte immotivate Basta rileggere una qualsiasi delle novelle o dei drammi pirandelliani: sarebbe impossibile ricondurli a un qualsiasi genere letterario, catalogarli secondo lo schema della farsa, della tragedia, della commedia, del realismo o del non-realismo. E questo non perch‚ Pirandello (e Joyce e Kafka e Musil, e diversi altri interpreti del dramma contemporaneo) sia vittima di una confusione ideologica o di un'incertezza estetica, ma proprio al contrario, perch‚ in lui (in loro) la realt… contemporanea si riflette col massimo rigore, nel rifiuto che in certa misura potremmo chiamare eroico, di ogni idea preconcetta, di ogni mistificazione ideologica. In Pirandello il soggettivismo non Š mai un narcisismo (come accade in D'Annunzio per esempio) ma diventa dramma. L'impossibilit… di aderire alle forme, ai valori costituiti si traduce in totale abbandono alla vita, e infine nel recupero della comprensione e della compassione verso tutti gli aspetti e le forme che pu• assumere di volta in volta la condizione umana. In questo senso l'"uomo solo" pirandelliano Š assai vicino all'Ulisse joyciano, all'Uomo senza qualit… di Musil, ai personaggi di Kafka. Persona e personaggio. "La natura si serve dello strumento della fantasia umana per proseguire la sua opera di creazione. E chi nasce merc‚ questa attivit… creatrice che ha sede nello spirito dell'uomo, Š ordinato da natura a una vita di gran lunga superiore a quella di chi nasce dal grembo mortale d'una donna. Chi nasce personaggio, chi ha ventura di nascere personaggio vivo...". Cos• Pirandello formulava quella distinzione tra persona e personaggio che sta alla base della sua arte. Distinzione fra due momenti dell'animo umano: il primo, della persona, ancora informe, disponibile ad assumere ogni forma che gli venga imposta dall'interno o dall'esterno; il secondo, del personaggio, ruotante intorno a un perno, fissato nel gioco delle parti, destinato a ripetere ogni giorno gli stessi gesti, a ripetere per sempre lo stesso dramma. Massimo Bontempelli chiariva: "Insomma i personaggi sono le sole verit…. Col personaggio l'umanit… ha ritrovato l'inconfondibile, l'immodificabile, l'indistruttibile, l'eterno". La tensione dell'arte pirandelliana nasce per• dall'altalena fra persona e personaggio, e dall'impossibilit… dell'uomo a essere definitivamente l'una o l'altro. E per ripetere una distinzione cara ai primi esegeti di Pirandello a essere o "vita" o "forma". L'arte pirandelliana si colloca per• al di l… di questa distinzione: e deriva direttamente dall'atteggiamento dell'autore verso i suoi personaggi. E' stato notato che Pirandello mostra verso i suoi personaggi ostilit… e astio, quasi destassero in lui ripugnanza. Ne mette in evidenza particolari sgradevoli, si accanisce nel descriverne le miserie fisiche e spirituali, li colloca in ambienti che, prima d'essere illuminati dalla luce della tragedia o della farsa, sono immersi in un ossessivo grigiore. E neppure sono vittime di un destino sociale, come presso i naturalisti, o di un destino religioso come in Verga. Essi, piuttosto, sembrano artefici della propria sventura, talvolta in modo consapevole e determinato. E poich‚ dall'esterno non possono attendersi riscatto e salvezza, ci appaiono irrimediabilmente dannati. Ma quale peccato stanno scontando? Una risposta penetrante ci viene offerta da Giacomo Debenedetti quando, alludendo al protagonista di "Vittoria delle formiche" che vive in uno stato di bislacca, ma serena solitudine, annota: "D'improvviso Š diventato brutto, Š andato a raggiungere la media dei suoi fratelli: davvero qualcosa di ripugnante Š suppurato in lui. Ed Š semplicemente successo che, da 'uomo solo' qual era, di qua dal mondo della convivenza umana con i suoi inevitabili confronti e giudizi, quell'individuo Š decaduto sia pur soltanto col pensiero e col rammarico - nella gazzarra cieca di quella convivenza. E' voluto tornare a essere 'una parte nel gioco delle parti'". Questa nostalgia della "persona", dello stato di primitivit… dell'uomo, di ci• che non Š ancora condizionato e contaminato dalla convivenza, costituisce il polo ideale dell'arte pirandelliana, quasi il "limite" esterno al quale lo scrittore si riporta per trovare i termini di riferimento della sua realt… letteraria. Ma, come abbiamo detto, questo Š soltanto il "limite" esterno: perch‚ l'opera pirandelliana si svolge tutta intorno alla tematica del personaggio, e al suo modo di esistere. E' attraverso la parola che si diventa personaggi. Infatti il connotato stilistico pi— evidente nell'opera pirandelliana Š un dialogo fittissimo e incessante, che soltanto di rado lascia spazio alla contemplazione o all'azione. I gesti hanno sempre una funzione dialettica; attraverso di loro i personaggi cambiano (forse solo apparentemente) la loro vita, o prendono coscienza di ci• che sono. Tuttavia questi gesti sono ridotti a momenti; la continuit… Š data dal dialogo, dal tentativo quasi esasperante di "farsi intendere", di uscire dalla solitudine attraverso la comunicazione. Un tipo di comunicazione particolare, misteriosamente frenata, che non raggiunge mai l'altro. Il risvolto stilistico di questa situazione esistenziale sta nella natura "astratta", quasi senza riferimenti di tempo e di luogo, del linguaggio pirandelliano. Nonostante la sua derivazione veristica e gli stretti legami culturali e sentimentali con la sua terra d'origine (quella Sicilia tanto presente nella prosa verghiana) - il linguaggio di Pirandello si avvale pochissimo degli elementi dialettali o gergali della lingua italiana corrente. Ogni personaggio sembra piuttosto avere elaborato una sua forma espressiva particolare, fatta di ripetizioni, di allusioni ammiccanti, di costruzioni sintattiche affannose che ubbidiscono a un ritmo interiore dei sentimenti piuttosto che alla convenzione della lingua parlata o scritta. Anche il linguaggio pirandelliano ci riporta alla tematica della solitudine: "l'uomo solo" parla per se stesso oppure per un interlocutore inesistente. Nonostante il "successo" che ha arriso alla sua opera, anche a Pirandello, come a tutti i grandi interpreti del nostro tempo, manca quel lettore fraterno e partecipe al quale si rivolgeva l'artista classico. Nel mondo della crisi anche lo scrittore Š un "uomo solo". ®L'innesto¯. Commedia in tre atti, venne rappresentata per la prima volta il 29 gennaio 1919 al Teatro Manzoni di Milano dalla compagnia di Virgilio Talli: prima attrice Maria Melato. Nel 1922 fu pubblicata, sempre a Milano, dalla casa editrice Treves. Ambientata in luoghi precisi (a Roma e a Monteporzio) e in un'epoca definita (contemporanea all'autore), "L'innesto" rivela immediatamente la costruzione di stampo classico. Con le altre due commedie raccolte in questo volume, appartiene al primo periodo della drammaturgia pirandelliana: quando l'autore, partendo generalmente da una visione personale del mondo piccolo-borghese, crea personaggi "inquieti e pavidi, sorpresi sempre dalla forza stragrande della vita" e li sta a osservare mentre tentano affannosamente "di trovare la chiave del giuoco, la soluzione dell'indovinello che li circonda, la parola che aprir… le porte della libert… o che li far… signori della vita dintorno" (Confronta Mario Apollonio, "Storia del teatro italiano", Sansoni, Firenze 1950, volume 4). E' sufficiente allora che uno di essi, il pi— astuto o il pi— coraggioso, si faccia avanti e proponga una nuova "formula" dentro la quale tutti gli altri possano placarsi, perch‚ il dramma di ognuno si risolva facilmente in commedia. Nell'"Innesto" la "formula" non Š una convenzione borghese - come, ad esempio, nell'"Uomo, la bestia e la virt—" - ma esattamente il suo capovolgimento. Pirandello, che non Š mai riuscito a concepire una storia d'amore completa, ha creato con questa commedia una delle pi— amare che mai siano state scritte. Dopo sette anni di matrimonio Laura e Giorgio Banti sono ancora molto innamorati: unica tristezza l'assenza di figli per difetto del marito. Un giorno Laura viene violentata da un bruto e ne resta incinta. Di fronte alla moglie "contaminata", Giorgio dapprima si ribella (®No! E' la selva! E' sempre la selva originaria!... E io che devo essere generoso; mentre qua il sentimento mi rugge come una belva...¯), ma le parole di Laura che insorge contro di lui non in nome della maternit… (vecchio tema ormai abusato), ma dell'amore per il marito (®... In me non c'Š altro! Sei tu in me, e non c'Š altro!¯) convincono Giorgio che il nascituro gli appartiene, sia fisiologicamente che sentimentalmente, perch‚ la moglie non ha mai cessato di appartenergli. Soluzione paradossale, che va contro la logica comune e che fa comprendere perch‚ durante la prima a Milano ci siano stati applausi e zittii, impressioni e giudizi contrastanti. Si ha infatti la netta scomposizione del personaggio in due: la persona fisica e il sentimento, scomposizione che precorre quelle dell'"Enrico Quarto" e dei "Sei personaggi in cerca d'autore" e che, dopo la prima, ha fatto dire a Marco Praga nel corso di una conversazione con Pirandello: ®"L'innesto" Š ancora del Pirandello autentico, sincero, ammirabile... perch‚ Š roba tua, carne della tua carne, fosforo del tuo cervello; perch‚ appartiene al 'tuo' teatro, che non Š il teatro degli altri, ma Š un teatro diverso, un teatro nuovo, come fu nuovo e diverso quello dell'Ibsen in Norvegia, quello dello Shaw in Inghilterra, quello del de Curel in Francia ¯. ®La patente¯. Atto unico tratto da una novella omonima del 1911, fu steso nel 1917 e pubblicato nella "Rivista d'Italia" del 31 gennaio 1918, quindi, nel 1920, presso la casa editrice Treves di Milano. La prima rappresentazione (nella versione in dialetto siciliano curata dallo stesso autore e intitolata "A patenti") venne data il 19 febbraio 1919 al Teatro Argentina di Roma dalla compagnia del "Teatro Mediterraneo" diretta da Nino Martoglio, nell'interpretazione di Angelo Musco. La patente fu tradotta anche in dialetto genovese (da Gilberto Govi) nel 1931 e, nel 1937, in napoletano e in veneziano. Con altre opere pirandelliane ("La giara", "Il ventaglino", "Marsina stretta") Š stata ripresa nel 1953 in un film a sketch dal titolo "Questa Š la vita", per la regia di Luigi Zampa e l'interpretazione di Tot•. Dalla trama esilissima della novella Pirandello Š arrivato a comporre in quest'atto unico un insieme di brevi quadri di schietto umore teatrale. Il dramma e il grottesco della vicenda si risolvono teatralmente in un accorato e vivo monologo cui fa da contrappunto come nel teatro classico - un "coro": in questo caso i giudici. Come sempre l'autore fissa l'attenzione del pubblico su un nucleo, su un fatto icasticamente rappresentato: in quest'atto unico Š la sfortunata storia di Rosario Chi…rchiaro, un disgraziato padre di famiglia cui Š stato misteriosamente attribuito il potere di iettatore. Licenziato dal lavoro in seguito a questa fama, al colmo della disperazione, egli "non pu• vivere" scrive Mario Apollonio "se non codificando la sua fama di jettatore, facendosi riconoscere ufficialmente come possessore di un potere funesto e invincibile" e ottenere in tal modo la sua "patente". ®La patente!¯ grida infatti il pover'uomo ®Sar… la mia professione! Io sono stato assassinato, signor giudice! Sono un povero padre di famiglia. Lavoravo onestamente. M'hanno cacciato via e buttato in mezzo a una strada... con la moglie paralitica... e con due ragazze... Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a far la professione di jettatore...¯: solo cos, infatti, potr… guadagnarsi da vivere perch‚ tutti, per tenerlo lontano, saranno costretti a pagargli una tassa. Nella "Patente" si ha dunque la denuncia di tutto un gioco di rapporti e preconcetti in cui la persona umana Š inevitabilmente coinvolta dalla presenza dei pi—: per sopravvivere l'uomo deve crearsi delle "apparenze", "ci vediamo vivere", dice Pirandello. Sviluppato con assoluta efficacia anche nel presente atto unico, Š questo il punto focale della tematica pirandelliana gi… abbozzato in precedenti commedie e romanzi (ad esempio "Il berretto a sonagli" e "Il fu Mattia Pascal") e destinato a giungere all'esasperazione nel "Giuoco delle parti" e, soprattutto, nell'"Enrico Quarto". Come Rosario Chi…rchiaro, ciascuno ha una maschera, un ruolo da giocare, maschera e ruolo che gli sono plasmati addosso dagli altri, dalla gente che gli vive attorno, maschera e ruolo cui nessuno pu• sottrarsi, perch‚ il pregiudizio della massa non solo ha una parte importante nella vita del singolo, ma finisce per avere sempre il sopravvento. "La tragedia dell'uomo Š proprio questa" dice in proposito Silvio D'Amico "che per illudersi di vivere non ha altra risorsa se non d'affidarsi a codesta maschera, a cotesta larva, come gli altri (o lui stesso) l'hanno foggiata." Quella "larva", quella maschera sociale che accomuna tutti gli uomini in una situazione di angosciosa solidariet…, e che nel "Berretto a sonagli" ha fatto esplodere Pirandello nel grido crudele del protagonista: ®... Pupi siamo, pupo io, pupo lei, pupi tutti...¯, uomini svuotati d'ogni vera realt…, costretti a vivere una vita che non avrebbero mai voluto vivere. ®L'uomo, la bestia e la virt—¯. Commedia in tre atti tratta dalla novella "Richiamo all'obbligo", fu rappresentata per la prima volta al Teatro Olimpia di Milano 2 maggio 1919 dalla compagnia di Antonio Gandusio. Il 10 settembre dello stesso anno veniva pubblicata nella rivista "Comoedia", quindi, nel 1922, presso l'editore Bemporad di Firenze. Venne ben presto tradotta il e rappresentata anche all'estero: alla fine del 1923 in Spagna (dalla compagnia di Dario Niccodemi) e in Polonia (al Teatro Polski di Varsavia); nel 1925 in Ungheria e, rispettivamente, il 22 settembre e il 20 novembre dello stesso anno, al Piccolo Teatro di Berlino e al Teatro Burianovo di Praga (regista il comico Vasta Burian); l'anno successivo, prima ad Atene poi, il 31 dicembre, al Garrick Theatre di New York; quindi, il 19 novembre 1931, al Th‚atre St.-Georges di Parigi: protagonista femminile Marta Abba, che recit• in francese. Nel 1953 il regista Steno ne ha tratto il film omonimo. Alla luce del successo venuto poi, Š assai curioso rileggere la cronaca della prima serata: vi si dice che, dopo le tre chiamate alla fine del primo atto - peraltro contrastate - ci furono chiare disapprovazioni e proteste durante il secondo e il terzo atto, le cui ultime battute vennero rese addirittura inascoltabili da una serie di "atti clamorosi". L'accoglienza sfavorevole del pubblico fu, del resto, avallata dalla critica. Dopo la prima rappresentazione Renato Simoni ha cercato di attenuare il giudizio negativo con queste parole: "Pirandello Š un nobilissimo artista e da un errore pur grave, come la commedia di ieri, non esce diminuito". Ma tre anni dopo, nel 1922, Silvio D'Amico esprime al riguardo un'opinione totalmente contrastante: "Tutto Š trattato con spirito originale, e in tutto s'avverte un sapore acre e nuovo non conosciuto nel nostro teatro prima che Pirandello v'apparisse". Il giudizio favorevole di D'Amico Š convalidato dal fatto che, fra le numerose commedie pirandelliane, "L'uomo, la bestia e la virt—" Š stata una delle pi— rappresentate e meglio accolte dal pubblico, a causa, probabilmente, delle sue esteriori apparenze di "pochade" che ne nascondono l'intima drammaticit… e il suo pi— valido e intrinseco significato: quello di una satira graffiante delle ipocrisie e del perbenismo borghese, satira che la rende attuale anche oggi, a mezzo secolo di distanza. L'intreccio, che ci riporta per certi versi alla "Mandragola" e alla novellistica di tipo classico, Š semplice. Vi si narra il caso grottesco del "trasparente" professor Paolino, ("l'uomo"), un insegnante onesto e rispettabile, che dopo aver reso madre "la virtuosa signora Perella" durante una delle frequenti assenze del marito ammiraglio, costringe quest'ultimo (infedele e insensibile al fascino della moglie, e perci• definito "la bestia"), a compiere contrariamente al suo solito - il proprio dovere coniugale: mezzo per raggiungere tale scopo una torta dall'effetto afrodisiaco appositamente preparata. In un succedersi di scene non prive di angosciosa suspense per i due amanti, dove la "vis comica" pirandelliana ha modo di rivelarsi pienamente, il nascituro riuscir… ad avere un padre legittimo cui essere attribuito, mentre la virt— della signora Perella e la rispettabilit… del professor Paolino continueranno ad essere inattaccabili. Questo apologo scorato (tutti i personaggi vi vengono grottescamente paragonati ad animali) Š, nella sua situazione boccaccesca, una commedia di costume tipicamente italiano. In essa tuttavia il "sentimento del contrario" (come Pirandello ha definito il suo umorismo) ribalta ancora una volta la consuetudine della morale borghese; e il tradizionale "triangolo" ne esce totalmente capovolto. E' l'amante infatti a gettare la moglie tra le braccia del legittimo marito: ®Che Perella sia un buon marito, voglio!¯ grida il professor Paolino. ®Che non sbatta pi— la porta in faccia alla moglie quando sbarca qui!¯ Nonostante le apparenze di farsa un po' scabrosa, in questi tre atti si rivela in realt… un Pirandello malinconico che - come ha detto bene la critica - "costruisce deliberatamente dall'assurdo per spremere gli umori agri di una falsa onest… e di ipocrite convenzioni". Pi— che a un "apologo", la commedia meglio corrisponde alla definizione che ne ha data l'autore: "tragedia annegata in una farsa". Pirandello in verit…, come scrisse Marco Praga, "sotto l'apparenza della farsa ha voluto mettere qualcosa, una satira tragica e atroce... maschera da trivio imposta ai voleri astratti, morali religiosi dell'umanit…". una e Bibliografia. Diamo, qui di seguito, un elenco delle prime edizioni delle opere di Pirandello; per le commedie diamo anche le indicazioni della prima rappresentazione. Tutte le opere di Pirandello sono ristampate nei "Classici Contemporanei Italiani" di Mondadori. Per una bibliografia completa delle opere di Pirandello, rimandiamo a Manlio Lo Vecchio Musti, "Bibliografia di Pirandello", Mondadori, Milano 1937. Per gli scritti su Pirandello, oltre alle opere fondamentali, valga l'indicazione di alcuni tra gli scritti pi— recenti, che esemplificano l'attuale orientamento critico. Una completa bibliografia degli scritti su Pirandello Š quella di Alfredo Barbina, "Bibliografia della critica pirandelliana", 1889-1961, Firenze 1967. PRIME EDIZIONI DELLE RACCOLTE DI NOVELLE. "Amori senza amore", Stabilimento Bontempelli Editore, Roma 1894. "Beffe della morte e della vita", Lumachi, Firenze 1902 (Prima serie) e 1903 (Seconda serie). "Quand'ero matto", Streglio, Torino 1902. "Bianche e nere", Streglio, Torino 1904. "Ermes bifronte", Treves, Milano 1906. "La vita nuda", Treves, Milano 1911. "Terzetti", Treves, Milano 1912. "Le due maschere", Quattrini, Firenze 1914. "La trappola", Treves, Milano 1915. "Erba del nostro orto", Studio Editoriale Lombardo, Milano 1915. "E domani, luned•", Treves, Milano 1917. "Un cavallo nella luna", Treves, Milano 1918. "Berecche e la guerra", Facchi, Milano 1919. "Il carnevale dei morti", Battistelli, Firenze 1919. Dal 1922 inizia la raccolta delle "Novelle per un anno", edite da R. Bemporad e F. e Mondadori, in 15 volumi, di cui diamo qui di seguito i titoli e le date delle prime edizioni, tenendo presente che si riferiscono tutte alle edizioni R. Bemporad e F., che sono le prime ad uscire, salvo quelle degli ultimi due volumi, editi solamente presso Mondadori. "Scialle nero", 1922; "La vita nuda", 1922; "La rallegrata", 1922; "L'uomo solo", 1922; "La mosca", 1923; "In silenzio", 1923; "Tutt'e tre", 1924; "Dal naso al cielo", 1925; "Donna Mimma", 1925; "Il vecchio dio", 1926; "La giara", 1928; "Il viaggio", 1928; "Candelora", 1928; "Berecche e la guerra", 1934; "Una giornata", 1937. PRIME EDIZIONI DELLE POESIE. "Mal giocondo", Libreria Internazionale Lauriel di Carlo Clausen, Palermo, 1889. "Pasqua di Gea", Libreria Editrice Galli, Milano 1891. "Pier Gudr•", Enrico Voghera, Roma 1894. "Elegie renane", Unione Cooperativa Editrice, Roma 1895. "Zampogna", Societ… Editrice Dante Alighieri, Roma 1901. "Scamandro", Tipografia Roma di Arnani e Stein, Roma 1909. "Fuor di chiave", Formiggini, Genova 1912. "Elegie romane" (traduzione da Goethe), Giusti, Livorno 1896. PRIME EDIZIONI DEI SAGGI. "Arte e scienza", W. Modes Libraio Editore, Roma 1908. "L'umorismo", R. Carabba, Lanciano 1908. PRIME EDIZIONI DEI ROMANZI. "L'esclusa", in "La tribuna", giugno-agosto 1901; poi presso Treves, Milano 1908. "Il turno", Giannotta, Catania 1902. "Il fu Mattia Pascal", in "La nuova antologia", aprile-giugno 1904, poi edito da "La nuova antologia", Roma 1904. "Suo marito", Quattrini, Firenze 1911; fu ripubblicato poi col titolo "Giustino Roncella nato Boggi•lo". "I vecchi e i giovani", in "Rassegna contemporanea", gennaionovembre 1909; poi presso Treves, Milano 1913. "Si gira", in "La nuova antologia", giugno-agosto 1915; poi presso Treves, Milano 1916; in seguito venne ripubblicato col titolo "Quaderni di Serafino Gubblio operatore", R. Bemporad e F., Firenze 1925. "Uno, nessuno e centomila", in "La fiera letteraria", 1925-26; poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1926. PRIME EDIZIONI E PRIME RAPPRESENTAZIONI DELLE OPERE TEATRALI. "La morsa" (col titolo "L'epilogo"), pubblicata in "Ariel", 20 marzo 1898; poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a Roma, Teatro Metastasio, dalla compagnia "Teatro minimo", diretta da Nino Martoglio, 9 dicembre 1910. "Lum¡e di Sicilia", pubblicata in "La nuova antologia", 16 marzo 1911; poi presso Treves, Milano 1920; rappresentata a Roma, Teatro Metastasio, dalla compagnia "Teatro minimo", diretta da Nino Martoglio, 9 dicembre 1910. "Il dovere del medico", pubblicata in "Noi e il mondo", gennaio 1912; poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a Roma, Sala Umberto Primo, dalla compagnia "Teatro per tutti", diretta da Lucio d'Ambra e Achille Vitti, 20 giugno 1913. "CecŠ", pubblicata in "La lettura", ottobre 1913; poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a S. Pellegrino, Teatro del Casino, dalla compagnia Armando Falconi, 10 luglio 1920. "Se non cos•", pubblicata in "La nuova antologia", gennaio 1916; poi (col titolo "La ragione degli altri") presso Treves, Milano 1917; rappresentata a Milano, Teatro Manzoni, dalla compagnia Stabile Milanese, diretta da Marco Praga, 19 aprile 1915. "All'uscita", pubblicata in "La nuova antologia", novembre 1916; poi presso Treves, Milano 1917; rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla compagnia Lamberto Picasso, 22 settembre 1922. "Pensaci, Giacomino!", pubblicata in "Noi e il mondo", aprilegiugno 1917; poi presso Treves, Milano 1918; rappresentata a Roma (nella versione originale in dialetto siciliano col titolo "Pensaci, Giacominu!"), Teatro Nazionale, dalla compagnia Angelo Musco, 10 luglio 1916. "Liol…" (testo in siciliano), pubblicata da Formiggini, Roma 1917; rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla compagnia Angelo Musco, 4 novembre 1916. "Cos Š (se vi pare)", pubblicata in "La nuova antologia", 116 gennaio 1918; poi presso Treves, Milano 1918; rappresentata a Milano, Teatro Olimpia, dalla compagnia Virgilio Talli, 18 giugno 1917. "La patente", pubblicata nella "Rivista d'Italia", 31 gennaio 1918; poi presso Treves, Milano 1920; rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla compagnia "Teatro Mediterraneo", diretta da Nino Martoglio (tradotta in siciliano dallo stesso Pirandello), 19 febbraio 1919. "Il piacere dell'onest…", pubblicata in "Noi e il mondo", febbraiomarzo 1918; poi presso Treves, Milano 1918; rappresentata a Torino, Teatro Carignano, dalla compagnia Ruggero Ruggeri, 27 novembre 1917. "Il berretto a sonagli", pubblicata in "Noi e il mondo", agostosettembre 1918; poi presso Treves, Milano 1920; rappresentata a Roma (nella versione originale in dialetto siciliano col titolo "A birritta cu' i ciancianeddi"), Teatro Nazionale, dalla compagnia Angelo Musco, 27 giugno 1917. "Il giuoco delle parti", pubblicata in "La nuova antologia", 116 gennaio 1919; poi presso Treves, Milano 1919; rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Ruggero Ruggeri, 6 dicembre 1918. "L'uomo, la bestia e la virt—", pubblicata in "Comoedia", 10 settembre 1919; poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1922; rappresentata a Milano, Teatro Olimpia, dalla compagnia Antonio Gandusio, 2 maggio 1919. "Ma non Š una cosa seria", pubblicata da Treves, Milano 1919; rappresentata a Livorno, Teatro Rossini, dalla compagnia Emma Grammatica, 22 novembre 1918. "Tutto per bene", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1920; rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Ruggero Ruggeri, 2 marzo 1920. "L'innesto", pubblicata da Treves, Milano 1921; rappresentata a Milano, Teatro Manzoni, dalla compagnia Virgilio Talli, 29 gennaio 1919. "Come prima, meglio di prima", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1921; rappresentata a Venezia, Teatro Goldoni, dalla compagnia Ferrero-Celli-Paoli, 24 marzo 1920. "Sei personaggi in cerca d'autore", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1921; rappresentata a Roma, Teatro Valle, dalla compagnia Niccodemi, 10 maggio 1921. "Enrico Quarto", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1922; rappresentata a Milano, Teatro Manzoni, dalla compagnia Ruggero Ruggeri, 24 febbraio 1922. "La signora Morli, una e due", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1922; rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla compagnia Emma Grammatica, 12 novembre 1920, "Vestire gli ignudi", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1923; rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Maria Melato, 14 novembre 1922. "La vita che ti diedi", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1924; rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Alda Borelli, 12 ottobre 1923. "Sagra del Signore della Nave", pubblicata nel "Convegno", 30 settembre 1924, poi presso R. Bemporad e F., Firenze 1925; rappresentata a Roma, Teatro Odescalchi, dalla compagnia "Teatro d'arte", diretta da Pirandello, 4 aprile 1925. "Ciascuno a suo modo", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1924; rappresentata a Milano, Teatro dei Filodrammatici, dalla compagnia Niccodemi, 22 maggio 1924 "L'altro figlio", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1925; rappresentata a Roma, Teatro Nazionale, dalla compagnia Raffaello e Garibalda Niccoli (tradotta in vernacolo toscano da F. Paolieri), 23 novembre 1923. "La giara", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1925; rappresentata a Roma, Teatro Nazionale, dalla compagnia Angelo Musco (tradotta in siciliano dallo stesso Pirandello), 9 luglio 1917. "L'imbecille", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a Roma, Teatro Quirino, dalla compagnia Alfredo Sainati, 10 ottobre 1922. "L'uomo dal fiore in bocca", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1926; rappresentata a Roma, Teatro degli Indipendenti, dalla compagnia degli "Indipendenti", diretta da Anton Giulio Bragaglia, 21 febbraio 1923. "Diana e la Tuda", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1927; rappresentata a Zurigo, Schauspielhaus, 20 novembre 1926 (traduzione tedesca di Hans Feist); prima rappresentazione italiana a Milano, Teatro Eden, "Compagnia Pirandello", 14 gennaio 1927. "L'amica delle mogli", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1927; rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla "Compagnia Pirandello", 28 aprile 1927. "La nuova colonia", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1928; rappresentata a Roma, Teatro Argentina, dalla "Compagnia Pirandello", 24 marzo 1928. "Bellavita", pubblicata in "Il Secolo XX", luglio 1928; poi presso Mondadori, Milano 1937; rappresentata a Milano, Teatro Eden, dalla compagnia Almirante-Rissone-Tofano, 27 maggio 1927. "Liol…" (testo italiano), pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1928; rappresentata a Milano, Teatro Nuovo, dalla compagnia TofanoRissone-De Sica, 8 giugno 1942. "Sogno (ma forse no)", pubblicata in "La lettura", ottobre 1929; poi presso Mondadori, Milano 1936; rappresentata a Lisbona, Teatro Nacional, 22 settembre 1931 (traduzione portoghese di Caetano de Abreu Beirao); prima rappresentazione italiana a Genova, Teatro Giardino d'Italia, compagnia Filodrammatica del Gruppo Universitario di Genova, 10 dicembre 1937. 2O di uno o di nessuno", pubblicata da R. Bemporad e F., Firenze 1929; rappresentata a Torino, Teatro di Torino, dalla compagnia AlmiranteRissone-Tofano, 4 novembre 1929. "Lazzaro", pubblicata da Mondadori, Milano 1929; rappresentata a Huddersfield, Theater Royal, 9 luglio 1929 (traduzione inglese di C. K. Scott Moncrieff); prima rappresentazione italiana a Torino, Teatro di Torino, compagnia Marta Abba, 7 dicembre 1929. "Questa sera si recita a soggetto", pubblicata da Mondadori, Milano 1930; rappresentata a Koenigsberg, Neues Schauspielhaus, 25 gennaio 1930 (traduzione tedesca di Heinrich Kahn); prima rappresentazione italiana a Torino, Teatro di Torino, Compagnia appositamente costituita diretta da Guido Salvini, 14 aprile 1930. "Come tu mi vuoi", pubblicata da Mondadori, Milano 1930; rappresentata a Milano, Teatro dei Filodrammatici, dalla compagnia Marta Abba, 18 febbraio 1930. "I giganti della montagna", pubblicata: il Primo atto in "La nuova antologia", 16 dicembre 1931; il Secondo atto in "Quadrante", novembre 1934; poi, completa, presso Mondadori, Milano 1938; rappresentata a Firenze, Giardino di Boboli, dal Complesso Artistico diretto da Renato Simoni, 5 giugno 1937. "Trovarsi", pubblicata da Mondadori, Milano 1932; rappresentata a Napoli, Teatro dei Fiorentini, dalla compagnia Marta Abba, 4 novembre 1932. "Quando si Š qualcuno", pubblicata da Mondadori, Milano 1933; rappresentata a Buenos Aires, Teatro Odeon, 20 settembre 1933 (traduzione spagnola di Homero Guglielmini); prima rappresentazione italiana a San Remo, Teatro del Casino Municipale, compagnia Marta Abba, 7 novembre 1933. "La favola del figlio cambiato", pubblicata, con la musica di Malipiero, da Ricordi, Milano 1933; rappresentata a Braunschweig, Landtheater, 13 gennaio 1934 (traduzione tedesca di Hans Redlich); prima rappresentazione italiana a Roma, Teatro Reale dell'Opera, 24 marzo 1934. "Non si sa come", pubblicata da Mondadori, Milano 1935; rappresentata a Praga, Teatro Nazionale, 19 dicembre 1934 (traduzione ceca di Venceslao Jivina); prima rappresentazione italiana a Roma, Teatro Argentina, compagnia Ruggero Ruggeri, 13 dicembre 1935. "Pari" (incompiuta), pubblicata nell'"Almanacco Letterario Bompiani", Milano 1938. SULLA VITA DI PIRANDELLO. F. 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Fra le commedie, "Pensaci, Giacomino!" svolge il motivo del marito che riconduce a viva forza presso la moglie il giovane amante di lei; "L'uomo, la bestia e la virt—", al contrario, il motivo dell'amante che riconduce a viva forza il marito nel talamo coniugale; Ma non Š una cosa seria, il motivo del matrimonio antidoto contro il pericolo del matrimonio; e fra le novelle, "Da s‚", il motivo del morto che se ne va con le sue gambe al cimitero godendo di tante cose di cui n‚ vivi n‚ morti si accorgono e godono; "NenŠ e Nini", il motivo di due orfanelli che sono la causa della rovina di tutta una serie di patrigni e matrigne; "Canta l'epistola", il motivo di un duello mortale causato dall'estirpazione di un filo d'erba; Il dovere del medico, il motivo del medico che per dovere lascia che il malato affidatogli muoia dissanguato; "Prima notte", il motivo di due coniugi che la passano piangendo sulle tombe l'una del fidanzato, l'altro della prima moglie; "L'illustre estinto", il motivo di un illustre estinto sepolto di notte e di nascosto come un cane mentre al suo posto un ignoto riceve onori regali, e basta, ch‚ non si finirebbe pi— di esemplificare. Dualismo della Vita e della Forma o Costruzione; necessit… per la Vita di calarsi in una Forma ed impossibilit… di esaurirvisi: ecco il motivo fondamentale che sottost… a tutta l'opera di Pirandello e le d… una ferrea unit… e organicit… di visione. Ci• basta da solo a far comprendere di quanta freschissima attualit… sia l'opera di questo nostro scrittore. Tutta la filosofia moderna da Kant in poi sorge sulla base di questa intuizione profonda del dualismo tra la Vita, che Š spontaneit… assoluta, attivit… creatrice, slancio perenne di libert…, creazione continua del nuovo e del diverso, e le Forme o Costruzioni o schemi che tendono a rinserrarla in s‚, schemi che la Vita, di volta in volta, urtandovi contro, infrange dissolve fluidica per passare pi— lontano, creatrice infaticata e perenne. Tutta la storia della filosofia moderna non Š che la storia dell'approfondirsi del conquistarsi del chiarificarsi a se medesima di questa intuizione fondamentale. Agli occhi di un artista che di questa intuizione viva - Š il caso di Pirandello la realt… appare nella sua stessa radice profondamente drammatica, e l'essenza del dramma Š nella lotta fra la primigenia nudit… della vita e gli abiti o maschere di cui gli uomini pretendono, e debbono necessariamente pretendere, di rivestirla. "La vita nuda", "Maschere nude". I titoli stessi delle opere sono altamente significativi." Corrado Alvaro. Quando Pirandello consegu• nel 1934 il Premio Nobel, Corrado Alvaro scrisse per "La nuova antologia", 16 novembre 1934, un articolo che riportiamo quasi per intero - dal titolo "Pirandello, Premio Nobel 1934". E' un articolo che contribuisce ad avvicinarci alla personalit… artistica e umana dello scrittore siciliano. "La sua lingua, al principio ripicchiata e di vocabolario, diviene nel meglio della sua opera un modo d'esprimersi naturale, come si esprimono gli elementi nella luce; punto investono l'uomo e divengono rimpianti incubi, le sue manie a un certo di angeli decaduti, segni del destino. Tanto Š vero che non c'Š grande poeta senza idee fisse. Non Š chiara ancora la trasmutazione dei valori nell'arte pirandelliana; non Š chiara l'operazione per cui i suoi personaggi provinciali, vestiti di nero, divengono i rappresentanti d'un mondo borghese preso dalla vertigine del mutamento d'un'epoca. E non Š chiaro come la grossa farsa paesana torna con lui, a una data temperatura, al modello d'una commedia classica. V'Š in lui una forza, pi— che governata, primordiale, un risentimento atavico di destini umani; soltanto un provinciale che serbi i sogni e gl'ideali del fanciullo di provincia verso un mondo pi— alto e pi— puro, verso l'astrazione e i concetti, poteva operare la trasmutazione dell'arte pirandelliana per la quale, nelle esplicazioni maggiori, non si pu• parlare quasi d'altro che d'una forza di convinzione e d'una qualit… di fede. Il suo segreto e la sua forza stanno in quello che credette fanciullo e uomo giovane, nei suoi stessi pregiudizi: nell'eredit… insomma del suo ceppo borghese, nel doloroso decoro dei borghesi di provincia, nel loro sacrificio oscuro, nella loro facolt… di ammirare e di credere, perfino in una certa dose di malignit… e di cattiveria, di emulazione, di orgoglio e di culto delle apparenze, d'ideali e d'impulsi segreti pei quali alla fine, giunti alla scoperta del mondo, ne rifuggono inorriditi, poich‚ lo immaginano sempre pi— alto e pi— nobile. La rivolta di Pirandello davanti ad alcuni fatti non ha pi— che queste ragioni e spinte. Egli appartiene a una classe che ha una storia di ideali e di sacrifici. Sulle prime, la stessa societ… di cui Pirandello ha fatto la storia Š saltata in piedi indignata, quasi quanto sono indignati i suoi personaggi di scoprirsi sul palcoscenico. Essi credono alla purit… e all'onest…, hanno diviso il mondo in bene e in male, e questi limiti non li hanno mai aboliti; credono in una verit… assoluta e incontrovertibile, ciascuno ha in s‚ il suo odio e il suo giudice; lottano contro la malignit… umana che strappa loro gli ultimi schermi e le ultime povere e dignitose apparenze, si confessano a un certo punto con dolore; vorrebbero essere ben alti, ben grandi, ben puri; anche se non v'Š posto ad altezza e a grandezza. Vorrebbero che vi si credesse ancora. Quando il Padre, nei "Sei personaggi", comincia a narrare di s‚, lo fa quasi in sogno; in genere, nell'opera pirandelliana, quando l'uomo comincia a raccontare di s‚ ad alta voce scopre quale Š veramente egli stesso: la colpa, il peccato, l'orrore, sentimenti ben forti nell'opera dello scrittore, prendono consistenza come una lastra fotografica al reagente degli acidi: Š il definirsi, che uccide gli uomini; l'atto della parola diviene una forma di confessione e di espiazione; i drammi si compiono parlandone; fino a quando tutto rimane sepolto nel fondo della coscienza, Š ancora increato e ingiudicato, e l'uomo Š tranquillo; parlando, l'uomo crea e foggia se stesso, stabilisce il suo destino. Per arrivare a questo, occorreva uno scrittore penetrato di tanti elementi indefiniti della coscienza, colpito dagli stessi pregiudizi che tessono il destino degli eroi dei drammi antichi e che fanno il fondo della psicologia popolare, della sua giustizia e delle sue leggi oscure. L'uomo s'inventa e si scopre parlando... Pirandello coglie esattamente questo momento, prima ancora che quindici anni di critica e di fatti compiano l'opera: la sua apparizione sull'orizzonte del teatro ha questo valore annunziatore. Davanti allo smarrimento di se stessi e al crepuscolarismo, la stracca commedia di salotto diventa in Pirandello ancora capace di reazioni: l'uomo vi si rivolta come un disperato eroe, la revisione dei valori convenzionali e la ricerca d'una leva morale divengono fin troppo acute. Alla fine, l'individuo in giacchetta potrebbe portare un peplo di tragedia: pu• di nuovo uccidere, cioŠ offendere, affermare il valore d'una verit… fondamentale, d'un fatto morale e d'una coscienza. Nel dramma borghese tutto finiva fatalmente nel suicidio. Il valore dell'apporto pirandelliano alla rappresentazione del costume Š in una specie d'intuizione della societ… nuova; i suoi personaggi si possono ridurre a una sola espressione e a un solo atteggiamento: la reazione a tutto quello che nella societ… Š senza pi— contenuto vitale, un cammino a ritroso dagli appetiti agli istinti. Uccidere diventa in Pirandello la sanzione dell'istinto, la voce del sangue, il ritorno dell'uomo a una fatalit… umana e a una legge. Una delle vie per cui opera Pirandello Š l'amletismo; tutti i suoi personaggi hanno in s‚ qualcosa di Amleto, e tra questi un discendente diretto Š il suo "Enrico Quarto". Come Amleto, i suoi personaggi, in un mondo di tradizioni consunte, portano qualcosa di essenziale, e il sapore della morte, e il demone del pensiero in confronto con la debolezza della volont…. Anche in Pirandello appare la demenza come una via per riguadagnare il senso della personalit… umana, e qualcosa di fatale che supera la stessa personalit… e volont… dell'uomo. Siamo, cioŠ, al ritorno d'una verit… e d'un valore morale di sentimenti, ritorno tanto insopprimibile, connaturato quasi all'essenza umana, da manifestarsi con la violenza con cui si manifest• nel dramma greco. A un certo punto le leggi morali acquistano la violenza dell'istinto, e colpiscono ciecamente come colpiva il destino. Si apre cos il sipario sull'anima dell'et… nuova, degli uomini nuovi. Massimo Bontempelli. Un contributo fondamentale alla comprensione e alla definizione dell'arte pirandelliana fu dato da Massimo Bontempelli. Dal discorso commemorativo pronunciato il 17 gennaio 1937 e raccolto nel volume "Introduzioni e discorsi", Bompiani, Milano 1945, riportiamo alcuni brani significativi. Luigi Pirandello si affacci• anima candida alla vita e alla intelligenza delle cose, in uno dei tempi meno candidi che si possano immaginare. L'ultimo quarto dell'Ottocento Š un tempo in cui la qualit… principale Š l'abilit…, che anch'essa Š lontana al possibile dal candore. Volendoci stringere nel campo dell'arte, dei maggiori di quel tempo il solo Verga era un elementare. Anche a scendere di qualche anno sarebbe confusione credere Pascoli un candido: Pascoli Š un composito. Quel tempo, con gli anni che lo seguono fino alla guerra d'Europa, segna la fine del mondo romantico, nato diciannove secoli prima. E nell'opera di Pirandello il mondo romantico e le sue postreme deduzioni si distruggono fino all'ultima cellula. Di qua dal mondo che Pirandello ha denudato - ecco la denuncia la compagine umana non pu• trovare che la distruzione totale, o il ricominciamento. Ricominciare, dai primi elementi. Ma ricominciare carichi delle esperienze assorbite e dimenticate. [...] Ma per ricominciare con onest… occorre vedere chiaro intorno a s‚, rendersi conto delle condizioni raggiunte dalla conoscenza umana; e, a costo di tutto (ecco lo spirito candido) a costo di tutto "denunciare le conseguenze". Per potere far questo, l'arte di Pirandello comincia subito, d'istinto, con un atto audace. Egli non sceglie i suoi personaggi. Quasi tutta l'arte narrativa e teatrale prima di lui s'era aggirata intorno alle individualit… tipiche, era una messa in valore di persone, dall'immancabile protagonista gi— per una gerarchia bene stabilita di caratteri. Questa scelta e misurazione e giudicamento senza appello era il lavoro fondamentale dello scrittore. Pirandello non ha scelto. Ha messo le mani in mezzo a un groviglio di gente e ha tirato su come con le reti, uomini e donne a grappoli. Era quella la piccola borghesia della fine dell'Ottocento, margine d'una pi— grossa borghesia in dissoluzione. Come non li ha scelti, cos• non li ha giudicati, non ha voluto valutarne le tendenze e le credenze individuali: un pi— vasto giudizio aveva egli da preparare. Li ha presi come venivano e come stavano, ha mostrato di accettare le loro leggi, convenzioni, mediocri costumi, la loro abbandonata incapacit…. L'umanit… del mondo pirandelliano Š veramente - per servirmi d'una parola venuta in grande uso alcuni anni pi— tardi, cioŠ con la guerra - "massa". Tuttavia massa non puoi chiamarla. Questa parola "massa" Š carica di energia. E spaventosa. D… un senso di forza cieca. La massa, piena di forza e tutta in s‚ coesa, Š priva di volont… possibile, di ansia. Occorre un volere che la superi a farle da motore, che tutta unita la scagli a un fine, ad aprire varchi, a sommuovere; lui le d… le sue leggi nuove, le sue convenzioni. La guerra ci ha insegnato l'espressione "massa di manovra". Invece l'umanit… in cui Pirandello ha affondato le mani fin da principio, per farsene materia alla creazione d'un mondo suo proprio, non era se non un groviglio che si sente vivere; non massa, e quasi neppure folla: non incapace di ansie, ma nuda di energie. In ognuno perch‚ quel groviglio Š pur fatto di tanti "ognuno" - suppura una certa dose di piccola volont…, ma piuttosto che volont… Š voglia, e manca di direzione; nel tutto non c'Š quel tanto di coesione da farlo diventare peso di manovra in mano a un volere. [...] Se voi leggete specialmente i primi volumi dei racconti, quel mondo di stanzucce, scialletti, lettini di ferro, spalle strette, finestre sul vicolo, luci stentate, anime chine, piccole croci, vi pare un mondo gi… pronto per l'ultimo respiro e che senza spostare niente basti un piccolo tocco per farne un cimitero. In realt… tutte quelle persone non sono affatto pronte alla morte, penano perch‚ non si sentono abbastanza vive. Il dramma pirandelliano Š gi… dai principii, e sar… sempre, proprio questo: la rappresentazione del primo movimento in cui nasce la vita; quella smania per cui basta che tu getti un po' d'acqua sopra un po' di terra, e in breve ecco un brulicare di vite vegetali e animali che stavano ansiose in un angolo dell'increato ad aspettare. Diego Fabbri. Al "Congresso internazionale di studi pirandelliani", tenutosi a Venezia nell'ottobre 1961, Diego Fabbri presentava una comunicazione su "Pirandello poeta drammatico", dalla quale stralciamo un brano significativo. In fondo quel che Pirandello stima e rispetta e ama di pi— nel teatro Š il pubblico, quel pubblico che vede, osserva, analizza ogni sera, di cui studia e rispetta le reazioni, quel pubblico che non riesce mai ad offenderlo anche quando lo contrasta e gli si oppone. Sul palcoscenico, in fondo, Pirandello potrebbe fare tutto da solo: l'autore come lo fa, ma anche l'attore, e il regista; e dello scenografo, dopo tutto, che bisogno c'Š perch‚ accada quel che lui, l'autore, vuol fare accadere? Gli basta un palcoscenico nudo e un po' di luce... Ma il pubblico no, quello non se lo pu• creare, non lo pu• in nessun modo sostituire, e non lo pu• - e non lo vuole nemmeno influenzare. Io e il pubblico siamo gi… il teatro, sembra dire Pirandello. Eppure pochi come lui hanno "vissuto" il teatro nella molteplicit… dei suoi elementi e dei suoi motivi. Pochi come lui sono stati direi organicamente, costituzionalmente - "teatro" fin dalle origini della sua attivit… non soltanto letteraria, ma umana. Pirandello s'Š portato dietro, s'Š cresciuto dentro il teatro fin dal primo racconto; e prima, prima ancora: fin dal giorno in cui ha contemplato e sentito e poi giudicato i fatti della vita, i drammi di "relazione" che lo circondavano e lo stringevano da vicino e lo colpivano, nella casa, nelle persone care, nelle cose. E' con questo intenso carico umano di vicende vere gi… raccolte e intrecciate in un viluppo alternamente drammatico, che Pirandello passa naturalmente e inconsapevolmente dal "teatro della vita" al "teatro del palcoscenico". Ho detto inconsapevolmente: poich‚ il vero e proprio palcoscenico ch'era l•, nella sua concretezza, a dargli la consapevolezza del teatro teatrale, Š naturalmente scansato da Pirandello quasi a convincerlo, o a illuderlo, che, dopo tutto, quello che s'accingeva a fare non era teatro, o per lo meno non era quel certo teatro fatto, appunto, di un palco con gli attori e di una platea con il pubblico separati, distinti - e distanti, entit… diverse. Quando Pirandello si decider…, di malavoglia e a malincuore, a salire sul palco, ne aveva gi… ampiamente rimosso le strutture e le separazioni con la vita della platea. Non potendo, non volendo rimodellare la vita del pubblico ch'Š sacra perch‚ Š vera -, Pirandello aveva gi… sommosso la vita del palcoscenico. Luigi Ferrante. In questo scritto su "La poetica di Pirandello", presentato al "Congresso internazionale di studi pirandelliani" del 1961, Luigi Ferrante analizza acutamente il rapporto tra Pirandello "poeta" e Pirandello "artista". Parlando dell'umorismo e muovendo dalla sua poetica, Pirandello ha introdotto motivi nuovi nella cultura filosofica italiana: se non disegnano una estetica, recano un contributo sovente geniale al dibattito intellettuale. Il "momento critico" posto, intimamente, accanto al "momento creativo", il rapporto interiore tra intuizione e riflessione, passione e razionalit…, memoria e coscienza, sono i temi delle poetiche europee del Novecento. Non Š di poco conto il fatto che Pirandello prenda come esempio dell'umorismo e del "sentimento del contrario" un personaggio di Dostojevskij, Marmeladoff, e un'opera come "Delitto e castigo" (In "L'umorismo", pagina 127). Nasce, con l'Umorismo, la pirandelliana finzione consapevole: portata sulla scena, rivoluzioner… la poetica della teatralit… affermata sin dai tempi della riforma goldoniana, il "naturale e verisimile", un nuovo linguaggio critico imporr… all'attore di lasciare la maschera e di porsi al centro, tra realt… e finzione, nell'inquietudine problematica. Il confronto tra l'esistenza e l'arte sar… questo: vera la scena quando la vita Š mistificazione, vero il personaggio quando l'uomo finge d'essere come non Š. La vena ideale pirandelliana ha diramazioni antiche, un modo di assumere gli argomenti e di svolgerli che ha fatto pensare ai sofisti. Sarebbe errore cercare, nella filosofia, in Gorgia poniamo (come Š stato fatto) o anche nel momento dell'idealismo i "concetti" pirandelliani. Cerchiamoli nella letteratura e nel teatro comico. Non va dimenticato, infatti, che la logica, nella nostra letteratura comica ha carattere formale, neosofistico e aristotelico, spesso riproduce la forma del sillogismo, rivela l'obbiettivo dei suoi "assalti", l'educazione scolastica e retorica, una concezione della societ… fondata su concezioni dette morali che si volevano eterne anche nell'ingiustizia e nell'errore. I pi— antichi strumenti, la antilogica e la logica formale, permangono nel loro valore agonistico lungo un arco plurisecolare: la logica, fondata sulle premesse categoriche che portano, "per necessit…", a conclusioni determinate, abbandonato il campo della retorica scolastica, trova, nel comico, un impiego democratico. Rifugio estremo della piet… e della malinconia, della stessa intelligenza, il comico italiano rivela tracce d'una condizione servile, d'una rivolta che ha larghi tratti popolari; ci offre squarci d'una filosofia violata, ridotta, quasi ferocemente, a strumento antilogico e agonistico, per dimostrare l'esistenza della fame e dell'oltraggio come si dimostrava l'esistenza dell'anima. Si pensi alla rivolta degli uomini nel teatro di Pirandello: a Ciampa ne "Il berretto a sonagli", a Rosario Chi…rchiaro ne "La patente", ma anche ad altre figure, intellettuali e ragionanti, come Baldovino ne "Il piacere dell'onest…", a Leone ne "Il gioco delle parti". Con Pirandello, dicevamo, si entra nel mondo dell'umorismo e della finzione consapevole: le forme dello scetticismo teorico e del soggettivismo pratico scorrono in una vena dialettica, la contraddizione tra il sentire individuale e la convenzione sociale appare rivelata, diventa, talvolta, il tema stesso del dramma, nelle forme concrete del teatro, non in quelle astratte della speculazione. Il pensiero, il teatro pirandelliano sono specchio di una societ… diversa, che non riesce a stabilire, tra gli individui, un dialogo morale: di qui la impossibilit… di conoscersi, di comunicare, il bisogno della piet…, la rivolta contro le mistificazioni, i giudizi che ci "fissano", temi, tra gli altri, di commedie come "Cos Š (se vi pare)", "Sei personaggi in cerca d'autore". La crisi del verismo, l'abbandono d'una indagine oggettiva, non Š rinuncia ad approfondire il rapporto individuo-societ… gi… avviato. Mutano il metodo e il fine della ricerca. Pirandello sent• il peso della miseria che opprimeva le popolazioni contadine del Sud; comprese il disagio morale che spegneva la piccola borghesia urbana; not• il corrompersi di ogni forma di vita tradizionale, ma prefer cogliere, di questa realt…, gli aspetti ideali; l'impossibilit… di stabilire un contatto etico profondo tra le coscienze individuali; il disintegrarsi della vita quotidiana fuori della storia; la degradazione dei sentimenti nel pregiudizio, dell'onest… nella finzione legale e, dunque, la necessit… d'una nuova condizione etica. Egli sent la vita della societ… nei suoi nodi intellettuali e morali e, dunque, la storia dell'uomo avvinta a quei nodi. L'agnosticismo del dramma "Cos Š (se vi pare)" d… luce al sentimento della piet…, della alineazione negli altri; il relativismo dei "Sei personaggi" mostra un tragico confronto tra esperienze individualmente sofferte che, vanamente, cercano un fondamento oggettivo per una stona da affidare agli altri; il dissidio tra la vita, mobile e irrazionale, e la storia, stabile e conseguente, coincide col "momento critico" che attraversa il dramma passionale e lo riscatta. Lo scrittore rompe, cos, i nodi che avvincono una societ… vinta dalla mistificazione. L'innesto. (1918) Personaggi: Laura Banti, moglie di Giorgio Banti. La Signora Francesca Betti, madre di Laura e di Giulietta. L'Avvocato Arturno Nelli. La Signora Nelli. Il Dottor Romeri. Il Delegato. La Zena, contadina. Filippo, vecchio giardiniere. Un Cameriere, una Cameriera, il Portiere, due Guardie che non parlano. Il primo atto a Roma. Il secondo e il terzo in una villa a Monteporzio. - Oggi. ATTO PRIMO. (Salotto elegantemente mobiliato in casa Banti. Uscio comune in fondo, e laterali a destra e a sinistra (dell'attore)). SCENA PRIMA. La SIGNORA NELLI, la SIGNORA FRANCESCA, e GIULIETTA. (Al levarsi della tela la signora Nelli, in visita, attende, sfogliando in piedi presso un tavolinetto una rivista illustrata. Entrano poco dopo dall'uscio a sinistra, anch'esse col cappello in capo, la signora Francesca e Giulietta). FRANCESCA (vecchia provinciale arricchita, troppo stretta in un abito troppo elegante, che contrasta con l'aria un po' goffa e il modo di parlare. Non Š sciocca; piuttosto un po' sguaiata): Cara signora mia! SIGNORA NELLI (elegante, ma gi… sciupata, con qualche velleit… di tenersi ancor su, in un mondo che non Š pi— per lei): Oh! la Signora Francesca! Giulietta! (Scambio di saluti). FRANCESCA: Vede? Qua anche noi, ad aspettare. SIGNORA NELLI: Gi…; ho saputo. FRANCESCA: Sar… un'ora. No, pi—, pi—, che dico? Saranno almeno due ore! GIULIETTA (molto fine, atteggiamento stanco, con qualche affettazione di superiorit…): E' veramente strano, creda. Sto in pensiero. SIGNORA NELLI: Perch‚? Manca forse da troppo tempo? GIULIETTA: Ma s•! Da questa mattina, alle sei; si figuri! SIGNORA NELLI: Uh! Alle sei? Laura Š uscita di casa alle sei? FRANCESCA (a Giulietta, risentita): Se dici cos• ®alle sei¯, chi sa che cosa puoi far credere, Dio mio! Bisogna dire che Š uscita con la co... con la cosa... GIULIETTA (piano, seccata, suggerendo): Con la scatola. FRANCESCA: Ecco, gi…! dei colori. SIGNORA NELLI: Ah brava! Ha ripreso dunque a dipingere, Laura? FRANCESCA: Sissignora. Da tre giorni. Va in campagna - cioŠ, non so, in un bosco... GIULIETTA: Ma che bosco! A Villa Giulia, mamm…! FRANCESCA: Io ho vissuto sempre a Napoli, signora mia. Di queste ville di qua, poco m'intendo. GIULIETTA: Gi…! Ma jeri e l'altro jeri, capisce? alle undici al massimo Š stata di ritorno. Ora, a momenti Š sera, e... SIGNORA NELLI: Avr… voluto forse finire il suo bozzetto! FRANCESCA: Ecco, benissimo. (A Giulietta). Vedi? quello che penso io. SIGNORA NELLI: Ma sar… certo cos! Se Š uscita con la scatola dei colori, non c'Š da stare in pensiero. Si spiega. GIULIETTA: No, ecco, per questo non si spiegherebbe, scusi. Chi esce da tre giorni quasi all'alba, vuol dire che s'Š proposto di ritrarre... non so, certi effetti di prima luce che, avanzando il giorno, non si SIGNORA NELLI: GIULIETTA: No, FRANCESCA: Non possono pi— avere. Ah, Š pittrice anche la Giulietta? che pittrice, per carit…! dia retta; se n'intende anche lei. Ah, quella che Š istruzione, signora mia, m'Š piaciuta assai, a me, sempre! Non l'ho potuta avere io; ma le mie figliuole, per grazia di Dio, i meglio professori! Francese, inglese, la musica... E Laura, che ci aveva la disposizione, anche la pittura, col professor Dalbuono, che lei lo sa, rinomatissimo! Giulietta non la volle studiare, ma SIGNORA NELLI (compiendo la frase): - stando accanto alla sorella FRANCESCA: - ecco, gi…! (A Giulietta, che s'allontana, scrollando le spalle urtata:) Che cos'Š? SIGNORA NELLI (fingendo di non capire la mortificazione della ragazza per la goffaggine della mamma): Via, signorina, non stia cos• in pensiero! Lei dice bene; ma scusi non potrebbe essere venuto in mente a Laura di cominciare l• per l• qualche altro studio? GIULIETTA (freddamente, concedendo per cortesia): E' probabile, s•. SIGNORA NELLI: Se ha ripreso a dipingere coll'antico fervore... GIULIETTA: No, che! Non ha pi— nessun fervore, Laura. FRANCESCA: Ma quando si prende marito, sfido! Queste sono cose, come si dice? adorni, ecco, adorni, signora mia, per le ragazze. Non le pare? Per• mio genero li vuole, sa! Bisogna dire la verit…! La spinge lui, mio genero. SIGNORA NELLI: E fa bene! Ah, certo. Fa benissimo. Sarebbe un vero peccato che Laura, dopo tante belle prove... GIULIETTA: Non lo fa mica per questo, mio cognato. Forse, se Laura vedesse in suo marito una certa passione per la sua arte... Ma sa che la spinge a riprendere la tavolozza, come la spingerebbe... che so? a qualunque altra occupazione... FRANCESCA: E ti par male? Bisogna pur darsi un'occupazione. Signora mia, quando si Š cresciute, come le mie due figliuole, negli agi... Sa qual Š il vero guajo qua? Che mancano i figliuoli! SIGNORA NELLI: Ah! per carit…, signora, non li chiami! Se sapesse quanto invidio Laura, io! Ha sposato due anni prima di me, Laura: sono gi… sette anni, Š vero? E io, in cinque, gi… tre... FRANCESCA: Eh! ma scusi! ma perch‚ lei, volendola dire, si vede che ci s'Š buttata proprio a corpo perduto! SIGNORA NELLI (ridendo, con finto orrore): No! Che! Povera me! Sono venuti... FRANCESCA: Io dico uno! Uno, almeno, creda ci vuole! SIGNORA NELLI: Mi sembra che vivano cos• bene d'accordo Laura e suo marito... FRANCESCA: Ah, s•, per questo... (Si china verso la signora Nelli e le confida piano all'orecchio:) Troppo anzi, signora mia! troppo! troppo! SIGNORA NELLI (piano, restando, ma un po' anche sorridente): Come, troppo? FRANCESCA: Ma s, perch‚... sa com'Š? nei primi tempi, quando marito e moglie, giovani, si vogliono bene, se s'affaccia il pensiero d'un figliuolo, l'uomo specialmente si... si... (Fa un gesto espressivo con te mani, contraendo le dita davanti al petto e tirandosi indietro col busto, come per dire: si arruffa.) mi spiego? perch‚ teme di non poter pi— avere tutta per s‚ la mogliettina. SIGNORA NELLI: Eh! lo so... Poi passa un anno, ne passano due, tre... Lo desidera dunque il signor Banti, il figliuolo? FRANCESCA: No, Laura! Lo desidera Laura! Tanto! Giorgio dice che lo desidera per lei. GIULIETTA: E naturalmente, allora, Laura, lo desidera per s‚! FRANCESCA: Ma che dici? Perch‚ dici cos•? Vuoi far credere alla signora qua, che Laura non sia contenta di suo marito? GIULIETTA: Ma no, mamm…! Io non ho detto questo. Quando passano, non tre, ma cinque, ma sette anni! FRANCESCA: Tu non capisci niente! La donna, signora mia, dopo tanti anni, se non si hanno figliuoli, sa che cosa fa? Si guasta. Glielo dico io! E anche l'uomo si guasta. Si guastano tutti e due. Per forza! (Accenna a Giulietta). Non posso parlare. Ma Š proprio tutto il contrario di quello che immagina questa ragazza. Perch‚ l'uomo perde l'idea di vedere domani nella propria moglie la madre, e... e... e... con lei mi sono spiegata, Š vero? SIGNORA NELLI: S•, capisco, capisco. FRANCESCA: Queste benedette ragazze! Chi sa come sognano la vita! GIULIETTA: Oh! Dio mio, mamm…! Sai bene che non sogno affatto, io! FRANCESCA: Gi…, non sogna, lei! E credi che sia bello non sognare? Non le posso soffrire, signora mia, queste ragazze d'oggi, con tutta quest'aria cos•... cos•... SIGNORA NELLI (suggerendo con un sorriso): "Fan‚e". FRANCESCA: Come ha detto? SIGNORA NELLI: "Fan‚e". FRANCESCA: Gi…, cos•! GIULIETTA (con dispetto): E' la moda. FRANCESCA: Io non so il francese, ma so che codesta moda non mi piace per nientissimo affatto. SCENA SECONDA. DETTE e CAMERIERA. CAMERIERA (accorrendo in grande agitazione dall'uscio comune): Signora! Signora! FRANCESCA: Che cosa Š? CAMERIERA: Oh Dio! La signora Laura! Venga! venga! FRANCESCA: Mia figlia? (Balza in piedi). SIGNORA NELLI (alzandosi anche lei): Oh Dio, che Š stato? CAMERIERA: La portano su, ferita! FRANCESCA: Ferita? Come! Laura? GIULIETTA (con un grido, accorrendo per l'uscio in fondo): Lo dicevo io! FRANCESCA (accorrendo anche lei): Figlia mia! Figlia! SCENA TERZA. DETTE, LAURA, il DELEGATO, il CAMERIERE, il PORTIERE, due GUARDIE. (Laura, sostenuta dal Delegato e dal cameriere, si presenta sulla soglia, cascante, come disfatta, con gli abiti e i capelli in disordine. Nel pallore cadaverico, le fa sangue il labbro. Ha, lungo il collo, aspri, sanguinosi strappi. Il portiere reca in mano il cappello della signora, la scatola dei colori. Le due guardie si tengono presso l'uscio). FRANCESCA (che s'Š lanciata per accorrere con le altre, dapprima indietreggia spaventata, all'apparizione della figlia in quello stato; poi con un grido, andandole incontro): Ah! Laura! Che t'hanno fatto? Laura mia! LAURA (buttandosi al collo della madre, in preda a un convulso crescente, di ribrezzo e di disperazione): Mamma... mamma... mamma... FRANCESCA: Sei ferita? Dove? Dove? GIULIETTA (cercando d'abbracciare anche lei la sorella): Laura! Laura mia! Che hai? che hai? SIGNORA NELLI: Ma come Š stato? chi Š stato? FRANCESCA: Chi t'ha ferita? Figlia! figlia mia! Dove sei ferita? GIULIETTA (portando una seggiola e gridando): Qua, mamm…... FRANCESCA: Dove? dove? GIULIETTA: No, dico, falla sedere! Vedi? non si regge. FRANCESCA: Ah s, siedi, figlia, siedi... Ma chi Š stato l'assassino? Chi... (Non pu• seguitare a parlare, perch‚ Laura, cascando a sedere senza staccarsi dal collo di lei, la obbliga a piegarsi.) GIULIETTA: Chi Š stato? (Al Delegato, forte:) Lo dica lei, chi Š stato? IL DELEGATO (con imbarazzo, guardando la signora Nelli, come per farsi intendere): La... la signora Š stata vittima d'una... di una... aggressione, ecco. SIGNORA NELLI (con un grido soffocato): Ah! GIULIETTA (inginocchiandosi e facendo per cingere con le braccia la sorella): Oh, Laura... di,' di'... come? LAURA (staccando le braccia dal collo della madre e respingendo per impulso istintivo, ma pur con angoscioso affetto, la sorella): No... tu no, Giulietta... Va', tu... va'... va'... GIULIETTA (a sedere sui ginocchi, tirandosi indietro, smarrita): Perch‚? FRANCESCA (intuendo, alzando le mani occhi): Questo?... - Ah Dio mio!... - Questo? e sbarrando gli (Alla signora Nelli, facendole cenno di condurre di l… Giulietta:) Signora... (Poi, chinandosi su Laura:) Ma come? Figlia mia... Di nuovo, alla signora Nelli:) Signora, per carit…... SIGNORA NELLI (a Giulietta): Venga... venga, cara. Andiamo di l…... GIULIETTA: Ma perch‚? Poi guarda il Delegato; capisce che deve andare; scoppia in singhiozzi su la spalla della signora Nelli che la conduce via per l'uscio in fondo. LAURA (mostrando il collo alla madre): Guarda... guarda... FRANCESCA: Ma chi Š stato? Chi? LAURA (non pu• parlare; il convulso Š giunto al colmo; tre volte, fra il tremore spaventoso di tutto il corpo, storcendosi le mani per l'onta, per lo schifo, grida quasi a scatti): Un bruto... un bruto... un bruto... (E rompe in un pianto che pare viscere contratte). un nitrito, balzante dalle FRANCESCA: Figlia mia! (Si precipita su lei, l'ajuto della cameriera). e sentendola mancare, la solleva con Portiamola di l…! (Poi, conducendola verso l'uscio a sinistra:) Un medico, presto! Il dottor Romeri! IL CAMERIERE: E' gi… avvertito, signora. IL PORTIERE: L'ho chiamato al telefono... (Francesca, Laura, la cameriera via per l'uscio a sinistra). SCENA QUARTA. DETTI, il DOTTOR ROMERI, poi GIORGIO BANTI, SIGNORA NELLI. ARTURO NELLI, la IL CAMERIERE (al Delegato): L'hanno preso? (Il Delegato non risponde; apre le braccia). IL PORTIERE: Ma dove Š stato? (Entra dall'uscio in fondo in fretta il dottor Romeri). IL CAMERIERE: Ah, ecco qua il signor dottore. ROMERI: Dov'Š? dov'Š? IL CAMERIERE: Ecco, di qua, signore dottore, venga! (Indica l'uscio a sinistra. Si odono intanto dall'interno le voci di Giorgio Banti e di Arturo Nelli che chiamano: ®Dottore... Dottore...¯. Il dottor Romeri si ferma: si volta. Sopraggiungono Giorgio Banti, pallido, scontraffatto; l'avvocato Nelli, la signora Nelli). GIORGIO: E' ferita? E' ferita? ROMERI: Sto arrivando adesso, io. GIORGIO: Venga, venga! (Corre per l'uscio a sinistra, seguito dal dottor Romeri). SCENA QUINTA. DETTI, meno GIORGIO e ROMERI. SIGNORA NELLI (al Delegato): Ma com'Š stato? NELLI (al cameriere, al portiere): Andate, andate di l…, voi! Signor Delegato, queste guardie... IL DELEGATO (alle guardie): Potete ritirarvi. (Le due guardie salutano e vanno via col cameriere c col portiere). SCENA SESTA. NELLI, la SIGNORA NELLI, il DELEGATO. NELLI: Un'aggressione? IL DELEGATO: Gi…. A Villa Giulia, pare. SIGNORA NELLI: Vi s'era recata a dipingere. IL DELEGATO. Io non so bene ancora. Sono stato incaricato delle prime indagini. SIGNORA NELLI: Vi andava da tre giorni. NELLI: Sempre allo stesso posto? SIGNORA NELLI: Pare! L'ha detto Giulietta. Ogni mattina, alle sei. NELLI: Ma come mai? sola? IL DELEGATO: Un guardiano della villa la trov• per terra SIGNORA NELLI: - svenuta? IL DELEGATO: - dice che non dava segni di vita. Pare che abbia sentito prima i gridi della signora. SIGNORA NELLI: Ma come? E non Š accorso? IL DELEGATO: Dice ch'era troppo lontano. La villa Š sempre deserta. NELLI: Ma che pazzia! Andar cos• sola! SIGNORA NELLI: Ecco l… la scatola dei colori... (Gli altri due si voltano e restano con lei a guardare quella scatola con quell'impressione che si prova davanti a un oggetto che Š stato testimonio d'un dramma recente). IL DELEGATO: Gi…, e il cappello... (Pausa). Furono trovati dal guardiano a molta distanza dal posto dove la signora giaceva. NELLI: Ah! Ma, dunque... 1L DELEGATO: Evidentemente la signora avr… tentato di fuggire. SIGNORA NELLI: Inseguita? IL DELEGATO: Non so! Una cosa incredibile! Fu trovata riversa tra le spine d'una siepe di rovi. SIGNORA NELLI (stringendosi in s‚, per orrore): Ah! forse voleva saltare... IL DELEGATO: Forse. Ma ghermita l•... SIGNORA NELLI: Era tutta strappata! Il collo, la bocca... Una piet…! NELLI (tentennando il capo, con amara irrisione): Tra le spine... IL DELEGATO: Un villanzone. Pare che lo abbia visto, il guardiano. NELLI (con ansia): Ah s•? IL DELEGATO: Sissignore. Buttarsi di l… dalla siepe. Un villanzone, un giovinastro. Ma invece d'inseguirlo, come avrebbe dovuto, pens• di soccorrere la signora, e... (S'interrompe, voltandosi verso l'uscio a sinistra, donde vengono voci concitate). SCENA SETTIMA. DETTI, GIORGIO, il DOTTOR ROMERI, FRANCESCA, poi GIULIETTA. ROMERI (dall'interno): E io le dico di no! Scusi! La prego... FRANCESCA (dall'interno): Per carit…, Giorgio! per carit…! GIORGIO (venendo fuori dall'uscio a sinistra, sconvolto, tra i singhiozzi, ad altissima voce): Ma io ho pur diritto di sapere! Debbo, voglio sapere! ROMERI (forte anche lui): Sapr…, perdio, ma a suo tempo! GIORGIO: No: ora! ora! ROMERI: Io le dico che per ora lei non solo non deve farla parlare, ma neppur farsi vedere! (Agli altri:) Lo tengano qua! (Ritorna indietro per l'uscio a sinistra). NELLI: Vieni, Giorgio... (E come Giorgio, convulso, petto, rompendo in pianto). gli appoggia il capo e le mani sul Povero amico! povero amico mio... FRANCESCA (alla signora Nelli): La prego, signora, mi faccia la grazia d'accompagnarmi a casa la Giulietta! SIGNORA NELLI: S•, signora, non dubiti! Vuole subito? FRANCESCA: S•, per carit…! Le dica che io resto ancora qua... finch‚ posso... Dio mio, Š gi… sera, e bisogna che attenda a quel poverino di mio marito... lei sa in quale stato! SIGNORA NELLI: Eh lo so... Se potessi io... FRANCESCA: No, ch‚! la ringrazio. Non si lascia toccare da nessuno... Ma eccola l…, Giulietta... (Giulietta si mostra piangente Francesca chiamandola con la mano:) all'uscio di fondo. Tu andrai via con la signora. Io verr• appena mi sar… possibile. GIULIETTA: Ma Laura? FRANCESCA: Laura Š di l…! GIULIETTA: E non posso neanche vederla? FRANCESCA: Che vuoi vedere! Bisogna che stia tranquilla per ora. Va', va' da quel poverino di tuo padre... Ma non dirgli nulla, per carit…! GIULIETTA: Ma... ma che cos Š che cos'Š? FRANCESCA: Non Š niente! non Š niente! Signora, se la porti via. SIGNORA NELLI: S•. Andiamo, signorina. GIULIETTA (risolutamente, avvicinandosi al cognato): Giorgio, me lo dici tu che non Š niente? GIORGIO: Io? GIULIETTA: Lo voglio sapere da te! GIORGIO: Io... che vuoi che ti dica io? Io non so... non so... FRANCESCA: Ma vai, santa figliuola! Mi fai stare qua... Va', va' con la signora! (Via per l'uscio a sinistra). SIGNORA NELLI (conducendosi via Giulietta): Andiamo, cara, andiamo. (Via per l'uscio in fondo con Giulietta). SCENA OTTAVA. NELLI, GIORGIO, il DELEGATO. GIORGIO (al Delegato, investendolo): Che sa lei? Mi dica, che sa? Bisogna averlo, darlo, darlo in mano a me, subito! Perch‚, per un delitto come questo, se lo prendono... (A Nelli:) di' tu... quanto?... due, tre anni di carcere, Š vero? (Al Delegato:) Mentre io ho il diritto d'ucciderlo! Lo sa lei? IL DELEGATO: Io non so nulla, signore. Sono qua per le indagini. NELLI: Ma se non c'Š nulla da sapere! GIORGIO: Come non c'Š nulla da sapere? NELLI: Nulla, nulla da sapere! nulla da indagare! Basta cos•, perdio! GIORGIO: Come basta? NELLI. Ma s•! Ti dico che basta! La signora ha patito un'aggressione in una villa; il ladro... GIORGIO: Il ladro? NELLI: Ma s, il ladro... un miserabile qualunque, non s'Š potuto rintracciare: e basta: finisce tutto cos! Che c'Š da far chiasso ancora? GIORGIO: Ah no, caro mio! T'inganni! IL DELEGATO: Io ho avuto un ordine. Il reato Š d'ordine pubblico. NELLI: Vuol dire che mi recher• io in pretura, o passer• dal Commissario. Lei se ne pu• andare: dia ascolto a me! GIORGIO: No! no! E io? Finisce per gli altri cos•! Ma io? NELLI: Tu? Che vorresti fare? Ti figuri ch‚, se pure lo prendono, te lo daranno in mano, perch‚ tu l'uccida? Baje! E allora? L'hai detto tu stesso. Sissignori, per un delitto che tu, offeso, potresti punire con la morte e non avresti un giorno di pena, la legge non d… che due o tre anni di carcere! Vuoi questo? E lo scandalo di un dibattimento? La pubblicazione della sentenza sui giornali? Ma via! (Al Delegato:) Vada, vada, signor Delegato. IL DELEGATO: Io per me, tanto pi— che il medico ha detto di non farla parlare per ora, posso ritirarmi. NELLI: S, s; non dubiti, passer• io dal Commissario. IL DELEGATO: Riverisco. (Il Delegato s'inchina e via per l'uscio in fondo). SCENA NONA. GIORGIO e NELLI. NELLI: E' un destino, perdio! A un bisogno, questa gente manca sempre! S'ostina poi a restarti tra i piedi dove Š superflua e non serve ormai che a far pi— danno! GIORGIO: Ma che m'importa degli altri! Che vuoi che me ne importi? NELLI: Oggi; lo so. Ma vedrai che te ne importer… domani. GIORGIO: Prima di tutto, Š inutile, perch‚ ormai sanno tutti: qua, l… dove l'hanno vista e raccolta... Ma quand'anche nessuno sapesse, se lo so io, non capisci che per me Š finito tutto? NELLI: Io capisco, Giorgio, l'orrore che tu devi provare in questo momento. Ma bisogna che tu lo vinca con la compassione che deve ispirarti quella poverina! GIORGIO: Tu parli a me di compassione? NELLI: Non vorresti averne? GIORGIO: Io sono il marito! Potete averla voi, la compassione, e chiunque sappia di questo scempio. Ma sono io, io solo, veramente in presenza dell'orrore di questo scempio, che non Š stato fatto a lei sola, ma anche a me! E in nessun altro, pi— che in me - neppure in lei - pu• essere pi— vivo e pi— atroce, questo orrore! NELLI: S•, s•, t'intendo, Giorgio, t'intendo! E' crudele, s•. Ma che vorresti fare? GIORGIO: Non lo so... non lo so... Impazzisco... Compassione, tu dici? Sai quale sarebbe la compassione "vera" in questo momento per me? Che mi recassi l…, sul letto di lei e "per questo stesso amore" la uccidessi, innocente. NELLI: Ma Š irragionevole, scusa! GIORGIO: Vuoi che ragioni? NELLI: Devi pur ragionare! GIORGIO: Lo so, lo so: tu devi dirmi cos•, lo so! Ma se il caso fosse capitato a te? Ragioneresti tu? NELLI: Ma s, che ragionerei! Se qui non c'Š colpa, scusa! GIORGIO: E appunto questa Š per me la crudelt…! Che ci sia l'offesa pi— brutale, senza esserci la colpa! Per me Š peggio! Peggio, s•! Ci fosse la colpa, sarebbe offeso l'onore; potrei vendicarmi! E' offeso invece l'amore! E non intendi che niente Š pi— crudele per il mio amore, che quest'obbligo che gli Š fatto, di avere piet…? NELLI: Ma il tuo amore appunto, scusa, dovrebbe ispirare a te stesso la compassione! GIORGIO: Impossibile! L'amore, no! NELLI: Ma sarebbe allora pi— crudele GIORGIO (interrompendo): - pi— crudele, s•! NELLI (seguitando): - di ci• che quella poverina ha patito! GIORGIO: - s•, s•! E' proprio cos•! Il non aver compassione sarebbe crudele per lei; ma averne, Š crudele per me! E quanto pi— tu ragioni, e quanto pi— io riconosco che sono giuste le tue ragioni, tanto pi— cresce la crudelt… per me! Debbo ragionare, gi…! Riconoscere che non c'Š colpa; che lei Š stata offesa pi— di me, nel suo stesso corpo e che Š l… che soffre della violenza, dell'onta, del ludibrio... E io che voglio? Che pretendo io? Rincarar la dose della crudelt… su lei? lasciarla cos• in quest'onta? disprezzarla? NELLI: - sarebbe ingeneroso! GIORGIO: - sarebbe vile! NELLI: - vedi? Lo riconosci! - GIORGIO: - vile, s•, vile! Ma se si rivela cos• vile l'amore quando si trova, come mi trovo io adesso, qua, al limite della sua pi— viva gelosia, che posso farci io? che posso farci? (Rompe in disperati singhiozzi). NELLI: Via, via, Giorgio... Tu ti strazii inutilmente... E' il primo momento, credi... GIORGIO: No! E' la selva! E' ancora la selva! E' sempre la selva originaria! Ma prima almeno c'era l'orrore sacro di quel mostruoso originario, nella natura, nel bruto... Ora, una villa coi suoi viali e le siepi e i sedili... Una signora in cappellino, che vi sta a dipingere, seduta... Ed ecco il bruto... Ma vestito, oh! Decente. Mi par di vederlo! Chi sa se non aveva i guanti! Ma no: l'ha tutta sgraffiata! Non senti quanto Š pi— laido? quanto Š pi— vile? E io che devo esser generoso; mentre qua il sentimento mi rugge come una belva... Generoso. (Subito, troncando lo scherno:) No, no. Sento che non posso. Non posso. Ho bisogno d'andarmene. Parto. Me ne vado. NELLI: Ma come? ma dove? che dici! Vorresti davvero lasciarla cos•? GIORGIO: Sarei pi— crudele, restando. NELLI: Ma che vuoi fare? dove vuoi andare? GIORGIO: Ho bisogno di disperdere, fuggendo come un pazzo, quello che ora provo per questa ignominia! SCENA DECIMA. DETTI, la SIGNORA FRANCESCA, il DOTTOR ROMERI. FRANCESCA (accorrendo ansiosa, seguita dal dottor Romeri, dall'uscio a sinistra): Giorgio... Giorgio... (Raffrenando a un tratto l'ansia alla vista della sovreccitazione del genero:) Che cos'Š?... Ah, figliuolo mio... s•... povero figliuolo mio... s•... s•... GIORGIO: Per carit… non mi s'accosti! non mi dica nulla! ROMERI: Signora, dia ascolto a me... Vede? GIORGIO: Lei comprende, dottore? ROMERI: Ma s•: comprendo che lei in questo momento... FRANCESCA: Ma se lo chiama di l…! Se non fa altro che chieder di lui! GIORGIO (con orrore, ritraendosi): Non posso... ah, non posso, non posso, non posso. ROMERI: Vede? Le farebbe pi— male, signora: creda a me! Ha bisogno anche lui d'aspettare un po'... GIORGIO: Che vuole che aspetti pi—, io! ROMERI: Eh, un po' di tempo... GIORGIO (con scherno): E la rassegnazione? FRANCESCA: Perch‚, la rassegnazione? Ma dunque, tu... NELLI: Lasci, signora! Bisogna considerare anche lui... FRANCESCA: S•, figliuolo mio, io ti considero, e come! Ma l'unico rimedio a quello che soffrite GIORGIO: - Š la piet…! Anche lei! Ma tutti, si sa! La piet…! FRANCESCA: - l'uno dell'altra, s•, subito. Cos• l'intendo io, che sono una povera ignorante! Non la rassegnazione a un male che non c'Š! GIORGIO: Come non c'Š? FRANCESCA: Non c'Š! non c'Š! E lo deve dire il vostro amore che non c'Š! Se tu ami davvero la mia figliuola! Se no chi ami tu? Che ami? Non Š vero? Dica lei, signor dottore! Via, avvocato! GIORGIO (prorompendo di nuovo in pianto, stringendosi in s‚, con le mani premute sul volto): Io l'amavo... io l'amavo... tanto, tanto... Ma appunto perch‚ l'amavo tanto. Voi non capite! Pu• essere per quella che amavo, la piet…! Ma non pi—, ora... FRANCESCA: Non l'ami pi—, ora? E perch‚? GIORGIO: Ma se volete che ne abbia piet…! Quale piet…? Quale? La vostra, la mia, possono ajutarmi? Io ho bisogno d'essere crudele! Lei crede perch‚ non amo sua figlia? No, sa! Appunto perch‚ l'amo! FRANCESCA: Non Š vero! Non Š vero! Tu non ami lei cos•! GIORGIO: Ma vuole che il mio amore sia come il suo? Il fatto Š forse per lei quello stesso che Š per me? Quello che sento io non pu• sentirlo lei! FRANCESCA: Va bene! Ma come, come vorresti essere crudele? GIORGIO: Come? L'ho detto come! E se lei di l… sentisse quello che sento io dovrebbe esserne contenta. FRANCESCA: Ma lei di l… ti chiama! Che pensi di fare? GIORGIO: Non penso nulla! Ma bisogna che me ne vada, che me ne vada! FRANCESCA: E vuoi abbandonarla cos•? ROMERI: Ma s, Š meglio, signora! Lo lasci andare! FRANCESCA: Ma pu• restar sola, cos, di l…, se sa che lui se n'Š andato? ROMERI: Rimanga qua lei. NELLI: Ecco... sarebbe opportuno... FRANCESCA: E chi glielo dir…? Tu che hai il cuore di farlo, dovresti anche avere il cuore di dirglielo! GIORGIO (risolutamente): Vuole che glielo dica io? ROMERI: No, per carit…, signora! FRANCESCA: Ma dunque lei capisce che pu• morirne, la mia figliuola, a vedersi abbandonata cos•, in questo momento, da colui che dovrebbe starle pi— vicino, se avesse un po' di cuore? ROMERI: No, no, non Š questo, signora! NELLI: Se non riesce a vincere se stesso in questo primo momento... GIORGIO: Per me Š fnita! E' finita! Sento che per me Š finita! Posso avere la piet… di restare. Ma come resto? Non lo capite? Per gli altri, ecco! Resto. Ma sar… peggio. NELLI: No, no! Vedrai, Giorgio... GIORGIO: Che vuoi che veda! NELLI: Vedrai... Non voglio dirti nulla, perch‚ capisco che ogni parola Š per te una ferita in questo momento. Senta, signora: lei ha da badare a suo marito? Vada. FRANCESCA: Ma come? NELLI: Vada; dia ascolto a me, e stia tranquilla. Giorgio rimane. GIORGIO: Per gli altri! per gli altri! NELLI: Va bene, s•, per gli altri! (Alla signora Francesca, facendole segni e occhiate di intelligenza per significarle che Š meglio che marito e moglie restino soli). Ora andr… a rivestirsi, e passer… la sera con me. FRANCESCA: E Laura? ROMERI: La signora ha bisogno di esser lasciata tranquilla. Vada lei a dirle che ho obbligato io il signor Banti a tenersi lontano. FRANCESCA: Ma sola, impazzir…! ROMERI: No, signora. Vedr… che riposer… col rimedio che le ho dato per calmare l'agitazione. Forse a quest'ora riposa. Vada, vada a vedere. FRANCESCA: Ecco, s•, vado, vado... (Francesca via per l'uscio a sinistra). SCENA UNDICESIMA. DETTI, meno FRANCESCA. ROMERI: E vado via anch'io. (Appressandosi e stringendo le mani a Giorgio). Mi raccomando. Bisogna sempre esser pi— forti della sciagura che ci colpisce. GIORGIO: Questa Š peggiore per me d'una morte. l'immagina, dottore, lei ancora viva, domani, davanti a me? Ma se SCENA DODICESIMA. DETTI e FRANCESCA. FRANCESCA (sopravvenendo lieta dall'uscio a sinistra, col cappello di nuovo in capo): S•, s•, riposa, riposa veramente. ROMERI: Gliel'ho detto, io? FRANCESCA: E allora vado, s! Non posso farne a meno. qui domattina. (Si appressa a Giorgio). Addio, Giorgio. E... non ti dico... figliuolo mio... GIORGIO: A rivederla. NELLI: Vengo anch'io Con lei, signora. non ti dico nulla, (A Giorgio:) Vuoi che passi a riprenderti? GIORGIO: No, no... Passer• io, se mai, da te. NELLI: Quando vuoi. Sono a casa. A rivederci. (Alla signora Francesca e al dottore:) Andiamo, andiamo... (Via con gli altri due per l'uscio in fondo.) SCENA TREDICESIMA. GIORGIO solo, poi il CAMERIERE, in fine LAURA. Sar• GIORGIO (rimane un pezzo assorto nella sua sciagura, esprimendo con la contrazione del volto i sentimenti in contrasto. Poi sorge in piedi, si passa le mani sulla fronte, si volta verso l'uscio a sinistra e ripete): Non posso... non posso... (Suona il campanello elettrico e compare il cameriere). Di' ad Antonio che tenga pronta la macchina. Andremo in villa. IL CAMERIERE: Il signore... solo? GIORGIO: Solo, s•, subito. Tu preparami intanto la valigia. (Il cameriere, via. Giorgio fa per ritirarsi, quando Laura appare sull'uscio a sinistra, pallida, in una vestaglia violacea, con un velo nero al collo. Giorgio, appena la vede, leva le mani come a parare la piet… che gli ispira, e ha in gola un lamento, che Š come un ruglio breve, cupo; d'esasperazione e di spasimo. Laura lo guarda e gli s'appressa, lenta, senza dir nulla, ma esprimendo col volto il bisogno, che ha di lui, di stringersi a lui; e nel suo avanzarsi, la certezza che egli non fuggir…. Giorgio, come se la vede vicina, rompe in un pianto convulso e cecamente, in quel pianto, la abbraccia. Ella non muove un braccio: ma Š l•, sua. Solo alza il volto come in uno stiramento di tragica aspettazione, che egli cancelli comunque, con la morte o con l'amore, l'onta che la uccide. E come egli, preso gi… dall'ebbrezza della persona di lei, sempre singhiozzando, le cerca con la bocca le ferite nel collo ancora proteso, piega la guancia appassionatamente sul capo di lui, con gli occhi chiusi). TELA. ATTO SECONDO. (Spiazzo a innanzi alla villa Banti a Monteporzio. La villa si erge sinistra, con vestibolo a loggiato. tutto alberato. Autunno). In fondo, e a destra, Š SCENA PRIMA. LAURA e il GIARDINIERE FILIPPO. (Laura Š su una sedia a sdraio, pallida, un po' molle d'un languore ardente d'inesausta passione; presta ascolto con interesse e, insieme, con un certo turbamento che vorrebbe dissimulare, a ci• che le dice il vecchio giardiniere, il quale le sta presso, in piedi, con un sacchetto a tracolla, un fascetto di ramoscelli sotto il braccio e l'innestatoio in mano). FILIPPO: Eh, ma l'arte ci vuole! Se non ci hai l'arte, signora, tu vai per dar vita a una pianta, e la pianta ti muore. LAURA: Perch‚ pu• anche morirne, la pianta? FILIPPO: E come! Si sa! Tu tagli - a croce, mettiamo - a forca a zeppa - a zampogna - c'Š tanti modi d'innestare! - applichi la buccia o la gemma, cacci dentro uno di questi talli qua; (mostra uno dei ramoscelli che tiene sotto il braccio) leghi bene; impiastri o impeci - a seconda -; credi d'aver fatto l'innesto; aspetti... - che aspetti? hai ucciso la pianta. - Ci vuol l'arte, ci vuole! Ah, forse perch‚ Š l'opera d'un villano? d'un villano che, Dio liberi, se con la sua manaccia ti tocca, ti fa male? Ma questa manaccia... Ecco qua. (Va a prendere un grosso vaso da cui sorge una pianta frondosa, e la reca presso Laura). Qua c'Š una pianta. Tu la guardi: Š bella, s•; te la godi, ma per vista soltanto: frutto non te ne d…! Vengo io, villano, con le mie manacce; ed ecco, vedi? (Comincia a sfrondarla, per fare l'innesto; parla e agisce, prendendosi tutto il tempo che bisogner… per compire l'azione). pare che in un momento t'abbia distrutto la pianta: ho strappato: ora taglio, ecco; taglio - taglio - e ora incido - aspetta un poco - e senza che tu ne sappia niente, ti faccio dare il frutto. - Che ho fatto? Ho preso una gemma da un'altra pianta e l'ho innestata qua. E' agosto? - A primavera ventura tu avrai il frutto. - E sai come si chiama quest'innesto? LAURA (sorride, triste): Non so. FILIPPO: A occhio chiuso. Questo Š l'innesto a occhio chiuso, che fa d'agosto. fa si Perch‚ c'Š poi quello a occhio aperto, che si di maggio, quando la gemma pu• subito sbocciare. LAURA (con infinita tristezza): Ma la pianta? FILIPPO: Ah, la pianta, per s‚, bisogna che sia in succhio, signora! Questo, sempre. Ch‚ se non Š in succhio, l'innesto non lega! LAURA: In succhio? Non capisco. FILIPPO: Eh, s•, in succhio. Vuol dire... come sarebbe?... in amore, ecco! Che voglia... che voglia il frutto che per s‚ non pu• dare! LAURA (interessandosi vivamente): L'amore di farlo suo, questo frutto? del suo amore? FILIPPO: Delle sue radici che debbono nutrirlo; dei suoi rami che debbono portarlo. LAURA: Del suo amore, del suo amore! Senza saper pi— nulla, senza pi— nessun ricordo donde quella gemma le sia venuta, la fa sua, la fa del suo amore? FILIPPO: Ecco, cos•! cos•! (Si sente da lontano, a destra, la voce di Zena, che chiama. ®Filippo! Filippo!¯) Ah, ecco la Zena col suo figliuolo. Vado ad aprirle! (Corre via, tra gli alberi, a destra). LAURA (resta assorta; poi si alza, s'appressa alla pianta or ora innestata, e mette il capo fra le sue fronde, ripetendo tra s‚, lentamente, con angoscia suo amore... del suo amore... d'intenso disperato desiderio): Del SCENA SECONDA. DETTI e la ZENA. FILIPPO (dall'interno): E vieni avanti! che paura hai? (Rientra in iscena per la destra seguito dalla Zena, che veste a modo delle contadine della campagna romana). Eccola qua. Si vergogna, scioccona. ZENA: No. Che m'ho da vergognare? Buon giorno, signora. LAURA: Buon giorno. (La guarda, forzandosi a dissimulare la disillusione. Ah, sei tu la Zena? ZENA: Io, signora, s•. Eccomi qua. FILIPPO: Vedi come s'Š fatta brutta e vecchia? LAURA: No, perch‚? ZENA: Siamo poveretti, signora. FILIPPO: Quanti anni hai? Non devi averne pi— di venticinque! ZENA: Tu mi guardi, signora? Eh, tu che non sai, hai forse ragione di meravigliarti. Ma tu, brutto vecchiaccio, che fai il signore qua in villa e sei tutto storto l•, che vuoi mettere? le fatiche tue con le mie? FILIPPO: Oh! oh! Gran fatiche, s•! ZENA: E cinque figliuoli, signora, chi li ha fatti? Li ha fatti lui? FILIPPO (accorgendosi soltanto ora): E come? Sei venuta senza il ragazzo? T'avevo detto di portarlo con te, ch‚ la voleva conoscerlo. ZENA: Non l'ho portato, signora. LAURA: Perch‚ non l'hai portato? ZENA: Ma... perch‚ mi lavora il ragazzo, col padre. FILIPPO: E non potevi chiamarlo un momento? ZENA: Gi…, davanti al padre, per dirgli che la signora FILIPPO: E che c'era di male? ZENA: Dopo le chiacchiere che ci sono state? FILIPPO: Ma va' l…! Vuoi che tuo marito pensi quelle chiacchiere? ZENA: Non ci pensa, se qualcuno non ce lo fa pensare. che c'entra il ragazzo qua? - Tu che volevi dal ragazzo, Noi non n'abbiamo pi— parlato, da allora. signora lo voleva qua? ancora a - Ma poi signora? - LAURA: Lo so, lo so, Zena. T'ho fatto chiamare perch‚ volevo io, ora, parlare con te. Da sola. ZENA: E di che? LAURA: Tu va', Filippo; va' per le tue faccende. FILIPPO: Vado, s•, signora. Ma la Zena, in coscienza - lasciamelo dire per il male che le voglio - la Zena... - io sono vecchio e so tutto, di quando lei era qua coi padroni antichi, che aveva appena sedici anni e il signorino non ne aveva neanche venti - non fu mai lei a parlare! ZENA: Ecco! La verit…, signora! FILIPPO: Fu la madre, fu la madre. ZENA: Ma nessuno ci pensa pi—, adesso! Neppure mia madre! LAURA: Lo so, ti dico! Non Š per questo, Zena. - Vai, vai Filippo. FILIPPO: Ecco, ecco, me ne vado, s•. - Scusami, signora, se ho parlato. Me ne vado. (Via per la sinistra). SCENA TERZA. LAURA e la ZENA. ZENA (subito risentita): E' forse venuto qualcuno a mia insaputa, signora, a parlarti di quel ragazzo? LAURA: No, Zena: nessuno, t'assicuro. ZENA: Signora, dimmelo! Perch‚ una parola ebbi allora, quando avrei potuto approfittarmene, se non avessi avuto coscienza - io sola, sai? contro tutti! - e una parola ho anche adesso. LAURA: Ma no, no, non Š venuto nessuno - stai tranquilla. E' venuto in mente a me. Cos. Perch‚ mi sono ricordata che, prima di sposare, mi fu detto che mio marito, qua, in villa, da giovane... ZENA: Ma che vai pensando pi—, signora! LAURA: Aspetta. Io voglio sapere. Voglio parlare con te, Zena. Siedi, qua, accanto a me. (Indica uno sgabello). ZENA (sedendo, impacciata): Ma sai che mi pare tu voglia parlarmi di un altro mondo, ormai, signora? LAURA: S, perch‚ tu eri tanto ragazza, allora. ZENA: Oh, una ragazzaccia senza testa! E non ero mica cos•... LAURA: Me l'immagino. Dovevi esser bella. ZENA: Bruttaccia non ero. LAURA: Ed eri gi… fidanzata, Š vero? ZENA: Sissignora. Con questo che ora Š mio marito. LAURA: Ah! ZENA (con gli occhi bassi, alza un po' le spalle e sospira): Eh, signora, che vuoi? (Breve pausa). LAURA (quasi con timidezza): E lui lo sapeva? ZENA (impronta, ma senza impudicizia): Chi? Il signorino? LAURA: S•; che eri fidanzata? ZENA: Sissignora, come non lo sapeva? Ma era un ragazzo anche lui, il signorino. LAURA: S•, ma dimmi... ZENA: Signora, sono una poveretta; ma credi che se male feci allora, lo feci soltanto a me, e non volli che ne fosse fatto ad altri senza ragione! LAURA: Ti credo, Zena; lo so. Ma dimmi: ecco, io voglio sapere. ®Senza ragione¯, hai detto. Ne eri proprio, dunque, cos• sicura tu? ZENA: Di che? Che il ragazzo non era del signorino? LAURA: Ecco, s. Perch‚, tu sai, tante volte... avresti potuto tu stessa essere in dubbio. ZENA (la guarda, sorpresa, scontrosa; poi si alza): Perch‚ mi fai codesto discorso, signora? LAURA: No. Perch‚ ti turbi? Siedi, siedi... ZENA: No, non seggo pi—. LAURA: Vorrei saperlo perch‚... perch‚ sarei... sarei contenta che tu mi dicessi... ZENA (la guarda, di nuovo, sorpresa, scontrosa): Che il ragazzo era del signorino? LAURA: Tu non hai nessun dubbio? ZENA (sŠguita a guardarla male, poi, come per richiamarla a s‚): Signora... LAURA (ansiosa): Di' di'... ZENA: Tu dovresti esser contenta, mi pare, di quello che ho sempre detto! LAURA: Se ne sei proprio sicura... ZENA (come sopra): Bada, signora, che la povert… Š cattiva consigliera. LAURA: Ma no: perch‚ io anzi, ora, alla tua coscienza mi rivolgo, Zena! ZENA: La mia coscienza, lasciala stare. Parl• allora, la mia coscienza, e disse quello che doveva dire. LAURA: Proprio la tua coscienza? Ecco, vorrei saper questo! O non forse per timore... ZENA (ride, quasi con ischerno): Ma sai che tu mi stai parlando adesso, come mi parl• mia madre, allora, quando s'accorse del signorino? Proprio cos• mi disse: ragazza... inesperta... se non avevo almeno qualche dubbio... se non negavo per timore... LAURA: Anche tua madre, vedi? ZENA Ma di mia madre lo capisco. Il male me l'ero gi… fatto, con quell'altro. LAURA: Col tuo fidanzato? ZENA: S. E gi… lo sapeva, lui, il mio fidanzato, che sarei stata madre. Ma tu perch‚, signora, adesso, dopo nove anni, mi vieni a riparlare di quel ragazzo? LAURA: Perch‚... perch‚ so, ecco... so che tuo marito pretese molto danaro, allora, per sposarti. ZENA: Ah, per questo? Ma si sa, signora! Non era povero per niente... Mia madre lo mise s—, facendo sapere a tutti del signorino. Non mi voleva pi— sposare, pur sapendo bene che il figliuolo era suo. C'era da spillar danaro, qua, dai signori; e se ne volle anche lui approfittare. E bada che se ora viene a sapere che a te piacerebbe (la guarda in in modo ambiguo e provocante:) - chi sa perch‚... - che io avessi ancora qualche dubbio... LAURA: Ah! Tu mi fai pentire d'aver voluto parlare con te a cuore aperto, per uno scrupolo che non puoi neanche intendere! ZENA: E chi sa? forse t'intendo, signora; non ti pentire! LAURA: Che cosa intendi? ZENA: Eh, siamo furbi noi contadini! Vedo che ti piacerebbe che tuo marito avesse avuto un figlio con me. Ebbene, io ti dico questo soltanto: che io contadina, il figlio lo diedi a chi ne era il padre vero. - Ah, eccolo qua, il signorino... (Si trae indietro, a testa bassa). SCENA QUARTA. GIORGIO e DETTI. (Laura, appena vede entrare Giorgio, balza in piedi tutta fremente e corre ad aggrapparsi a lui in una crisi di pianto). LAURA: Giorgio! Giorgio! Ah Giorgio mio! GIORGIO (sorpreso, premuroso, non badando a Zena): Ebbene? Che cos'Š? LAURA: Niente... niente... GIORGIO: Ma tu piangi? LAURA: Niente.. no... GIORGIO: Come no? Che Š stato? LAURA: Niente, ti dico... Cos•! La sorpresa... Non t'aspettavo cos• presto di ritorno... ZENA: Io me ne vado, signora. Addio, eh? LAURA: S•, s•, va', puoi andare, Zena! (Zena, via per la destra). SCENA QUINTA. LAURA e GIORGIO. GIORGIO (Sorpreso, addolorato): Ma come? tu parlavi con... Che forse Š venuta a dirti qualche cosa? LAURA (subito, negando con forza): No, no! Ma che! Nulla! Non ci pensa pi—! GIORGIO: E perch‚ Š venuta qua, allora? LAURA: No, non Š venuta lei; l'ho fatta chiamare io. GIORGIO: Tu? E perch‚? LAURA: Per un capriccio... per una curiosit…... GIORGIO: Hai fatto male, Laura! Non dovevi farlo. LAURA: Ne parl• Filippo... cos•, per caso... E mi venne desiderio di conoscerla, ecco, e di conoscere anche il ragazzo. Ma non l'ha portato! Come l'ho veduta... GIORGIO: Ti ha detto torse... LAURA: No, niente! Sai pure che neg• sempre! GIORGIO: Sfido! Volevano fare un ricatto! LAURA: Lei, no! La madre. Me lo disse, difatti. GIORGIO: Ma tu perch‚, allora, hai pianto? LAURA: Non per lei! non per lei! E' stato... te l'ho detto... non so perch‚, appena t'ho visto all'improvviso... E' per quello che io sento, Giorgio... E vedi che rido, ora, poich‚ tu sei qua di nuovo, con me... GIORGIO: Hai pur detto tu stessa che non m'aspettavi cos• presto di ritorno... LAURA: S, Š vero. Ma ho tanto sofferto, sai? a restar sola! Ho bisogno di te, tanto! Che tu ml tenga cos•, stretta cos•, senza pi— staccarti da me, mai, mai! GIORGIO: Ma io sono andato per te, Laura mia... LAURA: Lo so, s, Š vero! GIORGIO: Vedi come sono fredde queste tue manine? T'ho portato da ricoprirti bene. Siamo scappati qua tutt'a un tratto. E' volato pi— di un mese. E' venuto il freddo... LAURA: Ma staremo qua ancora! Sar… pi— bello, ora, qua, soli soli... Tu non hai paura del freddo, Š vero? GIORGIO: No, cara. LAURA: Non devi aver paura con me... GIORGIO: Ma io ho avuto paura di te, cara! LAURA: Non dirmi ®cara¯ cos•! GIORGIO: Come vuoi che ti dica? LAURA: Laura... come sai dirlo tu. GIORGIO: Ebbene, Laura... LAURA: Cos•! Mi piace guardarti le labbra quando stacchi le sillabe. GIORGIO: Perch‚? Come le stacco? LAURA: Non so... Cos•... GIORGIO: Laura mia... LAURA: Tua, tua, s•! Ah, non puoi immaginarti come, ora! E pure vorrei ancora di pi—! Ma non so come! GIORGIO: Ancora di pi—? LAURA: S•, ancora pi— tua - ma non Š possibile! Tu lo sai, Š vero? lo sai che di pi— non Š possibile? GIORGIO: S•, Laura. LAURA: Lo sai? Di pi—, si morirebbe. Eppure ne vorrei morire. GIORGIO: No! Che dici? LAURA: Per me dico; per non esser pi— io... non so, una cosa che senta ancora minimamente di vivere per s‚... ma una cosa tua, che tu possa fare pi— tua, tutta del tuo amore, del tuo amore, intendi? tutta in te, cos•, del tuo amore, come sono! GIORGIO: S•, s•, come sei! come sei! LAURA: Tu lo senti, Š vero? lo senti che sono cos• tutta del tuo amore? e che non ho per me pi— niente, niente, n‚ un pensiero, n‚ un ricordo per me, di nulla pi—... tutta, assolutamente tua, per te, del tuo amore? GIORGIO: S•, s•! (Laura, che ha proferito le parole precedenti con la pi— immedesimata intensit…, che Š quasi il succhio della pianta di cui le ha parlato il giardiniere, si fa pallidissima, sorridendo di un sorriso che vanisce nella beatitudine di un deliquio, e gli appoggia la fronte sul petto). Laura! LAURA: Ah? GIORGIO: Oh Dio! Laura! Che hai? LAURA: Nulla... nulla... (Sorride, levando il volto). Vedi? Nulla. GIORGIO: Ma ti sei fatta pallida! LAURA: No; non Š niente. GIORGIO: Sei tutta fredda! Siedi, siedi! LAURA: Ma no... Non mi dare ajuto... Tu non capisci... GIORGIO: Che cosa? LAURA: Che Š cos... che Š cos. GIORGIO: Che cosa Š cos•? LAURA: Che io sono tutta del tuo amore - cos•! GIORGIO: Ma s•, siedi... siedi qua... LAURA: L'ho toccata qua sul tuo petto... per un attimo, congiunta... GIORGIO: Che cosa? LAURA: S•, col tuo amore e col mio, congiunta, sul tuo petto per un attimo - la vita. GIORGIO: Ma che dici? LAURA (ha un brivido violento che la scuote tutta e di nuovo la costringe ad aggrapparsi a lui): Oh Dio! GIORGIO (sorreggendola): Ma tu ti fai male! Che hai?... Che hai?... LAURA: Niente. Un po' di freddo. Un po' di smarrimento. GIORGIO: E' troppo, vedi! Ti sei troppo... LAURA (subito, con ardore quasi eroico): S•, ma voglio cos•! GIORGIO: No, cos Š male! No. (Le prende il volto fra le mani). Tu sei il mio amore; ma io non voglio, non voglio che tu ne abbia male! LAURA (bevendo la dolcezza delle parole di lui): No? GIORGIO: No, non voglio! Vedi? I tuoi occhi... (S'interrompe vedendosi guardato in un modo che gli fa perdere la voce). LAURA (seguitando a guardarlo, quasi provocante): Di'... parla, parla... GIORGIO (ebbro): Dio mio, Laura... LAURA (ridendo, gaia): I miei occhi? Ma guarda, guarda... Non vedi che ci sei tu? GIORGIO: Lo vedo. Ma tu ridi... LAURA: No, no, non rido pi—! GIORGIO: E' per te, bada! LAURA: S•. Basta. Siamo buoni, ora! Siedi, siedi qua anche tu: ti faccio posto! (Nella sedia a sdraio). GIORGIO: No, siedo qua allora! (Indica lo sgabello). LAURA (si alza dalla sedia a sdrajo): No, qua... e io, cos•. )Gli siede sulle ginocchia). GIORGIO: S•, s•. LAURA: No, buoni! Di', sei passato dalla mamma? GIORGIO: S•, ma non l'ho trovata. LAURA: Non hai veduto neanche Giulietta? GIORGIO: Era uscita con la mamma. LAURA: E non t'hanno detto nulla a casa? GIORGIO: No, nulla. Perch‚? LAURA: Perch‚ ho telefonato di qua alla mamma. GIORGIO: Tu? Stamattina? LAURA: S•. GIORGIO: Per me? Volevi forse qualche cosa? LAURA: No. Mi sono sentita un po' male. GIORGIO: Ah s•? Quando? LAURA: Poco dopo che sei andato via tu. Quando mi sono levata. Ma nulla, sai? E' passato! GIORGIO: Che ti sei sentita? LAURA: Nulla, ti dico. Non so. Mi son sentita mancare, appena mi sono alzata. Un momento, sai? Ecco, come dianzi! GIORGIO: E hai telefonato alla mamma per il medico? LAURA: No? Che medico! Per te. Per dire a te che tornassi presto. La mamma mi rispose che avrebbe fatto venire il dottor Romeri con te. GIORGIO: Ma non m'ha detto niente nessuno! LAURA: Meglio cos•! E' stata una pensata della mamma. Io mi sono opposta. Le ho ripetuto dieci volte che non ce n'era bisogno! Ma sai com'Š la mamma? Ho paura che ce la vedremo spuntare da un momento all'altro, qua, col dottor Romeri. GIORGIO: E sar… bene! Cos vedr…... LAURA: Ma no! Che vuoi che veda! Io avevo bisogno che tornassi tu presto! Sei tornato. Basta. GIORGIO: Ma forse il medico... LAURA: Che vuoi che mi faccia il medico? Bada: se viene, non mi faccio neanche vedere! GIORGIO: Ma perch‚? LAURA: Perch‚ no! Non mi faccio vedere. O se no, guarda: gli parlo cos• (Eseguendo:) con la faccia nascosta sotto la tua giacca. E gli dico... GIORGIO (sorridendo): Che Š per causa mia? LAURA (dopo una pausa, in ascolto sul petto di lui): Aspetta! GIORGIO: Che fai? LAURA: Un b…ttito forte, lento; un b…ttito piccolo piccolo, lesto, Šsile... GIORGIO: Che dici? LAURA: Il cuore e l'orologio! GIORGIO: Bella scoperta! LAURA: Possibile che misurino lo stesso tempo? Il mio cuore batte certo pi— del tuo! Oh! Dio, no! Che brutto cuore! GIORGIO (ridendo): Brutto? Perch‚? LAURA: Non te l'avevo mai sentito battere, il cuore! Ma sai come ti batte placido, forte, lento... GIORGIO: E come vuoi che batta? LAURA: Come? Se io sapessi che tu ascolti il mio, sarebbe un precipizio! Mentre il tuo, niente: non si commuove! GIORGIO: Sfido! Parli del medico che non vuoi vedere... LAURA: No; invece parlavo del medico a cui volevo accusarti! GIORGIO: Gi…! Ma con la faccia nascosta! Perch‚ tu sai bene che non sono io! (Non ha finito di proferir queste parole, che si turba vivamente, come se esse, abbiano rispetto al male di cui Laura soffre, d'improvviso acquistato un valore davanti a lui, altro da quello che egli intendeva dar loro). LAURA: Non sei tu? Come non sei tu? GIORGIO (con sempre crescente turbamento): No, io... LAURA (levandosi dalle ginocchia di lui): Giorgio, che pensi? GIORGIO (con sempre crescente turbamento, alzandosi): Oh Dio, nulla... (Poi, cupo:) Tu credi che il dottor Romeri debba venire? LAURA: Non so... Ma perch‚? GIORGIO: Perch‚ Š bene che venga! Voglio che venga! LAURA: Ma, Dio mio, Giorgio, io ho scherzato... GIORGIO: Lo so, lo so! LAURA: Vuoi che possa accusarti, se non per ischerzo? GIORGIO: Ma no, Laura: non Š per questo! LAURA: E che cos'Š allora? GIORGIO: Ma... se tu stai male... LAURA: No! no! io non ho niente! io ho te! Ecco: te - e non ho niente altro, che non mi venga da te! - Se godo, se soffro, se muojo sei tu! Perch‚ io sono tutta cos•, come tu mi vuoi, come io mi voglio, tua. E basta! Tu lo vedi, tu lo sai! GIORGIO: S•, s•... LAURA: E dunque - basta! Che male vuoi che abbia? (Si sente di nuovo vacillare). Dio... vedi? GIORGIO: Di nuovo? LAURA: No... E' un po' di stanchezza... Sorreggimi... SCENA SESTA. DETTI, FILIPPO, poi la SIGNORA FRANCESCA, infine ROMERI. FILIPPO (di corsa, da destra): Signora! signora! Viene la mamma con un altro signore! GIORGIO: Ah! Ecco il medico. LAURA: No, no! Giorgio! non voglio vederlo! GIORGIO: E io voglio invece che tu lo veda! (Si avvia verso il fondo per andare incontro al dottore). LAURA: No... no... Vai, mi faccio vedere. vai. Portalo su in villa, di l…! Io non FRANCESCA (entrando): Buon giorno, Giorgio. GIORGIO (per uscire in fretta): Buon giorno. Il dottore? FRANCESCA: Eccolo! LAURA: No, per carit…! Di l…, Giorgio! P•rtatelo via di l…! (Giorgio via). SCENA SETTIMA. LAURA e FRANCESCA. FRANCESCA (stordita): Ma che cos'Š? LAURA (eccitata): Ah! non dovevi, mamma, non dovevi! FRANCESCA: Che cosa? LAURA: Portare quel medico! Hai fatto male, male! Un male incalcolabile, mamma! FRANCESCA: Ma perch‚? Mi hai telefonato, che t'eri sentita male... LAURA: Io non ho nulla! non ho nulla! FRANCESCA: Bene! tanto meglio! LAURA: Ma che meglio! Che vuoi che intenda, che sappia, che rimedio vuoi che abbia, un medico, per quello che io sento, per quello che io soffro, e che non voglio, non voglio, capisci? che sia un male, e che con la presenza di quel medico che hai portato acquisti per lui un'immagine di male! Ancora di quel male che mi fu fatto! FRANCESCA: Non vuoi? Ma che forse...? Che dici, Laura? Oh Dio... Che forse, tu? LAURA (convulsa, afferrando la madre): S• s•, mamma! S•! FRANCESCA: Ah, Dio! E lui? tuo marito? lo sa? LAURA: Ma Š appunto questo il male che tu hai fatto, mamma! FRANCESCA: Io? LAURA: S•! Ch'egli lo sappia, che egli lo pensi ora, come un male a cui si possa portar rimedio: un rimedio pi— odioso del male. FRANCESCA: Ma se dici che Š... LAURA: Non Š! non Š! E io lo so bene che non Š! Lo sento! FRANCESCA: Come? Che senti? Io ho paura che tu, figliuola mia, sia troppo esaltata e che... LAURA: Ti pare che vaneggi? No! Non posso spiegartelo con la ragione, ma l'ho saputo, qua, ora, mamma, che Š cos! E non pu• essere che cos•! FRANCESCA: Che cosa, figlia mia? Io non ti capisco! LAURA: Questo! Questo ch'io sento. La ragione non lo sa; forse non pu• ammetterlo. Ma lo sa la natura, che Š cos•! Il corpo, lo sa! Una pianta - qua, una di queste piante! Sa che non potrebbe essere senza che ci sia amore! Me lo hanno spiegato or ora. Neanche una pianta potrebbe, se non Š in amore! Vedi com'Š? Non sono esaltata! No, mamma. Io so questo: che in me, in questo mio povero corpo - quando fu in questa mia povera carne straziata, mamma, doveva esserci amore. E per chi? Se amore c'era, non poteva essere che per lui, per mio marito. (Con gesto di vittoria, quasi allegra:) E allora! FRANCESCA: Che dici? Ah, questo Š un nuovo martirio, figliuola mia! Ne sei certa? proprio certa? LAURA: Si. Ma Š cos! Š cos! E' per forza cos! FRANCESCA: Ma lui, dimmi un po', tuo marito, lo sa? LAURA: Credo che gi… lo sappia. Ma ora, l…, con quel medico... Ah! proprio questo, vedi, non doveva avvenire! Che egli lo sapesse cos•! FRANCESCA: Ma se gi… lo sa, figlia mia! LAURA: Volevo che sentisse anche lui, naturalmente, quello che io sento! E che s'unisse a me, s'immedesimasse in me, fino a sentirlo, ecco, e volerlo in me, con me, quello che io sento e voglio! FRANCESCA: Oh Dio! Ho paura, figliuola mia, che... LAURA (subito, interrompendo): Zitta!... Eccoli... Andiamo, andiamo su! (Si trascina via la madre). Non voglio farmi vedere, non voglio farmi vedere! GIORGIO (chiamando dal fondo): Laura... Laura... LAURA: No, Giorgio! T'ho detto no! Vieni, mamma! (Via con la madre). SCENA OTTAVA. GIORGIO e il DOTTOR ROMERI. GIORGIO: Venga, dottore. ROMERI: Eccomi, eccomi. GIORGIO (seguitando con calma grave e contenuta il col suo discorso dottore): Mi piegai allora; mi vinsi, come dovevo. Era una sciagura! Forse anche a lei, dottore, la mia violenza ROMERI (interrompendo): - no; io per me GIORGIO: - se non a lei, pot‚ parer troppa ad altri, che non erano in grado di sentire in quel punto come me. ROMERI: Ciascuno sente a suo modo! GIORGIO: Ma fu, del resto, in quello stesso primo momento una violenza anche per me. Tanto vero, che appena la vidi, dottore, appena ella mi venne davanti, la mia violenza cadde di colpo, e io la raccolsi tra le braccia, non per dovere di piet…, no, ma perch‚ dovevo, dovevo per il mio stesso amore fare cos•. E le giuro che non ci ho pi— pensato, nemmeno una volta. Siamo stati un mese qua, insieme, come due nuovi sposi. (Cambiando tono ed espressione). Ma ora, ora, dottore, se Š vero questo... ROMERI: Eh, comprendo... GIORGIO: Passar sopra a uno scempio, s•, l'ho fatto. Ma oltre, no! ROMERI: Speriamo ancora che non sia! GIORGIO: Non lo so. Ma lo temo! Se fosse... lei mi comprende? ROMERI: Comprendo, comprendo! GIORGIO: E allora vada, la prego. E glielo dica, se mai: lento, spiccato, quasi sillabando: io non potrei transigere. Vada. Aspetto qua. TELA. ATTO TERZO. (Una sala della villa. Uscio in fondo. Uscio laterale a destra. Finestra a sinistra. Immediatamente dopo il secondo atto). SCENA PRIMA. Il DOTTOR ROMERI, la SIGNORA FRANCESCA. (Al levarsi della tela il dottor Romeri Š solo, presso l'uscio a destra in attesa. signora Francesca). Poco dopo, l'uscio s'apre ed entra la FRANCESCA: Non vuole! dice che non vuole, dottore: assolutamente! ROMERI: Ma FRANCESCA: ROMERI: Ma FRANCESCA: sa che il marito lo desidera? Gliel'ho detto. Se n'Š irritata di pi—. perch‚? Anche con me stamattina, del resto, quando le dissi per telefono che avrei portato lei qua in villa. ROMERI: E' curioso! FRANCESCA: Dice che non ce n'Š bisogno. ROMERI (con lieta sorpresa, come alleggerito da un gran peso): Ah! Non ce n'Š bisogno? FRANCESCA: E pare che lo abbia detto gi— anche a Giorgio... ROMERI: Ma tanto meglio, allora! Avvertiamone subito suo genero che sta in pensiero! (Fa per avviarsi). FRANCESCA: Aspetti, dottore! Sta in pensiero Giorgio? Di che? ROMERI: Ma... Lei lo comprende, signora! FRANCESCA: Eh, se Š per questo, temo purtroppo che non ci possa esser dubbio. ROMERI (stordito, senza pi— raccapezzarsi): Ah si? E come? FRANCESCA: S•, dottore. ROMERI: Ma allora? FRANCESCA: S'Š dunque affacciato a Giorgio il sospetto che...? ROMERI: Dio mio, s•, signora! FRANCESCA: Ma perch‚ il sospetto? ROMERI: Perch‚... perch‚, signora mia, pu• affacciarsi anche a lei... anche a me... a tutti... FRANCESCA: Ma no, scusi: non c'Š poi mica da stabilire una certezza! ROMERI: Basta il dubbio, signora! FRANCESCA: E se mia figlia non ne avesse? ROVERI: Dica che non vorrebbe averne! FRANCESCA: Precisamente. Non vuole, non vuole averne! ROMERI: Eh! se si trattasse soltanto di volont…... FRANCESCA: Ma dunque anche lei crede, dottore...? ROMERI: Lasci star me. Sua figlia dovrebbe ispirare al marito la sua stessa certezza. Pare non ci sia riuscita. Il solo fatto, scusi, che gli ha nascosto finora il suo stato, dimostra, del resto - mi sembra che quel sospetto si sia affacciato anche a lei. FRANCESCA: No! Non ha nascosto niente! Il dubbio sul suo stato data da questa mattina soltanto! ROMERI: E perch‚ s'oppone allora, cos•, al desiderio del marito? FRANCESCA: Ma perch‚ per lei Š naturale! ROMERI: E vorrebbe che apparisse naturale anche a lui? FRANCESCA: Ecco: proprio cos•! ROMERI: Temo, signora, che la sua figliuola pretenda troppo. FRANCESCA: No, non pretende, non pretende! E' che non pu• ammettere... ROMERI: Non vorrebbe, capisco. FRANCESCA: E non le sembra naturale che non voglia? Le ripugna ammetterlo! ROMERI: Capisco. Ma capisca anche lei, signora, che allo stesso modo ripugna al marito il dubbio, anche il pi— lontano. Tanto pi— che, lei lo sa, Š avvalorato, questo dubbio, dal fatto che in sette anni di matrimonio non ha avuto figliuoli. FRANCESCA: Si, Š vero! Dio mio! Dio mio! ROMERI: Bisognerebbe che ella si provasse a farlo intendere alla sua figliuola. FRANCESCA: Io? ROMERI: Suo genero mi ha detto gi— esplicitamente, che su questo punto non potrebbe transigere, a nessun patto. FRANCESCA: Ma, e lei, dottore? ROMERI: Io... Sa lei, signora, che sono stato medico militare e che mi sono dimesso? FRANCESCA: Si, lo so. ROVERI: Sa perch‚ mi sono dimesso? FRANCESCA: No. ROMERI: Perch‚ alla nostra professione son fatti doveri, a cui non si fanno corrispondere uguali diritti. FRANCESCA: E che intende dire, dottore? ROMERI: Intendo dire, signora, che mi trovai una volta - e mi bast• davanti a un caso, in cui l'esercizio del mio dovere sentii che diventava addirittura mostruoso. FRANCESCA: Ma si, sarebbe difatti mostruoso! ROMERI: No, signora, lei non intende in qual senso io lo dica. E' proprio il contrario. Un soldato, in caserma - sono ormai tant'anni in un accesso di furore, spar• contro un suo superiore; poi rivolse l'arma contro se stesso per uccidersi anche lui. Rimase ferito mortalmente. Ebbene, signora: di fronte a un caso come questo, nessuno pensa al medico a cui Š fatto obbligo di curare, di salvare - se pu• quel ferito; come se il medico fosse soltanto uno strumento della scienza e nient'altro; come se il medico non avesse poi per se stesso, come uomo, una coscienza per giudicare se - ad esempio - contro al dovere che gli Š imposto di salvare, egli non abbia diritto di non farlo, o il diritto almeno di disporre poi della vita che egli ha restituito a un uomo che se l'era tolta per punirsi da s‚ con la maggiore delle punizioni: uccidendosi! Nossignori! il medico ha il dovere di salvare, contro la volont… patente, recisa, di quell'uomo. E poi? quando io gli ho restituita la vita? perch‚ gliel'ho restituita? Per farlo uccidere, a freddo da chi ha imposto a me un dovere che diventa infame, negandomi ogni diritto di coscienza sull'opera mia stessa! Questo, signora, per dirle che io ho riconosciuto sempre, e voglio riconoscere, nel casi della mia professione, di fronte ai doveri che mi sono imposti, anche diritti che la mia coscienza reclama. FRANCESCA: E allora lei si presterebbe...? ROMERI: S•, signora: senza la minima esitazione. Dato il caso s'intende - che la signora volesse consentire. SCENA SECONDA. DETTI e GIORGIO. (Giorgio s'Š presentato sull'uscio della ultime battute del dialogo ed e stato in ascolto). sala durante le GIORGIO (facendosi avanti): E che non vorrebbe forse consentire? FRANCESCA: No, no! Non sappiamo ancora, Giorgio! GIORGIO: Ma dunque Š sicuro? ROMERI: Pare di s•. GIORGIO: Come, e lei? (Allude a Laura). ROMERI: Non l'ho ancora veduta. FRANCESCA (per calmarlo, quasi supplichevole): Forse Laura crede... GIORGIO (subito, interrompendola): Crede? Che crede? Se Š sicura, come pu• ancora esitare? Io lo esigo! ROMERI (scrollandosi, seccato, anzi sdegnato): Ma no, scusi! GIORGIO (con forza, duramente): S•, lo esigo! Lo esigo! ROMERI (fiero, reciso): Lei non pu• esigerlo cos•! GIORGIO: Come no? Posso ammettere che Laura esiti? ROMERI: Ma deve dirlo lei, spontaneamente. Non mi presterei io, n‚ si presterebbe nessuno, altrimenti! GIORGIO: Ma il mio stupore Š questo, che lei non l'abbia gi… chiesto, non lo chieda subito! FRANCESCA: Non Š mica una cosa da nulla per una donna, Giorgio! A te basta esigerlo! GIORGIO: Come! Ma per se stessa, io dico, dovrebbe chiederlo subito, a qualunque costo! Dovrebbe esser nulla per lei, di fronte all'orrore d'un simile fatto! Ma come? Crederebbe forse che io potrei sorpassare ancora, cedere, chiudere gli occhi, accettare? Ah! perdio! Ma dov'Š? Dov'Š? (Smaniando, la per andare nella camera di Laura). FRANCESCA (cercando d'impedirglielo): No, per carit…, Giorgio! ROMERI (forte, con fermezza): Non cos•! Non cos•! GIORGIO (alludendo a Laura): Che dice? Posso sapere almeno che cosa dice? O vorrebbe forse darmi a intendere che il suo amore... SCENA TERZA. LAURA e DETTI. LAURA (entrando dall'uscio a destra): Che il mio amore... -? (Al suo apparire, alle sue parole restano tutti sospesi, interdetti). Di', di'! Finisci! GIORGIO: Laura, io ho bisogno di saper subito che tu non ti opponi. LAURA: A che cosa? FRANCESCA (cercando d'interporsi): Ma se non sa ancor nulla! Non le abbiamo ancora parlato! GIORGIO: Lasciatemi allora spiegare con lei, vi prego! LAURA: S, Š meglio! GIORGIO: Attenda un po' di l…, dottore. LAURA (subito, severamente): E anche tu, mamma! (La signora Francesca e il dottor Romeri si ritirano in fondo). per l'uscio SCENA QUARTA. LAURA e GIORGIO. LAURA: Parlavi del mio amore, cos•, davanti GIORGIO (subito, compiendo la frase): - davanti a tua madre e al dottore! LAURA: Anche la madre, in questo caso, diventa un'estranea. Non dico quell'altro. Avevi l'aria di buttarmelo in faccia! GIORGIO: Ma s, perch‚ non credo, non voglio credere, che tu ora possa, o voglia avvalertene! LAURA: Dio! Giorgio, ma guardami! Tu non puoi pi— guardarmi? GIORGIO: No! Se Š vero questo, no! che tu possa pensare... Io voglio sapere - e subito, subito, senza tante parole - quello che tu vuoi fare! LAURA: Che debbo fare? Dipende da te, Giorgio. Dal tuo animo. GIORGIO: Come! E tu hai bisogno che te lo dica io, qual Š il mio animo? Quale pu• essere? Non lo comprendi? Non lo vedi? Non lo senti? LAURA: Sento che tu mi sei tutt'a un tratto nemico. Come... come se io... GIORGIO: Dunque tu dici di no? LAURA (abbattendosi a sedere, disperatamente, dice quasi tra s‚): Ah Dio! ah Dio! Non Š valso dunque a nulla? GIORGIO (la guarda, come sbalordito, un pezzo; poi): Che cosa non Š valso? Che dici? Voglio che tu mi risponda! LAURA: Tu dunque ricordi solo una cosa? E dimentichi tutto? GIORGIO: Ma che vuoi che pensi io in questo momento? LAURA: Non puoi neanche pensare che per me Š proprio tutto il contrario? GIORGIO: Il contrario? che cosa? LAURA (come assorta lontano, trucemente, con lentezza): Ch'io non ho memoria, n‚ immagine: nulla! io non vidi! io non seppi nulla! Nulla, capisci? GIORGIO: Sta bene. E poi? LAURA: E poi... (S'interrompe in un silenzio opaco. Poi dice:) Niente. Se hai perduto tu, invece, la memoria di tutto. GIORGIO: Ah, del tuo amore, Š vero? Ma Š proprio cos•, Tu dunque? m'hai circondato del tuo amore, tu mi hai avviluppato nelle tue carezze, sperando ch'io credessi? LAURA (con un grido): No! (Poi con nausea:) Ah! GIORGIO: E allora? LAURA: Non ho ragionato, io: io ho amato: io sono quasi morta d'amore per te; mi sono fatta tua come nessuna donna mai al mondo Š stata d'un uomo; e tu lo sai; tu non hai certo potuto non sentirlo questo, che ho voluto averti tutto in me; che mi sono voluta tutta di te... GIORGIO: E con questo? con questo? LAURA (gridando): Non ho ragionato, ti dico! GIORGIO: Ma che hai sperato? LAURA: Ma d'aver cancellato... d'aver distrutto... GIORGIO: Che cosa? Come? LAURA: Niente. (Alzandosi:) Tu hai ragione. E' stata la mia follia. GIORGIO: Ma s•, una follia! Tu lo vedi bene! LAURA: S. E ne esco, ecco. Ne sono gi… uscita. Ma bada! Tu non puoi pi— parlarmi, ora, come si parla a una folle! GIORGIO: Ma io voglio appunto che tu ragioni, Laura! LAURA (freddissimamente): E poi? GIORGIO: Ma che si faccia - purtroppo LAURA: Solo per un ragionamento, Š vero? e dopo che m'hai buttato in faccia con disprezzo, con orrore, tutto ci• che t'ho dato di me? e che tu hai potuto stimare un calcolo vile... un laido inganno... un espediente... GIORGIO: No, no, Laura! Ma se l'hai chiamata tu stessa una follia? LAURA: Ah, una follia, s•! E sperai che t'avesse sollevato con me nell'ardore di essa, qua, in mezzo alle piante che pure la sanno, questa mia stessa follia! O che tu almeno me lo chiedessi, come si chiede a una povera folle un sacrifizio che essa non sa... della sua stessa vita... e chi sa! avresti forse ottenuto quello che volevi. Perch‚ non puoi credere ch'io volessi salvare in me chi ancora non sento e non conosco. Io l'amore volevo salvare! cancellare una sventura brutale, non brutalmente come tu vorresti... GIORGIO: Ma come? come, in nome di Dio? LAURA: Posso dirti come, se tu non l'intendi? GIORGIO: Accettando la tua follia? LAURA (con un grido di tutta l'anima): S! Tutta me stessa! Perch‚ tu vedessi tutta me stessa tua, nel figlio tuo: tuo perch‚ di tutto il mio amore per te! Ecco, questo! questo volevo! GIORGIO (ritraendosi, quasi inorridito): Ah, no! LAURA: Non Š possibile: lo vedo. GIORGIO: Come vuoi ch'io possa accettare? LAURA: E lascia allora che accetti io, invece, la mia sventura. GIORGIO: Tu? LAURA: Io sola, s•, tutta intera la mia sventura. GIORGIO: Ah, dunque Š detto? Tu ti rifiuti? LAURA: Perch‚ lo farei, se dopo tutto quello che ho dato di me, non sono riuscita a cancellarla? GIORGIO: Ah, no perdio! Tu non puoi! tu non devi! LAURA: Perch‚ non posso? (Martellato). GIORGIO: Dopo LAURA: Che ho GIORGIO: Dopo LAURA: Che ho quello che hai fatto? fatto? quello che hai voluto? voluto? GIORGIO (con ferocia): Il mio amore, "dopo"! LAURA (con disprezzo): Per nascondere, Š vero? GIORGIO: Ma sai che c'Š di mezzo il mio nome? LAURA: Ah, non temere. Avr• il coraggio che ebbe la Zena. Peccato ch'io non possa darlo - dopo l'inganno - al suo padre vero! GIORGIO: Ma tu volevi darlo a me! E non Š questo un inganno? LAURA: Chiamalo inganno! Io so che era amore! GIORGIO: Ti dico che tu non puoi! LAURA: E che vorresti? Con la violenza? (Si fa all'uscio in fondo, e chiama:) Mamma! Mamma! GIORGIO (inveendo): Anche con la violenza, s•! (Accorrono dall'uscio in fondo signora Francesca e il dottor Romeri). in grande SCENA QUINTA. DETTI, la SIGNORA FRANCESCA, il DOTTOR ROMERI. agitazione la FRANCESCA: Laura! Che cos'Š? GIORGIO (al Romeri che lo trattiene): Dottore, le dica che essendo mia moglie... LAURA: Non sono pi— tua moglie! Mamma, io vengo con te! GIORGIO: Ma non basta che tu te ne vada! LAURA (fieramente): Perch‚? Che ho io di te? (Giorgio casca a sedere, come schiantato. Lunghissima pausa). Mamma, possiamo andare! S'avvia con la madre. GIORGIO (balzando in piedi, con un grido d'esasperazione e di disperazione): No... Laura... Laura... (Proferir… cos• due volte il nome di lei con due diversi sentimenti: d'angoscioso sgomento, prima, poi d'implorazione quasi irosa. Laura s'arresta. Lo guarda. Pausa. Giorgio si copre il volto con le mani e rompe in singhiozzi. LAURA (accorrendo a lui): Giorgio, tu mi credi? GIORGIO: Non posso! Ma non voglio perdere il tuo amore! LAURA (con impeto di passione): Ma a questo solo tu devi credere! GIORGIO: Come credere? A che? LAURA (come sopra): Ma a ci• che io ho voluto, con tutta me stessa, per te, e che devi volere anche tu! E' mai possibile che tu non ci creda? (Lo abbraccia, lo scuote). GIORGIO: S•, s•... Nel tuo amore, credo. LAURA (quasi delirando): E dunque, che vuoi di pi—, se credi nel mio amore? In me non c'Š altro! Sei tu in me, e non c'Š altro! Non c'Š pi— altro! Non senti? GIORGIO: S•, s•... LAURA (raggiante, felice): Ah, ecco! Il mio amore! Ha vinto! Ha vinto! Il mio amore! TELA. La patente. (1917) Personaggi: Rosario Chi…rchiaro. Rosinella, sua figlia. Il Giudice istruttore D'Andrea. Tre altri Giudici. Marranca, usciere. Stanza del Giudice istruttore D'Andrea. Grande scaffale che prende quasi tutta la parete di fondo, pieno di scatole verdi a casellario, che si suppongono zeppe d'incartarnenti. Scrivania, sovraccarica di fascicoli, a destra, in fondo e, accanto, addossato alla parete di destra, un altro palchetto. Un seggiolone di cuojo per il Giudice, davanti la scrivania. Altre seggiole antiche. Lo stanzone Š squallido. La comune Š nella parete di destra. A sinistra, un'ampia finestra, alta, con vetrata antica, scompartita. Davanti alla finestra, come un quadricello alto, che regge una grande gabbia. Lateralmente a, sinistra, un usciolino nascosto. (Il giudice D'Andrea entra per la comune col cappello in capo e il soprabito. Reca in mano una gabbiola poco pi— grossa d'un pugno. Va davanti alla gabbia grande sul quadricello, ne apre lo sportello, poi apre lo sportellino della gabbiola e fa passare da questa nella gabbia grande un cardellino). D'ANDREA: Via, dentro! - E su, pigrone! - Oh! finalmente... Zitto adesso, al solito, e lasciami amministrare la giustizia a questi poveri piccoli uomini feroci. (Si leva il soprabito e lo appende insieme col cappello all'attaccapanni. Siede alla scrivania, prende il fascicolo del processo che deve istruire, lo scuote in aria con impazienza, sbuffa:) Benedett'uomo! (Resta un po' assorto a pensare, poi suona il campanello e dalla comune si presenta l'usciere Marranca). MARRANCA: Comandi, signor cavaliere! D'ANDREA: Ecco, Marranca: andate al vicolo del Forno, qua vicino; a casa del Chi…rchiaro. MARRANCA (con un balzo indietro, facendo le corna): Per amor di Dio, non lo nomini, signor cavaliere! D'ANDREA (irritatissimo, dando un pugno sulla scrivania): Basta, perdio! Vi proibisco di manifestare cos•, davanti a me, la vostra bestialit…, a danno d'un pover'uomo. E sia detto una volta per sempre. MARRANCA: Mi scusi, signor cavaliere. L'ho detto anche per il suo bene! D'ANDREA: Ah, seguitate? MARRANCA: Non parlo pi—. Che vuole che vada a fare in casa di... di questo... di questo galantuomo? D'ANDREA: Gli direte che il giudice istruttore ha da parlargli, e lo introdurrete subito da me. MARRANCA: Subito, va bene, signor cavaliere. Ha altri comandi? D'ANDREA: Nient'altro. Andate. (Marranca esce, tenendo la porta per dar passo ai tre Giudici colleghi, che entrano con le toghe e i tocchi in capo e scambiano i saluti col D'Andrea, poi vanno tutti e tre a guardare il cardellino nella gabbia). PRIMO GIUDICE: Che dice eh, questo signor cardellino? SECONDO GIUDICE: Ma sai che sei davvero curioso con codesto cardellino che ti porti appresso? TERZO GIUDICE: Tutto il paese ti chiama: il Giudice Cardello. PRIMO GIUDICE: Dov'Š, dov'Š la gabbiolina con cui te lo porti? SECONDO GIUDICE (prendendola dalla scrivania a cui s'Š accostato): Eccola qua! Signori miei, guardate: cose da bambini! Un uomo serio... D'ANDREA: Ah, io, cose da bambini, per codesta gabbiola? E voi, allora, parati cos•? TERZO GIUDICE: OhŠ, ohŠ, rispettiamo la toga! D'ANDREA: Ma andate l…, non scherziamo! siamo in "camera caritatis". Ragazzo, giocavo coi miei compagni ®al tribunale¯. Uno faceva da imputato; uno, da presidente; poi, altri da giudici, da avvocati... Ci avrete giocato anche voi. Vi assicuro, che eravamo pi— serii allora! PRIMO GIUDICE: Eh, altro! SECONDO GIUDICE: Finiva sempre a legnate! TERZO GIUDICE (mostrando una vecchia cicatrice alla fronte): Ecco qua: cicatrice d'una pietrata che mi tir• un avvocato difensore mentre fungevo da regio procuratore! D'ANDREA: Tutto il bello era nella toga con cui ci paravamo. Nella toga era la grandezza, e dentro di essa noi eravamo bambini. Ora Š al contrario: noi, grandi, e la toga, il giuoco di quand'eravamo bambini. Ci vuole un gran coraggio a prenderla sul serio! Ecco qua, signori miei, (prende dalla scrivania il fascicolo del processo Chi…rchiaro) io debbo istruire questo processo. Niente di pi— iniquo di questo processo. Iniquo, perch‚ include la pi— spietata ingiustizia contro alla quale un pover'uomo tenta disperatamente di ribellarsi, senza nessuna probabilit… di scampo. C'Š una vittima qua, che non pu• prendersela con nessuno! Ha voluto, in questo processo, prendersela con due, coi primi due che gli sono capitati sotto mano, e sissignori - la giustizia deve dargli torto, torto, torto, senza remissione, ribadendo cos, ferocemente, la iniquit… di cui questo pover'uomo Š vittima. PRIMO GIUDICE: Ma che processo Š? D'ANDREA: Quello intentato da Rosario Chi…rchiaro. (Subito, al nome i tre Giudici, come gi… Marranca, danno balzo indietro, facendo scongiuri, atti di spavento, e gridando). TUTTI E TRE: Per la Madonna Santissima! - Tocca ferro! un -Ti vuoi star zitto? D'ANDREA: Ecco, vedete? E dovreste proprio voi rendere giustizia a questo pover'uomo! PRIMO GIUDICE: Ma che giustizia! E' un pazzo! D'ANDREA: Un disgraziato! SECONDO GIUDICE: Sar… magari un disgraziato! ma scusa, Š pure un pazzo! Ha sporto querela per diffamazione, contro il figlio del sindaco, nientemeno, e anche D'ANDREA: - contro l'assessore Fazio TERZO GIUDICE: - per diffamazione? PRIMO GIUDICE: - gi…, capisci? perch‚ dice, li sorprese nell'atto che facevano gli scongiuri al suo passaggio. SECONDO GIUDICE: Ma che diffamazione se in tutto il paese, da almeno due anni, Š diffusissima la sua fama di jettatore? D'ANDREA: E innumerevoli testimonii possono venire in tribunale a giurare che in tante e tante occasioni ha dato segno di conoscere questa sua fama, ribellandosi con proteste violente! PRIMO GIUDICE: Ah, vedi? Lo dici tu stesso! SECONDO GIUDICE: Come condannare, in coscienza, il figliuolo del sindaco e l'assessore Fazio quali diffamatori per aver fatto, vedendolo passare, il gesto che da tempo sogliono fare apertamente tutti? D'ANDREA: E primi fra tutti vojaltri? TUTTI E TRE: Ma certo! - E' terribile, sai? - Dio ne liberi e scampi! D'ANDREA: E poi vi fate meraviglia, amici miei, che io mi porti qua il cardellino... Eppure, me lo porto - voi lo sapete - perch‚ sono rimasto solo da un anno. Era di mia madre quel cardellino; e per me Š il ricordo vivo di lei: non me ne so staccare. Gli parlo, imitando, cos•, col fischio, il suo verso, e lui mi risponde. Io non so che gli dico; ma lui, se mi risponde, Š segno che coglie qualche senso nei suoni che gli faccio. Tale e quale come noi, amici miei, quando crediamo che la natura ci parli con la poesia dei suoi fiori, o con le stelle del cielo, mentre la natura forse non sa neppure che noi esistiamo. PRIMO GIUDICE: S‚guita, s‚guita, mio caro, con codesta filosofia, e vedrai come finirai contento! (Si sente picchiare alla comune, e, poco dopo, Marranca sporge il capo). MARRANCA: Permesso? D ANDREA. Avanti, Marranca. MARRANCA: Lui in casa non c'era, signor cavaliere. Ho lasciato detto a una delle figliuole che, appena arriva, lo mandino qua. E' venuta intanto con me la minore delle figliuole: Rosinella. Se Vossignoria vuol riceverla.., D'ANDREA: Ma no: io voglio parlare con lui! MARRANCA: Dice che vuol rivolgerle non so che preghiera, signor cavaliere. E' tutta impaurita. PRIMO GIUDICE. Noi ce n'andiamo. A rivederci, D'Andrea! (Scambio di saluti: e i tre Giudici vanno via). D'ANDREA: Fate passare. MARRANCA: Subito, signor cavaliere. (Via, anche lui. Rosinella, sui sedici anni, poveramente vestita, ma con una certa decenza, sporge il capo dalla comune, appena il volto dallo scialle nero di lana). mostrando ROSINELLA: Permesso? D'ANDREA. Avanti, avanti. ROSINELLA: Serva di Vossignoria. Ah, Ges— mio, signor giudice, Vossignoria ha fatto chiamare mio padre? Che cosa Š stato, signor giudice? Perch‚? Non abbiamo pi— sangue nelle vene, dallo spavento! D'ANDREA: Calmatevi! Di che vi spaventate? ROSINELLA: E' che noi, Eccellenza, non abbiamo avuto mai da fare con la giustizia! D'ANDREA: Vi fa tanto terrore, la giustizia? ROSINELLA: Sissignore. Le dico, non abbiamo pi— sangue nelle vene! La mala gente, Eccellenza, ha da fare con la giustizia. Noi siamo quattro poveri disgraziati. E se anche la giustizia ora si mette contro di noi... D'ANDREA: Ma no. Chi ve l'ha detto? State tranquilla. La giustizia non si mette contro di voi. ROSINELLA: E perch‚ allora Vossignoria ha fatto chiamare mio padre? D'ANDREA: Perch‚ vostro padre vuol mettersi lui contro la giustizia. ROSINELLA: Mio padre? Che dice! D'ANDREA: Non vi spaventate. Vedete che sorrido... Ma come? Non sapete che vostro padre s'Š querelato contro il figlio del sindaco e l'assessore Fazio? ROSINELLA: Mio padre? Nossignore! Non ne sappiamo nulla! Mio padre s'Š querelato? D'ANDREA: Ecco qua gli atti! ROSINELLA: Dio mio! Dio mio! Non gli dia retta, signor giudice! E' come impazzito mio padre: da pi— d'un mese! Non lavora pi— da un anno, capisce? perch‚ l'hanno cacciato via, I'hanno gettato in mezzo a una strada; fustigato da tutti, sfuggito da tutto il paese come un appestato! Ah, s'Š querelato? Contro il figlio del sindaco s'Š querelato? E' pazzo! E' pazzo! Questa guerra infame che gli fanno tutti, con questa fama che gli hanno fatto, l'ha levato di cervello! Per carit…, signor giudice: gliela faccia ritirare codesta querela! gliela faccia ritirare! D'ANDREA: Ma s•, carina! Voglio proprio questo. E l'ho fatto chiamare per questo. Spero che ci riuscir•. Ma voi sapete: Š molto pi— facile fare il male che il bene. ROSINELLA: Come, Eccellenza! Per Vossignoria? D'ANDREA: Anche per me. Perch‚ il male, carina, si pu• fare a tutti e da tutti; il bene, solo a coloro che ne hanno bisogno. ROSINELLA: E lei crede che mio padre non ne abbia bisogno? D'ANDREA: Lo credo, lo credo Ma Š che questo bisogno d'aver fatto il bene, figliuola, rende spesso cos• nemici gli animi di coloro che si vorrebbero beneficare, che il beneficio diventa difficilissimo. Capite? ROSINELLA: Nossignore, non capisco. Ma faccia di tutto Vossignoria! Per nojaltri non c'Š pi— bene, non c'Š pi— pace, in questo paese. D'ANDREA: E non potreste andar via da questo paese? ROSINELLA: Dove? Ah, Vossignoria non lo sa com'Š! Ce la portiamo appresso, la fama, dovunque andiamo. Non si leva pi— neppure col coltello. Ah, se vedesse mio padre, come s'Š ridotto! S'Š fatto crescere la barba. una barbaccia, che pare un gufo... e s'Š tagliato e cucito da s‚ un certo abito. Eccellenza, che quando se lo metter…, far… spaventare la gente, fuggire i cani finanche! D'ANDREA. E perch‚? ROSINELLA: Se lo sa lui perch‚! E' come impazzito, le dico! Gliela faccia, gliela faccia ritirare la querela, per carit…! (Si sente di nuovo picchiare alla comune). D'ANDREA: Chi Š? Avanti. MARRANCA (tutto tremante): Eccolo, debbo fare? ROSINELLA: Mio padre? signor cavaliere! Che... che (Balza in piedi). Dio! Dio! Non mi faccia trovare qua, Eccellenza, per carit…! D'ANDREA: Perch‚? Che cos'Š? Vi mangia, se vi trova qua? ROSINELLA: Nossignore. Ma non vuole che usciamo di casa. Dove mi nascondo? D'ANDREA. Ecco. Non temete. (Apre l'usciolino nascosto nella parete di destra). Andate via di qua; poi girate per il corridojo e troverete l'uscita. ROSINELLA: Sissignore, grazie. Mi raccomando a Vossignoria! Serva sua. (Via ranca ranca per l'usciolino a destra. D'Andrea lo richiude). D'ANDREA: Introducetelo. MARRANCA (tenendo aperto quanto pi— pu• la tenersi discosto): Avanti, avanti... introducetevi... (E come Chi…rchiaro entra, va via di furia. comune per Rosario Chi…rchiaro s'Š combinata S'Š una faccia da jettatore che Š una meraviglia a vedere. lasciato crescere su le cave gote gialle una barbaccia ispida e cespugliuta; s'Š insellato sul naso un paio di grossi occhiali cerchiati d'osso che gli d…nno l'aspetto d'un barbagianni. ha poi indossato un abito lustro, sorcigno, che gli sgonfia da tutte le parti, e tiene una canna d'India in mano col manico di corno. Entra a passo di marcia funebre, battendo a terra la canna a ogni passo, e si para davanti al giudice). D'ANDREA (con uno scatto violento d'irritazione, buttando via le carte del processo): Ma fatemi il piacere! Che storie son queste! Vergognatevi! CHIARCHIARO (senza scomporsi minimamente allo scatto del giudice, digrigna i denti gialli e dice sottovoce): Lei dunque non ci crede? D'ANDREA: V'ho detto di farmi il piacere! Non facciamo scherzi, via, caro Chi…rchiaro! - Sedete, sedete qua! Gli s'accosta e fa per posargli una mano sulla spalla. CHIARCHIARO (subito, tirandosi indietro e tremendo): Non mi s'accosti! Se ne guardi bene! Vuol perdere la vista degli occhi? D'ANDREA (lo guarda freddamente, poi dice): Seguitate... Quando sarete comodo... - Vi ho mandato a chiamare per il vostro bene. L… c'Š una sedia: sedete. CHIARCHIARO (prende la seggiola. siede, guarda il giudice, poi si mette a far rotolare con le mani su le gambe la canna d'India come un matterello e tentenna a lungo il capo. Alla fine mastica): Per il mio bene... Per il mio bene, lei dice... Ha il coraggio di dire per il mio bene! E lei si figura di fare il mio bene, signor giudice, dicendo che non crede alla jettatura? D'ANDREA (sedendo anche lui): Volete che vi dica che ci credo? Vi dir• che ci credo! Va bene? CHIARCHIARO (recisamente, col tono di chi non ammette scherzi): Nossignore! Lei ci ha da credere sul serio, sul se-ri-o! Non solo, ma deve dimostrarlo istruendo il processo. D'ANDREA. Ah, vedete: questo sar… un po' difficile. CHIARCHIARO (alzandosi e facendo per avviarsi): E allora me ne vado. D'ANDREA: Eh, via! Sedete! V'ho detto di non fare storie! CHIARCHIARO: Io, storie? Non mi cimenti; o ne far… una tale esperienza... - Si tocchi, si tocchi! D'ANDREA: Ma io non mi tocco niente. CHIARCHIARO: Si tocchi, le dico! Sono terribile, sa? D'ANDREA (severo): Basta, Chi…rchiaro! Non mi seccate. Sedete e vediamo d'intenderci. Vi ho fatto chiamare per dimostrarvi che la via che avete preso non Š propriamente quella che possa condurvi a buon porto. CHIARCHIARO: Signor giudice, io sono con le spalle al muro dentro un vicolo cieco. Di che porto, di che via mi parla? D'ANDREA: Di questa per cui vi vedo incamminato e di quella l… della querela che avete sporto. Gi… l'una e l'altra, scusate, sono tra loro cos•. (Infronta gl'indici delle due mani per significare che le due vie sembrano in contrasto). CHIARCHIARO: Nossignore. Pare a lei, signor giudice. D'ANDREA: Come no? L… nel processo, accusate come diffamatori due, perch‚ vi credono jettatore; e ora qua vi presentate a me, parato cos•, in vesti di jettatore, e pretendete anzi ch'io creda alla vostra jettatura. CHIARCHIARO: Sissignore. Perfettamente. D'ANDREA: E non pare anche a voi che ci sia contraddizione? CHIARCHIARO: Mi pare, signor giudice, un'altra cosa. Che lei non capisce niente! D'ANDREA: Dite, dite, caro Chi…rchiaro! Forse Š una sacrosanta verit…, questa che mi dite. Ma abbiate la bont… di spiegarmi perch‚ non capisco niente. CHIARCHIARO: La servo subito. Non solo le far• vedere che lei non capisce niente; ma anche toccare con mano che lei Š un mio nemico. D'ANDREA: Io? CHIARCHIARO: Lei, lei, sissignore. Mi dica un po': sa o non sa che il figlio del sindaco ha chiesto il patrocinio dell'avvocato Lorecchio? D'ANDREA: Lo so. CHIARCHIARO: E lo sa che io - io, Rosario Chi…rchiaro - io stesso sono andato dall'avvocato Lorecchio a dargli sottomano tutte le prove del fatto: cioŠ, che non solo tutti, vedendomi passare, io mi ero accorto da pi— di un anno che facevano le corna e altri scongiuri pi— o meno puliti; ma anche le prove, signor giudice, prove documentate, testimonianze irrepetibili, sa? ir-re-pe-tibi-li di tutti i fatti spaventosi, su cui Š edificata incrollabilmente, in-crol-labilmente, la mia fama di jettatore? D'ANDREA: Voi? Come? Voi siete andato a dar le prove all'avvocato avversario? CHIARCHIARO: A Lorecchio. Sissignore. D'ANDREA (pi— imbalordito che mai): Eh... Vi confesso che capisco anche meno di prima. CHIARCHIARO: Meno? Lei non capisce niente! D'ANDREA: Scusate... Siete andato a portare codeste prove contro di voi stesso all'avvocato avversario; perch‚? Per rendere pi— sicura l'assoluzione di quei due? E perch‚ allora vi siete querelato? CHIARCHIARO: Ma in questa domanda appunto Š la prova, signor giudice, che lei non capisce niente! Io mi sono querelato perch‚ voglio il riconoscimento ufficiale della mia potenza. Non capisce ancora? Voglio che sia ufficialmente riconosciuta questa mia potenza terribile, che Š ormai l'unico mio capitale, signor giudice! D'ANDREA (facendo per abbracciarlo, commosso): Ah, povero Chi…rchiaro, povero Chi…rchiaro mio, ora capisco! Bel capitale, povero Chi…rchiaro! E che te ne fai? CHIARCHIARO: Che me ne faccio? Come, che me ne faccio? Lei, caro signore, per esercitare codesta professione di giudice - anche cos• male come la esercita - mi dica un po', non ha dovuto prendere la laurea? D'ANDREA: Eh s•, la laurea... CHIARCHIARO: E dunque! Voglio anch'io la mia patente. La patente di jettatore. Con tanto di bollo. Bollo legale. Jettatore patentato dal regio tribunale. D'ANDREA: E poi? Che te ne farai? CHIARCHIARO: Che me ne far•? Ma dunque Š proprio deficiente lei? Me lo metter• come titolo nei biglietti da visita! Ah, le par poco? La patente! Sar… la mia professione! Io sono stato assassinato, signor giudice! Sono un povero padre di famiglia. Lavoravo onestamente. Mi hanno cacciato via e buttato in mezzo a una strada, perch‚ jettatore! In mezzo a una strada, con la moglie paralitica, da tre anni in un fondo di letto! e con due ragazze, che se lei le vede, signor giudice, le strappano il cuore dalla pena che le fanno: belline tutte e due; ma nessuno vorr… pi— saperne, perch‚ figlie mie, capisce? E lo sa di che campiamo adesso tutt'e quattro? Del pane che si leva di bocca il mio figliuolo, che ha pure la sua famiglia, tre bambini! E le pare che possa fare ancora a lungo, povero figlio mio, questo sacrificio per me? Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare la professione di jettatore! D'ANDREA: Ma che ci guadagnerete? CHIARCHIARO: Che ci guadagner•? Ora glielo spiego. Intanto, mi vede: mi sono combinato con questo vestito. Faccio spavento! Questa barba... questi occhiali... Appena lei mi fa ottenere la patente, entro in campo! Lei dice, come? Me lo domanda - ripeto - perch‚ Š mio nemico! D'ANDREA: Io? Ma vi pare? CHIARCHIARO: Sissignore, lei! Perch‚ s'ostina a non credere alla mia potenza! Ma per fortuna ci credono gli altri, sa? Tutti, ci credono! Questa Š la mia fortuna! Ci sono tante case da giuoco nel nostro paese! Baster… che io mi presenti. Non ci sar… bisogno di dir niente. Il tenutario della casa, i giocatori, mi pagheranno sottomano, per non avermi accanto e per farmene andar via! Mi metter• a ronzare come un moscone attorno a tutte le fabbriche; andr• a impostarmi ora davanti a una bottega, ora davanti a un'altra. L… c'Š un giojelliere? Davanti alla vetrina di quel giojelliere: mi pianto li, (eseguisce) mi metto a squadrare la gente cos•, (eseguisce) e chi vuole che entri pi— a comprare in quella bottega una gioja, a guardare a quella vetrina? Verr… fuori il padrone, e mi metter… in mano tre, cinque lire per farmi scostare e impostare da sentinella davanti alla bottega del suo rivale. Capisce? Sar… una specie di tassa che io d'ora in poi mi metter• a esigere! D'ANDREA: La tassa dell'ignoranza! CHIARCHIARO: Dell'ignoranza? Ma no, caro lei! La tassa della salute! Perch‚ ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanit…, che veramente credo, signor giudice, d'avere qua, in questi occhi, la potenza di far crollare dalle fondamenta un'intera citt…! - Si tocchi! Si tocchi, perdio! Non vede? Lei Š rimasto come una statua di sale! (D'Andrea, compreso di profonda piet…, Š rimasto veramente come un balordo a mirarlo). Si alzi, via! E si metta a istruire questo processo che far… epoca, in modo che i due imputati siano assolti per inesistenza di reato; questo vorr… dire per me il riconoscimento ufficiale della mia professione di jettatore! D'ANDREA (alzandosi): La patente? CHIARCHIARO (impostandosi grottescamente e battendo la canna): La patente, sissignore! (Non ha finito di dire cos•, che la vetrata della finestra si apre pian piano, come mossa dal vento, urta contro il quadricello e la gabbia, e li fa cadere con fracasso). D'ANDREA (con un Il grido, accorrendo): Ah, Dio! Il cardellino! o cardellino! Ah, Dio! E' morto... Š morto... L'unico ricordo di mia madre... Morto... morto... (Alle grida, si spalanca la comune e accorrono i tre Giudici alla vista e Marranca, che subito si trattengono allibiti di Chi…rchiaro). TUTTI: Che Š stato? Che Š stato? D'ANDREA: Il vento... la vetrata... il cardellino... CHIARCHIARO (con un grido di trionfo): Ma che vento! Che vetrata! Sono stato io! Non voleva crederci e gliene ho dato la prova! Io! Io! E come Š morto quel cardellino, (subito, gli atti di terrore degli astanti, che si scostano da lui:) cos•, a uno a uno, morirete tutti! TUTTI (protestando, imprecando, supplicando in coro): Per l'anima vostra! Ti caschi la lingua! Dio, ajutaci! Sono un padre di famiglia! CHIARCHIARO (imperioso, protendendo una mano): E allora qua, subito pagate la tassa! - Tutti! I TRE GIUDICI (facendo atto di cavar danari dalla tasca): S•, subito! Ecco qua! Purch‚ ve n'andiate! Per carit… di Dio! CHIARCHIARO (esultante, rivolgendosi al giudice D'Andrea, sempre con la mano protesa): Ha visto? E non ho ancora la patente! Istruisca il processo! Sono ricco! Sono ricco! TELA. L'uomo, la bestia e la virt—. (1919). Personaggi: Il trasparente signor Paolino, professore privato. La virtuosa signora Perella, moglie del Capitano Perella. Il dottor Nino Pulejo. Il signor Tot•, farmacista, suo fratello. Rosaria, governante del signor Paolino. Giglio e Belli, scolari. Non•, ragazzo di 11 anni, figlio dei Perella. Grazia, domestica di casa Perella. Un marinajo. In una citt… di mare, non importa quale. Oggi. ATTO PRIMO. Stanza modesta da studio e da ricevere in casa del signor Paolino. Scrivania, scaffali di libri, canapŠ, poltrone, eccetera. La comune Š a sinistra. A destra, un uscio. Un altro in fondo, che d… in uno sgabuzzino quasi buio. SCENA PRIMA. ROSARIA e il SIGNOR TOTO'. Al levarsi della tela la stanza Š in disordine. Parecchie seggiole in mezzo alia scena, le une sulle altre, capovolte; le poltrone fuori posto, Entra dalla comune Rosaria con la cuffia in capo di eccetera. e ancora i diavolini attorti tra i capelli ritinti d'una quasi rosea orribile manteca. Ha l'aspetto e l'aria stupida e petulante d'una vecchia gallina. La segue il signor Tot• col cappello in capo, collo torto da prete, aspetto e aria da volpe contrita. Si stropiccia di continuo le mani sotto il mento, quasi per lavarsele alla fontana della sua dolciastra grazia melensa). ROSARIA: Ma scusi, ma perch‚ vuole entrarmi in casa ogni mattina? Non vede che Š ancora in disordine? TOTO': E che fa? Oh, per me, cara Rosaria... ROSARIA (con scatto di stizza, voltandosi, come volesse beccarlo): Ma come, che fa? TOTO' (restando male, con un sorriso vano): Dico che io non ci bado... - Vi lascio la chiave, perch‚ la consegniate a mio fratello, il dottore, appena ritorna, poverino, dalla sua assistenza notturna all'ospedale. ROSARIA: Va bene. Potrebbe darmela sulla porta, la chiave, e andarsene, senza entrare. TOTO': Per me Š ormai una cara abitudine, questa... ROSARIA: Ma dica un brutto vizio! TOTO': Mi trattate male, Rosaria... ROSARIA: Ho da fare! Ho da fare! E poi, secca, capir…! Io sono ancora cos• (indica i diavolini ai capelli) - e, qua, le seggiole, vede? a gambe all'aria. La casa quando Š onesta, ha anch'essa i suoi pudori; come la donna, quando Š onesta. TOTO': Ah, lo credo, lo credo bene! e mi piace tanto sentirvi dire cos•... ROSARIA: Gi…! lo crede, le piace, e intanto lo... lo violenta! TOTO' (come inorridito): Io? ROSARIA: Sissignore! Il pudore della casa! (Cos• dicendo, rimette sui quattro piedi le seggiole capovolte e abbassa con grottesca pudicizia la fodera di tela che le ricopre, come se nascondesse le gambe a una sua figliuola). Dio sa quanto ci bado, io, con un padrone che... (Fa con la mano un gesto di rammarico, indicando l'uscio a destra). - farebbe prendere la fuga anche... anche alle seggiole, sissignore, per non stare a sentirlo, cos• sempre sulle furie... Io, se fossi seggiola di questa casa, vorrei essere... guardi, piuttosto seggiola d'uno di quelli che vendono cerotti per le strade, che vi montano sopra. (Di nuovo, alzando una mano verso l'uscio a destra:) - Sgarbato! Le afferra cos• (afferra la seggiola per la spalliera) - quand'Š arrabbiato - le scrolla, le pesta, le scaraventa anche... TOTO': Voi le volete bene, come se fossero vostre figliuole... ROSARIA: Le vorrei tener linde come sposine! M'affeziono, io! TOTO': Ah, avere una casa! ROSARIA: E come? Non ce l'ha, lei, la casa, di l…? Dica che non vuol tenere una donna di servizio. TOTO': Ma casa, oh, casa, io intendo famiglia, mia buona Rosaria... ROSARIA, E lei prenda moglie, allora! O una governante affezionata! Sarebbe un bene anche per suo fratello il dottore. TOTO' (subito, con orrore): Eh... lui, se mai, mio fratello! E vi giuro che ne sarei tanto contento. Ma non la prende. Non la prende, perch‚ ci sono io. ROSARIA: E che pu• fargli da moglie, lei, a suo fratello? TOTO': No! Ma perch‚ bado io a tutto, capite? E cos• egli non ne sente nessun bisogno. Pi— tardi, rientrer… dalla sua assistenza notturna; verr… qui a domandarvi la chiave, e trover… di l… tutto in ordine, rassettato, con tutti i suoi bisogni prevenuti. ROSARIA: Ah, Š comodo per lui. TOTO': Lo faccio con tutto il cuore, credetemi. Per me, mio fratello Š tutto! La casa Š per lui, non Š per me. ROSARIA: Gi…, perch‚ lei se ne sta tutto il giorno in farmacia... TOTO': No, non per questo. Anche lui, poverino, allora, Š tutto il giorno in giro per le sue visite... La casa, cara Rosaria, credete a me, non Š mai quella che ci facciamo noi e che ci costa tanti pensieri e tante cure. La vera casa, quella di cui sentiamo il sapore quando si dice casa... un sapore che nel ricordo Š cos• dolce e cos• angoscioso, la vera casa Š quella che altri fece per noi, voglio dire nostro padre, nostra madre, coi loro pensieri, e le loro cure. E anche per loro, per nostro padre e nostra madre, la casa, la vera casa per loro qual era? Ma quella dei loro genitori, non gi… quella ch'essi fecero per noi... E' sempre cos•... Oh, ma ecco qua Paolino. SCENA SECONDA. PAOLINO e DETTI. (Il signor Paolino entrer… precipitosamente dall'uscio a destra. E' un uomo sulla trentina, vivacissimo, ma di una vivacit… nervosa, che nasce da insofferenza. Tutte le passioni, tutti i moti dell'animo traspaiono in lui con una evidenza che avventa. Subitanei scatti e cangiamenti di tono e d'umore. Non ammette repliche e taglia corto). PAOLINO (al signor Tot•): Carissimo... (E subito, rivolgendosi a Rosaria:) Non gli avete dato ancora il caffŠ? Ma dateglielo, per Dio santo! Con quante chiacchiere volete che ve la paghi, ogni mattina, una tazza di caffŠ? TOTO': Oh! Dio, no, Paolino! non Š per questo! PAOLINO: Tot•, fammi il piacere: non essere ipocrita, oltre che spilorcio! TOTO': Ma io parlavo... PAOLINO (attaccando subito): Della casa, mezz'ora che parli della casa; t'ho sentito di l…: della poesia della casa. TOTO': Ma la sento davvero! PAOLINO: Non dico di no. Ma te ne servi per vestire davanti a te stesso, con decenza, la tua spilorceria. TOTO': No... PAOLINO: E' cos come ti sto dicendo io! Tant'Š vero che, appena Rosaria t'avr… dato il caffŠ, te n'andrai stropicciandoti le mani gi— per le scale, tutto contento della tazzina di caffŠ che vieni a scroccarmi ogni mattina con codeste chiacchieratine poetiche. TOTO': Ah, se credi cos•... (Mortificato, fa per andarsene). PAOLINO (subito, acchiappandolo per un braccio): Che? Tu ora il caffŠ, perdio, te lo devi prendere! Io credo cos, perch‚ Š vero cos! TOTO': Ma no... PAOLINO: Ma s! E appunto perch‚ Š vero cos, ti devi prendere il caffŠ! TOTO': Non me lo prendo, no! PAOLINO (seguitando con foga crescente): Due caffŠ, tre caffŠ! Perch‚ tu ora te lo sei guadagnato con lo sfogo che m'hai offerto, capisci? Quando una cosa mi resta qua, (indica la bocca dello stomaco) caro mio sono rovinato! Te l'ho detta, pago. Un caffŠ al giorno puoi contarci! V…ttene! (Lo spinge fuori come se fosse un affare concluso; signor Tot• accenna di voltarsi, incalza:) e poich‚ il No, v…ttene, v…ttene senza ringraziarmi! TOTO': No, non ti ringrazio! Ma sarei pi— contento, se tu me lo facessi... PAOLINO (con scatto iroso): Pagare? TOTO' (umile come sempre): A fin di mese, per come te n'ho fatto la proposta! PAOLINO: E che sono io, caffettiere? che Š, un caffŠ, la mia casa? TOTO': No: Š che io di l…, vedi, non ho chi me lo faccia. Tu hai qua la tua governante. Non fai mica il caffŠ per me, per venderlo. Lo fai per te. Ne fai una tazzina di pi—, e io te la pago. PAOLINO: Eh gi…! Prendo moglie. Non la prendo mica per te, per vendertela. La prendo per me. Ma te la cedo, ecco, per soli cinque minuti, ogni giorno. Va bene? Che cosa sono cinque minuti? TOTO' (sorridendo): No, che c'entra! La moglie... PAOLINO (subito): E la governante? TOTO' (non comprendendo): Come? PAOLINO (gridando): Ma il caffŠ non si fa mica da solo! Ci vuole la governante per fare il caffŠ. Animale, o perch‚ credi che un operajo sia pi— ricco d'un professore? Perch‚ un operajo, se vuole, pu• farsi tutto da s‚, mentre un professore no: ha bisogno di tenere la governante, il professore! ROSARIA (interloquendo, melliflua e persuasiva): Che lo serva, lo curi e faccia di tutto per dargli quelle comodit…... PAOLINO (comprendendo il fiele di quel miele, per troncare): Lasciamo andare! lasciamo andare! ROSARIA (risentita e con sottintesi di riprovazione): Ma dico, perch‚ fuor di casa non abbia poi a mostrarsi disordinato o distratto. PAOLINO: Grazie tante! (Al signor Tot•:) La stai a sentire? E io, s•, di questa bella fortuna d'esser professore debbo piangere le conseguenze, e tu farmacista, no? Va' al diavolo! - Ohi, Rosaria: per oggi, glielo darete, il caffŠ; da domani in poi - pi— niente! TOTO': Scusa, m'hai dato anche dell'animale... PAOLINO: Ah gi…! Glielo darete allora anche domani! Ma v…ttene! Vorresti che ti caricassi d'insulti, per avere una tazza di caffŠ per ogni insulto che ti faccio? TOTO': No, no, me ne vado... Grazie, Paolino... (Via con Rosaria per l'uscio di sinistra). SCENA TERZA. PAOLINO, poi GIGLIO e BELLI. PAOLINO: Dio, che gente! Dio, che gente!... Ma com'Š? Tutti cos•? GIGLIO (dall'interno): Permesso, signor professore? PAOLINO: Uh, ecco gi… la prima lezione. Avanti! (Entrano coi libri sotto braccio, e con le sciarpe di lana al collo uno, rossa; l'altro, turchina - Giglio e Belli. Hanno anch'essi un aspetto bestiale che consola: Giglio, da capro nero, e Belli, da scimmione con gli occhiali). GIGLIO: Buon giorno, signor professore. BELLI: Buon giorno, signor professore. PAOLINO: Buon giorno. Sedete. (Indica la scrivania). GIGLIO (sedendo): Grazie, signor professore. BELLI (sedendo): Grazie, signor professore. PAOLINO (sedendo anche lui e rifacendo loro il verso, all'uno poi all'altro, accennando un inchino): Non c'Š di che, Giglio! prima caro Non c'Š di che, caro Belli! (Li guarda e sbuffa esasperatamente). Ahhh! (Prendendosi la testa tra le mani:) Dio mio! Dio mio! Dio! Dio! Dio! Io veramente credo che la vita fra gli uomini, tra poco, non mi sar… pi— possibile! GIGLIO: Perch‚, signor professore? BELLI: Dice per noi, signor professore? PAOLINO (tornando a guardarli con ira contenuta): Ma quant'anni avete? GIGLIO: Diciotto, signor professore! BELLI: Diciassette, signor professore! PAOLINO (tentennando il capo in contemplazione del loro aspetto bestiale): E gi… cos• uomini tutti e due! Dite un po': come si dice in greco commediante? GIGLIO: In greco? PAOLINO: No: in arabo! Lei non lo sa! (A Belli:) E lei? BELLI: Commediante? Non ricordo. PAOLINO: Ah, lei non ricorda? Perch‚ vuol dire che prima lo sapeva, Š vero? e ora non lo ricorda pi—! BELLI: Nossignore: non l'ho mai saputo. PAOLINO: Ah, cos• si dice! (Sillabando:) Non-lo-so! - Ve l'insegno io: - Commediante, in greco, si dice: upocritŠs - E perch‚ upocritŠs? A lei: che cosa fanno i commedianti? BELLI: Mah... rŠcitano, mi pare. PAOLINO: Le pare? Non ne Š sicuro? E perch‚ rŠcitano, si chiamano "ipocriti"? Le pare giusto chiamare ipocrita uno che recita per professione? Se recita, fa il suo dovere! Non pu• chiamarlo ipocrita! - Chi chiama cos• lei, invece, cioŠ con questo nome che i greci davano ai commedianti? GIGLIO (come se tutt'a un tratto gli si facesse lume): Ah, uno che finge, signor professore! PAOLINO: Ecco. Uno che finge, come un commediante appunto, che finge una parte, poniamo di re, mentre Š un povero straccione; o un'altra parte qualsiasi. Che c'Š di male in questo? Niente. Dovere! professione! - Quand'Š il male, invece? Quando non si Š pi— cos• ipocriti per dovere, per professione sulla scena; ma per gusto, per tornaconto, per malvagit…, per abitudine, nella vita - o anche per civilt… - sicuro! perch‚ civile, esser civile, vuol dire proprio questo: - dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi; in corpo fiele; in bocca miele. O quando si entra qua e si dice: Buon giorno, signor professore, invece di: - Vada al diavolo, signor professore! GIGLIO (balzando): Ma come! scusi! per questo? BELLI (come sopra): Dovremmo dirle: - ®Vada al diavolo¯? PAOLINO: L'avrei pi— caro, l'avrei pi— caro, v'assicuro! - O almeno, santo Dio, non dirmi nulla, ecco! GIGLIO: Gi…! E lei allora direbbe: - Che maleducati! PAOLINO: Giustissimo! Perch‚ la civilt… vuole che si auguri il buon giorno a uno che volentieri si manderebbe al diavolo; ed essere bene educati vuol dire appunto esser commedianti. "Quod erat demonstrandum" - Basta. Storia oggi, Š vero? BELLI (risentito): Ma no, scusi, professore... PAOLINO: Basta v'ho detto! - Chiusa la digressione. Questa civilt…, figlioli miei, questa civilt… mi sta finendo lo stomaco! Chiusa, chiusa la digressione. - Storia. - A lei, Giglio. (Si sente picchiare alla porta). Chi Š? - Avanti! SCENA QUARTA. DETTI e ROSARIA. ROSARIA (entrando per la comune e chiamando a s‚ il signor Paolino con un comico gesto della mano): Qua un momentino, signor professore! PAOLINO: Che volete? Sto a far lezione; e sapete bene che quando sto a far lezione... ROSARIA: Lo so, benedetto Iddio, lo so! Ma appunto perch‚ lo so, se sono entrata, mi scusi, Š segno che debbo dirle qualche cosa che preme. PAOLINO (agli scolari): Abbiate pazienza un momento. (Appressandosi a Rosaria:) Cosa che preme? ROSARIA: E' venuta una signora, con un ragazzo, che - dice - lei la conosce bene. PAOLINO: La mamma di qualche allievo? ROSARIA (sospettosa): Non so. - Sar…! - Ma Š agitatissima... PAOLINO: Agitatissima? ROSARIA: Sissignore. E, chiedendo di lei, si Š fatta bianca, rossa... di cento colori. PAOLINO: Ma chi Š? il nome! V'ho detto mille volte di domandare il nome a chi viene a cercar di me! ROSARIA: E l'ho fatto! Me l'ha detto. Si chiama... - aspetti... la signora... la signora Pe... PAOLINO (con un balzo, quasi atterrito, in vivissima agitazione): Perella? - La signora Perella, qua? - Oh Dio! E che sar… avvenuto?... Aspettate... aspettate... - Ditele che attenda un po'. ROSARIA: Ah, la conosce dunque davvero? PAOLINO (facendole gli occhiacci): Non mi seccate! Ditele che attenda un po'. ROSARIA: Va bene... va bene... (Esce). PAOLINO (cercando di dominare l'agitazione e riaccostandosi alla scrivania): Ragazzi, non... non perdiamo tempo. - Guardate: invece della storia e della geografia, mi... mi farete anche oggi una versioncina... GIGLIO e BELLI (protestando): Ma no, scusi, professore! PAOLINO: Dall'italiano al latino! GIGLIO e BELLI: No, professore, per carit…! PAOLINO: Facile facile. GIGLIO: L'abbiamo fatto jeri! BELLI: Sempre latino! sempre latino! PAOLINO: E' il vostro debole! GIGLIO Ma non ne possiamo pi—! PAOLINO (severo): Basta cos•! BELLI: Non abbiamo neanche i dizionari. PAOLINO: Ve li dar• io! (Li cava in fretta dallo scaffale). Eccoli qua! - A voi! GIGLIO: Ma professore... PAOLINO: Basta cos•, ho detto! "Prende dalla scrivania un libro e comincia a sfogliarlo). Tradurrete... tradurrete... (Cercando, si distrae e comincia a parlare tra s‚). Qua?... Cos• per tempo?... E quando mai?... Che... (S'accorge che i due scolari guardano curvi, e intenti nel libro ch'egli tiene aperto in mano, come se vi cercassero le parole da lui proferite, e si riprende). Che cercate? GIGLIO: Eh... la traduzione... BELLI: Quello che lei leggeva... PAOLINO: Io non leggevo un corno! - Tradurrete - ecco - qua... questo passo qua... breve breve. - Oh! Mi farete il piacere... (Va ad aprire l'uscio dello sgabuzzino in fondo e li attira a col gesto delle mani). qua, venite qua... - di mettervi qua, in questo camerino... abbiate pazienza! BELLI (con orrore): L…? GIGLIO (come sopra): Professore, ma non ci si vede! PAOLINO: Abbiate pazienza, per un momentino! Andiamo! (Li spinge dentro). Traducete ciascuno per suo conto, mi raccomando! Al lavoro, al lavoro. Non perdiamo tempo! (Richiude l'uscio e corre alla comune per invitare la signora Perella a entrare). s‚ Signora, venga... venga avanti... SCENA QUINTA. Il signor PAOLINO, la SIGNORA PERELLA e NONO', poi, dietro l'uscio in fondo, GIGLIO e BELLI. (Entra per l'uscio a sinistra la signora Perella con Non•. La signora Perella sar… la virt—, la modestia, la pudicizia in persona; il che disgraziatamente non toglie ch'ella sia incinta da due mesi per quanto ancora non paia - del signor Paolino, professore privato di Non•. Ora viene a confermare all'amante il dubbio divenuto pur troppo certezza. La pudicizia e la presenza di Non• le impediscono di confermarlo apertamente; ma lo lascia intendere con gli occhi e anche - senza volerlo - con l'aprir di tanto in tanto la bocca, per certi vani conati di vomizione, da cui, nell'esagitazione, Š assalita. Si porta allora il fazzoletto alla bocca, e con la stessa compunzione con cui vi verserebbe delle lagrime, vi verser… invece di nascosto un'abbondante e sintomatica salivazione. La signora Perella Š molto afflitta, perch‚ certo per le sue tante virt— e per la sua esemplare pudicizia non si meriterebbe questo dalla sorte. Tiene costantemente gli occhi bassi, non li alza se non di sfuggita per esprimere al signor Paolino, di nascosto da Non•, la sua angoscia e il suo martirio. Veste, s'intende, con goffaggine, perch‚ la moda ha per sua natura l'ufficio di render goffa la virt—, e la signora Perella Š pur costretta ad andar vestita secondo la moda, e Dio sa quanto ne soffre. Parla con querula voce, quasi lontana, come se realmente non parlasse lei, ma il burattinaio invisibile che la fa muovere, imitando malamente e goffamente una voce di donna malinconica. Se non che, ogni tanto, urtata o punta sul vivo, se ne dimentica, e ha scatti di voce, toni e modi naturalissimi. Non• ha un bellissimo aspetto di simpatico gatto, con un magnifico cravattone rosso a farfalla e un collettone rotondo inamidato. Non sarebbe male che impugnasse con molta convinzione un bastoncino di quelli per ragazzi con testina di cane. Ride spesso, e pi— spesso ancora tira sorsi col naso per risparmiare il fazzoletto che gli fa bella comparsa sporgendo dalla tasca della giacca, ben ripiegato e intatto). PAOLINO (subito, scambiando uno sguardo d'intelligenza con la signora e smorendo alla vista di lei che con gli occhi gli fa cenno di badare alla presenza di Non•): S•? Ah Dio... s•? (Volgendosi a Non•, per rispondere al cenno della signora:) Caro Non•. NONO': Buon giorno! PAOLINO: Buon giorno! Bravo, il mio Non•... S'accomodi, signora... (Piano, porgendole da sedere:) Non c'Š pi— dubbio? proprio certo? (A un nuovo e pi— pressante cenno degli occhi della signora voltandosi verso Non•.) Eh, sei venuto a trovare il tuo professore, Nonotto bello? NONO' (fa cenno di no col dito, prima di parlare, con un verso che gli Š abituale): Siamo andati a Santa Lucia, allo Scalo. PAOLINO: Ah si? A veder le barchette? NONO' (come sopra): A domandare a che ora arriva pap… col ®Segesta¯. (Poi, con un sorriso da scemo, guardando e indicando a Paolino la madre che, appena seduta, apre la bocca come un pesce:) Ma ecco che mamm… apre di nuovo la bocca! PAOLINO (rivoltandosi di scatto): Chi? come? la bocca? Spaventato alla vista della bocca aperta della signora: Oh Dio! che Š?... che Š?... (E accorre a lei, che, alzandosi col fazzoletto alla bocca, si reca in fondo alla scena, presso l'uscio dello sgabuzzino). ora, SIGNORA PERELLA (appoggiandosi sfinita a uno degli scaffali, col fazzoletto sempre alla bocca e facendo cenni disperati a Paolino di non accostarsi e di badare per amor di Dio a Non•): Per carit…... per carit…... NONO' (a Paolino che si volge a lui come basito, placidamente e sorridente): Da tre giorni apre la bocca cos•! PAOLINO: Ah, ma non Š niente sai, caro Non•... Niente! La... la mamma... la mamma sbadiglia - ecco. - Cos•... - sbadiglia. NONO' (facendo prima il solito verso col dito, e poi con lo stesso dito, accennando allo stomaco): E' cosa che le viene di qua. PAOLINO (con un grido): No! Benedetto figliuolo, che dici? NONO': Ma s•, s•, debolezza di stomaco. L'ha detto lei! PAOLINO (rifiatando): Ahhh - gi…... - ecco, s• - debolezza, va bene. Un po' di debolezza di stomaco, Non•! Nient'altro! SIGNORA PERELLA (gemendo dal fondo della scena): Ah! per carit…... NONO': E ora sputa dentro il fazzoletto, guarda! tanto tanto! SIGNORA PERELLA: Per carit…... PAOLINO: Ma Non•! insomma? Sei impazzito? Sono cose che si dicono, queste? NONO': Perch‚ no? SIGNORA PERELLA (lamentosa, senza forza di parlare): Le dice... le dice anche davanti alla persona di servizio... NONO': E che male c'Š? PAOLINO: Nessun male, no! Ma scusa, ti pare buona educazione, davanti a una persona di servizio? SIGNORA PERELLA (come sopra): E al padre! Subito lo dir… al padre, appena lo vedr… arrivare! (A Paolino, con terrore, piano:) Arriva oggi! Arriva oggi! PAOLINO (restando allibito): Oggi? NONO' (festante, battendo le mani): Oggi, s•. (Subito accorrendo alla madre, con petulanza:) Oh, mi mandi, mi mandi col marinajo a bordo? PAOLINO: Ma Non•! Scostati. NONO' (per rassicurarlo): Non Š niente! Ora le passa. (Alla madre:) Mi mandi a bordo, mamm…? S, s! Mi piace tanto quando pap… dal ponte comanda la manovra d'attracco, col berretto da capitano e il cappotto di tela cerata! Mi mandi, mamm…? SIGNORA PERELLA: Ti mando, si... ti mando... (A Paolino, indicando Non•:) Mi fa morire... PAOLINO: Ah, Non•, ti perdo tutta la stima, sai? Non vedi che mamma soffre? NONO': Mi fa tanto ridere, quando apre la bocca cos•, (Eseguisce:) come un pesce... PAOLINO: Bravo! La mamma soffre, e tu ridi! Bravo! E lo dirai anche a pap…, che la mamma apre la bocca come un pesce, anche lui, Š vero? perch‚ ne rida (Va alla scrivania e ne prende un grosso libro illustrato). Guarda: ti volevo regalar questo, oggi! NONO': E' ®La vita degli insetti...¯ Oh bello! S•! S•! PAOLINO: No, caro! Tu sei cattivo, e non te lo dar• pi—. (A questo punto si sente picchiare forte all'uscio in fondo e contemporaneamente:) Le voci di GIGLIO e BELLI: Professore! Professore! SIGNORA PERELLA (ancora presso l'uscio, balzando e correndo avanti, atterrita): Oh Dio!... Chi Š? PAOLINO: Ma sono quegli animali! Niente, signora, due scolari... non tema! NONO': Oh bella! Nascosti l…? PAOLINO (recandosi all'uscio in fondo, aprendolo appena e introducendovi il capo): Che diavolo volete? NONO' (accostandosi curioso per vedere tra le gambe di Paolino): Li tieni l• in castigo? SIGNORA PERELLA (richiamandolo): Non•, qua! La voce di GIGLIO: Un lume! una candela almeno, signor professore! Non ci si vede! La voce di BELLI: Non riusciamo a decifrar le lettere nel dizionario! PAOLINO: Sta bene! Silenzio! Vi porter• una candela! (Richiude l'uscio). NONO': E perch‚ li hai nascosti li dentro? PAOLINO: Ma non li ho nascosti! Fanno una versione. NONO' (spaventato): Al bujo? PAOLINO: No, vedi? Vado a prender loro un lume. (S'avvia). NONO': Io intanto guardo il libro. PAOLINO: Ah, no! non te lo do pi—... non te lo do! (Esce per la comune e, poco dopo, rientra con una candela accesa in mano. Nel frattempo, i due scolari Giglio e Belli, prima l'uno e poi l'altro, sporgono il capo dall'uscio in fondo a guardare con sorrisi maliziosi la signora Perella, che se ne spaventa, mortificata; e poi Non•, cacciando fuori la lingua. NONO' (a Paolino che rientra): Han cacciato fuori la testa, sai? SIGNORA PERELLA (tremante): M'hanno vista! m'hanno vista! NONO': Prima l'uno e poi l'altro! E mi hanno fatto cos•! (Caccia fuori la lingua). PAOLINO: Ho dimenticato di chiudere a chiave! Pazienza signora! (Si reca all'uscio in fondo, lo apre di nuovo appena, porge la candela). Ecco qua la candela! Attendete alla traduzione! (Richiude l'uscio a chiave. Poi, appressandosi a Non•:) Dunque tu vorresti codesto libro? NONO': Io, s•! L'hai comprato per me? PAOLINO S•. E te lo do; ma a patto che tu prometti... NONO': S•, s•... (Guarda la madre che riapre la bocca.) Ma, oh! - guarda. E' inutile! Io non lo dico, ma lei lo rif…! PAOLINO: Ah Dio! ah Dio! Ma questo Š atroce! (Volgendosi a Non•:) Tu intanto, caro mio, non lo ridici pi—! Ho la tua promessa, bada! Se non mantieni, il libro, via! - Mettiti qua - (Lo fa sedere su una seggiola con le spalle voltate verso la madre, gli colloca su un'altra davanti il libro: ecco - cos• - e gu…rdatelo! (S'appressa alla signora Perella, fazzoletto sulla bocca). che combatte ancora col E' atroce! Š atroce! E' d'una evidenza che grida, tutto questo! SIGNORA PERELLA (lamentosa): Sono perduta... sono finita, non c'Š pi— rimedio per me... La morte sola... PAOLINO: Ma no! che dici? SIGNORA PERELLA: S•... s•. PAOLINO: Se t'avvilisci cos•; fai peggio! SIGNORA PERELLA: Ma tu capisci, che se mi viene di farlo davanti a lui... PAOLINO: E tu non farlo! SIGNORA PERELLA (con scatto di voce naturale): Come se dipendesse da me!... Mi viene. (Rimettendosi a parlare come prima:) Ed Š lo stesso segno, preciso, di quando fu di Non•. PAOLINO: Anche allora? Ah! E lui lo sa? SIGNORA PERELLA: Lo sa. E ne rideva, quando me lo vedeva fare, come ora ne ride Non•... PAOLINO: Oh Dio! Ma allora se ne accorger…? SIGNORA PERELLA: Sono perduta... sono finita... PAOLINO: Ma non puoi sforzarti di non farlo, perdio? SIGNORA PERELLA (con voce naturale): Mi viene di qua, all'improvviso... Una specie di contrazione! NONO' (accorrendo col libro in mano): Oh guarda, mamma! Bello! Il ragnetto che tesse la tela! PAOLINO (con scatto d'ira, ma subito frenandosi e passando a una comica esageratissima affettuosit…): Ma s•, lascia in questo momento... caro Nonotto bello: il ragnetto s•, che tesse la tela... gu…rdatelo da te! Ci sono tant'altre belle bestioline, sai? tante! tante! gu…rdatele da te; ch‚ poi mamm… se le guarder… anche lei con comodo, eh? Ragnetti, formichette, farfalline... (Lo rimette a sedere come sopra). Qua, qua... bonino! bonino! (Si sente di nuovo picchiare all'uscio in fondo e contemporaneamente) La voce di BELLI: Professore! Professore! PAOLINO: Parola d'onore, io li uccido! (Correndo all'uscio in fondo e aprendolo come sopra). Che altro c'Š? Non sapete star fermi un quarto d'ora ad attendere a una versione, che farebbe un ragazzino di seconda ginnasiale? BELLI (sporgendo il capo dall'uscio): Non solo, ma anche, signor professore. PAOLINO: Che cosa, "ma anche"? BELLI; Dice cos• qua. (Mostra il libro). Non solo ma anche. - Forma avversiva, Š vero? PAOLINO: Avversativa? Come avversativa, asino! Non vede che esprime una coordinazione? GIGLIO (facendosi avanti): Ecco! ecco, sissignore! gliel'ho detto io, signor professore! Crescente d'intensit… e di valore... PAOLINO: Ma se lo sa anche quel ragazzino l…. (Indica Non•). ®Non solo, ma anche¯, a te, Non•! Come si traduce? "Non solo"... NONO' (pronto, sorgendo in piedi, sull'attenti): "Non solum"! PAOLINO: Benissimo! Oppure? NONO': Oppure... "Non tantum"! PAOLINO: Benissimo! Oppure? GIGLIO: "Non modo", signor professore, "non modo", o "tant—mmodo"! PAOLINO (ricacciandoli dentro lo sgabuzzino): Ma se lo sapete! Andate al diavolo tutt'e due! (Richiude l'uscio). SIGNORA PERELLA: Dio, che vergogna... Dio, che vergogna! PAOLINO: Ma no! Perch‚? Non temere! Tu figuri qua la mamma d'un allievo... Ho interrogato Non• apposta! E' per quella maledetta Rosaria, piuttosto! SIGNORA PERELLA: Come m'ha guardata! Come m'ha guardata! PAOLINO: Hai fatto male a venire. Sarei venuto io prima di sera! SIGNORA PERELLA: Ma il ®Segesta¯ arriva alle cinque! Avevo bisogno di prevenirti che non c'era pi— dubbio. Lo vedi! Non c'Š, non c'Š pi— dubbio, purtroppo. Come far•? PAOLINO: Sai quando ripartir…? SIGNORA PERELLA: Domani stesso! PAOLINO: Domani? SIGNORA PERELLA: S, per il Levante! e star… fuori altri due mesi, per lo meno! PAOLINO: Passer… dunque qui soltanto questa notte? SIGNORA PERELLA: Ma far… come tutte le altre volte, ne puoi star sicuro! PAOLINO: No, perdio, no! SIGNORA PERELLA: Ma come no? Lo sai! PAOLINO: Non deve farlo! SIGNORA PERELLA: E come? Come? Non perduta, Paolino. Sono perduta. lo sai, com'Š? Sono (Si sente picchiare all'uscio a sinistra). PAOLINO: Chi Š? SCENA SESTA. DETTI e ROSARIA. ROSARIA (aprendo l'uscio): Prendo, se permette, la chiave lasciata dal signor Tot• per suo fratello il dottore. L'ho dimenticata qua sul tavolino. (S'avvia per prenderla). PAOLINO (a cui Š balenata un'idea): Il dottore? Aspettate! E di l… il dottore? ROSARIA Vuole la chiave. PAOLINO (levandole la chiave dalle mani): Datela a me. Ditegli che aspetti un momentino, perch‚ ho da parlargli. ROSARIA: Ma casca dal sonno, sa? Ha vegliato tutta la notte. PAOLINO: Vi ho ordinato di dirgli che aspetti un momento. ROSARIA: Ecco: sar… obbedito... (Esce). SIGNORA PERELLA (spaventata): Oh Dio, che vuoi fare? Che vuoi fare col dottore, Paolino? PAOLINO: Non lo so. Gli parler•. Gli domander• ajuto, consiglio. SIGNORA PERELLA: Che ajuto? Per me? PAOLINO: S•! Lasciami fare, lasciami tentare... SIGNORA PERELLA: No, no, Paolino! Che vuoi dirgli? Per carit…! PAOLINO Ma bisogna ch'io t'ajuti! SIGNORA PERELLA: Mi comprometti! PAOLINO: Vuoi morire? SIGNORA PERELLA: Ah, piuttosto morire! E non questa vergogna! PAOLINO: Tu sei pazza! Ci sono qua io! Lascia fare a me. SIGNORA PERELLA: Che cosa? PAOLINO: Non lo so, ti dico! Qualche cosa! Il dottore Š amico mio, intimo, da fratello. Lasciami parlare con lui. Tu vattene! Verr• a casa prima dell'arrivo del ®Segesta¯. Sar• a tavola con voi! (Andando verso Non• che seguita a guardare il libro:) Su, Non•. P•rtati via codesto libro e vai con la mamma, tardi io verr• a scriverti qua ch‚ pi— (Indica il frontespizio del libro). una bella dedica: ®Al caro Nonotto in premio dei suoi progressi nello studio del latino¯. Va bene? NONO': S, s... E' tanto bello, sai? anche com'Š scritto! PAOLINO: Dammi un bacio. SIGNORA PERELLA: E ringrazia il signor professore, Non•... NONO' (solito gesto col dito, poi): Non ce n'Š bisogno. SIGNORA PERELLA: Come non ce n'Š bisogno? NONO': Ma l'ha detto lui. (A Paolino). E' vero? PAOLINO: Verissimo, verissimo! Vai, vai, Non•. NONO': Vieni anche a tavola con noi? PAOLINO: S e ti porter• le pasterelle che ti piacciono. NONO': S•, s•... Addio! Presto, eh? PAOLINO: A rivederla tra poco, signora. (Piano:) Coraggio! coraggio! SIGNORA PERELLA: A rivederla! (Esce per la comune con Non•, La scena resta vuota un momento). SCENA SETTIMA. accompagnata dal signor Paolino. PAOLINO, il DOTTOR PULEJO poi GIGLIO e BELLI. PAOLINO (dando passo al dottor Pulejo): Entra, entra, dottore... (Lo fa entrare; entra anche lui). E siedi l•. (Gl'indica una poltrona). PULEJO (bell'uomo, sui trent'anni, biondo, con gli occhiali): Seggo? Ah no davvero! Ho bisogno d'andare a dormire, io, caro mio! PAOLINO: E io ti dico, invece, che te ne puoi scordare per oggi! PULEJO: Che? PAOLINO: Ho da parlarti d'una cosa gravissima! PULEJO: E vuoi che non vada a dormire? Tu sei matto! PAOLINO: Sei medico, s• o no? PULEJO: Ah. Hai forse bisogno della mia professione? PAOLINO: S•, subito! PULEJO: E va bene: parla. PAOLINO Parlo.... gi…! parlo... Ti dico che si tratta d'una cosa gravissima, e vuoi che ti parli cos•, su due piedi, mentre mi dici che hai sonno e che vuoi andare a dormire? PULEJO: Ma se ho sonno, scusa, c'Š poco da dire: ho sonno! Ho diritto anch'io di dormire, dopo una notte di guardia, mi pare! PAOLINO: Ti faccio portare un caffŠ! due caffŠ! PULEJO: Ma che caffŠ! Parla piuttosto! PAOLINO: Oh, sai che faccio? M'arrampico, l… su quello scaffale; mi butto gi—; mi fratturo una gamba, e ti costringo a starmi attorno per una mezza giornata! PULEJO: Bravissimo! Mi costringerai a curarti la gamba; ma non parlerai. PAOLINO: S, si, che parler•, perdio! PULEJO: Parlerai; ma io non ti darei ascolto, perch‚ dovrei curarti la gamba. PAOLINO: Ma non andrai a dormire! PULEJO: E che ci guadagnerai, scusa? Io perder• il sonno; tu ti fratturerai la gamba; e mezza giornata andr… perduta. Se invece mi lasci riposare un pajo d'ore... PAOLINO: Non posso! non posso! Non c'Š tempo da perdere! Mi devi dare ajuto subito! PULEJO: Ma che ajuto? Di che si tratta insomma? PAOLINO: Della mia vita, Nino! della mia vita, perch‚ - se tu non m'ajuti - sono un uomo finito, io: morto: da sotterrare! e non io solo! Š in giuoco la vita di quattro persone... no, no, di cinque anzi; s•, quasi di cinque! Perch‚ io, al punto in cui mi trovo, posso fare anche una carneficina! PULEJO: Nientemeno! PAOLINO: S•, s•, te lo giuro! Nasce un macello te lo giuro! PULEJO: Ma insomma, che cos'Š? che t'Š accaduto? PAOLINO: Devi darmi un rimedio, subito, in mattinata! PULEJO: Rimedio! Che rimedio? PAOLINO: Non lo so! Lasciami dire... PULEJO: Se dipende da me... PAOLINO: S•, un rimedio che forse tu solamente mi puoi suggerire. PULEJO: Ebbene, sentiamo. PAOLINO: M'ascolti bene? PULEJO: Ma s•, perdio! Parla! PAOLINO: Come a un fratello, bada! Ti parlo come a un fratello. Anzi, no! il medico Š come il confessore, non Š vero? PULEJO: Certo. Abbiamo anche noi il segreto professionale. PAOLINO: Ah, benissimo. Ti parlo allora anche sotto il sigillo della confessione. Come a un fratello e come a un sacerdote. (Si posa una mano sullo stomaco, d'intelligenza, aggiunge, solennemente:) e con uno sguardo Tomba, oh! PULEJO (ridendo): Tomba, tomba, va bene! Avanti! PAOLINO: Nino! (Sbarra tanto d'occhi, stende una mano e congiunge l'indice e il pollice quasi per pesare le parole che sta per dire:) Perella ha due case. PULEJO (stordito): Perella? E chi Š Perella? PAOLINO (prorompendo): Perella il capitano, perdio! (Poi, piano, ricordandosi che di l… ci sono i due scolari:) Perella della Navigazione Generale! capitano di lungo corso! Il comandante del ®Segesta¯! PULEJO: Va bene, s•. Ho capito. Il capitano Perella. Non lo conosco. PAOLINO: Ah, non lo conosci? Tanto meglio! Ma tomba lo stesso, oh! (Con la stessa aria cupa e grave ripiglia:) Due case. Una qua, una a Napoli. PULEJO: Fortunato. Due case. E poi? PAOLINO (lo squadra; poi scomponendosi tutto nella rabbia che lo divora): Ah, ti par niente? Un uomo ammogliato, e con un figlio, che approfitta vigliaccamente del suo mestiere di marinajo e si fa un'altra casa in un altro paese, con un'altra donna, ti par niente? Ma sono cose turche, perdio! PULEJO: Turchissime, chi ti dice di no? Ma a te, che te n'importa? Che c'entri tu? PAOLINO: Ah, che me n'importa a me, tu dici? PULEJO: Che Š tua parente, la moglie di Perella? (Si sente picchiare ancora, forte, all'uscio in fondo.) Le voci di GIGLIO e BELLI: Professore! Professore! PAOLINO (scattando): Ancora! Io faccio davvero uno sproposito, oggi! (Senza alzarsi, urla verso l'uscio in fondo:) Che altro avete? La voce di BELLI: Abbiamo finito, professore! La voce di GIGLIO: Apra! Qua si soffoca! Apra! PAOLINO: Ancora un momento! Non Š possibile che abbiate finito! La voce di BELLI: Ma se abbiamo finito, scusi! La voce di GIGLIO: Non respiriamo pi—, qua dentro! Apra! PAOLINO: Non apro un corno! Correggete, e statevi zitti! L'ora non Š finita. (Al dottor Pulejo:) Ah, non deve importarmene, tu dici, perch‚ non Š mia parente? E se fosse? PULEJO: Ah, se Š una tua parente... PAOLINO: No! E' una donna povera che soffre pene d'inferno! Una donna onesta, capisci? tradita in un modo infame, capisci? dal proprio marito! C'Š bisogno d'esser parente per sentirsene rimescolare, indignare, rivoltare? PULEJO: Ma s... si... per• non vedo che ci possa fare io, scusa... PAOLINO: Se non mi lasci finire, sfido! Mi piace, intanto, codesta tua impassibilit…, mentre io friggo. - Non vedi che friggo? Permetti? Gli afferra una mano e gliela stringe fino a farlo gridare. PULEJO (ritirando la mano): Ahi! Oh, mi fai male! Sei matto? PAOLINO: Ma per farti sentire com'Š quando si parla degli altri! Li guardi da fuori, tu, gli altri; e non te n'interessi! Che cosa sono per te? Niente! Immagini che ti passano davanti, e basta! Dentro, dentro bisogna sentirli; immedesimarsi; provarne... ecco, cos•... (indica la mano che il dottore si liscia ancora, movendo le dita). una sofferenza, facendola tua! PULEJO: Grazie tante, caro! Mi bastano le mie! Ognuno, le sue. Ma sai che sei buffo davvero? (Ride guardandolo). PAOLINO Esilarante, eh, lo so! Esilarantissimo. Lo so. La vista chiara, aperta, delle passioni - e siano anche le pi— tristi, le pi— angosciose - ha il potere, lo so, di promuovere le risa di tutti! Sfido! non le avete mai provate, o usi come siete a mascherarle (perch‚ siete tutti foderati di menzogna!), non le riconoscete pi— in un pover'uomo come me, che ha la sciagura di non saperle nascondere e dominare! SŠntimi! SŠntimi, perdio! Dentro di te, sŠntimi! Io soffro! PULEJO: Ma di che soffri? Eccomi! Sono qua! Se non mi dici di che soffri! Mi parli della signora Perella... PAOLINO: Ma appunto, s•, di lei! PULEJO: Soffri della signora Perella? PAOLINO: Si, Nino mio! Perch‚ tu non sai! tu non sai! Lasciami dire. Quel caro capitano Perella, quel carissimo capitano Perella, non si contenta, capisci? di tradire la moglie, d'avere un'altra casa, a Napoli, come ti dicevo, con un'altra donna. No! Ha tre o quattro figli l…, con quella, e uno qua, con la moglie. Non vuole averne altri! PULEJO: Eh, cinque - mi pare che bastino! PAOLINO: Ah cos• tu la pensi? Con la moglie ne ha uno, uno solo! Quelli di l… non sono legittimi; e se ne ha qualche altro l… con quella, pu• buttarlo via come niente, in un ospizio di trovatelli, capisci? Invece, qua, con la moglie, no! D'un figlio legittimo non potrebbe disfarsi, Š vero? PULEJO: Naturalmente... PAOLINO: E allora, brutto manigoldo, che ti combina? (Oh, dura da tre anni, sai, questa storia!) Ti combina che, nei giorni che sbarca qui, piglia il pi— piccolo pretesto per attaccar lite con la moglie, e la notte si chiude a dormir solo. Le sbatte la porta in faccia, capisci? ci mette il paletto; il giorno appresso, se ne riparte, e chi s'Š visto s'Š visto! Da tre anni - cos•. PULEJO (con una commiserazione da cui non riesce a staccare un sorriso): Oh povera signora... - la porta in faccia? PAOLINO: In faccia... - e il paletto... - e il giorno dopo... (Gesto della mano per significare che se la fila). PULEJO: Povera signora, ma guarda! PAOLINO: Ah, cos•... E non sai dirmi altro? PULEJO: Che vuoi che ti dica? Non capisco ancora, scusa che cosa ci possa fare io... Mi dispiace... mi duole... PAOLINO: E basta? Se fosse tua sorella, se Perella fosse tuo cognato e tu sapessi che tratta la moglie cos•... PULEJO: Ah, perdio! Lo piglierei per il collo! PAOLINO: Lo vedi? Lo vedi? Per il collo lo piglieresti! PULEJO: Sfido! Da fratello! PAOLINO: E se questa povera signora, fratelli non ne ha? e non ha nessuno? nessuno, dico, che possa legittimamente prenderlo per il collo, questo signor capitano Perella, e richiamarlo ai suoi doveri di marito, si deve lasciar perire cos• una donna, senza darle ajuto? Ti pare giusto? ti pare onesto? PULEJO: Gi…... - ma tu?... PAOLINO: Io, che cosa? PULEJO: Scusa... - come le sai tu, prima di tutto, codeste cose? PAOLINO: Come le so!... Le so... le so... perch‚... s•, da... da un anno io... do lezione di... latino al ragazzo, al figlio di Perella, che ha undici anni. PULEJO (comprendendo): Ah... Era quella signora che Š uscita di qua, poco fa, con un ragazzo? PAOLINO (subito, quasi saltandogli addosso): Tomba, oh! Segreto professionale! PULEJO: Ma s•, diavolo! Non dubitare. PAOLINO: Per carit…! La virt— in persona! E tu non puoi sapere, Nino mio, non puoi sapere quanta piet… m'ha inspirato, per tutte le lagrime che ha pianto, quella povera signora! E che bont…! che nobilt… di sentimenti! che purezza! Ed Š pure bella! L'hai vista? PULEJO: No... Col velo abbassato... PAOLINO: E' bella! Fosse brutta, capirei. E' bella! Ancora giovane! E vedersi trattata cos•, tradita, disprezzata e lasciata in un canto, l…, come uno straccio inutile... Vorrei vedere chi avrebbe saputo resistere! chi non si sarebbe ribellata! E chi pu• condannarla? (Quasi venendogli con le mani in faccia:) Tu oseresti condannarla? PULEJO: Io no! PAOLINO Vorrei veder questa, che tu la condannassi! PULEJO: Ma no! Se Š vero che il marito la tratta cos•... PAOLINO: Cos•! Cos•! Non metterai in dubbio, spero, la mia parola! PULEJO: Ma nient'affatto! PAOLINO: E allora, amico mio, dammi subito una mano per salvarla, perch‚ questa donna si trova adesso come sospesa all'orlo d'un precipizio. Ajutami, ajutami, prima che precipiti gi—! Bisogna salvarla! PULEJO: Gi…... ma come? PAOLINO: Come? E non intendi quale pu• essere il precipizio per lei, lasciata l• da tre anni dal marito? Si trova... si trova purtroppo... PULEJO (lo guarda, crede di capire e non vorrebbe): Che...? PAOLINO (esitante, ma in modo da non lasciar dubbio): S•... in una... in una terribile situazione... disperata... PULEJO (irrigidendosi e guardandolo ora severamente e freddamente): Ah, no no, caro! Ah, non faccio di queste cose, io, sai? Non voglio mica aver da fare col Codice Penale, io! PAOLINO (con uno scatto pieno di stupore e di sdegno): Pezzo d'imbecille! E che ti figuri adesso? che ti figuri che io voglia da te? PULEJO: Come, che mi figuro! Sono medico... e se mi dici che si trova... PAOLINO: Pezzo d'asino! E per chi m'hai preso? Ma quella Š una donna onesta! Quella, ti dico, Š la virt— fatta persona! PULEJO: E via... lasciamo andare! PAOLINO: No! Senza lasciare andare! E' cos• come ti dico! PULEJO: Sar…! Ma scusa, non mi domandi...? PAOLINO (incalzando): Che ti domando? Vuoi che ti domandi un delitto? Una immoralit… di questo genere, per lei e per me stesso? Mi credi un birbaccione capace di tanto? che chieda il tuo ajuto per... Oh! mi fa schifo, orrore, solo a pensarlo! PULEJO (perdendo del tutto la pazienza): Ma insomma: mi dici che corno vuoi, allora, da me? - Io non-ti-ca-pi-sco! PAOLINO (imperterrito): Quello che Š giusto, voglio! Voglio quello che Š onesto e morale! PULEJO: Che cosa? PAOLINO (a gran voce): Che Perella sia un buon marito - voglio! Che non sbatta pi— la porta in faccia alla moglie, quando sbarca qui! Questo voglio! PULEJO: E lo vuoi da me, questo? (Scoppia in una interminabile risata). Ah! ah! ah! ah! E che pre... e che pre... e che pretendi... ohi ohi ohi... ah... ah... ah... pre... pretendi che costringa l'asino a bere per forza? ah! ah! ah! PAOLINO (mentre il dottore seguita a ridere, guardandolo in bocca): Che ridi, che ridi, animalone? C'Š in vista una tragedia, e tu ridi? una donna minacciata nell'onore, nella vita, e tu ridi? E non ti parlo di me! (Risolutamente, stringendo le braccia al dottore:) Oh! Sai che avverr…? (Truce). Perella, imbarcato da tre mesi, arriva questa sera. Passer… qui soltanto una notte. Questa notte. Ripartir… domani per il Levante, e star… fuori, per lo meno, altri due mesi. Hai capito ora? Bisogna assolutamente approfittare di questo giorno ch'egli passa qui, o tutto Š perduto! PULEJO (frenando a stento le risa): Va bene, va bene; ma... ma io... PAOLINO: Non ridere! non ridere, o ti strozzo! PULEJO: Non rido, no! PAOLINO: O anche ridi, ridi, se vuoi, della mia disperazione; ma dammi ajuto, per carit…! Tu avrai un rimedio... - sei medico - tu avrai un mezzo... PULEJO: Per impedire che il capitano prenda un pretesto d'attaccar lite questa sera con la moglie? PAOLINO. Precisamente! PULEJO: Per la morale, Š vero? PAOLINO: Per salvare quella povera martire e me! Seguiti a scherzare? PULEJO: No - mi interesso, vedi? - Ma se questo capitano... Scusa: quant'anni ha? PAOLINO: Non so. Una quarantina. PULEJO: Ah, ancora in gamba? PAOLINO: Un bestione! PULEJO: M'hai detto che torna da un viaggio di tre mesi? PAOLINO: Gi…, s; ma ha gi… toccato Napoli, capisci? PULEJO: Ah... dove ha l'altra casa? PAOLINO: Precisamente. - Manigoldo! - E fa sempre cos•! PULEJO: Tocca prima Napoli? PAOLINO: Napoli! PULEJO: Bisogna che pensi allora questa sera - assolutamente - che ha una casa anche qui? PAOLINO: Una moglie! PULEJO: Che lo aspetta... PAOLINO (avvertendo un sapor d'ironia nel tono del dottore e irritandosene): Ah, senti! Vorresti discutere? PULEJO: No! no! Dio me ne guardi! - Il torto Š suo! - Ma ecco... c'Š... c'Š forse qualche... s, dir•... qualche cosa di pi—... PAOLINO: No: nient'affatto! non c'Š altro che il suo torto, e le conseguenze di esso! PULEJO: Gi…, ecco, s•... una conseguenza che forse avresti potuto... PAOLINO (subito, interrompendo): Ma chi l'ha voluto? - N‚ io, n‚ lei! - Questo Š positivo! - Ora, scusa: chi Š imputabile? L'intenzione, Š vero? Non il caso. - Se tu l'intenzione non l'hai avuta! - Resta il caso. - Una disgrazia! - Guarda: Š come se tu avessi una terra, e la lasciassi abbandonata. - C'Š un albero in questa terra, e tu non te ne curi. Come se fosse di nessuno! - Bene. Uno passa. - Coglie un frutto di quell'albero; se lo mangia; butta via il nocciolo. - Lo butti... cos•, per il solo fatto che hai colto quel frutto abbandonato. Bene. Un bel giorno, da quel nocciolo l… ti nasce un altro albero! L'hai voluto? - No! - N‚ lo ha voluto la terra che ha ricevuto... cos•... quel nocciolo. - Scusa: l'albero che nasce a chi appartiene? - A te, che sei il proprietario della terra! PULEJO: A me? - Ah no, grazie! PAOLINO (lo investe subito, furibondo, afferrandolo per le braccia e scrollandolo): E allora gu…rdati la terra, perdio! gu…rdati la terra! impedisci che altri vi passi e colga un frutto dall'albero abbandonato! PULEJO: S•, s•, d'accordo! - Ma tu dici a me, scusa! Io non c'entro! Questo lo far… il capitano! PAOLINO: E deve farlo! deve farlo! - Ma tu dici che lo far…? PULEJO: Dio mio, procureremo di farglielo fare... PAOLINO (baciandolo con veemente effusione di gratitudine e d'ammirazione): Nino, sei un dio! - Ma di', di': come? come? PULEJO: Come... Aspetta... (Pausa. Sta a pensare). Dimmi un po': mangia in casa il signor Capitano? PAOLINO: In casa, s•... verso le sei, appena sbarcato. Sono anch'io invitato a tavola. PULEJO: Ah, bene. - E allora... - si, dico, tu non ci andrai cos•, suppongo, a mani vuote. PAOLINO: Perch‚? - Ah, ho promesso di portare al ragazzo un po' di paste. PULEJO: Benissimo! (Troncando:) Senti: va' a comperare codeste paste. PAOLINO (non comprendendo ancora): Come? Perch‚? E tu? PULEJO: Le porti in farmacia, da mio fratello Tot•. PAOLINO: Ma tu che vuoi fare? PULEJO: Aspettami l… in farmacia. Il tempo almeno di lavarmi la faccia, santo Dio! M'hai fatto perdere il sonno! PAOLINO: Ah no, sai! Non ti lascio, Nino! non ti lascio! Se prima non mi dici... PULEJO: Che vuoi che ti dica, scusa? Ti dico d'andare a comperar le paste, e dammi intanto la chiave di casa mia. PAOLINO: Ma le paste sono per il ragazzo. PULEJO: Va bene. Ma ne offrirai anche alla signora, suppongo, e anche al signor Capitano. (Lo guarda con intenzione). Mi spiego? PAOLINO: Le paste? PULEJO: Ma s•, via! Lascia fare a me. Dammi la chiave. PAOLINO: No! Non te la do! Tu ti butti a dormire... PULEJO: Ma no, fidati! Il sonno m'Š passato. PAOLINO: L…vatela qua da me, la faccia. PULEJO: Andiamo, via! Mi sembri un ragazzino! Da', da'... PAOLINO (dandogli la chiave): Eccola qua. Mi fido di te, bada! Bada, Nino, ne va della vita! (Riassalito da un dubbio angoscioso:) Ma che vuoi fare con queste paste? PULEJO: Ti dico di lasciar fare a me! PAOLINO: Ah, si? - Puoi... puoi con... con la scienza? (Riprendendosi, con scatto di sdegno.) Ah Dio, questo! io, questo! PULEJO: Che cos Š? PAOLINO: Che cos'Š... che cos'Š... - Ti pare forse che io, quello che io sono, sia tutto qua, in questo caso per cui ti domando ajuto? Io, io, domandare ajuto, per questo, della scienza... s•, ti servi per l'amo disinteressatamente, la scienza! sacrifizi! PULEJO: Oh sai? se ti paresse di PAOLINO: No! Intendimi! Io dico, alla scienza, - io! - a te, che campar la vita - mentre io la venero a costo di tanti profanarla... esser costretto a ricorrere... (Sbuffa). Uff... Tutte le viscere mi si torcono dentro, credi! Esser preso cos•... senza saper come... - per niente... - per un po' di piet… verso una donna che vedi piangere e che non te ne vuol dire, in prima, il perch‚... Tu la forzi a dirtelo... La... la conforti... oggi... domani... E... e poi... sissignore, ti trovi stretto cos• - per la feroce e beffarda crudelt… d'un manigoldo, ecco qua - in una necessit… come questa - buffa, s•, ti pare che non lo senta? Tu ne ridi... ne hai riso... PULEJO: Eh, veramente... Ma no! PAOLINO: Ma si! ma si! E t'ho fatto ridere io - perch‚ voglio... PULEJO: Che il Capitano faccia il suo dovere di marito... PAOLINO. Perch‚ non posso voler altro - tu lo capisci! PULEJO: La morale, la morale, s•... PAOLINO: Ma non la mia! La vostra! Come la volete voi! Perch‚ io, invece, lo ucciderei - e ti giuro, sai, che lo uccido, io! - se non fa l'obbligo suo, questo signor capitano! - Tu devi sentirlo veramente, perdio, che sono un uomo onesto, io, e che me la sposerei, io, se stesse in me, quella signora, subito, per riparare! PULEJO: Si, s•... Ma andiamo; non discutiamo pi— adesso... PAOLINO: Andiamo, si, andiamo. - L'uccido, ti giuro! PULEJO: Ma no! speriamo che non ce ne sar… bisogno. PAOLINO: Di': venti basteranno? PULEJO: Che cosa? PAOLINO: Venti paste? PULEJO: Uh, anche troppe! PAOLINO: Ne compro trenta, sai? trenta, quaranta... (Si avvia con Pulejo, e sta per uscire, quando scoppia un gran fracasso all'uscio in fondo tra grida altissime). Le voci di GIGLIO E BELLI: Professore! Professore! Apra, perdio! Ci lascia qua? PAOLINO (al dottore): Ah, gi…... Aspetta!... Gli scolari... Chi ci pensava pi— (corre ad aprire l'uscio). GIGLIO e BELLI (vengono fuori scapigliati, con le facce congestionate, furibondi, scaraventando per terra libri e dizionari e protestando a coro): - Questa Š soperchieria! prepotenza! - Siamo asfissiati! - Non verremo pi—! PAOLINO (correndo a placarli): Abbiate pazienza! abbiate pazienza! TELA. ATTO SECONDO. Tinello in casa del Capitano Perella. Veranda in fondo, con ampia vista sul mare. Due usci laterali a sinistra: quello prossimo al proscenio Š la comune; l'altro d… nella camera da letto del Capitano. Tra un uscio e l'altro un portafiori con cinque vasi bene in vista. Lateralmente a destra, un altro uscio, vetrine con stoviglie da tavola, credenza, e poi divano, con sulla spalliera, uno specchio; poltrone, un tavolinetto. La tavola Š apparecchiata in mezzo, con cura, per quattro. Alla parete, quadri rappresentanti marine, vecchie fotografie, e qua e l… oggetti esotici, ricordi dei viaggi del Capitano Perella. Lo stesso giorno del primo atto. Pomeriggio. A poco a poco si far… sera e, sul finire dell'atto, entrer… dalla veranda un bel chiaro di luna. SCENA PRIMA. Il SIGNOR PAOLINO, NONO', poi GRAZIA. (Il signor Paolino, seduto al tavolinetto con Non• accanto sfoglia un quaderno di versioni latine e segna con un lapis rosso e turchino i voti sotto ogni versione). PAOLINO, E qua possiamo segnare un bel nove. NONO': Un altro nove? (Batte le mani, esultante). Che bellezza! E cos• fanno: tre otto, un dieci e due nove! PAOLINO: S, e tu lo mostrerai a pap…, appena arriva, questo quaderno. NONO': Eh altro! eh altro! (Si mette a fare un conto sulle dita). PAOLINO: Perch‚ - bada, Non•! - devi far di tutto quest'oggi per lasciar contento pap…... NONO' (senza badargli, seguitando a contare): S•... s•... PAOLINO (seguitando): E non dargli il minimo pretesto di inquietarsi! Ma che conti stai facendo? NONO': Aspetta... Tre (e si tiene con la destra tre dita della mano sinistra) poi quattro e cinque (e mostra le cinque dita della sinistra) sei e sette (e mostra l'indice e il pollice della destra) otto, nove e dieci (e mostra a uno a uno le altre tre dita della destra) Mezza lira! mezza lira! PAOLINO: Che vuol dire mezza lira? NONO': Ma s, mezza lira! Che bellezza! Perch‚ pap… mi d… un soldo per ogni otto: sono tre: tre soldi, dunque. Poi due soldi per ogni nove: sono due: quattro soldi. Tre soldi per ogni dieci. Dunque: tre e quattro, sette, e tre: dieci, che fanno mezza lira! PAOLINO: Ah, benissimo! Sei contento? NONO': Eh io si! Fig—rati! Ma lui no! PAOLINO (restando male): Come come? Lui non sar… contento? NONO': Eh no... Prima mi dava tre soldi per ogni nove e cinque per ogni dieci. Ma poi, visto che tu li semini gli otto, i nove e i dieci... PAOLINO: Ah s•? t'ha detto cos•? che io li semino? NONO': S•, ha preso il quaderno, l'ultima volta, e l'ha buttato all'aria... cos• (eseguisce con sprezzo) gridando: Ma perdio, li semina questo professore, gli otto, i nove e i dieci... PAOLINO: E s'Š arrabbiato? NONO': Tanto! E ha ribassato la tariffa! PAOLINO (subito): Ah, ma allora... (riprende il quaderno e ritorna a sfogliarlo in furia) aspetta... aspetta, Nonotto mio... ribassiamo noi subito i punti... segnamo cinque... segnamo sei... segnamo sette... NONO' (con un grido, come se si sentisse strappare un dente): Come! No! E la mezza lira? PAOLINO: Ma te la dar• io, Non•! Ecco... ecco... (cava la borsetta dal taschino) te la do io... te la do io... NONO': No... no... PAOLINO: Ma s, figliuolo mio! M'immaginavo che pap… dovesse esserne contento! Se mi dici che s'arrabbia, invece! Ecco, prendi... Per te Š la stessa cosa che te la dia io o che te la dia pap…, non Š vero? NONO' (pestando i piedi): No, no: io voglio i tre otto, i due nove e il dieci! PAOLINO: Ma non te li meriti, in coscienza, figliuolo mio! Non te li meriti proprio! NONO': E perch‚ allora me li davi? PAOLINO: Ma perch‚... perch‚ non sapevo che costassero soldi e un dispiacere a pap…! Non dobbiamo far dispiacere a pap…, Non•! E oggi, oggi dobbiamo esser lieti tutti! Anche tu, con la tua mezza lira, che ti d… in premio, di nascosto, il tuo professore - (oh, non dirne nulla a pap…, bada!) - te la do, perch‚ se non ti meriti i nove e i dieci, un premio pure te lo menti per i progressi che fai... NONO': Come mi hai scritto nel libro? PAOLINO: Ecco, s•... benissimo! Come ti ho scritto nel libro. (Entra Grazia faccia cavallina). dalla comune. GRAZIA. La signora non c'Š? PAOLINO (indicando l'uscio E a una vecchia destra): dalla burbera La signora credo sia di l…, Grazia. GRAZIA. E allora ci vada lui (indica Non•) ad avvertirla che Š arrivato il marinajo. NONO' (subito, scattando): Il marinajo? E' a bordo! vado a bordo! (S'avvia correndo per la comune). arrivato pap…! Vado PAOLINO: No, che fai, Non•? Vieni qua! Bisogner… prima avvertirne la mamma. NONO': La mamma lo sa! lo sa! (Fa per uscire). PAOLINO: F‚rmati, ti dico! (A Grazia:) Andate voi, vi prego, ad avvertire la signora. NONO': Ma se lo sa, Dio mio! GRAZIA (andando a picchiare all'uscio a destra, Quante storie! quante storie! borbotta): (Picchia all'uscio e, senza neanche aspettar la risposta, entra). SCENA SECONDA. DETTI, la SIGNORA PERELLA, il MARINAJO. NONO': (Che s'Š fermato presso la comune, l'interno): Marinajo! Marinajo! vieni qua! MARINAJO (entrando subito): Eccomi qua! grida verso (Si piega sulle gambe e apre le braccia per ricevere sul Non•, che spicca un salto e gli s'appende al collo). petto Ah! Viva l'ammiraglio! NONO': Portami da pap…! Subito subito! (Entra dall'uscio a destra la signora Perella abbigliata con una certa cura straordinaria che la fa apparire pi— goffa). MARINAJO (a Non• che gli sta in braccio): Aspettiamo che ce lo dica la mamma! (Si toglie il berretto). Ai comandi, signora! SIGNORA PERELLA: E' gi… entrato in porto il vapore? MARINAJO. Stava per entrare, signora. A quest'ora sar… entrato! NONO': E andiamo allora subito! Voglio veder la manovra! MARINAJO: Eh, durer… un pezzo, prima che abbassino la scala! SIGNORA PERELLA: Mi raccomando, per carit…, Non•! Lo affido a voi, Filippo! MARINAJO: Non dubiti, signora! Al vecchio Filippo pu• affidarlo! A rivederla! Andiamo, ammiraglio! (Via per la comune con Non• in braccio). SCENA TERZA. La SIGNORA PERELLA e il SIGNOR PAOLINO. PAOLINO (appena andati via Non• e il Marinajo, voltandosi verso la signora Perella, pudicamente afflitta nel goffo impaccio del suo straordinario abbigliamento): Ma no! ma no, cara! no! Come ti sei combinata? Cos• no SIGNORA PERELLA: Mi... mi sono acconciata... PAOLINO: Ma che acconciata! No! Ci vuol altro! SIGNORA PERELLA (guardandosi addosso): Perch‚? PAOLINO: Ma perch‚ cos• no! non va! SIGNORA PERELLA: Pi— di cos? Dio sa quanto m'Š costato! PAOLINO: Lo vedo! Ma cos non va, anima mia! Tutto dipender…, forse, dal primo incontro! A momenti egli arriva... Ti deve trovar piacente! Ora cos• non va... Capisco, capisco che ti dev'esser costato! Ma ancora non basta! SIGNORA PERELLA: Oh Dio! E come allora? PAOLINO: E' enorme, s•, anima mia, lo intendo, enorme il sagrifizio che devi compiere, tu casta, tu pura, per renderti appetibile a una bestia come quella! Ma bisogna che tu lo compia, intero! SIGNORA PERELLA (esitante, con gli occhi bassi): Pi—... pi— scollata? PAOLINO: Pi—! s•, pi—! molto, molto pi—! SIGNORA PERELLA: No, no... Dio mio... PAOLINO: S! Per carit…! Tu hai grazie, tesori di grazie nel tuo corpo, che tieni gelosamente, santamente custoditi. Bisogna che tu ti faccia un po' di violenza! SIGNORA PERELLA: No, no... Dio, Paolino, che mi dici? Sarebbe inutile poi, credi! Non ci ha mai badato! PAOLINO: Ma dobbiamo appunto forzarlo a badarci! forzarlo, quest'animale che non capisce la bellezza modesta, pudica, che nasconde i suoi tesori di grazia! Presentarglieli, ecco - lascia fare a me - metterglieli sotto gli occhi, almeno un po'... (Appressandosi con le mani avanti:) Guarda... cos•, permetti? SIGNORA PERELLA (arretrando, spaventata, e con ribrezzo riparandosi il seno): Ma no! Li sa, Dio mio, Paolino! PAOLINO (incalzando): Ricordarglieli! SIGNORA PERELLA (come sopra): Ma se non se ne cura! PAOLINO: Lo so; ma perch‚ tu, anima mia - e questo Š il tuo pregio, bada, per me! quello per cui io ti ho cara e ti stimo e ti venero! codesti tesori, tu, non hai saputo mai farli valere... SIGNORA PERELLA (quasi inorridita): Farli valere? E come? PAOLINO: Come? Vedi, tu non te l'immagini neppure, come! Eh, altro! Tante lo sanno bene! SIGNORA PERELLA (come sopra): Ma che fanno! come fanno? PAOLINO: Niente. Non... non nascondono cos•, ecco! E poi... via, non farmi disperare! Credi che costi a te soltanto, del resto? Costa anche a me, perdio, predisporti, acconciarti perch‚ tu possa piacere a un altro! (alzando le braccia al cielo) preparare la virt—, Dio, per comparire davanti alla bestia! Ma bisogna, per la tua salvezza e per la mia! Lasciami fare! Non abbiamo pi— tempo da perdere. Prima di tutto, via codesta camicetta! E' funebre! Viola, colore deprimente! Una rossa, che strilli! SIGNORA PERELLA: Non ne ho! PAOLINO: E allora quella di seta giapponese, che ti sta tanto bene! SIGNORA PERELLA: Ma Š accollata... PAOLINO: Sc•llala! In nome di Dio, sc•llala! Non ci vuol nulla... Ripieghi in dentro i due lembi, qua davanti; ci appunti, su giro giro, un merletto... Ma …prila bene, mi raccomando!... molto, molto! almeno fin qua... Indica sul seno di lei, molto gi—. SIGNORA PERELLA (inorridita): No! Tanto? PAOLINO: Tanto! Tanto! Da' ascolto a me! SIGNORA PERELLA (come sopra): Ma tanto, no! PAOLINO: Tanto, s; se no, ti dico che Š poco! E pŠttinati un po' meglio, per carit…! con qualche ricciolino sulla fronte. Uno lungo, qua, in mezzo alla fronte, a gancio! E due altri qua, che s'allunghino sulle gote, a gancio! SIGNORA PERELLA (come sopra non comprendendo): A gancio? Oh Dio, come a gancio? Perch‚? PAOLINO: Perch‚ s•! Da' ascolto a me! Non farmi perder tempo in spiegazioni! A gancio Š cos• (glielo mostra col dito, contraendolo,) insomma, come un punto interrogativo sottosopra! Uno qua; uno qua, e uno qua... (indica la fronte, poi la guancia destra, poi la sinistra). Se non sai farteli, te li faccio io! Vai, vai, cara... (La spinge verso l'uscio a destra). E scolla, sc•llala molto, la camicetta! Io intanto esamino qua la tavola se non ci manca nulla per il pasto della belva! (La signora Perella esce per l'uscio a destra, lasciandolo aperto. Paolino si reca alla tavola apparecchiata in mezzo, la esamina, aggiusta qua e l…, posate, bicchieri. PAOLINO (eseguendo): Cos•... cos•... cos•... E quella marmotta di Tot•, intanto, che ancora non viene! Mi disse fra cinque minuti... eccoli qua, i cinque minuti del signor farmacista! Un'ora! Š passata un'ora! SIGNORA PERELLA (dall'interno, strillando): Ahi! PAOLINO (accorrendo davanti all'uscio): Che hai fatto? SIGNORA PERELLA: Mi sono punta un dito, con lo spillo! PAOLINO: Ti esce sangue? SIGNORA PERELLA: No. Non ne ho pi— nemmeno una goccia nelle vene! PAOLINO: Eh, lo so! E dovresti averne tanto, anima mia, per dare un po' di colore alle tue guance bianche! SIGNORA PERELLA: M'ajuter… la vergogna, Paolino! PAOLINO: Non ci contare! Hai tanta paura che la tua vergogna non avr… nemmeno il coraggio d'arrossire! Ma ho qua l'occorrente: non temere! L'ho portato con me. (Trae la di tasca una scatoletta di belletto e altri oggetti per truccatura e li depone sul tavolinetto). Ho qua tutto. Dico di quell'imbecille di Tot• che non mi porta ancora le paste! Sono sulle spine. A fidarsi! Se non fa a tempo! Ma mi disse: ®Vai, fra cinque minuti sar• da te...¯ SIGNORA PERELLA (dall'interno, piangendo): Dio... Dio... Dio... PAOLINO: Che cos'Š? Un'altra puntura? Piangi? (Guarda nell'interno della soglia e arretra). Ah! E' spaventoso! Apre di nuovo la bocca! SIGNORA PERELLA (come sopra, in un gemito): Che avvilimento... che avvilimento.. SCENA QUARTA. DETTO, GRAZIA e il SIGNOR TOTO'. (Si sente picchiare all'uscio a sinistra). GRAZIA (dall'interno): Permesso? PAOLINO: Avanti. GRAZIA (entrando, con voce sgarbata): C'Š un signore con un involto, che domanda di lei. PAOLINO Ah, Tot•... meno male! Fatelo, fatelo entrare. GRAZIA: Qua? PAOLINO: Qua, s•... se non vi dispiace... GRAZIA: Ma che vuole che mi dispiaccia, a me! Se dice qua, lo faccio entrare qua, e basta! PAOLINO: Ecco, s•... qua... scusate... GRAZIA: Oh, quante storie! PAOLINO: Ingozziamo, Paolino! (Poi, recandosi in fretta a chiudere l'uscio a destra, verso l'interno:) annunzia Le paste! Le paste! TOTO' (dall'interno): Permesso? PAOLINO: Vieni, vieni avanti, Tot•. Cinque minuti, eh? (Il signor Tot• entra tenendo nascosto dietro le spalle un involto). TOTO': Abbi pazienza: cosa delicata, Paolino. C'Š pure di mezzo la mia responsabilit…, capirai... quella di mio fratello... Qua c'Š un innocente... PAOLINO (investendolo): Un innocente? Chi? chi Š l'innocente? Ah, tu vieni a dire a me che qua c'Š un innocente? Lui, l'innocente? Quando siamo tutti qua, anche tu, per costringerlo a fare il suo dovere, nient'altro che il suo dovere, a costo di farmi scoppiare il cuore, dalla rabbia, dall'angoscia, dalla disperazione! Uno come me, che non ha mai finto, che ha gridato sempre in faccia a tutti la verit…, costretto a usare un inganno di questo genere, col concorso d'un imbecille come te! TOTO': Ma no! Che pensi? Io dicevo per il ragazzo, Paolino! Non c'Š un ragazzo qua, scusa? PAOLINO: Ah, tu parlavi del ragazzo? TOTO': Ma s•, del ragazzo. Se dico un innocente, scusa... PAOLINO: Scusami, scusami tu, allora! Scusami, caro... Sono in uno stato d'animo... Hai portato intanto ci• che dovevi portarmi? TOTO': Ecco, ti volevo dire appunto... Essendoci un ragazzo... tu capirai - ho pensato... se Dio liberi... PAOLINO (comprendendo): Gi…... gi…... s•... TOTO': E non ho voluto... non ho voluto assolutamente... PAOLINO (restando): Come! Non hai voluto? E che hai fatto allora? TOTO': Delle paste? Me le sono mangiate. PAOLINO: Tu? Te le sei mangiate tu? Quaranta paste? TOTO': Met…. E met… le ho conservate per mio fratello, stasera. PAOLINO: Come! E allora? Che mi hai portato? TOTO': Eh, non ci hai perduto nulla, non temere! Ci hai guadagnato, anzi! (Mostrandolo). Un bel pasticcetto di crema, squisito. PAOLINO: Da leccarmene le dita, gi…! Perch‚ difatti sar… un festino per me! TOTO': No, non dico questo; non t'arrabbiare! Dico per spiegarti il ritardo. Ho dovuto prepararlo... Guarda... (Lo posa sul tavolinetto e apre l'involto). PAOLINO: Ma... Oh! (e gli fa un cenno d'intelligenza). TOTO': Non dubitare! (Lo mostra). Condizionato a meraviglia, perch‚ non si possa sbagliare. Vedi? Met… bianco... e questa met… Š per il ragazzo... per te, se vorrai mangiarne. E met… nero, crema di cioccolato! Niente al ragazzo, di questa! mi raccomando! Sta' attento, veh! PAOLINO: La nera, s•, va bene! Ma... (Cenno come sopra). TOTO': Non dubitare! PAOLINO: Bene. Vai, vai, allora, amico mio! E' gi… tardi! Il vapore Š arrivato! Vai, vai... E speriamo! Speriamo bene! TOTO': Stai sicuro! PAOLINO: Come vuoi che sia sicuro! (Subito, staccando:) Oh, tomba, siamo intesi! TOTO': Puoi dubitare di me? PAOLINO: Mi sei amico... E il caffŠ te lo dar• ogni mattina, sai? Puoi contarci. V…ttene! V…ttene! TOTO': S•, s•, grazie. Addio, Paolino. (Esce per l'uscio a sinistra). PAOLINO (va a prendere il pasticcio per collocarlo, con solennit… sacerdotale in mezzo alla tavola, altare della Bestia, e tenendolo prima sollevato come un'ostia consacrata): Oh, Dio, fa' che valga! fa' che valga! La sorte d'una famiglia, la vita, l'onore d'una donna, Dio, la mia stessa vita, tutto Š sospeso qui! SCENA QUINTA. La SIGNORA PERELLA e DETTO. (La signora Perella rientra dall'uscio a destra pi— che mai vergognosa, gli con le spalle voltate verso Paolino, il capo basso, occhi a terra, ambo le mani parate a nascondere il seno. E' scollatissima, e s'Š fatti i ricci a gancio, uno in mezzo alla fronte; gli altri due alle gote. SIGNORA PERELLA: Paolino... PAOLINO (accorrendo): Ah! Hai fatto? Brava, brava... L sciati vedere! SIGNORA PERELLA (schermendosi): No... no... Muojo di vergogna... no... PAOLINO: Ma che vorresti stare cos davanti a lui? E allora perch‚ ti sei scollata? Via, gi— codeste mani! SIGNORA PERELLA (come sopra): No... no... PAOLINO: Ma non capisci che bisogna che egli veda? (La signora Perella si reca allora le mani al volto, sollevando di qua e di l… le braccia per scoprire abbondantemente il seno imbandito). SIGNORA PERELLA: Eccoti, Šccoti... PAOLINO: Ah... be... benissimo... s•... be... benissimo... (Se non che, la signora Perella, col volto cos• nascosto scoppia in pianto). Che? Piangi? Ma no! Piangi? E brava, s•! Piangi adesso! Sci—pati anche gli occhi! (Subito, intenerendosi e abbracciandola:) Anima mia, anima mia, perdonami! credi, soffro pi— di te, pi— di te, di codesto tuo strazio, che dev'essere atroce! M'ucciderei, credi, m'ucciderei per non veder codesto spettacolo della virt— che deve prostituirsi cos•! Su, su... E' il tuo martirio, cara! Bisogna che tu lo affronti con coraggio! E tocca a me di fartelo, il coraggio! SIGNORA PERELLA: Giovasse almeno! PAOLINO: Cos• no, di certo! Devi persuadertene! Cos• non giova a nulla! No! Sorridente... sorridente, cara! Pr•vati, f•rzati a sorridere! SIGNORA PERELLA: E come, Paolino? PAOLINO: Come? Ecco... cos•... guarda... (Sorride a freddo, smorfiosamente). SIGNORA PERELLA: Ma non posso, cos•... PAOLINO: S•... s•... Ecco... guarda... Che vuoi che ti faccia per farti ridere? qualche piccolo lezio da scimmia? (Eseguisce). Ecco, vedi?... s•, s•... cos•, eh? s•!... ridi! Mi gratto... eh eh... (La signora Perella ride tra le lacrime d'un riso convulso). Ridi... s•... brava, cos•... ridi! terra, eh?... cos•, gattone! E guarda, ora mi butto per (Eseguisce e la convulsione di riso della signora Perella cresce). Brava, cos•!... ridi... ridi... ridi... E ora faccio salti da montone! (Eseguisce e la convulsione della signora arriva fino allo spasimo). Viva la bestia! viva la bestia! SIGNORA PERELLA (mentre Paolino seguita a saltare come un montone, torcendosi dalle risa): Basta... per carit…... non ne posso pi—... non ne posso pi—... (E trapassa subito dal riso a un pianto disperato). PAOLINO (cessando subito di saltare e accorrendo, frenetico): Come! ti rimetti a piangere? Ridevi cos bene! Ah, Š la disperazione, lo so. Su, su, basta! Finiscila, perdio! Mi fai impazzire! (In preda a una frenesia crescente, la scrolla con rabbia e la rimette su a forza, come un fantoccio che tra le mani gli caschi a pezzi). Mi fai impazzire! Su! stai su! zitta! Voglio che stia zitta e su! Cos•, cos•! Ti debbo dipingere! SIGNORA PERELLA (stordita dagli sbalordita): Dipingere? PAOLINO: S•! scrolloni, atterrita, (La fa sedere su una seggiola a un lato del tavolinetto, con le spalle al pubblico). Asci—gati bene gli occhi! Le guance! Sei pallida! sei smorta! Come vuoi che la bestia capisca la finezza del bello delicato, la soavit… della grazia malinconica? Ti dipingo! Alza la faccia... cos•! (Gliela alza). SIGNORA PERELLA (come un automa, rimanendo con la faccia alzata, mentre Paolino prende dal tavolinetto gli oggetti per la truccatura): Ah Dio, fa' di me quel che vuoi... PAOLINO (cominciando a imbellettarla, a bistrarla, sulle gote, negli occhi, alla bocca, con spaventosa esagerazione): Ecco, aspetta. Prima le guance... Cos•!... cos•!.. Per lui, che non capisce altro, devi essere come una di quelle!... Cos!... La bocca, adesso!... Dov'Š il cinabro?... Qua, ecco... Schiudi un po' le labbra... Ecco, aspetta... cos•... Non piangere, perdio! Sciupi ogni cosa! Cos•... cos•... Gli occhi, adesso! devo annerirti gli occhi... Ci ho tutto qua... ci ho tutto... Chiudi gli occhi, chiudi gli occhi... Ecco... cos•... cos•... cos•... E ora ti rafforzo col lapis le sopracciglia... Cos•... cos•... cos. L…sciati vedere adesso! (La signora Perella quasi stralunata, Š rimessa in piedi, e mostra il volto spaventosamente dipinto, come quello d'una baldracca da trivio). PAOLINO (come ubriacato dall'orgasmo, con grottesca aria di trionfo): E ora mi dica il signor capitano Perella, se vale di pi— quella sua signora di Napoli! SIGNORA PERELLA (dopo essere rimasta l• un pezzo, esposta come uno sconcio pupazzo da fiera, si alza e si reca a guardarsi allo specchio sul divano, inorridita): Oh Dio!... Sono uno spavento! PAOLINO: Sei come devi essere per lui! (E intanto si mette a nascondere gli oggetti da truccatura). SIGNORA PERELLA: Ma non sono pi— io!... Non mi riconoscer…!... PAOLINO: Non deve pi— riconoscerti, difatti! Deve vederti cos•! SIGNORA PERELLA: Ma Š una maschera orribile! PAOLINO: Quella che ci vuole per lui! SIGNORA PERELLA (con strazio): E Non•?... Non•?... Io sono una povera madre, Paolino! PAOLINO (intenerendosi fino alle lagrime, abbracciandola): S•... s•... hai ragione, povera anima mia, s•! hai ragione! Ma che vuoi farci? Ti vuole lui, cos•. Non ti vuole madre! E tu la darai a lui, codesta maschera, alla sua bestialit…! Sotto di essa, sei poi tu, che ne spasimi; tu come sei per te stessa e per me, cara! E tutto il nostro amore! SCENA SESTA. DETTI, NONO', il CAPITANO PERELLA, poi GRAZIA. (Dall'interno si sente la voce di Non• che grida, accorrendo). La voce di NONO': Ecco pap…! ecco pap…! PAOLINO (staccandosi subito dall'abbraccio e allontanandosi dalla signora Perella): Eccolo! Mi raccomando! SIGNORA PERELLA: Oh Dio... Oh Dio... PAOLINO: Sorridente! Sorridente, cara! Sorridente! NONO' (dall'interno ancora, riprende a gridare): E' arrivato pa... (quando un soave calcio del Capitano lo scena, troncandogli in bocca la parola). (Spunta il Capitano Perella che ha l'aspetto sbuffante cinghiale setoloso). PERELLA (a Non• accompagnando il calcio, accompagna sulla d'un enorme che gli appioppa dietro): E zitto, che non ho bisogno di trombettieri! SIGNORA PERELLA (con un grido, ricevendo Non• tra le braccia): Ah! Non• mio! PAOLINO: Ti sei fatto male, Nonotto? PERELLA: Non s'Š fatto nulla! Mio padre, caro professore, quando avevo poco pi— di sei anni, per punirmi di non avere ancora imparato a nuotare, sa che fece? m'afferr• per la cuticagna e mi butt• a mare, vestito, dalla banchina del molo, gridando - ®O morto, o nuotatore!¯ PAOLINO: E lei non mor•! PERELLA: Imparai a nuotare! Questo per dirle, che non sono d'accordo con lei circa al metodo, caro professore. Troppo dolce Š lei, troppo dolce! PAOLINO: Dolce? io? Ma no, scusi, perch‚? Anch'io, creda, all'occorrenza... PERELLA: Che occorrenza! che occorrenza! Tempra, tempra ci vuole! Le dico che lei Š troppo dolce, e me lo vizia, me lo vizia, quel ragazzo l…. PAOLINO (subito, con calore): No! Ah no! scusi... questo no, questo non me lo deve dire, signor capitano, perch‚ il vero guajo qua, se vuol saperlo, Š un altro; e lei avrebbe gi… dovuto capirlo da un pezzo! PERELLA: La madre? PAOLINO: No, non la madre! Viene di conseguenza, scusi, che il ragazzo si vizii: Š figlio unico! PERELLA: Ma niente affatto! Che unico! Lo dice lei! PAOLINO: Come, scusi, non Š unico? PERELLA (forte, riscaldandosi): Bisogna saperlo educare! PAOLINO: S•! certo... Ma se fossero due! PERELLA (infuriandosi, col sangue agli occhi): Non lo ridica neanche per ischerzo, sa! Neanche per ischerzo! Ne ho d'avanzo d'uno! PAOLINO (subito, rimettendosi): Non si inquieti... non si inquieti, per carit…! Dicevo... dicevo per scusarmi... PERELLA: Un altro figlio! Starei fresco, starei... (Mentre si svolge questo dialogo tra Perella e il signor Paolino, dietro, se ne svolge un altro, muto, tra Non• e la madre. Non•, finendo di piangere, vedendo la madre, subito s'Š arrestato con gli occhi e la bocca sbarrati nello scorgerla conciata a quel modo. La madre, allora, ha congiunto pietosamente le mani per pregarlo di non gridare il suo spavento e il suo stupore; poi, assalita dalla solita contrazione viscerale, ha spalancato la bocca come un pesce e s'Š recato subito il fazzoletto alla bocca lasciando Non• sbigottito a scuotere le manine per aria). PERELLA (come pentito chiamando): Qua, Non•! (Si volta, scorgendolo nell'atto di scuotere le manine). Oh! e che fai? (Guarda verso la moglie). Che cos'Š? (Scorgendola cos• dipinta e scollata). Oh! e come... tu?... (Scoppia in un'interminabile, fragorosa, faticosissima risata, durante la quale il signor Paolino, alle sue spalle serra le pugna, convulso; le apre, artigliate, per la tentazione di saltargli addosso e strozzarlo: mentre la signora Perella, avvilita, mortificata, atterrita, guarda a terra). Come ti... come ti sei impiastricciata? ah! ah! ah! ah! ah! una bertuccia... ah! ah! ah! vestita, sull'organetto... parola d'onore! (Le s'appressa, sempre ridendo). la prende per ah!... una mano; una e bertuccia la contempla Uh... ma guarda!... (Le vede il seno scoperto). Uh... abbondanza!... E che cos'Š? (Voltandosi verso il signor Paolino). Professore!... Ah! ah! ah! ah! E non ne Š sbalordito anche lei, di questo magnifico spettacolo? PAOLINO (frenando a stento l'indignazione, con sorrisi spasmodici): Nien... niente affatto!... Scusi, perch‚? Vedo che... che la signora s'Š... s'Š messa con una certa cura... PERELLA: Cura? La chiama cura, questa, lei? S'Š mascherata! S'Š... (Accennando al seno scoperto) s'Š scodellata tutta! Ah! ah! ah! ah! SIGNORA PERELLA: Ma Francesco... Dio mio... scusa... PERELLA: Ti sei forse mascherata cos•, per me? No, no, no, no, no! Ah, grazie! No, no, no, no, no! (Accennando al seno di lei) Puoi pure chiudere bottega! Non ne c•mpero! (Voltandosi al signor Paolino) Pass• quel tempo, Enea, neanche toccar l'ugola! caro professore! Non me ne sento pi— (Alla moglie:) Grazie, cara, grazie! Va', va' a lavarti la faccia, va'... Voglio andare subito a tavola, io! subito! SIGNORA PERELLA: E' tutto pronto, Francesco. PERELLA: Pronto? Ah, brava! Possiamo allora sedere? Lei, professore, Š con noi? PAOLINO: Ma... s•, credo... SIGNORA PERELLA: S•, s•, Francesco... il professore Š invitato... PERELLA: Mi fa piacere. Venga, venga, professore, segga. Ma non si scandalizzi, perch‚, mangio, io, sa? mangio! E si vede, eh? si vede... (Mostra l'epa, poi, sedersi dirimpetto a lui:) rivolgendosi alla moglie che fa per No, no, cara: fa' il piacere, senti... Se non vuoi andare a lavarti, non mi seder d• fronte, cos• conciata! Mi metto a ridere di nuovo, e qualche boccone, Dio liberi, mi pu• andar di traverso. Ma che idea t'Š venuta, di'? SIGNORA PERELLA: Oh Dio, nessuna idea, Francesco... PERELLA: E come, allora? cos•? (Fa un gesto espressivo con la mano per significare: ®E' stato un estro?¯, ride). Ah! ah! ah! ah! Possibile che lei, sul serio, professore, dica che... PAOLINO (interrompendo): Ma s•! dico che lei dovrebbe riconoscere, scusi, che la signora, cos•, sta benissimo! PERELLA: Benissimo, s•... Non dico di no! Ma se fosse un'altra, ecco! Se fosse una... lei m'intende! Come moglie, no... scusi! Come moglie, cos, via, dica la verit…: Š buffa! (Scoppia di nuovo a ridere). Niente! Rido! Abbia pazienza, professore: la faccia sedere qua, al suo posto; e segga lei di fronte a me. PAOLINO (alzandosi e prendendo il posto della signora): Oh, me... come vuole... PERELLA: Scusi, sa, grazie... per (Alla moglie:) Oh, dunque, si mangia? (Voltandosi verso Non• che sta ingrugnato e tutto aggruppato sul divano:) Ohi, Non•, a tavola! NONO': No, non vengo, no! PERELLA (dando un pugno sulla tavola): A tavola, dico! Subito! Ubbidisci senza replicare! PAOLINO: Non•, via, vieni! PERELLA (dando un altro pugno sulla tavola): No! La prego, professore! PAOLINO: Scusi, scusi... PERELLA: Lei me lo vizia, gliel'ho detto! Deve obbedire, senza sollecitazioni! Ho detto a tavola, e dunque, a tavola! (Si alza e va a prenderlo di peso dal divano). SIGNORA PERELLA (piano nel frattempo, a Paolino, quasi per piangere): Dio mio... Dio mio... PAOLINO ( piano, come sopra, alla signora Perella): Coraggio!... Pazienza! Sorridente... sorridente... Ecco... cos•... come me! PERELLA (calando a seder di forza Non• sulla seggiola, a tavola): Qua! Cos•! Sederai e non mangerai, per castigo! Dritto, su! Dritto, dico! Dritto, o con un pugno t'attondo. (Lo minaccia; e come Non•, spaventato, si raddrizza) Cos•! E fermo l•! (Rivolgendosi alla moglie:) Insomma, dico, si mangia, s• o no? SIGNORA PERELLA (vedendo entrare Grazia dalla comune, zuppiera fumante): Ecco, ecco, Francesco... con la (Grazia servir… dalla credenza in tavola e durante il pranzo uscir… e rientrer… parecchie volte). PERELLA: Finalmente! (A Paolino, rimasto dopo il consiglio dato alla signora Perella, con un sorriso involontario rassegato sulle labbra:) Oh, senta professore, gliel'avverto perch‚ la tratto da amico! Lei mi farebbe proprio un gran piacere, se non sorridesse, quando faccio qualche rimprovero al ragazzo o a mia moglie. PAOLINO (cascando dalle nuvole): Io? sorrido? io? PERELLA: Lei, s•, mi pare! Ha la bocca atteggiata di sorriso anche adesso! PAOLINO: S•? Proprio? Sorrido? PERELLA: Sorride! sorride! PAOLINO: Oh Dio... E allora io non lo so! Le giuro, Capitano, che ho proprio paura di non essere io... Perch‚ io, le giuro, non sorrido. PERELLA: Ma come non sorride, se sorride? PAOLINO: Ah s? Ancora? Non sono io! non sono io! pu• crederci! non sono io! Ho tutt'altro che intenzione di sorridere, io, in questo momento! Se sorrido, saranno... che vuole che le dica? saranno i nervi... i nervi, per conto loro. PERELLA: Lei ha i nervi cos• sorridenti? PAOLINO: Gi…! Pare... Sorridenti... PERELLA: Io no, sa! PAOLINO: Neppure io, veramente, di solito... Si vede che oggi ha preso loro cos•... Nervi! (Si mette a mangiare - Pausa). NONO' (a cui Grazia ha posto gi… da un pezzo davanti la scodella): Posso mangiare, pap…? PERELLA: Ti avevo detto di no! (Alla moglie:) Chi l'ha servito? SIGNORA PERELLA: L'ha servito Grazia, Francesco... PERELLA: Non doveva! PAOLINO: Veramente... ecco, forse... non lo sapeva... PERELLA: E allora lei (indica la moglie) doveva dirglielo! (A Non•:) Basta! Per questa volta, mangia! (Non• si agita sulla seggiola, senza mangiar la minestra). SIGNORA PERELLA: Mangia, mangia, Non•... (Non• fa il suo solito cenno col dito). PERELLA (scorgendolo): Che significa? NONO': Non dicevo per la minestra, io, pap…... PERELLA: E per che dicevi allora? Ora si mangia la minestra! NONO' (esitante, birichino): Eh... Vedo una cosa! SIGNORA PERELLA (in tono di lamentoso rimprovero): Ma che cosa, Non•... PAOLINO (sulla brace): Benedetto ragazzo... NONO' (indicando con un rapido gesto, subito ritratto, il pasticcio in mezzo alla tavola): Eccolo l…! PERELLA: Che c'Š l…? (Guarda). Ah, un pasticcio? PAOLINO: Gi…... mi... mi sono permesso, signor capitano... PERELLA: Ah, l'ha portato lei? PAOLINO: S•... mi... mi scusi... mi sono permesso... PERELLA: La scuso? E come? Oh bella! Debbo scusarla d'avermi regalato un pasticcio? Debbo invece ringraziarla, mi sembra, caro professore! PAOLINO: No, che dice? per carit…... debbo io, debbo io, signor capitano, ringraziare lei... PERELLA: D'averla invitata a tavola? Ebbene, vuol dire che ci ringrazieremo, all'ultimo, a vicenda! PAOLINO (con un'esclamazione che gli scappa spontanea): Eh! Speriamo! PERELLA: Come, speriamo? PAOLINO (cercando di rimediare): S•... dico che... che sia di... di suo gradimento, ecco... speriamo che... che le piaccia! NONO': A me, tanto, sai? tanto! (Si mette ginocchioni sulla sedia). Guarda! Guarda qui! Questa qui! Questa nera! PERELLA: Gi— a sedere, perdio! (Non• eseguisce). PAOLINO (sudando freddo): E non facciamo storie, sai, Non•! Non cominciamo con quella nera; se no, mi fai pentire d'averlo portato! Tu di quella nera li non devi neanche assaggiarne! NONO': Perch‚? PAOLINO: Perch‚ no! Perch‚ mamma mi ha detto che... che soffri di un po' di riscaldamento, Š vero, signora? qua, allo stomaco... ed il cioccolatto per te, in questo momento... NONO': Ma no! Io? La mamma! Soffre di stomaco la mamma, non io! PAOLINO (subito): Non• SIGNORA PERELLA (con altra voce): Non•! PERELLA (con altra voce): Non•! insomma, finiamola! PAOLINO: Se l'ho fatto fare apposta, figliuolo mio, cos met… e met…... NONO': Ma a me piace quella col cioccolatto! PERELLA: E avrai di quella col cioccolatto, sta zitto Tanto, a me non piace! PAOLINO (spaventato, subito): Come! A lei non piace? il cioccolatto? PERELLA: No... cioŠ, cos•... poco! Preferisco quell'altra... PAOLINO (sentendosi cascar l'anima e il fiato): Oh Dio... PERELLA, Che cos'Š? PAOLINO: Niente... Niente... vedo che... mi... mi sono ingannato... e... PERELLA: Ma non si confonda! Mangio di tutto, io! mangio di tutto! La questione Š, che qui, mi pare che si mangiano soltanto chiacchiere! Dov'Š Grazia! Che fa? che fa? (Scrolla la tavola). Che fa? (Grazia rientra con l'altro servito). SIGNORA PERELLA: Eccola, eccola, Francesco. PERELLA (a Grazia): Io voglio esser servito a tamburo! detto mille volte che a tavola non voglio aspettare. Da' qua! T'ho (Le strappa il bislungo dalle mani con tale violenza, che il contenuto sta per rovesciarglisi addosso; balza in piedi, buttando il bislungo sulla tavola e rompendo, se c…pita, qualche piatto e qualche bicchiere). Ah, perdio! Come lo porgi? GRAZIA: Se lei me lo strappa! PERELLA: E tu me lo rovesci addosso, animale? - Mangiate voi! - Non voglio pi— mangiare! Fa per avviarsi alla sua camera. PAOLINO (correndogli dietro): No, guardi... per carit…, signor capitano... SIGNORA PERELLA (correndogli dietro anche lei): Pensa, pensa che abbiamo un ospite a tavola, Dio mio, Francesco. PERELLA (a Paolino): Mi si fa dannare, caro professore, mi si fa dannare in questa casa! Lei vede? PAOLINO: Io la prego d'aver un po' di pazienza. PERELLA: Ma che pazienza! Me lo fanno apposta! SIGNORA PERELLA: Noi cerchiamo di far di tutto per lasciarti contento... PERELLA (notando di nuovo il volto di lei cos• impiastricciato): Guarda che faccia... guarda che faccia... PAOLINO Venga... sia buono... venga... lo faccia per me, signor capitano... Sono di confidenza, Š vero, ma... ma dopo tutto, sono un invitato... PERELLA (arrendendosi): Per lei, sa! Mi arrendo per lei! Ma non garantisco che arriviamo alla fine! PAOLINO: No! non lo dica! Speriamo... speriamo che non trover… pi— ragione da lamentarsi! PERELLA: Che vuole sperare! Non mi riesce pi— da anni, a casa mia, d'arrivare alla fine del pranzo! (Rivolgendosi alla moglie:) E' inutile, tavola! oh, sai, ripetermi che abbiamo un ospite a Quand'io m'arrabbio, professore, deve scusarmi, perdo la vista degli occhi e non bado pi— a chi c'Š o a chi non c'Š! Per non fare uno sproposito, me ne scappo! (Durante questa scena, Non•, rimasto a tavola, si sar… pian piano accostato alla tavola, si sar… messo ginocchioni sulla seggiola, e come un gattino con la zampetta avr… assaggiato il pasticcio, dalla parte del cioccolatto. PERELLA (scorgendolo): Ecco qua! Lo vede? lo vede? Se questo Š il modo d'educare il ragazzo! (Afferra Non• per un orecchio e lo trascina verso l'uscio a destra). Va' s—bito a letto! s—bito a letto, senza mangiare! s—bito! (Appena arrivato davanti all'uscio lo spinge dentro col piede). Via! (Tornando a tavola). Ma io non resisto, sa! Non resisto! mangiare ogni volta? SIGNORA PERELLA: Benedetto ragazzo! Vede come mi tocca di (A Paolino:) Non se n'Š mica mangiato poco... PAOLINO: Ma s•, via... poco... non vede? un tantino appena appena di qua... PERELLA: Professore, per carit…, non me lo faccia vedere! Mi viene la tentazione di prenderlo e d'andarlo a buttare di l…! (Fa per prenderlo, indicando la veranda). PAOLINO (riparando): No! Per carit…! Mi vuol fare quest'affronto, signor capitano? PERELLA: E allora mangiamocelo subito! PAOLINO: Subito! subito! Ecco, s, bravo! Questa Š una bella pensata! E se permettete, taglio io... faccio io le parti, eh? Ecco... subito subito! (Eseguisce). Alla signora, prima; ecco qua; questa, alla signora, cos•! SIGNORA PERELLA: Troppo. PAOLINO: No, che troppo! (Rivolgendosi al capitano:) Ora, se permette... badi, dico se permette, perch‚, se non permette, niente! in qualit… di professore, solo in qualit… di professore... PERELLA: Ne vorrebbe dare a Non•? PAOLINO: Non oggi! ah, non oggi! Lei l'ha castigato, e ha fatto benone! Dico, conservargli la sua porzione, se lei permette, badi! per domani. Tutta questa bianca! Gliel'avevo promesso in premio, ecco... come professore... PERELLA (battendo con la nocca di un dito sulla tavola, tutto contento della freddura che sta per dire): Vede? vede? Non gliel'ho detto, io, che il suo metodo Š troppo dolce? Eh, pi— dolce di cos•! (E scoppia a ridere, lui per il primo). PAOLINO (ridendo a freddo, mentre la signora Perella gli fa eco): Ah... gi…... benissimo... E di questa met… qua, ora, ecco, facciamo cos•... PERELLA: Ma che cos! La d… tutta a me? Ma no! PAOLINO: La prego! Perch‚ sa? la crema, a me... mi... mi... non mi... insomma, non mi... come dico?... ecco, si... mi... mi fa acidit…, ecco... acidit… di stomaco... Quanto meno ne mangio, meglio Š... Lei ha mangiato poi cos• poco! PERELLA (mangiando a gran boccate): Buona... buona... Ah, buona... buona... buona... buona! Bravo, professore! PAOLINO: Lei non sa il piacere che mi sta facendo in questo momento! SIGNORA PERELLA: Ne fa tanto anche a me, quando lo vedo mangiare cos• di buona voglia... PAOLINO: Vuole anche quest'altro pezzo? Guardi, non l'ho ancora toccato! PERELLA: No... no... PAOLINO: Per me, senza cerimonie... Mi farebbe male, gliel'assicuro! PERELLA: Ne prendo, se mai, un tantino della porzione di Non•. Mi sembra troppa! PAOLINO: No, guardi, proprio mi fa un piacere, porzione mia... PERELLA: Oh! Se a lei fa male... dia qua! se prende la (La prende e mangia anche quella). Non c'Š pericolo che faccia male a me! Ne potrei mangiare due volte tanto, tre volte tanto, non mi farebbe niente! (Alla moglie:) Che mi d…i da berci su adesso? SIGNORA PERELLA: Ma... non so... PERELLA: Come, non sai? Non c'Š neanche un po' di marsala? SIGNORA PERELLA: Non ce n'Š, Francesco... PERELLA (infuriandosi apposta, rivolto al signor Paolino, per piantare al solito la moglie e andare a chiudersi in camera): Ha visto? S'invita uno a tavola e non si prepara neanche un po' di marsala! PAOLINO: Oh, sa, se Š per me... PERELLA: Ma Š per la cosa in se stessa! per tutto quello che manca di previdenza, d'ordine, di buon governo a casa mia! La signora pensa a lisciarsi! SIGNORA PERELLA (ferita): Io? PERELLA: Ah no? Lo negheresti? SIGNORA PERELLA: Ma Š la prima volta, Francesco... PERELLA (afferrando la tovaglia, strappandola gi— con tutto quello che vi sta sopra e balzando in piedi): Ah, perdio! PAOLINO (spaventato): Capitano... capitano! PERELLA: Osa rispondermi, perdio! SIGNORA PERELLA: Ma che ho detto? PERELLA: E' la prima volta? Sia l'ultima, sai! Perch‚, tanto, con me, Š inutile! Non mi pigli! non mi pigli! non mi pigli! Piuttosto mi butto dalla finestra! Va' al diavolo! (Corre, cos• dicendo, verso l'uscio della sua camera, caccia dentro, e si sente il rumore del paletto, che sar… bene esagerare grottescamente). SCENA SETTIMA. si PAOLINO, la SIGNORA PERELLA e GRAZIA. (Restano tutti e due, come basiti, a guardarsi un pezzo, nella crescente penombra. Entra Grazia dalla comune, vede lo scompiglio per terra, e scuote in aria le mani, tentennando il capo). GRAZIA. Al solito, eh? SIGNORA PERELLA (risponde appena al tentennio del capo, poi dice): No, vai, Grazia. Sparecchierai domani... (Accenna all'uscio della camera del marito). Non far rumore... GRAZIA: Accendo? SIGNORA PERELLA: No, lascia... lascia... GRAZIA (ritirandosi): Ogni volta, cos•! (Esce per la comune). SCENA OTTAVA. DETTI meno GRAZIA. (Si avviva a poco a poco sempre pi— dalla finestra aperta della veranda un raggio di luna, che investe principalmente i cinque vasi del portafiori tra i due usci laterali di sinistra). SIGNORA PERELLA: Hai sentito? Dice che piuttosto si butterebbe dalla finestra! PAOLINO: Eh! Aspetta! Bisogna aspettare! SIGNORA PERELLA: Tu ci speri? Io non ci spero, no, Paolino... PAOLINO: Mi hanno detto tutt'e due i fratelli di non dubitare... di star sicuro! SIGNORA PERELLA: S•. Ma io dico per lui! Non lo conoscono! Non lo conosci neanche tu, Paolino! Piuttosto davvero si butterebbe dalla finestra... PAOLINO: Oh, senti... Se tu vai incontro alla prova con quest'animo... SIGNORA PERELLA: Io? Io sono qua, Paolino. Aspetto... aspetter• tutta la notte. PAOLINO: Ma devi aspettar con fiducia! SIGNORA PERELLA: Ah, no, credi, invano. PAOLINO: Ma bisogna che tu la abbia, almeno, un po' di fiducia! Pu• giovare, credi, se ne hai, ad attirarlo! S•! s•! Io credo nella forza dello spirito! E tu devi averne! devi averne! Pensa che, se no, c'Š l'abisso aperto per noi! Io non so che faccio, non so che faccio domani! Per carit…, anima mia! SIGNORA PERELLA: Ma s•... ecco... vedi? io mi metto qua... cos•... (Siede su un seggiolone a braccioli, antico, rivolta verso l'uscio della camera del marito, in modo che se questi aprisse, se la troverebbe davanti, in atteggiamento di ®Ecce Ancilla Domini¯ circonfusa nel raggio di luna. PAOLINO: S•... s•... ecco... cos•... Oh santa mia! Io ti prego, ti prego di farmi trovare un segno domani, domani all'alba. Questa notte io non dormir•. Verr• domattina all'alba, davanti alla tua casa. Se Š s•, fammi trovare un segno; ecco, guarda, uno di questi vasi di fiori qua, alla finestra della veranda l…, perch‚ io lo veda dalla strada domani all'alba. Hai capito? (Rester… un momento nell'atteggiamento dell'Angelo annunziatore, col vaso in mano, nel quale sar… un giglio gigantesco. S'udr… friggere il riflettore che manda il raggio di luna). SIGNORA PERELLA: Io sono qua. A domani, Paolino! PAOLINO: Cos• sia! TELA. ATTO TERZO. La stessa stanza dell'atto precedente. E' l'alba del giorno appresso. Sul davanzale della finestra, nella veranda in fondo, nessun vaso di fiori. Sono ancora per terra la tovaglia e la suppellettile da tavola rovesciate dal Capitano Perella. SCENA PRIMA. GRAZIA, poi il MARINAJO. (Al levarsi della tela, Grazia, tutta scarduffata, con l'occorrente per la pulizia, Š curva a raccogliere i cocci del vasellame rotto e i piatti, i bicchieri rimasti sani, che poser… a mano a mano sulla tavola. Raddrizzandosi di tratto in tratto, si stirer…, contraendo il volto, per significare che ha tutta la persona indolenzita, segnatamente le reni; protender… allora una mano a pugno chiuso in direzione dell'uscio della camera del Capitano e borbotter… qualche inintelligibile imprecazione). GRAZIA: Guardate qua... guardate qua che rovina! piatti... bicchieri... E tutto insozzato! Povera tovaglia! Neanche una stalla sarebbe per lui! Il porcile... il porcile, per lui! Ah, manco male... una bottiglia Š sana... (Raddrizzandosi). Ahi, ahi, ahi! Non mi reggo pi— su le reni... Sfasciate... ahi, ahi! ahi... spezzate... (Suono di campanello alla porta). Chi sar…?.. (Avviandosi per aprire). Ahi, ahi, ahi... (Gesto verso la porta del Capitano, un borbottamento, ed esce per la comune. Poco dopo rientrer… in scena col Marinajo). GRAZIA: Ma se vi dico MARINAJO: E allora il GRAZIA: Che ne so io, MARINAJO: Ma s•, che che la signora non m'ha lasciato nulla per voi! Comandante non riparte oggi? se riparte o non riparte? deve ripartire oggi! E la roba, la signora, deve averla preparata jersera. GRAZIA. Jersera, s•! Aveva proprio testa da pensare a la roba, jersera. preparar MARINAJO: Gran putiferio? GRAZIA: Il diavolo a quattro! MARINAJO: Uh, e ha rovesciato tutto, al solito? GRAZIA: Questo solo? Cose... cose dell'altro mondo! cose, vi dico, che non si sono mai n‚ viste n‚ sentite! MARINAJO: Ah s•? Che ha fatto? che ha fatto? GRAZIA: Che ha fatto!? Ha fatto che... MARINAJO: Dite, dite... GRAZIA (facendo gli occhiacci): Non lo so! MARINAJO: Maltratti alla signora, mi figuro! sgarbi al ragazzo! Se l'Š presa anche con voi? GRAZIA (lo guarda, sta per dire chi sa che cosa; ma taglia corto): Lasciatemi, lasciatemi fare qua... MARINAJO: Anche con voi? Eh! a chi i confetti e a chi i dispetti! Da una parte le piglia e dall'altra le d…! GRAZIA. Che d…? che piglia? MARINAJO: Le piglia! le piglia! (Fa cenno di busse con la mano). Ah, se le piglia! Da quell'altra - a Napoli. - Qua fa il lupo; con quell'altra, invece, Š pi— mansueto d'un agnellino! GRAZIA. Ma che agnellino! (Avviandosi per aprire. Piano, con gli occhiacci:) Un majalone Š! ecco quello che Š! MARINAJO: S•, va bene; ma quella l• lo sa far stare a dovere. Lo so io! Fin da quando ero imbarcato al suo servizio. Ci sono andato poche volte io, in casa di quella signora! Tutti i giorni, fin tanto che si stava a Napoli. E ho assistito a certe scene! Ma al contrario, le faceva lei a lui! Un donnone, se vedeste! Due quintali! E brutta, oh! Certi occhiacci... Ma chi sa come gli sembrer… bella, a lui! Una rovina, poi! Un figlio all'anno! Glien'avr… fatti altri cinque, sei... da allora! GRAZIA: Com'Š? giovane? MARINAJO: Giovane, giovane... Dev'essere ancora giovane, sotto la trentina... GRAZIA. Ah! E non gli basta? MARINAJO: A chi? a lei? GRAZIA: Dico a lui! dico a lui! MARINAJO: Ah... perch‚ ha qui anche la moglie, volete dire? GRAZIA: Che moglie e moglie! Non la guarda nemmeno la moglie! MARINAJO: E allora? OhŠ! Ne sapreste forse qualche cosa anche voi? GRAZIA: Lasciatemi sbrigare qua, v'ho detto! MARINAJO (ride): Ah! ah! ah! ah! Sarebbe da ridere... GRAZIA: Insomma, ve n'andate? MARINAJO: S, vado, vado. Ritorner• pi— tardi... Ma avvertitela la signora, che son venuto per la roba... che la prepari... rivederci, eh? GRAZIA: A rivederci: A (Il marinajo esce per la comune. Grazia ritorna a cercar tra le pieghe della tovaglia per terra qualche piatto o bicchiere rimasto sano e, trovandone qualcuno e levandosi per posarlo sulla tavola, rif… il gesto per esprimere l'indolenzimento delle reni. Si sente poco dopo grottescamente di nuovo esagerato - il rumore del paletto tratto dall'uscio della camera del Capitano). SCENA SECONDA. DETTA e il CAPITANO PERELLA. GRAZIA: Eccolo qua, che esce dalla gabbia, la belva! (Il Capitano vien fuori, tutto ammaccato dal sonno, occhi pesti e un umore pi— che mai bestiale). PERELLA (scorgendo Grazia per terra): Ah... tu, con gli cost•? chi parlavi? GRAZIA: Col marinajo, parlavo... PERELLA: E' andato via? GRAZIA: E' andato via. PERELLA: E che era venuto a fare, a quest'ora? GRAZIA: Era venuto per la roba da portare a bordo. (Pausa). PERELLA. E tu non sai augurare il buon giorno al tuo padrone? GRAZIA: Gi…! Per giunta! Eccolo qua, il mio buon giorno! (Indica i cocci per terra). PERELLA: Lo fai adesso, codesto servizio? Che hai fatto tutto jersera? Con GRAZIA (gli lancia una lunga occhiataccia, servizio senza rispondere). PERELLA: Rispondi! poi torna al suo (Le viene innanzi, minaccioso). GRAZIA (si leva, lo guarda di nuovo, poi dice): Lo domanda a me, che ho fatto? (Breve pausa). Lei strappa; lei rompe; lei (sottolineando in modo ambiguo) obbliga la gente a servizi, a cui non Š tenuta... PERELLA: Io voglio subito il caffŠ! GRAZIA: Ancora non Š pronto. PERELLA (facendosele sopra con la mano levata): Ah, cos• mi rispondi? GRAZIA (sfuggendo): Non mi s'accosti! non mi tocchi o grido, sa! PERELLA: Vai subito a preparare il caffŠ! Non sai che voglio trovarlo pronto, appena mi alzo dal letto? GRAZIA: Potevo difatti immaginare, che proprio questa mattina lei si dovesse levare all'alba... dopo che... PERELLA: Insomma! La finisci di rispondere? Vai subito per il caffŠ! GRAZIA: Vado... Vado... (Via, per l'uscio a sinistra). SCENA TERZA. Il CAPITANO PERELLA, solo, poi il SIGNOR PAOLINO e GRAZIA. PERELLA (tentennando il capo): Ma guarda un po'! (Con la faccia pi— che mai aggrondata e disgustata, gli occhi cupi e truci, sta un po' a pensare; poi sbuffa, poi si brancica gli abiti addosso, smaniosamente, e accompagna l'atto con una specie di rugghio bestiale nella gola, scrolla il capo e va un po' per la stanza. Ha caldo! ha caldo! si sente soffocare! Va alla veranda, s'affaccia alla finestra in fondo, guarda il mare e trae un ampio respiro; poi finge di guardare in gi— nella strada e di scorgervi il signor Paolino, fa un atto di sorpresa e si china a parlare). PERELLA: Oh - buon giorno, professore! E come, fuori a quest'ora? da queste parti? (Tendendo l'orecchio:) Che?... - Gi…, gi…... - anch'io... Un po' d'aria... Questo venticello... s•. Delizioso. - Vuol venir su? Venga, venga...Le offro una tazza di caffŠ... - S•, bravo, venga! (Rimane ancora un po' sulla veranda; poi viene incontro al signor Paolino, che entra per la comune con una faccia da morto ansiosa, gli occhi lividi, lampeggianti di foll•a, come se, non avendo trovato il segno sulla veranda, avesse deciso di commettere un delitto). PERELLA: PAOLINO: PERELLA: PAOLINO: Ih, che sveltezza! E' salito di corsa? S•. Mi dica. Ha visto che tornavo dallo Scalo? L'ho vista col naso in su, che guardava qua, da me. Si. Ma ero di ritorno. Sono arrivato fino allo Scalo. passare davanti la sua casa, Nel la prima volta. andando, c'era gi— che caduto, un crocchio di gente che gridava. - Dica un po': sia per caso, dalla finestra l…, della veranda, qualche vaso di fiori? PERELLA (stordito): Vaso di fiori? Gi— nella strada? PAOLINO: S• - da quella finestra! PERELLA: Ma no... Ch'io sappia... PAOLINO: No? PERELLA: Io non so di vasi... - Ma perch‚? PAOLINO: Perch‚ mi parve di vedere gi—, sotto la finestra, tra quel crocchio di gente che gridava, un mucchio, non so... di cocci per terra; e PERELLA: PAOLINO: affacciato? PERELLA: ho immaginato che gridasse per questo. Io non ho inteso nulla. Non c'era proprio nessun vaso la, quando lei si Š Nessuno... Eccoli l…, i vasi (indica il portafiori) - tutti e cinque. PAOLINO: Sono stati sempre cinque? PERELLA: Cinque, s. Non vede? non c'Š posto, qua, per altri vasi. PAOLINO (quasi tra s‚, addolorato, friggendo): E allora... allora... niente... PERELLA (squadrandolo): E come? Oh bella! Pare che lei sia dolente che non sia caduto davvero nessun vaso. PAOLINO (subito, riprendendosi): No; io? che! - E' che... che m'ero figurato che... che dovesse esserci, quel vaso... ecco! PERELLA: Perch‚ la gente gridava sotto? PAOLINO: Gi…... Sa com'Š, quando uno s'immagina una cosa? L'ho creduto proprio come una realt…, passando e sentendo gridar quella gente. ®C'era un vaso - mi son detto - alla finestra l… del capitano, e sar… caduto...¯ PERELLA: Ma no! che vaso! E' curioso che io di l… non ho sentito affatto gridare gi— in istrada. PAOLINO: Non ne parliamo pi—! - Ma scusi, lei... (E s'interrompe segno impressionante). come se gli notasse in faccia qualche PERELLA (turbato, non comprendendo): Io... che cosa? PAOLINO: S•, dico... lei... (E s'interrompe faccia ammaccata). di nuovo per spiarlo pi— intensamente nella PERELLA: Che cosa? - Oh sa che lei ha un curioso modo di guardarmi? PAOLINO: No, niente... Perch‚... perch‚ la vedo... s•, la vedo... PERELLA: Come mi vede? PAOLINO: Niente... no... Vedo che... che si Š levato per tempo, ecco... PERELLA: Gi…, ma anche lei, mi pare, - molto prima di me, se Š gi… fuori di casa a quest'ora, ed Š arrivato fin allo Scalo. PAOLINO: S•... mi... mi... mi son difatti levato anch'io per tempo... PERELLA (lo guarda e scoppia a ridere): Ah! ah! ah! ah! Ma com'Š strano lei questa mattina! PAOLINO: Sono un po' nervoso... PERELLA: E s'Š fatta una passeggiatina al fresco? - Fa bene, fa bene... igienico, igienico passeggiare di buon mattino! PAOLINO: Igienico, gi…! (Tra s‚, appena il Capitano si volta:) (Io l'uccido! Parola d'onore, io l'uccido!) PERELLA: Non c'Š di meglio, quando uno Š nervoso... Fuori, all'aperto, svaporano tutte le ubbie. PAOLINO: Difatti, s•... Non... non ho dormito bene, questa notte e... PERELLA: Ah! Neanche lei? - Non me ne parli! PAOLINO (contento, ansioso): Non... non ha dormito bene, dunque, neanche lei? PERELLA (con rabbia): Non ho dormito affatto, io! PAOLINO (con ansia crescente): Ah... - e...? PERELLA: Che cosa? PAOLINO: S•, dico... vedo... - guardavo or ora, difatti, che lei Š molto sbattuto... un po'... s•... un po' pesto, ecco. PERELLA (come sopra): Se non ho chiuso occhio, le dico! Una nottataccia d'inferno! Il caldo, forse... io non so! PAOLINO: Caldo, gi…... ha fatto un gran caldo, un gran caldo, questa notte... PERELLA: Da impazzire! PAOLINO: E si sar…... si sar… alzato di letto, forse? PERELLA (lo guarda, poi): Anche, s•... PAOLINO: Eh, me lo immagino! Quando... quando il letto comincia a scottare... Col caldo... l• (indica la sua camera) le... le sar… parsa un forno, quella sua camera, suppongo! PERELLA: Un forno! un forno, proprio! PAOLINO: E ne sar… uscito, no? m'immagino... PERELLA (torbido, dopo averlo guardato un po ): S•... difatti... ne sono uscito un po'... perch‚... pareva proprio di soffocare... - perch‚ a un certo punto, mi (Vedendo entrare Grazia con un vassojo, su cui Š una tazza di caffŠ:) Ah, ma ecco qua il caffŠ... Brava, Grazia... - Ma come! ne porti una tazza sola? - E per il signore? GRAZIA (aggrondata, sgarbatissima): E che ne so io, se debbo portargli o non debbo portargli il caffŠ, se nessuno me lo ordina? PERELLA: Non rispondere cos, ti ho detto! C Š bisogno che ti si ordini? Ma guarda un po' che confidenza osa prendersi! GRAZIA (facendo gli occhiacci e masticando): Confidenza... confidenza... Sono io che mi piglio, ora, la confidenza; Š vero? PERELLA: E' impudente questa donna! Bada che ti caccio via su due piedi, sai? GRAZIA. Mi caccia? Chi caccia? Badi lei piuttosto, che io posso mettermi a gridare, e se mi metto a gridare quello che lei ha fatto... PAOLINO (quasi tra s‚, basito, all'orribile sospetto che gli balena, guardando ora il Capitano, ora la serva): Oh Dio... Oh Dio... possibile? PERELLA: Professore, ma la sente! PAOLINO: Sento, vedo... s•... PERELLA (a Grazia, per troncare, sulle furie): Vai a prendere subito un'altra tazza di caffŠ! (A Paolino). Ecco, lei prenda questa, professore... (Gli offre la tazza). PAOLINO: No... grazie, no!... (A Grazia:) Non... non v'incomodate... PERELLA: Ma che incomodarsi! - Prenda! PAOLINO: Grazie, le dico! no! proprio non ne desidero. - Mi... mi farebbe male... PERELLA: Ma che male! (A Grazia:) Vai a prendere l'altra tazza! PAOLINO: Sono eccitato, capitano, per carit…! Sono eccitato... eccitato; nervoso! GRAZIA. Insomma - s•? - no? PERELLA: Vai al diavolo! (Grazia, sulle furie, se ne va, e allora, gridandole dietro fino all'uscio) E smetti codeste arie, sai? - Se no, te le faccio smettere io! PAOLINO: Sfido: scusi; se si d…... se si d… troppa confidenza a una serva... PERELLA: Non si dovrebbero tenere troppo in casa, le serve, ecco! PAOLINO: Ma mi faccia il piacere! No! quando si sanno tenere al loro posto... che non abbiano a prendere arie da padrone... PERELLA (stupito dall'aria indignata che assume il signor Paolino): OhŠ, che dice, professore? PAOLINO (frenandosi a stento): Dico che... che... sono... sono meravigliato, ecco... sono veramente... non so come dire... stupito... PERELLA: Dell'arroganza di questa donna? PAOLINO: Gi…! E che lei... PERELLA: Che io? PAOLINO: Che lei... s•, la possa sopportare! Mi... mi pare incredibile, che vuole che le dica! Inverosimile, ecco: inverosimile, arrivare... Dio mio... arrivare fino a questo punto! - Possibile? PERELLA (lo guarda, torbido, poi, abbassando gli occhi): Gi…... Š... Š enorme! PAOLINO: E' enorme! (Pausa). PERELLA (quasi umile): Ma non glie l'ho detto il perch‚? troppo tempo per casa! E' da (Arrabbiandosi:) La colpa Š di mia moglie! PAOLINO (scattando e subito frenandosi): Ah, s•? anche? ne ha colpa sua moglie? PERELLA: Sissignore, sissignore! Che me la tiene ancora tra i piedi! perch‚ ha visto nascere Non•! perch‚ sa gli usi di casa! per il diavolo che se li porti via tutti quanti! PAOLINO (friggendo): Ma scusi, e lei per questo...? PERELLA: Che, per questo? Oh, insomma, sa che lei, professore, mi assume certe arie che io non tollero? PAOLINO: No, Š che... scusi, mi... mi pare troppo, ecco, che per questo lei debba pigliarsela con la sua signora. PERELLA: Me la piglio con tutti, io! Perch‚ Š una disperazione questa maledetta casa per me! - Vi' soffoco, vi soffoco! Maledico sempre il momento che vi rimetto i piedi! Neanche dormire quieto vi posso! Sar… stato anche il caldo... Una smania... E quando io non dormo, sa? quando non riesco a prender sonno, -...arrabbio, arrabbio... PAOLINO: Gi…... ma che colpa, scusi... che... che colpa ci hanno gli altri, scusi? PERELLA: Di che? PAOLINO: Eh... se dice che s'arrabbia... Con chi si arrabbia? con chi se la piglia, se fa caldo? PERELLA: Con me, me la piglio! me la piglio col tempo! e me la piglio anche con tutti, sissignori! Perch‚ io voglio aria! aria! io sono abituato al mare! (Poi, calmandosi:) E la terra, caro professore, specialmente d'estate, la terra non la posso soffrire - la casa... le pareti... gli impicci... le donne... PAOLINO: Anche... anche le donne? PERELLA: Prima di tutto le donne! Del resto, le donne, con me... Sa? Si viaggia... si sta tanto tempo lontani... - Non dico ora, che sono vecchio... Ma quando ero giovanotto... Le donne... Ci ho avuto per• sempre questo di buono, quando non voglio, non voglio io - che quando voglio, voglio... ma (Ride orgogliosamente). Il padrone sono restato sempre io! PAOLINO: Ah, sempre? (Tra s‚:) (L'uccido! l'uccido!) PERELLA: Sempre che ho voluto, s'intende! - Lei no, eh? Lei forse si lascia prendere facilmente? PAOLINO: Lasci star me, la prego! PERELLA (ride torte): Ah! ah! ah! ah! - Un sorrisetto... una mossetta... PAOLINO (friggendo): La prego, capitano. La prego... PERELLA (con altra risata): Eh! eh! eh! - Me lo figuro... me lo figuro come deve essere con lei... - Un'aria umile... vergognosetta... Dica, dica la verit…, eh? PAOLINO: Per carit…, smetta, capitano... sono veramente nervoso... PERELLA (ride ancora): Pieno... pieno di scrupoli ideali deve esser lei in amore... - Dica la verit…! PAOLINO (scattando): Ebbene! vuole che le dica la verit…? E allora le dico che io, se avessi moglie... PERELLA (scoppia a ridere di nuovo pi— forte): Ah! ah! ah! ah! PAOLINO (perdendo ogni freno): Non rida, per Dio! Non rida! PERELLA: Ma perch‚ si adira cos•? Ah! ah! ah! ah! Come c'entrano adesso le mogli, scusi? Noi stiamo parlando delle donne... PAOLINO: E che non sono donne, le mogli? Che cosa sono? PERELLA: Ma saranno anche donne... qualche volta... s•... PAOLINO: Ah... qualche volta, s•! Lo... lo ammette dunque, che qualche volta il marito deve pur considerarla come una donna, la moglie! PERELLA: Certo, s•! certo! Ma non abbia paura che ci pensa lei, la moglie, a farsi considerar come donna da altri, se suo marito se ne dimentica! PAOLINO: Un marito saggio, dunque, non se ne dovrebbe mai dimenticare! PERELLA: Ma s! Ci penser… lui, a questo! Lei, intanto, non ne ha, caro professore; e io le auguro per il suo bene di non averne mai! PAOLINO (irritatissimo, cercando il pretesto per litigare): Ma questo Š in contraddizione con ci• che lei ha detto or ora di me! PERELLA: Che cosa ho detto? PAOLINO: Che io sono pieno di scrupoli... non so quali... PERELLA (stordito): Ah, lei desidera allora di prender moglie? PAOLINO: No! Non dico questo! Dico che lei s'inganna sul conto mio! PERELLA: M'inganno? PAOLINO: Sissignore! E commette anche la pi— crudele delle ingiustizie! PERELLA: Verso chi? Verso lei? Verso le mogli? PAOLINO: Verso le mogli, sissignore! PERELLA: Lei le difende? PAOLINO: Le difendo, sissignore! PERELLA: Ah! ah! ah! ah! - Le difende... - Sa perch‚ le difende lei? Perch‚ non ne ha! E si serve - ci scommetto - di quelle degli altri... - Ecco perch‚ le difende! PAOLINO: Io? Io? Lei dice questo a me? osa dire questo a me? Lei? PERELLA (richiamandolo costernato): Professore! (E lo richiamer… cos• altre volte durante la battuta seguente, sempre pi— costernato). PAOLINO: Lei m'insulta! Sono un uomo onesto, io! Sono un di coscienza, io! Sono un uomo, per sua regola, che si pu• anche trovare, uomo s• - senza volerlo, - in una situazione disperata. S!, ma non Š vero, non Š vero che vorrei servirmi delle mogli degli altri! Perch‚ se fosse cos•, non le avrei detto, come le ho detto or ora, che un marito non dovrebbe mai trascurare la moglie! E le aggiungo ora, che un marito che trascura la moglie, per me, commette un delitto! e non uno solo! pi— delitti! S, perch‚ non solamente costringe la moglie che pu• anche essere una santa donna - a venir meno ai suoi doveri verso se stessa, verso la sua onest…, ma anche perch‚ pu• costringere un uomo, un altro uomo, ad essere infelice per tutta la vita! S•! s•! legato a soffrire di tutto il martirio di quella povera donna! E chi sa! chi sa! Ridotto all'estremo limite della sua sofferenza, anche la libert…, la libert… pu• perdere, quest'uomo! glielo dico io, glielo dico io, signor capitano! (Il signor Paolino dir… tutto questo con foga man mano crescente, facendosi quasi sopra al Capitano, che lo ascolta sbalordito. Pare, a un certo punto, che il signor Paolino debba da un momento all'altro, trarre un'arma dalla tasca e uccidere il Capitano. Si schiude allora l'uscio a destra e compare la signora Perella, atterrita, disfatta, con tutta la truccatura andata a male sulla faccia squallida. Non ha forza n‚ di muoversi n‚ di parlare). SCENA QUARTA. La SIGNORA PERELLA e DETTI. SIGNORA PERELLA: Oh Dio... che cos'Š? che cos'Š? PERELLA: E chi ne capisce nulla? Il professore qua Š montato su tutte le furie, discutendo delle mogli e dei mariti... PAOLINO: Ma perch‚ io dicevo... SIGNORA PERELLA: Calma! Calma! Per carit…... Non dica... non dica pi— nulla, professore... Guardi, piuttosto... - mi ajuti... (S'avvicina al portafiori e fa per prendere un vaso) ...m'ajuti, la prego... PAOLINO (raggiante): Ah... s•? (Prende il vaso). Questo vaso? Vuole, vuole che lo porti alla veranda? SIGNORA PERELLA: S•... ma lo dia a me, questo... lo porto io... Ne... ne prenda un altro lei... Se non se n'ha a male... PAOLINO (restando e facendosi brutto): Un altro? A male io? Ma che dice? Fe... felicissimo! SIGNORA PERELLA: E allora... la prego... (Va a collocare il vaso sul davanzale della finestra sulla veranda). PAOLINO: Ecco... ecco... (Eseguisce). Lo mettiamo qua? (Lo posa accanto al primo). Cos•? SIGNORA PERELLA: S•, grazie... (E seguita per suo conto a prendere e a portare al davanzale il terzo e il quarto vaso mentre Paolino, pieno di sdegno e di sarcasmo, si precipita ad abbracciare il Capitano che guarda sbalordito). PAOLINO: Ah! Mi scusi, mi scusi tanto, caro capitano, mi scusi! PERELLA: E di che? PAOLINO: Ma di tutte le bestialit… che poc'anzi mi sono scappate di bocca! Ero cos nervoso! Ma Š stato uno sfogo, che mi ha tanto giovato! M'Š passato tutto... Sono contento ora... tanto contento... Mi scusi e grazie, grazie, signor capitano! Con tutto il cuore! Guardi, l…... che azzurro... che bella giornata s'Š fatta! (e quei... con stupore che Š quasi terrore) uh! cinque, cinque vasi l…! SIGNORA PERELLA (che ha il quinto vaso tra le mani, che contiene il giglio, la mostrandolo, vergognosa, con gli occhi bassi): Ridanno vita... PAOLINO (subito): A una casa, gi…! Grazie, grazie, capitano! Scusi! Sono veramente una bestia! PERELLA (scrollando il capo, professore, bisogna essere uomini! sentenzioso): Eh, caro (E si tocca pi— volte il petto col dito). PAOLINO: A lei Š facile, la Virt— in persona! TELA. capitano - con una signora come la sua: