Interpello e accordi amministrativi (dir. trib.)

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Il diritto di interpello è un istituto regolamentato per la prima volta dall’articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, per l’applicazione delle norme antielusive; ha poi trovato più
ampia applicazione a seguito dell’emanazione dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 27 luglio 2000 n. 212) e ulteriore impulso nella normativa tributaria successiva.
L’interpello consiste in un'istanza che il contribuente rivolge all'Amministrazione Finanziaria, preventivamente al porre in essere operazioni economiche fiscalmente rilevanti, volto ad
ottenere dall’ente impositore un chiarimento e la valutazione circa la legittimità tributaria laddove vi siano obiettive condizioni di incertezza nella normativa.
Oggetto dell’istanza di interpello sono imposte, tasse e tributi di competenza di organi diversi dell’Amministrazione Finanziaria.
Rientrano nella competenza dell'Agenzia delle Entrate gli interpelli in materia di:
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imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef);
imposta sul reddito delle società (Ires); - imposta regionale sulle attività produttive (Irap); - imposta sul valore aggiunto (Iva);
imposta di bollo ed imposta di registro;
tasse sulle concessioni governative;
tributi minori.
L’istanza è presentata, di norma, alla Direzione Regionale competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente.
Rientrano nella competenza dell’Agenzia delle Dogane le istanze di interpello in materia di Accise.
Anche gli Enti locali e del settore pubblico allargato sono destinatari di istanze di interpello, per quanto di specifica competenza:
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le Regioni per quanto attiene ai tributi regionali ed all’addizionale regionale Irpef;
le Provincie per i tributi provinciali;
i Comuni per quanto attiene all’Ici, alle addizionali comunali Irpef, alla tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani (TARSU) ed alle altre tasse la cui potestà impositiva
sia loro demandata;
il Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.) per le iscrizioni di ipoteche sui beni mobili registrati.
Si distinguono tre diverse categorie di interpello.
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1) Istanze ai sensi dell’articolo 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, legge 212/2000
Costituisce il gruppo più nutrito, comprendente:
istanze di interpello cosiddetti ordinario;
istanze per la continuazione del consolidato nazionale, previsto dall’articolo 124, comma 5°, del TUIR;
istanze per verificare la sussistenza dei requisiti necessari ai fini dell’opzione per il consolidato mondiale, previsto dall’articolo 132, comma 3°, del TUIR;
istanze per la disapplicazione del regime dellaparticipation exemption sulle partecipazioni acquisite per il recupero dei crediti bancari, previsto dall’articolo 113, comma
1°, del TUIR;
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istanze per escludere l’applicazione del limite di utilizzazione dei crediti d’imposta, di cui all’articolo 1, comma 53°, della legge n. 244/2007;
istanze di disapplicazione della disciplina sulle Controlled foreign companies (CFC) ai sensi degli articoli 167 e 168 del TUIR.
2) Istanze ai sensi dell’articolo 21 della Legge 413/1991
Le istanze sono rivolte a richiedere ed ottenere all’Amministrazione finanziaria un parere, su ogni caso concreto e personale, relativo al carattere potenzialmente elusivo di operazioni
che potrebbero essere ricondotte nel novero degli articoli 37, comma 3, e 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973. Le istanze di interpello possono essere presentate
anche in relazione alla necessità di determinare preventivamente il corretto trattamento fiscale nonché la deducibilità di determinate spese. Questa tipologia di interpello è, inoltre,
applicabile alle fattispecie inerenti la deducibilità dei costi derivanti da operazioni tra soggetti residenti e soggetti domiciliati in territori con regimi fiscali privilegiati, contenute nella
cosiddetta "Black List".
3) Istanze di interpello disapplicativo ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973
Costituisce la tipologia di interpello che più d’ogni altra presuppone la partecipazione del contribuente all’attività amministrativa, al fine di tutelare proprie posizioni giuridiche.
L’istanza sottintende lo scopo di disapplicare norme antielusive che, in linea di principio, trovano applicazione giuridica in riferimento al caso descritto: limitazione di deduzioni,
detrazioni, crediti d’imposta ed altre posizioni soggettive. Sono ricomprese in questo ambito le istanze delle società non operative, che beneficerebbero di una causa di esclusione
automatica. In ogni caso, spetta al contribuente l’onere di provare che gli effetti elusivi che la fattispecie normativa intende evitare, nella situazione concreta non debbano applicarsi, da
cui deriva la dizione di “interpello disapplicativo”.
COME SI FA
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A pena d’inammissibilità, tutte le tipologie di interpello devono essere presentate in via preventiva, ossia prima della presentazione della dichiarazione dei redditi in cui sono ricompresi
gli effetti del comportamento fiscalmente rilevante, o del negozio giuridico, che ha generato la condizione di incertezza applicativa della norma tributaria.
A fronte della fattispecie esposta in istanza, è preferibile che l’istante “suggerisca” all’ente impositore la soluzione ritenuta corretta: la cosiddetta “soluzione proposta dal contribuente”.
Le istanze vanno presentate in carta libera e devono contenere i seguenti elementi:
i dati anagrafici del contribuente e del suo legale rappresentante;
l’eventuale procura al professionista di fiducia;
l’indicazione del tipo di istanza (in particolare, se il contribuente richiede espressamente una risposta ad interpello) e della specifica tipologia di interpello su cui è
richiesto il parere;
la descrizione dettagliata del caso oggetto dell'interpello, ossia l’esposizione della situazione concreta che ha generato il dubbio interpretativo o in relazione alla quale si
ritiene che trovi applicazione una deroga al regime ordinario, e/o sul quale vi sono fondati motivi di incertezza;
l’indicazione dei valori economici interessati dall’interpello, l’eventuale beneficio fiscale di cui il contribuente ritiene possa legittimamente avvalersi attraverso la
soluzione indicata;
la data e la sottoscrizione dell'istanza da parte del contribuente.
Sono considerate inammissibili le istanze di interpello che:
siano prive dei dati identificativi del richiedente, prive della firma;
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siano presentate dai professionisti privi di procura;
vengano presentate su questioni prospettate in maniera generale e astratta o che costituiscano riproposizioni di precedenti istanze o richieste di riesame;
interferiscano con le attività di accertamento, riguardando casi già sottoposti a controllo;
di interpello ordinario, presentate in mancanza di condizioni obiettive di incertezza o quando l’Amministrazione ha già fornito chiarimenti;
di interpello disapplicativo, nei casi in cui la norma della quale si richiede la disapplicazione non ha lo scopo di contrastare comportamenti elusivi;
di interpello ex articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973, presentate dalle società non operative, che beneficerebbero di una causa
di esclusione automatica della relativa disciplina;
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di interpello non sufficientemente circostanziate nella definizione del caso concreto;
tardive, ovvero di interpello non presentato prima di porre in essere le operazioni oggetto di incertezza applicativa.
CHI
Ciascun contribuente (persona fisica, ente, società o soggetto passivo d’imposta) può proporre quesiti agli organi dell’amministrazione finanziaria ed agli Enti locali territoriali, qualora
sussistano obiettive condizioni di incertezza nella normativa fiscale relativamente a casi concreti e personali.
Considerando la particolarità delle materie e la necessità di argomentare compiutamente la fattispecie, è consigliato che la redazione dell’istanza e la sua presentazione siano delegate ad
un professionista esperto in diritto tributario: commercialista, revisore contabile, avvocato.
Al professionista deve essere conferita regolare procura. L'Amministrazione Finanziaria, e gli Enti locali addotti, sono obbligati a fornire risposta mediante notifica o comunicazione
(anche telematica) al contribuente interpellante, nel termine di 120 giorni dalla data di presentazione dell’istanza.
Per accelerare i tempi è consigliabile che il richiedente indichi nell’istanza il proprio recapito telefax o indirizzo e-mail. In caso di mancata risposta (il cosiddetto “silenzio-assenso”),
l'interpretazione della norma tributaria prospettata dal contribuente è da considerarsi corretta, sempreché l'istanza sia ammissibile e che sia la fattispecie presentata che la soluzione
prospettata siano state esposte in modo chiaro e univoco.
Il parere espresso dall’Amministrazione Finanziaria non vincola il contribuente, che può decidere di non uniformarsi.
Differentemente, gli uffici dell’Amministrazione finanziaria – salvo il caso di rettifica del parere – non possono emettere atti impositivi e/o sanzionatori difformi dal contenuto della
risposta fornita in sede d’interpello.
FAQ
Considerando che l’istanza di interpello deve essere preventiva all’atto o azione da porre in essere, spesso le imprese si trovano costrette a presentare istanze non complete: l'interpello presentato rimane
comunque valido?
No, l’istanza in questo caso sarebbe dichiarata inammissibile in quanto non sufficientemente circostanziata nella definizione della fattispecie concreta in relazione alla quale è richiesto
il parere. Infatti è onere che incombe sul contribuente l’esporre in modo chiaro e documentare in maniera esaustiva tutti gli elementi conoscitivi utili a ricostruire la fattispecie concreta
in relazione alla quale è richiesto il parere. Il contribuente non può, pertanto, limitarsi ad una rappresentazione sommaria ed approssimativa della fattispecie di interesse, ponendo a
carico dell’amministrazione l’onere di ricavare dall’eventuale documentazione allegata le informazioni necessarie alla compiuta definizione della fattispecie medesima. Postulato
fondamentale è la presentazione dell’istanza in via preventiva, quindi si consiglia vivamente di valutare compiutamente tutti i riflessi di natura tributaria, prima di porre in essere
l’operazione oggetto di incertezza applicativa. Pertanto, stante la delicatezza della materia, si auspica che il contribuente interessato ponga particolare attenzione agli obiettivi ed alle
finalità cui mira l’istanza ed ai tempi per la sua proposizione all’amministrazione. Qualora, tuttavia, l’istanza fosse già stata presentata, sia carente o non completa, e non sia ancora
trascorso il termine per la risposta (o decorso il termine per il formarsi del silenzio-assenso), e sempre che non sia ancora stato posto in essere il comportamento oggetto delle domanda,
si suggerisce di presentare una nuova istanza richiamando la precedente, specificando le ragioni di fatto che mutano, altresì allegando la precedente istanza a corredo della nuova.
Il contribuente come può conoscere se in quel momento è stato presentato un interpello simile al proprio, magari in un altro ufficio? E' possibile che a fattispecie identiche più enti dell'Amministrazione
Finanziaria forniscano risposte differenti?
L’istanza di interpello, inerente materia di competenza dell’Agenzia delle Entrate, è presentata alla Direzione Regionale competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente.
Non è impossibile, in linea generale, che sulla medesima questione possano essere forniti pareri discordanti; anzi ciò può accadere in relazione al mutare della normativa e
dell’orientamento. Tuttavia esiste un monitoraggio delle fattispecie. Come specificato dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E/2010, le istanze vengono attribuite
espressamente alla Direzione Centrale Normativa, demandando alle Direzioni Regionali la facoltà di proporre apposita richiesta ai fini dell’inserimento nel servizio di documentazione
tributaria, in considerazione della rilevanza della questione affrontata. Qualora la fattispecie prospettata risulti comune ad una pluralità di contribuenti , l’amministrazione ha facoltà di
procedere alla c.d. “risposta collettiva” mediante la pubblicazione di una circolare o di una risoluzione ministeriale quando la medesima questione ovvero analoghe questioni siano state
prospettate da un numero elevato di contribuenti, tale da configurare l’interesse di una più ampia platea di soggetti a conoscere il parere dell’amministrazione in relazione ad una
determinata fattispecie. I contenuti di una risoluzione ministeriale, emanata in risposta ad un interpello, assumono validità di carattere generale.
Sembra di capire che, una volta ottenuta la risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate o dal diverso ente impositore, lo stesso ha facoltà di mutare l’orientamento. Come si deve comportare il contribuente
in questo caso?
1.
2.
Esattamente. È sempre possibile per l'amministrazione ritornare sulla questione fornendo al contribuente una risposta diversa da quella data precedentemente.
Qualora ciò accada vengono a verificarsi due distinte situazioni:
se il contribuente ha già dato applicazione alla norma secondo il parere ricevuto (ovvero indicato dall'istante in caso di carenza di risposta, per effetto del silenzioassenso) la questione non si ripropone per il passato, ma se in futuro il contribuente ricadesse nelle medesime condizioni, dovrà obbligatoriamente applicare l'ultima interpretazione
dell'amministrazione;
diversamente, se il contribuente non ha ancora dato attuazione al primo parere, il cambio di orientamento comporterà il pagamento delle maggiori imposte e interessi ma
senza l'irrogazione di sanzioni.
Interpello e accordi amministrativi (dir. trib.)
Diritto on line (2013)
INDICE
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1INTRODUZIONE
2L’INTERPELLO ORDINARIO
2.1OSSERVAZIONI GENERALI
2.2ASPETTI PROCEDIMENTALI
2.3GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA
3GLI INTERPELLI IN MATERIA DI CFC, DIVIDENDI E PLUSVALENZE E CONSOLIDATO
4L’INTERPELLO SPECIALE
4.1OSSERVAZIONI GENERALI ED AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO
4.2IL PROCEDIMENTO DI PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA
4.3GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA
5L’INTERPELLO DISAPPLICATIVO
5.1L’ULTIMO COMMA DELL’ART. 37 BIS
5.2IL CASO DELLE SOCIETÀ DI COMODO
6IL RULING DI STANDARD INTERNAZIONALE
6.1OSSERVAZIONI GENERALI
6.2GLI EFFETTI DELL’ACCORDO
6.3LA PROCEDURA NECESSARIA PER PERFEZIONARE L’ACCORDO
7LA TUTELA GIURISDIZIONALE
FONTI NORMATIVE
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
di Ernesto-Marco Bagarotto
Interpello e accordi amministrativi (dir. trib.)
Abstract
Vengono esaminate le varie forme di interpello presenti nel nostro ordinamento. Oltre al c.d. interpello ordinario (il cui iter viene seguito anche in materia di CFC,
dividendi, plusvalenze e consolidato nazionale e mondiale) viene analizzato il c.d. interpello speciale (o antielusivo), l’interpello disapplicativo ed il ruling di standard
internazionale, che – diversamente dagli altri istituti in esame – non si chiude con un parere rilasciato unilateralmente dall’Amministrazione, ma con un accordo tra
quest’ultima ed il contribuente. Sono oggetto di voci distinte, invece, la transazione fiscale, l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale.
1. INTRODUZIONE
A decorrere dall’inizio degli anni novanta, nel nostro ordinamento sono state progressivamente introdotte diverse forme di interpello.
Esse, in primissima battuta, possono essere definite come procedure che riconoscono al contribuente la possibilità di richiedere ed ottenere una pronuncia da parte
dell’Amministrazione finanziaria in merito alle modalità di applicazione o alla possibilità di disapplicazione di specifiche disposizioni tributarie, con riguardo a casi di
concreto interesse per il contribuente (sulla centralità della circostanza che il contribuente ha il diritto, non solo di presentare richieste all’Amministrazione, ma anche
di ottenere risposte «qualificate» da quest’ultima, v. Fantozzi, A., Il diritto tributario, Torino, 2003, 236).
Si tratta, dunque, di strumenti volti a tutelare il contribuente ed a garantirgli il diritto sia di conoscere anticipatamente la posizione dell’Amministrazione finanziaria
qualora si verifichi una situazione di incertezza, sia di fare affidamento su di essa (Marongiu, G., Riflessioni sul diritto d’interpello, in Corr. trib., 2002, 1408; Miccinesi,
M., L’interpello, in Marongiu, G., a cura di, Lo statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2004, 96-97; sulla circostanza che l’istituto dell’interpello è caratteristico del
diritto tributario, v. Ragucci, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino, 2009, 119).
La natura di tali procedure, peraltro, non è pacifica, ma va segnalata la tendenza a ricomprenderla – o, comunque, ad avvicinarla – all’attività accertativa (Miccinesi,
M., L’interpello, cit., 91; Pistolesi, F., Gli interpelli tributari, Milano, 2007, 72; Moscatelli, M.T., L'interpello del contribuente, in Fantozzi, A.-Fedele A., a cura
di,Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 633).
Ora, la concreta disciplina delle diverse procedure di interpello è caratterizzata da marcate differenze quanto all’iter da seguire, alla tempistica, ai soggetti destinatari
dell’istanza e – soprattutto stando alle formule letterali impiegate dal legislatore – agli effetti della risposta dell’Amministrazione.
Si è così prodotta una situazione fortemente disorganica, tant’è che in dottrina è stato auspicato un riordino delle procedure di interpello (in argomento, v. Tosi, L.,Gli
aspetti procedurali nell’applicazione delle norme antielusive, in Corr. trib., 2006, 3119; Fransoni, G., Integrazione e armonizzazione della disciplina degli interpelli,
in Corr. trib., 2009, 757 ss.; per un tentativo di armonizzazione, non andato a buon fine, v. l’art. 4 del d.d.l. 28.6.2007, n. C 1762).
2. L’INTERPELLO ORDINARIO
2.1 OSSERVAZIONI GENERALI
L’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, unitamente al d.m. 26.4.2001, n. 209, disciplina il c.d. interpello ordinario.
In base a tale disposizione, il contribuente può inoltrare all’Agenzia delle entrate «circostanziate e specifiche istanze di interpello concernenti l'applicazione delle
disposizioni tributarie a casi concreti e personali – diversi da quelli oggetto di «interpello speciale» – qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta
interpretazione delle disposizioni stesse (sull’ampiezza dell’ambito applicativo dell’istituto v. Marongiu, G., Riflessioni sul diritto d’interpello, cit., 1412).
Si tratta di un interpello volto a garantire al contribuente la conoscenza preventiva della posizione dell’Amministrazione finanziaria in ordine alle modalità di
applicazione di disposizioni tributarie (anche di fonte secondaria, come confermato dalla Circolare n. 50 del 2001, ma non di atti privi di contenuto normativo o di
norme in materia processuale o penale tributaria: sul punto v. Zizzo, G., Commento all’art. 11, in Commentario breve alle leggi tributarie, I, Padova, 2011, 575;
Moscatelli, M.T., L'interpello del contribuente, cit., 618) a casi specifici di interesse del contribuente (pertanto, come indicato dalla Circolare n. 50 del 2001, l’atto o
l’operazione oggetto di interpello debbono essere riconducibili alla «sfera di interessi del soggetto istante», circostanza che non si verifica per le associazioni di categoria
e gli enti rappresentativi di interessi diffusi che intendano conoscere l'interpretazione di norme applicabili da parte dei propri associati o rappresentati, che potranno
azionarsi mediante la c.d. consulenza giuridica descritta nella circolare n. 99 del 2000) nel caso in cui la loro lettura sia caratterizzata da obiettive condizioni di
incertezza.
2.2 ASPETTI PROCEDIMENTALI
L’interpello – che per espressa previsione normativa non ha effetti sulle scadenze tributarie – deve essere attivato con istanza alla Direzione regionale dell'Agenzia delle
entrate, competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente (le amministrazioni centrali dello Stato, gli enti pubblici a rilevanza nazionale ed i c.d. «grandi
contribuenti», invece, debbono presentarla alla Direzione centrale normativa e contenzioso dell'Agenzia delle entrate).
L’istanza deve essere sottoscritta dal contribuente (o dal suo legale rappresentante: per un caso in cui è stata riconosciuta la rilevanza di una risposta fornita ad
un’istanza presentata da un professionista incaricato e delegato da una società v. Cass., 29.9.2010, n. 20421, nonché Basilavecchia, M., Efficacia soggettiva
dell’interpello, in Riv. giur. trib., 2011, 24 e Pistolesi, F., Risposta ad interpello inammissibile e tutela dell’affidamento, in Rass. trib., 2011, 715): la mancata
sottoscrizione è sanata se il contribuente provvede alla regolarizzazione dell'istanza entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito da parte dell'ufficio.
L’istanza, inoltre, deve contenere la circostanziata e specifica descrizione del caso concreto e personale da trattare ai fini tributari sul quale sussistono concrete
condizioni di incertezza; copia della documentazione rilevante ai fini della individuazione e della qualificazione della fattispecie prospettata; l'esposizione del
comportamento e della soluzione interpretativa che si intendono adottare.
L’art. 1 del d.m. n. 209/2001, inoltre, stabilisce che l’istanza debba essere presentata «prima di porre in essere il comportamento o di dare attuazione alla norma oggetto
di interpello». A tal proposito, la circolare n. 50 del 2001 ha precisato che la preventività deve intendersi riferita al comportamento «tributario» (non necessariamente
all’atto o all’operazione a cui si collega il comportamento tributario da porre in essere), talché l’istanza deve essere proposta prima di «presentare la dichiarazione dei
redditi, prima di assolvere l'imposta di registro connessa con la registrazione dell'atto, prima di emettere la fattura IVA, ecc.».
L’Amministrazione deve dare risposta – scritta ed adeguatamente motivata – all’istanza entro 120 giorni dal suo deposito, ricezione o regolarizzazione (in caso di
istanza priva di sottoscrizione).
Prima di fornire la risposta, l’Amministrazione può richiedere (una sola volta) al contribuente di integrare la documentazione esibita, qualora ciò sia ritenuto necessario
per inquadrare la questione oggetto di istanza e fornire correttamente il parere: in questa fattispecie il termine di 120 giorni decorre dal momento in cui
l’Amministrazione riceve dal contribuente la documentazione richiesta.
La risposta può essere anche collettiva, qualora vengano formulate richieste analoghe da parte di un numero elevato di contribuenti, fermo restando che tutti i
contribuenti istanti debbono essere informati della risposta (su tale fattispecie v. Moscatelli, M.T., La risposta collettiva all’interpello dei contribuenti, in Riv. dir. trib.,
2004, I, 1395).
Il co. 2 dell’art. 11 disciplina una forma di «silenzio-assenso», poiché stabilisce che qualora il contribuente non riceva risposta entro il termine di 120 giorni «si intende
che l'amministrazione concordi con l'interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente».
2.3 GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA
Il co. 2 dell’art. 11 stabilisce che tutti gli atti, anche impositivi o sanzionatori, aventi contenuto difforme dalla risposta – resa espressamente o mediante silenzio-assenso
– sono nulli.
Come specificato dall’art. 5 del d.m. n. 209/2001, la risposta dell'Amministrazione ha efficacia esclusivamente nei confronti del contribuente istante e con riferimento al
caso oggetto dell'istanza di interpello ed ai comportamenti successivi riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da
parte dell'amministrazione finanziaria (sull’opponibilità anche da parte di eventuali coobbligati, stante l’identità di presupposto, v. Pistolesi, F., Gli interpelli tributari,
cit., 67).
La risposta positiva dell’Amministrazione, dunque, garantisce il massimo di protezione del contribuente da eventuali futuri provvedimenti impositivi o sanzionatori e
costituisce una manifestazione della rilevanza del principio dell’affidamento (Miccinesi, M., L’interpello, cit., 91; Nussi, M., Prime osservazioni sull’interpello del
contribuente, in Rass. trib., 2000, 1861). Di converso, la risposta non vincola in alcun modo il contribuente, il quale potrà liberamente applicare la normativa tributaria
in modo difforme rispetto a quanto ritenuto corretto nella risposta.
L’art. 5 del d.m. n. 209/2001 disciplina l’ipotesi di rettifica della risposta da parte dell’Amministrazione e prevede che questa possa recuperare le imposte
eventualmente dovute (maggiorate di interessi, ma senza sanzioni) solamente nel caso in cui il contribuente non abbia ancora posto in essere il comportamento
specifico prospettato o dato attuazione alla norma oggetto d'interpello.
Il recupero delle sole imposte ed interessi (senza sanzioni) è previsto altresì nel caso in cui l’Amministrazione risponda tardivamente (cioè oltre il termine di 120 giorni)
ed il contribuente abbia già posto in essere il comportamento oggetto di un’istanza che, tuttavia, era priva dell’indicazione della soluzione interpretativa ritenuta
corretta.
Da ultimo, alla luce della particolare «protezione» garantita dall’art. 11 – in termini di imposte e sanzioni – si deve a fortiori ritenere non configurabile la punibilità
sotto il profilo penale del contribuente che si sia adeguato al parere reso a seguito di interpello ordinario (al pari di quanto, come vedremo, espressamente previsto con
riferimento all’«interpello speciale»).
3. GLI INTERPELLI IN MATERIA DI CFC, DIVIDENDI E PLUSVALENZE E CONSOLIDATO
Un richiamo a parte merita di essere effettuato con riferimento all’interpello in materia di società estere controllate e collegate (c.d. «interpello CFC») ed ai connessi
interpelli in materia di dividendi e plusvalenze.
L’art. 167 del TUIR stabilisce che, per disapplicare la normativa in materia di società estere controllate il contribuente «deve interpellare preventivamente
l'amministrazione finanziaria ai sensi dell'art. 11 della l. 27.7.2000, n. 212» (tale previsione vale anche per la normativa di cui al successivo art. 168, in materia di società
estere collegate).
L’«interpello CFC» richiama le modalità dell’interpello ordinario, ma il relativo oggetto tende a discostarsene, considerato che consiste nella valutazione delle prove che
il contribuente ha a disposizione per dimostrare la sussistenza delle cause di disapplicazione del regime dettato dall’art. 167, cioè che la società estera partecipata svolga
un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento o, alternativamente, che dalle
partecipazioni non consegua l'effetto di localizzare i redditi in «paradisi fiscali».
Le modalità di presentazione dell’«interpello CFC», per di più, sono lievemente diverse: l’art. 5 del d.m. 21.11.2001, n. 429 stabilisce che, da un lato, l’interpello è rivolto
alla Direzione centrale per la normativa e il contenzioso, per il tramite della Direzione regionale per le entrate competente per territorio e, dall’altro lato, la risposta è
resa entro centoventi giorni, ovvero per le imprese già operanti nei «paradisi fiscali», entro centottanta giorni, dalla data di ricezione dell'istanza.
Restano invece ferme le ulteriori previsioni in materia di interpello ordinario, stabilite dall’art. 11 dello Statuto e dal d.m. n. 209/2001 [in argomento v. Giovannini,
A., L’interpello preventivo all’Agenzia delle entrate (C.F.C. e Statuto dei diritti del contribuente), in Rass. trib., 2002, 452 ss.].
Le modalità dell’«interpello CFC» sono richiamate altresì dagli artt. 47, 68, 87 e 89 del TUIR, in materia di tassazione dei dividendi e delle plusvalenze in capo a soggetti
passivi IRPEF ed IRES.
Dette disposizioni, infatti, stabiliscono che le limitazioni ai regimi di esenzione delle plusvalenze e di esclusione dei dividendi, previste per i redditi provenienti da
società residenti in «paradisi fiscali», non trovino applicazione in caso di positiva conclusione di una procedura di interpello, secondo le modalità dettate in materia di
«interpello CFC».
In tali casi, il contribuente – attraverso l’istanza – dovrà dimostrare che non è stato conseguito, sin dall'inizio del periodo di possesso, l'effetto di localizzare i redditi in
Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati.
Ed ancora, va segnalato che l’interpello ordinario viene richiamato anche nell’ambito della normativa del consolidato nazionale (dall’art. 124 del TUIR, in base al quale,
nel caso di fusione della società o ente controllante con società o enti non appartenenti al consolidato, può essere richiesta, mediante l'esercizio di interpello ordinario,
la continuazione del consolidato) e del consolidato mondiale (l’art. 132 del TUIR, infatti, stabilisce che la società controllante deve proporre istanza di interpello ai sensi
dell’art. 11 dello Statuto per verificare la sussistenza dei requisiti per il valido esercizio dell'opzione: in argomento v. Beghin, M., Note minime a proposito dell'interpello
«obbligatorio» nella disciplina del c.d. «consolidato mondiale», in Boll. trib., 2003, 1285 ss.).
Da ultimo, l’interpello ordinario viene richiamato nell’art. 113 del TUIR, come strumento volto a consentire agli enti creditizi di chiedere all'Agenzia delle entrate che il
regime di participation exemption non si applichi alle partecipazioni acquisite nell'ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione
in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria.
4. L’INTERPELLO SPECIALE
4.1 OSSERVAZIONI GENERALI ED AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE DELL’ISTITUTO
La prima forma di interpello introdotta nell’ordinamento tributario è quella contenuta nell’art. 21 della l. 30.12.1991, n. 413.
Si tratta del c.d. interpello «speciale» o «antielusivo», così definito poiché il suo ambito di applicazione è delimitato a specifiche fattispecie individuate dal legislatore,
accomunate dal fatto di riguardare l’applicazione di disposizioni aventi tendenzialmente finalità di contrasto all’elusione (sulla tassatività delle materie su cui può essere
attivato l’interpello speciale v. Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive, Pareri 27.10.2004, n. 28; 23.9.2002, n. 17; in dottrina v. Pistolesi, F., Gli
interpelli tributari, cit., 7).
L’interpello può essere impiegato con riferimento all’applicazione a casi concreti delle disposizioni in materia di interposizione (art. 37, co. 3, d.P.R. 29.9.1973, n. 600) e
di contrasto alle operazioni elusive (art. 37 bis), nonché alla qualificazione delle spese sostenute dal contribuente tra quelle di pubblicità e di propaganda ovvero tra
quelle di rappresentanza (sebbene i profili di incertezza sul punto siano venuti in gran parte meno a seguito delle modifiche apportate all’art. 108 del TUIR).
Inoltre, ai sensi dell’art. 11, co. 13, della l. n. 413/1991, può essere impiegato per ottenere la disapplicazione della norma sull’indeducibilità dei c.d. costi black list e per
fruire del regime c.d. madre-figlia nei casi di società controllate da soggetti residenti al di fuori dell’UE (v. art. 27 bis del d.P.R. n. 600/1973).
L’interpello speciale, pertanto, ha ad oggetto la qualificazione giuridica di un fatto – specifico e concreto – ai fini di talune disposizioni connotate da profili di incertezza
applicativa (v. La Rosa, S., Prime considerazioni sul diritto di interpello, in Fisco, 1992, 7947 s.; Zizzo, G., Diritto d’interpello e ruling, in Riv. dir. trib., 1992, I, 136;
Nussi, M., Prime osservazioni, cit., 1960) oppure la valutazione degli elementi acquisiti dal contribuente ai fini di disposizioni che addossano al contribuente specifici
oneri probatori (Pistolesi, F., Gli interpelli tributari, cit., 9).
4.2 IL PROCEDIMENTO DI PRESENTAZIONE DELL’ISTANZA
La presentazione dell’istanza di interpello speciale è disciplinata dall’art. 21 e dal d.m. 13.6.1997, n. 195.
La richiesta di parere va inoltrata alla Direzione Centrale per il tramite della Direzione Regionale e deve contenere, a pena di inammissibilità, i dati del contribuente o
del suo rappresentante legale e delle altre parti interessate, la sottoscrizione, l'indicazione dell'eventuale domiciliatario, la descrizione del caso concreto oggetto di
istanza, la soluzione interpretativa che il contribuente sostiene e la documentazione rilevante.
Con il d.l. 29.11.2008, n. 185 la procedura dell’interpello è stata adeguata alla soppressione del «Comitato» (per effetto dell’art. 29, co. 3, del d.l. 4.7.2006, n. 223): una
volta ricevuta l’istanza, la Direzione Regionale trasmette la stessa alla Direzione Centrale entro quindici giorni dalla sua ricezione ed il parere è comunicato al
contribuente entro centoventi giorni dall’istanza: in caso di silenzio dell’Agenzia, il contribuente può diffidare l’Agenzia ad adempiere. Nei sessanta giorni successivi alla
diffida, l’Agenzia può rispondere positivamente, negativamente o non rispondere; in quest’ultimo caso, dopo sessanta giorni dalla diffida si formerà il silenzio assenso.
L’art. 21 prevede che la richiesta del contribuente possa essere avanzata «anche prima» della conclusione del comportamento oggetto di interpello, sicché si deve
ritenere che l’istanza possa non essere preventiva (Pistolesi, F., Gli interpelli tributari, cit., 11). Più dubbia è la questione con riferimento alla fattispecie in materia di
costi «black list», poiché l’art. 11 stabilisce che le prove richieste dal TUIR affinché detti costi siano deducibili non debbano essere fornite qualora il contribuente abbia
«preventivamente» formulato istanza di interpello (sull’obbligatoria preventività dell’istanza v. i pareri 10.7.2003, nn. 9 e 10, contraPistolesi, F., Gli interpelli tributari,
cit., 23; per un approfondimento sull’applicazione della normativa antielusiva da parte del soppresso «Comitato» v. Stevanato, D., La norma antielusiva nei pareri del
comitato per l’interpello, in Dir. prat. trib., 2002, I, 219).
4.3 GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA
L’art. 21 prevede, da un lato, che il parere – sia esso espresso o costituito dal silenzio formatosi sull’istanza del contribuente – ha efficacia esclusivamente nei confronti
del contribuente istante (sulla possibilità di estendere le argomentazioni contenute in un parere nei confronti dei contribuenti che si trovino in situazioni analoghe a
quelle oggetto del parere v. Zoppini, G., Lo strano caso delle procedure di interpello in materia di elusione fiscale, in Riv. dir. trib., 2002, I, 995, n. 11; Lupi, R., La
procedura di interpello ex art. 21, legge n. 413/1991 tra Agenzia e Comitato consultivo, in Caputi, G., a cura di, Il diritto di interpello, Roma, 2001, 86); e, dall’altro
lato, che nella fase contenziosa l'onere della prova ricada sulla parte che non si è uniformata al parere. Quest’ultima formula è piuttosto infelice, poiché sembra
consentire sia al contribuente sia all’Amministrazione finanziaria di discostarsi legittimamente dalla risposta fornita all’interpello, tant’è che una prima parte della
dottrina non riconosceva al parere effetto vincolante per l’Amministrazione finanziaria (in argomento v. Zizzo, G., Diritto d’interpello e ruling, cit., 145; Selicato,
P., L’attuazione del tributo nel procedimento amministrativo, Milano, 2001, 530 ss., il quale si sofferma sulla necessità che l’Ufficio fornisca adeguata motivazione sul
punto).
Secondo altra dottrina, l’onere della prova richiamato dall’art. 21 dovrebbe intendersi riferito esclusivamente alla dimostrazione che la fattispecie prospettata dal
contribuente non coincida con quella effettivamente verificatasi. Conseguentemente, gli atti impositivi elevati a carico del contribuente che si sia adeguato alla risposta
fornita a seguito di interpello speciale dovrebbero essere nulli, a meno che l’Amministrazione non dimostri che l’operazione concretamente posta in essere diverga da
quella descritta nell’istanza (in tal senso Logozzo, M.,L’ignoranza della legge tributaria, Milano, 2002, 258; Della Valle, E., Affidamento e certezza del diritto
tributario, Milano, 2001, 168; Pistolesi, F., Gli interpelli tributari, cit., 32 ss.; Comelli, A., La disciplina dell’interpello: dall’art. 21 della L. n. 413/1991 allo statuto dei
diritti del contribuente, in Dir. prat. trib., 2001, I, 623; Consolo, C., I «pareri» del Comitato per l’applicazione della normativa antielusiva e la loro sfuggente
efficacia, in Dir. prat. trib., 1993, I, 962 s.).
A tal proposito, autorevole dottrina ha ipotizzato l’applicabilità analogica dell’art. 11 dello Statuto e la possibilità di invocare quest’ultima disposizione in quanto norma
generale (v. Falsitta, G., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2008, 373; Tesauro, F., Istituzioni di diritto tributario, Torino, 2000, 235).
Da ultimo, si deve segnalare che l’art. 16 del d.lgs. 10.3.2000, n. 74 stabilisce espressamente la non punibilità per i soggetti che si siano adeguati al parere di cui all’art.
21.
5. L’INTERPELLO DISAPPLICATIVO
5.1 L’ULTIMO COMMA DELL’ART. 37 BIS
L’ultimo comma dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973 stabilisce che il contribuente possa presentare un’istanza per ottenere la disapplicazione di quelle norme
tributarie che «allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse
dall'ordinamento tributario».
L’istanza, come precisato dal d.m. 19.6.1998, n. 259, deve essere indirizzata al Direttore regionale territorialmente competente e spedita all'ufficio finanziario
competente per l'accertamento in ragione del domicilio fiscale del contribuente.
Al fine di ottenere la disapplicazione, il contribuente deve dimostrare che, nel suo specifico caso, non possono verificarsi gli effetti elusivi che la norma di cui si chiede la
disapplicazione mira a contrastare.
L’introduzione di tale forma di interpello consente di trasformare le presunzioni assolute di elusività in presunzioni relative, ponendo a carico del contribuente l’onere
di provare la non ricorrenza di comportamenti elusivi nello specifico caso (così Falsitta, G., Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2010, 226; sulle
difficoltà riscontrabili nell’individuazione delle norme potenzialmente disapplicabili v. La Rosa, S., Nozione e limiti delle norme antielusione analitiche, inCorr. trib.,
2006, 3092).
Diversamente da quanto accade nell’ambito delle altre procedure di interpello, il legislatore non ha attribuito un significato al silenzio dell’Amministrazione (Fantozzi,
A., Il diritto tributario, Torino, 2003, 239): il d.m. n. 259/1998, infatti, si limita a prescrivere che le determinazioni dell’Amministrazione delle entrate «vanno
comunicate al contribuente, non oltre novanta giorni dalla presentazione dell'istanza» (a favore della configurabilità del silenzio assenso v. Falsitta, G.,Manuale di
diritto tributario. Parte generale, cit., 226; Fransoni, G., Efficacia e impugnabilità degli interpelli fiscali con particolare riguardo all’interpello disapplicativo, in
Maisto, G., a cura di, Elusione e abuso del diritto, Milano, 2009, 105).
5.2 IL CASO DELLE SOCIETÀ DI COMODO
Nell’ambito della disciplina delle c.d. società di comodo, contenuta nell’art. 30 della l. 23.12.1994, n. 724, è previsto che il contribuente possa presentare istanza di
interpello disapplicativo, ai sensi dell’art. 37 bis del d.P.R. n. 600/1973, al fine di dimostrare la ricorrenza di «oggettive situazioni» che hanno reso impossibile il
conseguimento dei ricavi minimi desumibili dall’applicazione del sistema di percentuali disciplinato dal citato art. 30. Tale previsione, giova ricordarlo, ha sostituito
l’assetto previgente, in cui l’applicazione di tale sistema era prevista «salvo prova contraria».
Secondo l’Agenzia delle entrate (Circolare 2 febbraio 2007, n. 5/E) il contribuente che intenda comunque essere assoggettato ad imposizione sul reddito effettivo (e non
sul reddito desunto dall’applicazione degli indici percentuali recati dall’art. 30) deve obbligatoriamente attivare l’interpello. In caso di mancata presentazione
dell’interpello, cioè, l’eventuale ricorso del contribuente al Giudice tributario, volto ad ottenere la disapplicazione del regime delle società di comodo, sarebbe
inammissibile.
Tale lettura dell’art. 30 della l. n. 724/1994 è stata criticata in dottrina alla luce di diversi elementi, di carattere sia testuale, sia costituzionale (dovendosi preferire una
lettura idonea a tutelare il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.) sia sistematico (non potendosi ammettere che il delicato tema della prova contraria vada
affrontato e risolto davanti all’amministrazione controinteressata e non davanti ad un Giudice terzo ed imparziale: in tal senso v. Tosi, L., Le società di comodo, Padova,
2008, 10 ss.; similmente v. Pistolesi, F., L’interpello per la disapplicazione del regime sulle società di comodo, in Fisco, 2007, 2995).
Quanto all’oggetto della prova contraria, l’Agenzia delle entrate ritiene che il contribuente debba dimostrare che il mancato conseguimento del livello minimo di ricavi
sia dipeso da circostanze «oggettive», nel senso di «non soggettive» (per alcuni esempi v. Circolare 9.7.2007, n. 44/E).
Giova, tuttavia, precisare che parte della dottrina ritiene che la locuzione «condizioni oggettive» vada letta, piuttosto, per individuare quelle «condizioni» che – siano
esse oggettive o soggettive – risultano verificabili in modo obiettivo (Tosi, L., Le società di comodo, cit., 11).
6. IL RULING DI STANDARD INTERNAZIONALE
6.1 OSSERVAZIONI GENERALI
L’art. 8 del d.l. 30.9.2003, n. 269 (la disposizione è integrata dal provvedimento dell’Agenzia delle entrate 23.7.2004, sulla cui eccessiva ampiezza v. Tosi, L., Ilruling di
standard internazionale, in Dialoghi, 2004, 491) disciplina il ruling internazionale, procedura che consente alle imprese esercenti attività internazionale di stipulare un
«accordo» con l’Amministrazione finanziaria con riferimento ad alcune problematiche fiscali caratteristiche dell’attività internazionale.
Sotto il profilo oggettivo, il legislatore si è limitato a stabilire che il ruling.possa essere azionato «con principale riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli
interessi, dei dividendi e delle royalties». L’espressione «con principale riferimento» conferisce evidentemente carattere non tassativo alle materie richiamate dall’art 8
del d.l. n. 269/2003 (in argomento v. Adonnino, P.,Considerazioni in tema di ruling internazionale, in Riv. dir. trib., 2004, IV, 67 e Tosi, L., Il ruling di standard
internazionale, cit., 492).
Quanto al contenuto materiale dell’accordo conclusivo del ruling, il provvedimento attuativo del Direttore dell’Agenzia delle entrate precisa che esso può riguardare:
la preventiva definizione dei metodi di calcolo del valore normale ai fini del transfer pricing;
l’applicazione di norme, anche convenzionali, concernenti l’erogazione o la percezione di dividendi, interessi, royalties o altri componenti reddituali a o da soggetti non
residenti piuttosto che l’attribuzione di utili o perdite alla stabile organizzazione.
Di converso – come dimostrato dall’impiego del termine «accordo» e dalla previsione di un periodo di validità dello stesso – il contenuto del ruling.non può
corrispondere all’esposizione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’interpretazione delle disposizioni in materia di fiscalità internazionale (così anche
Gaffuri, G., Il ruling internazionale, in Rass. trib., 2004, 490).
6.2 GLI EFFETTI DELL’ACCORDO
Il ruling internazionale, diversamente dalle altre forme di interpello, dovrebbe vincolare sia l’Amministrazione finanziaria sia il contribuente.
Il che significa che l’Amministrazione si impegna ad accettare il comportamento tenuto dal contribuente rispettoso dell’accordo e che il secondo si impegna ad adottare i
criteri di valutazione concordati nell’ambito della procedura di ruling.
Se l’Amministrazione dovesse non rispettare l’accordo, si dovrebbe concludere per la illegittimità del provvedimento impositivo eventualmente emesso in «violazione»
dell’accordo; se, invece, è il contribuente a non rispettare l’accordo, in base al provvedimento attuativo «l’accordo si considera risolto» e sembra corretto affermare che
– non essendovi un principio di affidamento anche a favore dell’Amministrazione – l’obbligazione tributaria debba essere quantificata secondo gli ordinari moduli
procedimentali, prescindendo dal contenuto dell’accordo e (ri)applicando correttamente la normativa al caso concreto (v. Gaffuri, G., Il rulinginternazionale, cit., 500,
secondo il quale la violazione del patto consente alla controparte di chiedere il risarcimento del danno).
Sotto il profilo temporale, l’art. 8 del d.l. n. 269/2003 ha precisato che l’accordo è vincolante per il periodo d'imposta nel corso del quale esso è stipulato e per i due
periodi d'imposta successivi «salvo che intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al fine delle predette metodologie e risultanti dall'accordo
sottoscritto dai contribuenti» (sulle modalità di revisione dell’accordo v. l’art. 11 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate).
Quanto agli effetti sotto il profilo istruttorio-accertativo, il co. 4 dell’art. 8 stabilisce che per i periodi d'imposta coperti dall’accordo, l'Amministrazione finanziaria
esercita i poteri di cui agli artt. 32 ss. del d.P.R. n. 600/1973 «soltanto in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell'accordo» (v., però, anche il successivo art. 9
che introduce obblighi informativi a carico dell’impresa).
6.3 LA PROCEDURA NECESSARIA PER PERFEZIONARE L’ACCORDO
Per quanto riguarda la procedura da seguire, il legislatore si è limitato a stabilire che essa si conclude con la «stipulazione di un accordo» tra l'Agenzia delle entrate ed il
contribuente e che la richiesta di ruling è presentata agli Uffici dell’Agenzia delle entrate di Roma o Milano.
Nel provvedimento attuativo, oltre ad essere specificate le aree di competenza dei due citati Uffici, è previsto che, entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza,
l’Ufficio inviti il contribuente a comparire per tenere un contraddittorio da concludere entro centottanta giorni.
Nel corso del procedimento finalizzato al raggiungimento dell’accordo è previsto che funzionari ed impiegati dell’Agenzia accedano presso le sedi dell’impresa, nei tempi
con questa concordati, «allo scopo di prendere diretta cognizione di elementi informativi utili ai fini istruttori» e che possa essere richiesta «l’attivazione di strumenti di
cooperazione internazionale tra amministrazioni fiscali di diversi paesi».
L’iter del ruling.internazionale potrà concludersi con l’accordo o senza il raggiungimento dell’accordo.
Da ultimo, l’art. 8 del d.l. n. 269/2003 prevede la trasmissione dell'accordo all'autorità fiscale dei Paesi esteri interessati, fermo restando che la scelta operata dal
legislatore è quella di adottare un modello di ruling.con l’intervento della sola Amministrazione finanziaria italiana, con conseguente scarsa efficacia come strumento
volto a scongiurare le doppie imposizioni internazionali, poiché le Amministrazioni fiscali estere non sono vincolate in alcun modo dall’accordo (critico sul punto Tosi,
L., Il ruling di standard internazionale, cit., 502).
7. LA TUTELA GIURISDIZIONALE
Un delicato tema che accomuna tutte le forme di interpello – sia pure con sfumature diverse – è quello della tutela giurisdizionale.
Secondo una certa impostazione (sostenuta anche dall’Agenzia nella circolare n. 7 del 2009) dovrebbe ritenersi preclusa la possibilità di adire al giudice tributario per
ottenere la declaratoria di illegittimità di una risposta negativa ad un interpello, poiché si tratta di atti non ricompresi nell’elenco di cui all’art. 19 del d.lgs. 31.12.1992, n.
546 e perché essi non sono vincolanti per il contribuente (con riferimento all’interpello speciale v. La Rosa, S., Prime considerazioni, cit., 7950; Consolo, C., I «pareri»
del Comitato per l’applicazione della normativa antielusiva e la loro sfuggente efficacia, cit., 963, secondo i quali dovrebbe trovare applicazione il principio della
«tutela differita»; con riferimento all’interpello ordinario v. Miccinesi, M., L’interpello, cit., 96-97; con riferimento all’«interpello CFC» v. Giovannini, A., L’interpello
preventivo, cit., 452 ss.).
Altra dottrina sembra propendere per l’impugnabilità, in considerazione della possibilità di assimilare la risposta ad interpello ad un atto impugnabile (a seconda dei
casi, un accertamento a contenuto negativo o un diniego di agevolazione) e della circostanza che il contribuente può avere un interesse meritevole di tutela ad eliminare
l’incertezza a proposito del trattamento fiscale da riservare ad una determinata fattispecie e, conseguentemente, ad ottenere un parere preventivo rilasciato sulla base di
una corretta interpretazione delle norme e degli elementi illustrati nell’istanza (Tosi, L., Gli aspetti procedurali, cit., 3119).
Con specifico riferimento all’interpello ordinario, va richiamata la sentenza C. Cost., 14.6.2007, n. 191, che – dopo aver qualificato la risposta dell’Amministrazione
come «mero parere, che non integra alcun esercizio di potestà impositiva nei confronti del richiedente» vincolante per l'amministrazione che l'ha reso ma non per il
contribuente – ha affermato che «oggetto di impugnazione può essere, eventualmente, solo l'atto con il quale l'Amministrazione esercita la potestà impositiva in
conformità all'interpretazione data dall'agenzia fiscale nella risposta all'interpello».
Con riferimento all’interpello disapplicativo, la giurisprudenza ha recentemente riconosciuto che il diniego di disapplicazione di norme antielusive è un «atto
impugnabile in via facoltativa», nel senso che il contribuente, in caso di mancata impugnazione del diniego, mantiene il diritto di impugnare il seguente eventuale
avviso di accertamento (Cass., 5.10.2012, n. 17010; precedentemente, la stessa Cass., 15.4.2011, n. 8663, aveva affermato l’obbligatorietà dell’impugnazione del diniego
di disapplicazione al fine di ottenere il rimborso delle maggiori imposte versate in applicazione della normativa sulle società di comodo; prima ancora v. la sentenza
21.12.2004, n. 23731 che aveva annullato un diniego di disapplicazione).
Da ultimo, va segnalato che non manca chi ipotizzi la possibilità di instaurare un giudizio innanzi al Giudice amministrativo (v. Pistolesi, F., Gli interpelli tributari, cit.,
27; Giorgianni, A., L’evoluzione dei rapporti di collaborazione tra amministrazione finanziaria e contribuente: l’interpello alla luce dello statuto del contribuente, Riv.
dir. trib., 2004, I, 241).
FONTI NORMATIVE
Art. 11, l. 27.7.2000, n. 212
Artt. 11 e 21, l. 30.12.1991, n. 413
D.M. 26.4.2001, n. 209
D.M. 21.11.2001, n. 429
Artt. 47, 68, 87, 89, 113, 124, 132, 167 e 168 del TUIR
Art. 37 bis del d.P.R. 29.9.1973, n. 600
D.M. 19.6.1998, n. 259
Art. 8 del d.l. 30.9.2003, n. 269
Provvedimento 23.7.2004
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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2011, 24; Beghin, M., Note minime a proposito dell'interpello “obbligatorio” nella disciplina del c.d. “consolidato mondiale”, in Boll. trib., 2003, 1285; Comelli, A., La
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M., Prime osservazioni sull’interpello del contribuente, in Rass. trib., 2000, 1859; Pistolesi, F., Gli interpelli tributari, Milano, 2007; Pistolesi, F., Risposta ad
interpello inammissibile e tutela dell’affidamento, in Rass. trib., 2011, 715; Ragucci, G., Il contraddittorio nei procedimenti tributari,Torino, 2009; Selicato,
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2008; Tosi, L.-Tommasini, A.-Lupi, R., Ilruling di standard internazionale, in Dialoghi, 2004, 502; Zizzo, G., Commento all’art. 11, in Commentario breve alle leggi
tributarie, I, Padova, 2011, 575; Zizzo,G., Diritto d’interpello e ruling, in Riv. dir. trib., 1992, I, 136; Zoppini, G., Lo strano caso delle procedure di interpello in materia
di elusione fiscale, in Riv. dir. trib., 2002, I, 995.
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