12.Il 1° Dopoguerra

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La pace che preparò una nuova guerra
Le trattative di pace furono condotte dai vincitori con la volontà di punire il nemico.
In particolare alla Germania vennero imposte condizioni pesantissime: ritorno
dell'Alsazia e della Lorena alla Francia, a cui era anche concesso per 15 anni lo
sfruttamento dei giacimenti minerari tedeschi della Saar. La Germania dovette anche
cedere ampi territori alla Polonia, che tornò a essere indipendente. Le colonie
tedesche furono spartite tra Francia, Inghilterra, Belgio e Giappone. L’esercito fu
ridotto e la Germania venne costretta a pagare ai vincitori una cifra enorme, che
avrebbe impedito per anni la ripresa economica dello stato tedesco. Finì l'impero
asburgico. Sorsero nuovi stati: Cecoslovacchia e Jugoslavia, che raggruppava la
Serbia, il Montenegro, la Croazia, la Slovenia e la Bosnia-Erzegovina. Austria e
Ungheria furono ridotte a repubbliche di dimensioni all'incirca pari a quelle attuali.
Fu smembrato l'Impero ottomano, i cui territori in Medio Oriente furono affidati al
mandato francese (il Libano e la Siria) e inglese (la Palestina, la Transgiordania,
l'Iraq). L’Italia ottenne la Venezia Giulia, il Trentino e l'Alto Adige (dove c'era e c'è
tuttora una forte componente di popolazione tirolese di lingua tedesca). Era poco
rispetto alle promesse del Patto di Londra, che non fu mantenuto soprattutto per poter
dare la Dalmazia alla Jugoslavia. Le condizioni inflitte ai paesi vinti e il malcontento
di paesi vincitori (come l'Italia) crearono subito nuovi rancori e desideri di rivincita.
Per iniziativa di Wilson (presidente USA), alla Conferenza di pace di Parigi venne
creata la Società delle nazioni, un organismo internazionale che prevedeva, da parte
degli stati membri, la rinuncia alla guerra come mezzo per la soluzione dei contrasti.
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Questi dovevano essere risolti con la trattativa diplomatica ed erano previste sanzioni
economiche contro gli stati che non avessero rispettato tali criteri. Ma la Società delle
nazioni nacque debole perché ne rimasero esclusi i paesi sconfitti, la Russia e
inaspettatamente gli stessi Stati Uniti, in quanto il parlamento americano respinse la
proposta di Wilson. La capacità di reale intervento per impedire future guerre fu
quindi assai ridotta. La pace appena conclusa rischiava di durare poco.
La Grande guerra non determinò soltanto un terribile massacro, ma in Europa fu
anche all'origine di una gravissima crisi economica e sociale. Durante la guerra, le
nazioni europee avevano sostenuto spese fortissime per le operazioni militari e ora
erano indebitate in modo pesante soprattutto con gli Stati Uniti. Gli USA, poiché la
guerra era stata combattuta in Europa, avevano potuto mantenere intatte le loro
industrie, anzi le avevano potenziate quasi in ogni settore. All'inizio degli anni Venti
oltre il 45% della produzione industriale mondiale proveniva dalle fabbriche
statunitensi. In Europa il paese più provato dal conflitto era la Germania. Avendo
perso alcuni dei suoi territori più ricchi di risorse e dovendo pagare una cifra enorme
come risarcimento per i danni di guerra, questo paese precipitò in una profonda crisi
economica. L’inflazione raggiunse livelli elevatissimi, tanto che, per fare un minimo
di spesa, occorrevano milioni di marchi (il marco era la moneta tedesca) e nell' arco
di qualche giorno la cifra raddoppiava o triplicava. La crescita dei prezzi, che in
modo più limitato riguardò anche gli altri paesi europei, distrusse la sicurezza
economica di molte categorie di cittadini. I risparmiatori che avevano depositi in
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banca videro ridursi giorno dopo giorno il valore dei loro soldi. I lavoratori salariati,
dal canto loro, riscuotevano paghe che di fatto avevano un valore inferiore a quelle
del periodo precedente la guerra. Verso la fine della guerra per risollevare il morale
delle truppe molti stati (fra cui l'Italia) avevano promesso ai soldati la distribuzione
delle terre. Dopo il conflitto, però, le promesse non furono mantenute, suscitando un
profondo malcontento tra i reduci. Inoltre durante la guerra le donne avevano
sostituito gli uomini in molte attività: adesso, però, si poneva il problema di reinserire
nel mondo del lavoro quanti tornavano dal fronte. Costoro, dopo aver rischiato per
anni la vita, aver condotto la durissima esistenza della trincea e aver riportato in molti
casi ferite e mutilazioni, «pretendevano» un posto di lavoro. Il problema della
disoccupazione era aggravato dal fatto che molte industrie durante la guerra erano
state adattate alla produzione di armi Ora bisognava riconvertirle a una produzione di
pace, il che richiedeva tempo e molto denaro. Infine chi al fronte aveva avuto
posizioni di comando (gli ufficiali) si adattava con fatica a tornare a un lavoro
subordinato. Sorsero così associazioni di ex combattenti, che sostenevano gli interessi
dei reduci e appoggiavano i partiti che prendevano le loro difese. La crisi nel primo
dopoguerra fu aggravata anche dalla violentissima epidemia di influenza, nota come
la spagnola, che tra il 1918 e il 1919 provocò oltre 21 milioni di morti, in tutti i
continenti.
In Italia la Grande guerra, sebbene vittoriosa, aveva lasciato dietro di sé pesanti
conseguenze. Lo stato aveva contratto debiti enormi per le spese militari e l'inflazione
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era elevatissima: i prezzi dal 1913 al 1921 all'incirca quintuplicarono. Inoltre durante
la guerra alcuni settori industriali erano cresciuti enormemente sotto la spinta della
continua richiesta di materiali bellici, ma ora avevano gravi problemi per la
riconversione a una produzione di pace. Le classi sociali avevano tutte motivi di
scontento e lo manifestavano in forme più o meno dure. I contadini reclamavano la
terra loro promessa in tempo di guerra. Soprattutto nel Centro-Sud avvennero
occupazioni di latifondi e il governo nel 1919 finì per accettarle, obbligando però i
contadini a pagare un risarcimento ai proprietari. La classe operaia con una serie di
scioperi tentò non solo di recuperare il potere d'acquisto dei salari, che era
notevolmente diminuito a causa dell' aumento dei prezzi, ma anche di acquisire
maggiore potere di decisione nelle fabbriche. I ceti medi, e soprattutto la piccola
borghesia, spesso avevano perso gran parte dei loro risparmi a causa dell'inflazione.
Inoltre proprio dai ceti medi veniva la maggioranza degli ufficiali che avevano
combattuto durante la guerra e ora mal si adattavano a tornare a lavori di ufficio
monotoni e noiosi, il più delle volte malpagati o - peggio - alla disoccupazione. Si
affermarono i grandi movimenti di massa (socialisti e cattolici), dall'altro gli stessi
ceti imprenditoriali (industriali, agrari) talora preferirono affidarsi, anziché ai liberali,
ai più energici movimenti nazionalisti e di estrema Destra per frenare la crescita dei
socialisti. Per quanto riguarda i partiti di massa, nel dopoguerra venne meno il rifiuto
cattolico di partecipare all' attività politica, che si era mantenuto, sebbene con qualche
eccezione, dal tempo della presa di Roma. Nel gennaio del 1919 fu fondato dal
sacerdote siciliano don Luigi Sturzo il Partito popolare italiano (PPI), che proponeva
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un programma ispirato ai princìpi della democrazia e del cattolicesimo. Pur
dichiarando di essere laico, in realtà era profondamente legato alle gerarchie
ecclesiastiche. Il PPI ebbe subito un largo successo e alle elezioni del novembre del
1919 ottenne il 20% dei voti. Parallelamente a quella dei popolari si ebbe una crescita
impetuosa del Partito socialista italiano (PSI) e degli iscritti al sindacato della CGL
(Confederazione generale del lavoro). I socialisti alle elezioni del 1919 raggiunsero
quasi il 32% dei voti.
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