L`origine dell`idea di Israele

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Storia
L’origine dell’idea di Israele
ed i documenti fondamentali
Enzo Fanelli
L
a prima ipotesi della creazione di uno Stato ebraico
può essere fatta risalire alla
seconda metà del secolo scorso
in un periodo in cui l’idea nazionalista presentava il suo massimo
sviluppo in occidente. Fu il commediografo e giornalista Theodor
Herzl1, teorizzatore del Sionismo,
che individuò un preciso programma politico capace di realizzare
una coesione consistente attorno
ad un vero e proprio sentimento
nazionale. Dotato di una notevole personalità e di grande fascino
personale, riuscì a dare in breve
tempo una forza ed una dimensione straordinaria al movimento sio-
nista, anche contro l’opposizione
dei religiosi tradizionalisti. Il suo
primo successo fu la convocazione
del Congresso Mondiale Sionista a
Basilea nel 1897. Una ipotesi iniziale, costituita dall’offerta inglese
di un territorio in Uganda - fatto
che comunque costituì un primo
importante riconoscimento ufficiale
del movimento sionista da parte di
una grande potenza - non fu accettata da alcuni settori dell’ebraismo
che vedevano nella Palestina, sia
per motivi storici che religiosi, il
luogo ove edificare il loro “focolare
nazionale”. I fatti diedero ragione a
questi ultimi e, nel momento stesso
in cui Herzl si spegneva in Austria,
una seconda Aliyah2 ebbe inizio
verso la Palestina, anche a causa
1 Rodinson M.: “Israele ed il rifiuto arabo”, Einaudi Ed., Torino 1969.
2 Denominazione delle fasi del ritorno degli ebrei in Palestina.
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dei “pogrom” antisemiti e dell’insuccesso dei moti rivoluzionari del
1905 in Russia, ai quali avevano
partecipato molti Ebrei. Il fallimento
non solo spense in molti di loro la
speranza di una società più giusta,
ma scatenò contro di essi persecuzioni ancora più violente.
Tra il 1904 ed il 1914 questa ondata di immigrati farà entrare in Palestina circa 40.000 Ebrei, sul mezzo
milione che in quello stesso periodo fuoriusciva dall’Europa Orientale e dalla Russia per dirigersi, soprattutto, verso gli Stati Uniti.
In definitiva, anche se pochi conoscevano la Palestina, i richiami
biblici e le radici storiche dell’ebraismo ebbero la prevalenza su qualsiasi altra ipotesi di localizzazione
Un ritratto di Lord Balfour
A sinistra: Gerusalemme
prospettatasi in quell’epoca. L’esame degli avvenimenti che determinarono la nascita di Israele va
ricollegata ad alcuni eventi prodotti
dal Primo Conflitto Mondiale. Da
oltre un secolo, infatti, ovvero dal
fallimento dell’assedio di Vienna
del 1693, l’Impero Ottomano di
Istanbul doveva assistere ad una
progressiva, lenta ma inesorabile
disintegrazione dei propri territori,
accelerato oltretutto dalla scelta di
campo che l’Impero fece schierandosi con il blocco perdente.
Nella circostanza, cinque furono i
documenti che avranno successivamente una influenza fondamentale sulla questiona arabo-israeliana.
Scambio di lettere tra l’Alto Commissario Britannico al Cairo Mac Mahon
e lo Sceriffo Hussein
Nell’intenzione di ottenere l’appoggio
arabo contro la Turchia, la Gran Bretagna iniziò i negoziati con lo Scerif-
fo Hussein. Il 25 ottobre 1915 l’Alto
Commissario Britannico al Cairo, Sir
Henry Mac Mahon, informava lo Sceriffo che la Gran Bretagna era pronta
a riconoscere e sostenere l’indipendenza degli Arabi aggiungendo, però,
che ogni considerazione sul litorale
mediterraneo sarebbe stato da escludersi poiché esso non avrebbe fatto
parte di un eventuale Stato arabo3.
Gli accordi Sykes-Picot del 1916
Lord Sykes per la Gran Bretagna
e George Picot per la Francia, in
previsione del crollo dell’Impero
Ottomano - il cui smembramento
era oramai divenuto uno dei fini
dell’Intesa - pensarono bene di
accordarsi segretamente su tutto
ciò che riguardava il territorio della
Palestina.
Il progetto stabiliva che la regione
avrebbe assunto le vesti di un territorio internazionale, suddiviso in
zone di influenza, sotto il controllo
preponderante dell’Inghilterra. La
Francia, nella circostanza, si assicurò il protettorato della Siria e del
Libano.
Pressoché contemporaneamente la Gran Bretagna, tenendo
all’oscuro i Francesi ed evitando di
rendere noto l’accordo Sykes-Picot
agli Arabi, assicurò a questi ultimi, nella città sacra della Mecca,
l’appoggio alla realizzazione di un
grande Stato Arabo.
La Dichiarazione di Lord Balfour
del 2 novembre 1917
L’impegno formale prese il nome
dal Ministro degli Esteri britannico dell’epoca e fu espresso sotto forma di lettera inviata a Lord
Rothschild. In essa il Governo di
Sua Maestà, dopo una lunga serie
di contatti e conversazioni con il
principale rappresentante del movimento sionista Chaim Weizmann,
esprimeva la sua favorevole considerazione nei confronti dello “stabilirsi in Palestina di un focolare
nazionale (National Home) e farà
del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo...”.
Quali furono i motivi reali per cui
la diplomazia britannica, tanto sollecita nel cercare di conciliarsi il
favore dei capi arabi, contrastan-
3 Maltese P.: “Nazionalismo arabo e nazionalismo ebraico. 1798 – 1992”. Mursia ed., Milano 1992.
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do anche con il parere negativo
di molte importanti personalità del
mondo ebraico - talune delle quali
appartenenti al Governo o vicine
ad esso - è ancora oggetto di interpretazioni, per lo più contrastanti.
Ciò che oggi emerge, al di là di ogni
dubbio, è che il principale risultato
della Dichiarazione fu il consolidamento della società ebraica che
dagli anni precedenti aveva cominciato a formarsi in Palestina,
aprendo definitivamente le porte
ad ulteriori immigrazioni. L’Yishùv4
saprà infatti consolidarsi in questi anni, accumulando esperienze
preziose, in previsione dei successivi moti ostili arabi.
La Dichiarazione anglo-francese
del 7 novembre 1918
Costituisce il tentativo, rivolto alle
popolazioni delle province meridionali dell’Impero Ottomano, di rassicurare gli Arabi che Francia e Gran
Bretagna non intendevano imporre
un qualche regime speciale, bensì
solo garantire il loro sostegno e la
loro assistenza5.
Se apparentemente poteva intravedersi nella dichiarazione un riconoscimento all’autodeterminazione
di quelle regioni, molti dubbi furono
provocati dall’esatta interpretazione da dare a termini quali “sostegno” ed “assistenza”, tenuto anche
conto dell’uso che di essi era stato
fatto in passato.
La pubblicazione degli accordi Sykes-Picot a cura del Governo Sovietico, che da poco aveva assunto
il potere in Russia, confermarono
le intenzioni delle due potenze europee dirette più verso il “protettorato” che la piena indipendenza.
La Dichiarazione Feisal-Weizmann
Fu questo il prodotto di una situazione ancora non del tutto definita
per ciò che riguardava i rapporti
tra il Sionismo ed il Nazionalismo
Arabo.
Il primo incontro tra il leader sionista ed il figlio dello Sceriffo della
Mecca Feisal, divenuto, dopo aver
guidato la rivolta nel deserto, il portavoce ufficiale del padre Hussein
e delle rivendicazioni arabe, avveniva nel giugno 1918, alla presenza del leggendario T.E. Lawrence
nelle vesti di interprete.
I due si trovarono d’accordo
sull’ipotesi che in Palestina gli interessi degli Ebrei e quelli degli Arabi potevano benissimo convivere
e che l’operato dei primi avrebbe
potuto apportare al paese considerevoli vantaggi.
Il successivo incontro di Londra del
3 gennaio 1919 vide la redazione di
un documento ufficiale che confermò la loro intenzione di procedere
in stretto accordo per lo sviluppo
sia di uno Stato Arabo che della
Palestina, prevedendo per questa
tutte le misure per incoraggiare
l’immigrazione ebraica, pur salvaguardando i diritti dei contadini e
dei coloni arabi. Era pure previsto
che le frontiere tra lo Stato Arabo e
la Palestina sarebbero state delimitate in seguito da una commissione
che le due parti avrebbero dovuto
nominare ricorrendo, in caso di dispute, all’arbitrato della Gran Bretagna.
Il periodo tra le due guerre
Al termine del Primo Conflitto Mondiale, la Gran Bretagna ricevette
dalla Società delle Nazioni il mandato sulla Palestina; nel testo del
documento si faceva espresso richiamo alla Dichiarazione Balfour
per la creazione su quel territorio
di un “focolare nazionale ebraico”.
È da considerare che in quel momento storico gli Ebrei che vivevano in Palestina rappresentavano
circa l’11% della popolazione totale. Esaminando poi il quinquennio 1917-22 non si può non notare
4 Denominazione della colonia ebraica in Palestina. Secondo la terminologia ebraica, letteralmente “insediamento”.
5 Maltese P.: op. cit.
6 Rodinson M.: op. cit., pagg. 29-30.
7 Rodinson M.: op. cit.
8 Organizzazione clandestina ebraica di autodifesa.
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come, in breve volgere di tempo,
vennero meno le possibilità di intesa tra Ebrei ed Inglesi da un lato ed
Ebrei ed Arabi dall’altro.
Le possibilità di una collaborazione
anglo-ebraica volta a portare fino
alle sue conseguenze ultime la Dichiarazione Balfour, si affievolirono
con l’intensificarsi dei movimenti antisemiti, inizialmente limitati
all’Europa Orientale, i quali si riflettevano direttamente in un aumento
delle immigrazioni ebraiche. Queste ultime, a loro volta, mutavano
le proporzioni delle popolazioni
palestinesi andando così a creare
un ulteriore stimolo per l’ostilità degli Arabi, preoccupati non più della
presenza di “corpi estranei”, quanto del pericolo che la minoranza
ebraica non rimanesse tale e che
si trovasse in una posizione di forza tale da poter realizzare fino in
fondo gli scopi dell’Yishùv.
Impensierita da questa situazione,
la Gran Bretagna non negherà il
diritto degli Ebrei ad un focolare
nazionale, ma comincerà a restringere le quote di immigrazione per
portarle ad un livello che avesse
consentito il loro assorbimento, in
base alle reali possibilità economiche della Palestina.
Fu questo il motivo che ispirò nel
1922 il primo “Libro bianco”6 del
Colonial Office, così come quelli
che seguirono negli anni successivi.
Tra il 1919 ed il 1929 la popolazione
ebraica, grazie alla terza e quarta
Aliyah, raggiunse le 160.000 unità.
In corrispondenza con le predette fasi del ritorno si ebbero le più
gravi sommosse degli Arabi, che
intravedevano nella creazione della nuova società, oggettivamente
estranea al loro modo d’essere, la
negazione degli usi e dei costumi
musulmani7.
In queste occasioni l’Haganah8 intervenne per difendere i centri rurali isolati e nel 1931, alla luce del-
le esperienze fatte, venne creato
un comando unificato nazionale di
questa unità armata che operava,
ovviamente, nella clandestinità.
La quinta Aliyah (1933-36), dovuta
in massima parte all’avvento del
Nazismo al potere, permise a circa
200.000 Ebrei di entrare in Palestina tanto che, al termine di tale fase,
essi raggiunsero la considerevole
cifra di 400.000 unità, ovvero ben
un terzo della popolazione totale.
Ancora una volta la reazione araba
non si fece attendere costringendo
la Gran Bretagna ad istituire più di
una commissione affinché si trovasse una soluzione al problema.
Nel 1937 la Commissione Peel
concluse i suoi lavori raccomandando la divisione della Palestina
in tre zone distinte, due delle quali
destinate a dar vita ad altrettanti
Stati.
Mentre la Jewish Agency accettò,
sebbene a malincuore, la tripartizione, di diverso avviso fu l’Arab
Higher Committee che la rifiutò totalmente.
Nell’estate del 1938 ebbero inizio
in modo clamoroso le azioni dei
primi gruppi terroristici ebraici, evidenziando un vero e proprio cambiamento di linea d’azione, ove si
consideri che in precedenza le vittime arabe erano state provocate
esclusivamente da reazioni difensive, sia nelle città che negli insediamenti agricoli. Sempre nel 1938
un ulteriore tentativo di trovare una
soluzione al problema, compiuto
dalla Commissione Woodhead,
non ebbe effetti positivi.
Il 17 maggio 1939, il Governo inglese pubblicò un ulteriore “Palestine White Paper”9 con cui venivano drasticamente limitati sia gli
ingressi degli Ebrei in Palestina
che le possibilità di acquisto delle
terre. L’effetto principale fu, in ogni
caso, l’aumento dell’immigrazione
clandestina.
Il fallimento dei negoziati al vertice
tra Arabi ed Ebrei, tenutisi a Londra
nel febbraio del 1939 aveva congelato definitivamente la situazione.
La 2^ Guerra Mondiale
Lo scoppio della 2° Guerra Mondiale vide nella zona un periodo di
relativa calma. Gli Ebrei, ritenendo
necessario subordinare ogni cosa
alla lotta contro il Nazismo, cessarono di combattere la politica inglese. Tale decisione fu presa dai due
principali gruppi armati, l’Haganah
e l’“Irgun Zwai Leumi”10, quest’ultima più violenta e nata da dissidenti
della prima.
Nel maggio del 1942 ebbe luogo a
New York una conferenza sionista
che adottò il cosiddetto “Programma Biltmore” in cui si chiedeva la
costituzione dello Stato Ebraico in
tutta la Palestina, la formazione di
un esercito e l’immigrazione senza limiti sotto il controllo esclusivo
della Jewish Agency. Sotto l’onda
emotiva provocata dai campi di
concentramento e dai forni crematori della Germania hitleriana,
l’opinione pubblica americana, fino
ad allora per lo più indifferente al
problema, abbracciò senza riserve
il programma sionista11.
Per ciò che riguarda gli Arabi,
nell’ottobre del 1944, quando fu
evidente che le forze dell’Asse avevano perduto la guerra, i rappresentanti di tutti i paesi dell’area12
si riunirono ad Alessandria d’Egitto
ove sottoscrissero una risoluzione
finale in cui si ribadiva come la Palestina fosse parte integrante del
Mondo Arabo e che il White Paper
del 1939 poteva essere accettato
come base di discussione per il futuro assetto dell’area.
Ma l’Inghilterra non era più in grado di influire in maniera determinante sulla questione; lo scenario
mediorientale vedeva affacciarsi
all’orizzonte due grandi Stati emersi dalla guerra mondiale, gli U.S.A
e l’U.R.S.S., la cui attenzione era
stata attratta dalla enorme importanza geostrategica ed economica
della zona.
La situazione nell’area mediorientale nel primo dopoguerra
(1945-1948)
La 2° Guerra Mondiale aveva determinato tre principali conseguenze nei confronti del popolo ebraico
in generale e dell’Yishùv in particolare:
- una rinnovata volontà di creare uno Stato. In tale campo fu
l’“olocausto” che ebbe la funzione di catalizzatore, generando
un nuovo e più forte senso di
appartenenza e facendo intravedere l’Yishùv come unico punto
di riferimento per i sopravvissuti
e l’“Eretz Israel”13 come la meta
biblica, il punto di arrivo finale;
- lo sviluppo ed il perfezionamento
dello strumento militare. Nonostante i motivi di profonda ostilità,
infatti, non erano mancati i volontari ebrei arruolatisi nell’esercito
inglese e, dagli iniziali pochi battaglioni, si passò alla costituzione, in seno all’VIII Armata inglese, di una “Jewish Brigade” che
combatté in Africa del Nord ed in
Italia. Nella circostanza i volontari
impararono a conoscere tutti gli
aspetti organizzativi della complessa macchina bellica moderna
e la presenza di personale ebreo
nell’aviazione e nella marina
britanniche completò il quadro.
L’Haganah, gli ex-combattenti
della “Jewish Brigade” ed il Palmach (i commandos), costituirono
le forze militari sulle quali poteva
contare l’Yishùv alla fine del Secondo Conflitto Mondiale; i gruppi
terroristici “Irgun Zvai Leumi” e
“Stern”14 si sarebbero ben presto
aggiunti ad esse. Pur seguendo
diverse modalità di combattimento, ogni gruppo era disciplinatamente collegato al vertice politico
sionista, ognuno contribuendo in
9 Maglitto N.: “La Palestina nella politica delle grandi potenze”. Patron ed., Bologna 1973.
10 Organizzazione militare nazionale.
11 La riunione indetta all’Hotel Biltmore di New York, permise all’Yishùv di porre le basi per il successivo massiccio appoggio economico, politico e morale dei correligionari d’oltre oceano.
12 Gli Arabi palestinesi, in lotta tra loro, non riuscirono a scegliere l’uomo che avrebbe dovuto rappresentarli.
13 la Terra d’Israele
14 Duroselle J.B.: “Storia diplomatica dal 1919 al 1970”. Ateneo ed., Roma 1972.
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modo prezioso col proprio bagaglio di esperienze particolari;
- premesse per nuove ondate di
ritorno. L’effetto sarà ancor più
evidente subito dopo il primo conflitto arabo-israeliano con l’afflusso di nuove aliyah non esclusivamente, questa volta, dall’Europa
centro-orientale.
Per poter comprendere il perché
della formazione di una coalizione,
solo apparentemente omogenea,
immediatamente prima del conflitto del 1948, occorre rifarsi, se pur
brevemente, al problema del nazionalismo arabo in genere, risolto in
maniera differente dai singoli Paesi
dell’area.
In Egitto, grazie alla più facile
identificazione tra popolazione e
territorio, si era affermato un tipo
di nazionalismo simile a quelli analoghi creatisi precedentemente in
Europa. Localmente il gruppo più
importante era il Wafd (letteralmente “delegazione”)15 che assunse tale denominazione allorquando
una missione egiziana venne inviata alla Conferenza della Pace
nel 1918-19 per presentare alcune
proposte relative all’Egitto nel primo dopoguerra.
I dirigenti del Wafd, pur aspirando all’indipendenza che gli Inglesi
avevano promesso, e non concesso, alle province arabe del Medio
Oriente ex-ottomano, si rendevano
bene conto della mancanza di un
seguito popolare nei confronti di
quelle forme di liberalismo europeo
cui essi aspiravano. In sostanza si
era creata una spaccatura tra un
vertice politico illuminato e la gran
massa di diseredati egiziani che
niente condividevano con esso,
pur essendo ugualmente contrari,
per diversi motivi, alla presenza
britannica in Egitto.
L’accennata identità tra popolo e
territorio, nonché un insieme di fattori storici quali l’enorme influenza
culturale che il Cairo sviluppava nei
confronti dell’area islamica, lo poneva
in una posizione di leadership morale,
culturale e politica dell’intero Mondo
Arabo.
L’esempio di organizzazione politica
offerta dal Wafd è al proposito illuminante ma le esigenze di emancipazione politica che esso porgeva avevano un legame chiaro e ben definibile
con il territorio, elemento questo che
mancava alla Siria ed alla penisola
arabica in genere, più fedeli ad una
forma politica ancorata al concetto
dell’“Umma”16. La dicotomia tra questi
due diversi modi di intendere l’assetto
politico ed organizzativo di un’entità
statuale, a prescindere dall’elemento importantissimo del territorio, si
rispecchiava pienamente in Egitto
dove, accanto al Wafd, dal 1927 prese vita l’organizzazione dei Fratelli
Musulmani17, chiaro esempio di un
nazionalismo religioso contrapposto a
quello di estrazione europeo.
Oltre all’Egitto, altri Stati arabi divennero indipendenti tra le due guerre.
Prima fu nel 1926 l’Arabia Saudita,
anche se assunse questa denominazione solo nel 1932. La monarchia ivi
creatasi era improntata ad un rigoroso
conservatorismo religioso, che tuttora
la caratterizza e che le deriva dall’essere la custode del centro dei pellegrinaggi dei fedeli dell’Islam. Ad essa
seguì nel 1932 l’Iraq18 dove re Feisal,
posto sul trono dagli Inglesi, avviò una
attiva politica di collaborazione con la
Gran Bretagna, che di fatto controllava militarmente il paese; l’avvio delle
estrazioni petrolifere rese l’Iraq sempre più importante agli occhi di Londra, che consolidò il suo interesse per
Baghdad.
L’Arabia Saudita, l’Egitto e l’Iraq furono gli unici Stati arabi mediorientali
ad aver ottenuto una formale indipendenza tra le due guerre ma in realtà
era chiara la loro natura di Stati satelliti della Gran Bretagna; questa
condizione era la conseguenza logica
della supremazia inglese ma anche il
risultato della scomparsa dell’autorità
ottomana.
Il prodotto principale dello spezzettamento dell’area mediorientale fu la
nascita di interessi locali e di rivalità
che posero in seria difficoltà ogni progetto di unificazione.
La manifesta debolezza degli Stati sorti nel periodo tra le due guerre
mondiali sarà in buona parte la
causa di ulteriori tentativi di raggiungere l’unità; la distanza che al
momento correva tra le aspirazioni
indipendentistiche e le reali possibilità per un loro conseguimento rendevano illusoria qualunque
ipotesi di piena affermazione della
sovranità nazionale. Non a caso un
successivo trattato ventennale di
amicizia tra Egitto e Gran Bretagna
pose il partito Wafd al centro di roventi polemiche, tanto più accese
perché ribadivano la natura coloniale di uno Stato che pure era entrato a far parte della Società delle
Nazioni. In sostanza, mentre ogni
volontà indipendentistica araba era
frustrata dai fatti, paradossalmente il principale punto di riferimento
era costituito dall’unità araba, utile
e valida come slogan anticolonialista
quanto, nella realtà, di impossibile
realizzazione.
n
Ebrei in preghiera al Muro del Pianto
© Fabio Fiorani/Sintesi
15 Principale partito politico egiziano tra le due guerre mondiali. Fondato nel 1919 da Saad Zaghlul come delegazione (in arabo wafd) di patrioti con l’incarico di illustrare alle potenze vincitrici
----le aspirazioni indipendentistiche dell’Egitto, si trasformò poi in un vero e proprio partito, diretto, dopo la morte di Zaghlul (1927), da Mustafa Nahas.
16 Comunità dei credenti musulmani.
17 Organizzazione politica fondata nel 1928 in Egitto. Ispirata a un radicale fondamentalismo islamico, puntava alla trasformazione dello stato in senso teocratico.
18 L’atto di nascita dello Stato Iracheno risale alla Grande Guerra, quando gli inglesi, per sconfiggere gli alleati turchi della Germania di Guglielmo II, avevano lasciato intravedere a Hussein,
----l’emiro dell’Higiaz, la possibile formazione di un grande trono arabo dal Golfo Persico al Mediterraneo.
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