Gli Inca,Il trionfo in Gallia di Giulio Cesare,Tiro, i Fenici e la Foresta

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Evoluzione
architettonica
delle piramidi
Fu il faraone Snefru della IV dinastia egizia a volere quel
cambiamento nell’architettura delle piramidi che portò poi
alla costruzione della Grande Piramide di Cheope.
Piramide
Saqqara
a
gradoni
a
La prima piramide della storia fu costruita nel 2650 a. C.
(circa) a Saqqara, la necropoli vicina a Menfi, grazie al
celebre architetto Imhotep, per il primo faraone della III
dinastia, Djoser. La funzione della piramide era quella di
ospitare il faraone defunto e facilitare, con la sua forma,
l’ascesa del suo spirito verso gli dei; successivamente
divenne anche simbolo del potere del faraone. La piramide di
Djoser fu costruita a gradoni, evocando le scale che lo
spirito del faraone saliva per ascendere al cielo; per la
prima volta fu completamente in pietra, garanzia di eternità
ad edifici che, in precedenza, erano costruiti in adobe e per
questo scomparivano nel giro di breve tempo. La piramide a
gradoni di Saqqara raggiunse i 60 metri di altezza.
Piramide di Snefru a Meidum
Nel 2575 a. C. (circa), Snefru, primo faraone della IV
dinastia, decise la costruzione del suo monumento funerario
nella necropoli di Meidum; inizialmente fu eretta come una
piramide a gradoni, ma poi ci ripensò e fu trasformata in una
piramide a facce piane, aggiungendo strati di muratura che
però in parte crollarono; per questa ragione, oggi possiamo,
scorgere alcuni degli antichi gradoni. La scelta di costruire
piramidi con le facciate lisce non fu casuale, bensì dettata
dall’integrazione della funzione funeraria a quella
dell’espressione del potere; con le sue facce piane che
risplendevano grazie al rivestimento in pietra calcarea, i
colossali edifici che volgevano la loro punta verso il cielo,
potevano essere visti da lontano e diventavano perfetti punti
di riferimento geografici e manifestazione del potere dello
spirito e del dominio del faraone.
Piramide romboidale
Snefru a Dahshur
di
Qualche anno dopo (circa 2570 a.C.), non soddisfatto della sua
prima piramide, Snefru ordina la costruzione di due piramidi a
Dahshur, a 45 chilometri a nord di Meidum: la
piramide romboidale, le cui facce sono a doppia pendenza, e la
piramide rossa, a facce piane, considerata quasi perfetta. La
maggior parte degli studiosi è propensa a pensare che la forma
romboidale sia dovuta ad un problema tecnico che richiese la
modifica della pendenza in corso d’opera; a partire dai 47
metri di altezza, la pendenza delle facce della piramide fu
ridotta a 43°, conferendo così al monumento l’originale
aspetto romboidale. La piramide rossa venne, poi, costruita
con un’inclinazione minore (43° contro 54°) e con una base
maggiore (220 m, contro 188), ma con la stessa altezza (105
m). La piramide rossa fu costruita due chilometri a nord dalla
romboidale, sempre a Dahshur.
Piramide rossa di Snefru a
Dahshur
Il successore di Snefru fu il figlio Cheope che trasse
insegnamento dall’esperienza tecnica ed architettonica delle
tre piramidi del padre. Cheope (2550 a.C. circa) ordinò la
costruzione della Grande Piramide sull’altopiano di Giza, la
più imponente delle piramidi egizie e la prima piramide
perfetta a facce lisce. La Grande Piramide ha un’inclinazione
di 51° con una base di 230 m ed un’altezza di 147.
Grande Piramide di Cheope a
Giza
Il complesso architettonico delle piramidi di Snefru a Dahshur
si trova su un’area di circa 5 chilometri per 3 e mette in
luce l’evoluzione architettonica delle piramidi, una sorta di
anello di congiunzione tra le prime piramidi a gradoni
(Djoser) e quelle più note a facce lisce (Cheope, Chefren).
Piramidi
egizie, mappa
dei siti
Per conoscere di più della meravigliosa e antica civiltà
egizia, oltre ad andare in Egitto ad ammirare le piramidi dal
vivo, vi consiglio in Italia la visita del Museo Egizio di
Torino e la mostra temporanea (fino al 17 luglio 2016) di
Bologna.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 86
P. Janosi, Le piramidi, Bologna, Il Mulino, 2006
F. Cimmino, Storia delle piramidi, Milano, Rusconi, 1996
A. Erman, Il mondo del Nilo. Civiltà e religione dell’antico
Egitto, Roma-Bari, Laterza, 1982
Patrioti italiani per l’Unità
d’Italia
L’Unità d’Italia risale al 1861, ma fu il frutto di una lunga
battaglia di idee e di valori che trovò nella Patria un ideale
condiviso, ma duramente ostacolato; promotori di quell’ideale
di unità e libertà dal dominio straniero furono patrioti del
calibro di Ugo Foscolo, Silvio Pellico, Piero Maroncelli,
Federico Confalonieri, Melchiorre Gioia.
Ugo Foscolo
ritratto
in
un
Ugo Foscolo (1778-1827) fu un poeta e scrittore militante;
sostenne l’avanzata di Napoleone e la liberazione di Venezia
dall’oligarchia dei dogi (l’ultimo doge fu Lodovico Manin),
dedicandogli la famosa ode A Bonaparte liberatore, ma non
esitò a criticarlo con l’Orazione a Bonaparte, quando si rese
conto di avere di fronte un nuovo imperialista. Combatté
contro gli austriaci, a fianco dei francesi, per poi andare
esule in Inghilterra per non stare con gli austriaci, dopo la
rottura con i francesi.
Silvio Pellico in
un ritratto
Silvio Pellico (1789-1854), anch’egli poeta e scrittore
militante, divenne amico e collaboratore di Ugo Foscolo; fu
arrestato dagli austriaci e rinchiuso nel carcere asburgico
della Fortezza di Spielberg a Brno, nell’attuale Repubblica
Ceca, dove scrisse Le mie prigioni, opera di grande importanza
per il movimento risorgimentale.
Nella fortezza di Spielberg vennero incarcerati diversi
prigionieri politici, tra i quali numerosi patrioti italiani.
Piero Maroncelli (1795-1846) vi trascorse dieci anni;
Maroncelli fu compositore e scrittore militante; la sua
adesione alla Carboneria gli costò la detenzione prima a
Forlì, poi a Castel Sant’Angelo di Roma e infine nella
fortezza di Spielberg, insieme a Silvio Pellico.
Melchiorre Gioia in
un ritratto
Melchiorre Gioia (1767-1829) fu economista ed intellettuale;
collaborò con Ugo Foscolo alla rivista Il Monitore italiano e
subì il carcere e l’arresto per Carboneria. La Carboneria era
una società segreta rivoluzionaria italiana, basata su valori
patriottici e liberali.
Federico
Confalonieri
ritratto
in
un
Federico Confalonieri (1785-1846) era un nobile, ma sostenne
la causa dell’Italia unita, aderendo alla Carboneria; quella
scelta di valore, nonostante la provenienza da famiglia
filoasburgica, gli procurò l’arresto e l’incarcerazione nella
Fortezza di Spielberg.
Fortezza
dello
Spielberg
dove furono incarcerati
diversi patrioti italiani
Quando sono andata a Cracovia, in Polonia, di strada facemmo
tappa a Brno, ebbi così l’occasione di vedere – da basso – la
Fortezza di Spielberg: è una fortezza abbarbicata su un monte
che emerge austero in una pianura e racconta, solo a
guardarla, l’isolamento nel quale tanti prigionieri politici
dovettero misurare la loro forza ed il loro coraggio nella
lotta per l’indipendenza. Quella fortezza, anziché piegarli,
li rese più tenaci e li ispirò maggiormente, almeno quelli che
ho citato; i loro versi immortali ne sono testimonianza.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 85
C. E. Gadda, Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia
nel verso immortale del Foscolo, Milano, Garzanti, 1967
D. G. Chandler, Le campagne di Napoleone, Milano, Rizzoli,
2006
Gli Inca
Gli inca furono un popolo che seppe costruire, nell’altopiano
andino, una delle maggiori civiltà precolombiane su un
territorio montuoso che si allungava per oltre 4000
chilometri, da nord a sud, lungo la Cordigliera delle Ande.
Organizzati e inclusivi, gli Inca seppero mantenere il
controllo su circa duecento popoli ed etnie sparsi sul
territorio, favorendo così il consolidamento e l’espansione
dell’impero.
L’impero inca
al
massimo
della
sua
espansione
L’impero Inca, nel periodo della sua massima espansione, si
estendeva dal sud dell’attuale Colombia fino al centro del
Cile e occupava gran parte dei territori andini di Perù,
Bolivia ed Argentina del Nord.
L’impero Inca pose le sue basi nel 1200, grazie al leggendario
Manco Capac, fondatore di Cuzco, la capitale dell’impero; a
Manco Capac succedettero sette re che espansero il dominio
Inca che raggiunge il suo apice o massimo splendore con la
salita al trono di Pachacuti, nel 1438. L’arrivo dei
conquistatori spagnoli nel 1532 segnò il declino dell’impero e
molte architetture inca furono distrutte dagli spagnoli di
Pizarro che edificarono le loro costruzioni sulle rovine inca,
come a Cuzco, ma ad esclusione di Machu Picchu che rimase a
loro sconosciuta.
Sito archeologico di Machu
Picchu
L’antica città di Machu Picchu sorge vicino alla valle del
fiume Urubamba, sacro agli Inca, all’interno di un maestoso
paesaggio montano, su una serie di terrazzamenti, in cima a un
ripido colle, ai piedi del monte Huayana Picchu, ad
un’altitudine di 2438 metri. La città venne costruita intorno
al 1450, durante il regno di Pachacuti ed era una proprietà
reale con palazzi, edifici religiosi e abitazioni. Gli
spagnoli dominarono il Perù per quasi tre secoli, ma non
scoprirono mai Macchu Picchu, e non ne conobbero nemmeno
l’esistenza, meno male, perché così possiamo ammirare le sue
rovine, le meglio conservate dell’America del Sud.
Inca
supremo
e
consorte in viaggio
Il capo politico degli Inca, il sapa inca, dominava circa
duecento popoli ed etnie, per un totale di più di dodici
milioni di abitanti che parlavano venti lingue diverse. Due
furono i punti di forza che permisero agli Inca di governare,
senza troppi problemi, fino all’arrivo degli spagnoli nel XVI
secolo: la centralizzazione amministrativa con sistema postale
e l’integrazione etnica.
La rete stradale
dell’Impero Inca
La centralizzazione amministrativa. Una delle caratteristiche
più notevoli dell’impero Inca fu la capacità dimostrata
dall’élite dirigente di mantenere il controllo sugli immensi
territori dalla capitale Cuzco. Come? Con una rete che si
estendeva per più di 40.000 chilometri tra vie, scalinate e
ponti, che permetteva il trasporto a piedi di messaggi e merci
attraverso veloci messaggeri (chaski o chasqui) organizzati in
staffette; erano previste stazioni di servizio, piccoli rifugi
sul lato del sentiero destinati al riposo dei chasqui; il
sistema permetteva di coprire fino a quattrocento chilometri
in un giorno. Gli Inca avevano un sofisticato sistema per
trasmettere informazioni, sotto forma di cordicelle annodate
(quipu) secondo un linguaggio simbolico condiviso.
Un
Chaski,
messaggero inca
L’integrazione etnica fu un altro elemento di consolidamento
dell’impero. Si deve considerare che faceva parte dell’impero
inca un territorio molto vasto e frammentato con circa
duecento popoli, tribù ed etnie diverse, per un totale di
dodici milioni di abitanti che parlavano venti lingue diverse.
Gli Inca consentirono ai vinti di conservare la propria
lingua, cultura ed i propri governanti.
Tipologia di costruzione
muraria inca a Cuzco
La capitale dell’impero Inca era Cuzco, residenza del sovrano
e sede del Tempio del Sole; la lingua delle classi dominanti
era il quechua, ancora oggi parlata da milioni di persone in
Perù ed Ecuador. Ancora oggi i discendenti degli Inca
celebrano Inti, il dio Sole, con la festa di Inti Raymi, a
Sacsayhuaman – una fortezza cerimoniale situata a due
chilometri a nord di Cuzco – il 24 giugno.
Rappresentazione di
una antica festa di
celebrazione del
Dio Sole, Inti
Raymi
Il complesso storico-religioso di Machu Picchu è Patrimonio
dell’Umanità Unesco; Cuzco, l’antica capitale dell’impero
inca, è Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Tessuto inca con i
tipici
disegni
geometrici
Periodo migliore per visitare Machu Picchu e Cuzco è la
stagione secca che va da maggio ad ottobre, con molte giornate
di sole, mentre la stagione da evitare perché molto piovosa va
da dicembre a marzo.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
National Geographic, Patrimonio dell’Umanità, Milano, RBA,
2015
Storica NG nr. 85
A. Métraux, Gli inca, Torino, Einaudi, 1998
V. W. von Hagen, La grande strada del Sole, Torino, Einaudi,
2003
Il trionfo in
Giulio Cesare
Gallia
di
Il trionfo in Gallia espanse i domini di Roma e, soprattutto,
fece crescere il potere personale di Giulio Cesare, console e
dittatore romano, considerato uno dei personaggi più
importanti ed influenti della storia.
Avete sicuramente memoria, per averlo letto nei libri di
scuola, di un certo Vercingetorige (il nome è
indimenticabile!). Il periodo storico è il 52 a.C. e
Vercingetorige era un valoroso combattente gallico che si
ribellò al dominio di Roma, ma perse di fronte alla efficace
leadership ed alla migliore preparazione tecnica e tattica
delle legioni romane guidate da Giulio Cesare.
La Gallia e le sue
tribù agli inizi del 58
a.C.
La Gallia corrisponde alle attuali Francia e Belgio ed era un
territorio abitato da almeno quaranta popoli diversi e, per la
fortuna dei romani, anche divisi.
Busto
di
Giulio
Cesare
Giulio Cesare in Gallia non subì mai sconfitte clamorose, da
una parte perché non dovette mai combattere i Galli in blocco,
tanto erano divisi, dall’altra perché le truppe romane erano
più preparate tatticamente e tecnicamente.
Giulio Cesare seppe motivare il suo esercito e muoverlo con
grande rapidità, dandogli un vantaggio sugli avversari, ma
ebbe la fortuna di trovare sul suo cammino un popolo diviso,
pur valoroso, e dei soldati romani ben addestrati e
disciplinati. Anche la superiorità tecnologica ebbe un ruolo
determinante per la vittoria finale dei romani.
Schema delle fortificazioni
costruite da Cesare ad
Alesia
L’ultimo bastione della difesa gallica fu la cittadella
fortificata di Alesia, oggi identificata presso la località di
Alise-Sainte-Reine, in Borgogna, dove Vercingetorige ed il suo
esercito si erano rifugiati. Interessante la tattica di
accerchiamento utilizzata dai romani. La cittadella di Alesia
venne accerchiata con una circonvallazione di 16 chilometri
costituita da una muraglia con torri ogni 25 metri e protetta
da due fossati, uno dei quali colmo d’acqua; davanti ai
fossati erano state poste delle trappole, come pali appuntiti
conficcati in buchi del suolo e piccole punte metalliche
nascoste tra l’erba; a protezione della prima linea di
circonvallazione, ne fu costruita una seconda di 21
chilometri, che difese l’esercito romano dagli attacchi
esterni di un esercito gallico di soccorso. Alla fine, resosi
conto che era impossibile vincere, il condottiero gallo
Vercingetorige si arrese a Giulio Cesare.
La resa di Vercingetorige
secondo Lionel Noel Roynner
(1899)
Se volete essere ancora più ammirati per le imprese tattiche e
tecnologiche degli antichi romani, rispetto agli avversari, vi
racconto anche della manovra di assediamento di un’altra
cittadella gallica: Avaricum, oggi Bourges. Essendo Avaricum
costruita su uno sperone roccioso, i romani costruirono delle
rampe in legno per scalarlo, quindi superarono le mura
difensive con delle torri d’assedio, dotate di una specie di
scudi ricoperti di vimini, lana o cuoio, dietro i quali si
ripararono gli assalitori romani. I galli cercarono di fermare
l’avanzata dei romani, anche cercando di incendiare le torri
d’assalto, ma fu tutto inutile perché Cesare sferrò il suo
attacco decisivo durante un forte temporale.
I massacri. L’esercito romano ai tempi di Giulio Cesare era
formato da professionisti e, se pur fosse un vantaggio in
battaglia, la loro mancanza di scrupoli ed aggressività fu
tale che i loro attacchi vittoriosi si concludevano sempre con
eccessi di violenza: massacri, stupri, schiavizzazioni, ecc..
Il mondo romano nel 50 a.C.
dopo la conquista della
Gallia
Giulio Cesare fu anche scrittore delle sue imprese in Gallia:
il De bello gallico celebra, infatti, le conquiste in Gallia
con abbondanza di episodi di eroismo dei suoi centurioni.
Il trionfo in Gallia di Giulio Cesare cambiò per sempre la
storia di quelle regioni, corrispondenti all’attuale Francia e
Belgio, ma anche della stessa Roma.
Cinzia Malaguti
Bibliografia:
Storica NG nr. 85
A. Goldsworthy, Cesare. Una biografia, Roma, Castelvecchi,
2014
G.G. Cesare, La guerra gallica, Torino, Einaudi, 2006
Tiro, i Fenici e la Foresta
dei Cedri
Tiro, i Fenici e la Foresta dei Cedri sono intimamente legati
tra di loro. Tiro conobbe un’epoca di grande splendore con i
Fenici e fu grazie al legno di cedro, quale preziosa merce di
scambio, che il re fenicio Hiram costruì il suo potente
impero. L’antica Tiro si trova nella località libanese di Sur
e la Foresta dei Cedri di Dio si estende sulle pendici del
monte al-Makmel, sempre in Libano. Tiro e la Foresta dei Cedri
di Dio sono entrambe protette Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Mappa antichi insediamenti
dei Fenici
Tiro e i Fenici
Con i Fenici, la città di Tiro divenne una delle città
portuali più importanti di tutto il Mediterraneo. Tiro fu
fondata verso il 2700 a.C. da genti della città di Sidone,
situata circa 40 km più a nord. Successivamente fu conquistata
dagli Egizi, sotto la cui tutela rimase per secoli, finché
dovettero abbandonare la zona per concentrarsi nella difesa
dell’Egitto attaccato dai Popoli del Mare; questo diede a Tiro
l’opportunità di rendersi indipendente dall’egemonia egizia e
diventare, sotto il regno di Hiram I, a partire dal 970 a.C.,
il principale centro di potere della zona siro-palestinese.
Grazie all’alleanza di Hiram con la monarchia di Davide e
Salomone a Gerusalemme, Tiro controllò le rotte commerciali
verso il Mar Rosso, che generarono buona parte della ricchezza
necessaria a rinnovare la città. Tuttavia, le sue costruzioni
più impressionanti, almeno per quanto è stato ricostruito
dagli storici ed in parte giunto fino a noi, risalgono
all’epoca romana.
Tiro oggi, l’antica strada
colonnata di epoca romana
La ricchezza dei fenici era basata sul commercio,
principalmente di porpora e legno di cedro, di cui il Libano
era ricco. La porpora, per millenni, era ottenuta dalla
secrezione di una ghiandola di un mollusco gasteropode, il
murice comune, così prezioso che veniva pesato prendendo come
riferimento l’oro. Nell’antichità, Tiro fu il centro di
produzione esclusivo della porpora e per questa ragione faceva
gola alle potenze straniere. Gli assiri metterono Tiro sotto
il proprio controllo nell’VIII secolo a.C., le truppe
babilonesi assediarono la città nel VI secolo a.C., nel 332
a.C. venne conquistata dai soldati di Alessandro Magno e nel I
secolo a.C. le truppe romane sfilarono per le sue strade.
Tiro oggi
foto di Véronique Dauge
I resti dei monumenti architettonici che possiamo oggi
ammirare dell’antica Tiro sono, però, un’eredità dei Romani
(la città imperiale e la necropoli); solo nei resti
dell’antica città imperiale romana sono presenti anche resti
delle mura fenicie.
Tiro, l’odierna Sur, si trova ad 83 km a sud di Beirut
(Libano) ed
Patrimonio dell’Umanità Unesco.
La foresta dei cedri di
Dio, Libano
La Foresta dei Cedri di Dio
Secondo l’Antico Testamento, l’espansione di Tiro nel
continente fu legata agli stretti rapporti d’affari che il Re
Hiram aveva con il Re Salomone di Gerusalemme. Il Re Salomone
ricevette consulenza tecnica ed aiuto materiale da Tiro per
edificare il proprio palazzo a Gerusalemme e costruirvi il suo
Tempio. Secondo la Bibbia, infatti, re Salomone ricevette dai
fenici di Re Hiram il legno di cedro necessario per costruire
il suo palazzo ed il tempio e in cambio offrì venti città
della Galilea. Il cedro, infatti, ricopriva vaste aree della
regione di Tiro, corrispondente all’attuale Libano, tanto da
assurgere poi a simbolo stesso del paese.
Antico cedro del
Libano
Di antichi cedri in Libano ne esistono ancora, anche se
coprono territori decisamente più contenuti, grazie anche
all’UNESCO che dal 1998 protegge ciò che è rimasto di quella
storica area boschiva. E’ chiamata la Foresta dei cedri di Dio
e si estende sulle pendici del monte al-Makmel, nella valle di
Qadisha, poco distante dalla città di Bsharre. Situata a circa
2000 metri di altitudine, comprende diverse centinaia di
importanti cedri del Libano, alcuni molto antichi; quattro
hanno raggiunto l’imponente altezza di 35 metri e hanno
tronchi della circonferenza di 12-14 metri.
Cedro del Libano
La
Foresta
dei
Cedri
di
Dio
è
rigorosamente
protetta
Patrimonio dell’Umanità Unesco e può essere visitata solo
facendosi accompagnare da guide.
Cinzia Malaguti
Leggi anche I fenici su Wikipedia
Foto: fonte Wikipedia e Unesco
Bibliografia:
National Geographic, Patrimonio dell’Umanità, vol. Asia IV,
Milano, RBA, 2015
Storica NG, n. 85
F. B. Chatonnet, E. Gubel, I fenici. Alle origini del Libano,
Milano, Electa Gallimard, 2008
M. Gras, P. Roulillard, J. Teixidor, L’universo fenicio,
Torino, Einaudi, 2000
I. Finkelstein, N. A. Silberman, Le tracce di Mosé. La Bibbia
tra storia e mito, Roma, Carocci, 2002
Kha e Merit al Museo Egizio
di Torino
I reperti ritrovati nella tomba intatta di Kha nei pressi di
Deir el-Medina, Egitto, sono tra gli oggetti di maggior
prestigio esposti al Museo Egizio di Torino.
Tomba
di
Kha,
statuetta
raffigurante
Kha,
Museo
Egizio
di
Torino
Kha era l’architetto-capo del faraone Amenhotep III, XVIII
dinastia (1543 – 1292 a. C.); la scoperta della sua tomba,
insieme a quella della moglie Merit, si deve all’archeologo
egittologo Ernesto Schiaparelli ed è datata 1906, due anni
dopo la scoperta della splendida tomba di Nefertari, grande
sposa reale di Ramesse II (1303 a. C. – 1212 a.C.) ed una
delle regine più influenti dell’Antico Egitto.
Ritratto
di
Nefertari
dalla
sua tomba, Egitto,
Tebe
ovest,
odierna Luxor
La tomba di Nefertari è considerata tra le più belle della
Valle delle Regine, ma non fu ritrovata intatta; i saccheggi
ed il degrado hanno lasciato poco a noi posteri; l’ambiente,
tuttavia, è stato oggetto di ottimi restauri, anche se il
calcare fragile e ricco di sali ed il microclima ne permettono
la visita in loco solo a studiosi e con specifica
autorizzazione.
Tomba di Merit, moglie di
Kha, oggetti personali
ritrovati, Museo Egizio di
Torino
La tomba di Kha e della moglie Merit, contrariamente a quella
di Nefertari, fu trovata intatta e, quindi, completa di tutto
il ricco corredo funerario che, secondo gli Antichi Egizi,
doveva accompagnare il defunto nell’aldilà e consentirgli di
proseguire l’esistenza nell’altra vita. Sono così stati
trovati il sarcofago antropomorfo in legno di cedro di Kha
decorato d’oro, quello della consorte, le mummie, vasi canopi
(contenevano le viscere estratte dal cadavere durante la
mummificazione), oggetti quotidiani quali tuniche, vesti,
scacchiere per il gioco del senet, lenzuola, sedie,
armadietti, resti di cibo fossilizzato e gli strumenti del
mestiere dell’architetto. Nella tomba fu rinvenuto, inoltre,
un papiro recante formule del Libro dei morti (secondo gli
antichi egizi le formule magico-religiose ivi contenute
servivano al defunto per proteggerlo ed aiutarlo nel suo
viaggio verso l’aldilà). Di Merit, la tomba conservava anche
gioielli, oggetti di bellezza e la sua splendida parrucca
nera. Tutto questo è esposto nel Museo Egizio di Torino, di
cui Ernesto Schiaparelli fu direttore dal 1894 fino alla sua
morte, nel 1928.
Tomba di Kha, oggetti
ritrovati, Museo Egizio di
Torino
Al Museo Egizio di Torino, gli oggetti ritrovati nella tomba
di Kha e Merit sono stati fedelmente riposizionati secondo
l’originale criterio dispositivo.
L’interessante visita al Museo Egizio è un’ottima occasione
per visitare Torino e le sue quattro anime e le sue Residenze
Sabaude, Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Buona visita!
Cinzia Malaguti
Leggi anche L’Antico Egitto in mostra a Bologna
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