ibn arabi poeta e mistico

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idee e cultura
PERSONAGGI
ibn arabi
poeta
e mistico
Il grande filosofo musulmano
insegna cosa voglia dire
“tenere assieme” fede e ragione.
Anche nelle tensioni di oggi
Nasceva nel 1165, a Murcia,
Muhammad ibn Alıű ibn
Muhammad ibn al-Arabıű.
Nacque in agosto, quando un sole
onnipotente illuminava la città
dell’Andalusia, in quella parte di
Spagna diventata terra araba. Si
era nell’epoca d’oro dell’Islam.
Baghdad era lontana, ma i suoi
benefici influssi si sentivano anche
in Andalusia. A Baghdad, attorno
all’800, l’illuminato califfo alMamum aveva creato la Casa della
saggezza, una scuola che radunava
tante delle persone più intelligenti
dell’epoca. Lì lavoravano, in un
clima di libertà e ricerca, fisici e
alchimisti, studiosi di geroglifici
e ottici, filosofi e matematici,
medici e astronomi. C’erano arabi
soprattutto, ma anche persiani e
indiani; ebrei e cristiani.
Tutta questa voglia di sapere
elettrizzava gli animi, e veniva
a posarsi anche in Andalusia,
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dove davano lustro alla scienza
il filosofo Averroè e il medico e
teologo ebreo Maimonide. Averroè
aveva dedicato tutta la vita alla
filosofia, lavorando sui testi di
Aristotele e cercando di conciliare
la fede in Allah con la ragione: lui
era certo che fossero due strade
che portavano alla stessa verità, a
Dio.
Un altro grande filosofo islamico
dell’epoca, El Ghazali, riteneva
invece che la filosofia fosse
fuorviante nell’andare verso
Dio. Una battaglia fra giganti del
pensiero, entrambi uomini liberi,
amanti della verità e di Dio. Chi
aveva ragione? Un giorno, si narra,
Averroè ormai settantenne venne
a sapere che nella sua città di
Cordova passava un ragazzino
di 14 anni, che godeva fama di
sapienza e profondità di spirito. Il
ragazzino era Ibn Arabi. Averroè
volle incontrarlo e gli chiese a
bruciapelo: «Ci si arriva?». Ibn
Arabi lo guardò con riverenza,
comprendeva che dietro a quella
domanda c’era il travaglio d’una
vita. Rispose: «Sì e no». Sapeva che
il percorso razionalistico, sul quale
tanto s’era impegnato Averroè, non
permetteva da solo di giungere
alla verità della rivelazione. Ma
era una strada da non tralasciare,
pena grandi disastri (secoli dopo,
di Michele Genisio
Musulmano e andaluso di Murcia, Ibn Arabi nacque nel 1165 e morì nel 1240.
in ambito cristiano, papa Giovanni
Paolo II avrebbe sintetizzato lo
stesso concetto con la formula
“le due ali”, fede e ragione, per
giungere a Dio).
La fama di Ibn Arabi si diffuse
presto: era filosofo, poeta e mistico,
sufi, nel mondo islamico. Aveva
fatto sua la massima dell’arabo
al-Kharrıűz: «La perfezione
non consiste nell’esibire poteri
miracolosi, ma è sedersi in mezzo
alla gente, vendere e comprare,
sposarsi e avere figli, senza
lasciare mai neanche per un
istante la Presenza Divina». Ibn
Arabi affermava che ci sono tre
forme di conoscenza. La prima
consiste nello studio. La seconda
è la conoscenza delle condizioni
dell’animo umano – sensi,
emozioni, intuizioni – che possono
portare a percepire qualcosa
di sublime, ma anche risultare
fuorvianti o svanire facilmente. La
terza è la conoscenza della realtà,
quella vera. In questa si riesce
a discernere quel che è giusto e
vero, al di là dei limiti del pensiero
e dei sensi. È l’unica forma di
conoscenza che appaga appieno il
cuore, che si vede in tanti grandi
saggi di ogni religione e in alcune
persone semplici del popolo, che
possiedono la sapienza del cuore.
Ibn Arabi era un insegnante
geniale, sapeva che si può partire
da argomenti futili per giungere a
dire qualcosa sulla verità, secondo
la frase del Corano: «Dovunque
tu guardi, c’è il volto di Allah».
Alcuni lo rimproveravano: «Come
fai a insegnare se non parli mai
d’insegnamento? Tu porti gli
allievi a fare passeggiate, gli
offri da mangiare, li intrattieni
con conversazioni su argomenti
diversi, ma quando insegni?». Ibn
Arabi rispondeva: «Prima devo
scoprire qual è l’intento reale del
discepolo, il punto in cui lui è,
quello di cui ha davvero bisogno.
Poi insegno».
Accusato d’aver composto poesie
d’amore sensuale, Ibn Arabi fu
costretto a scrivere, in fretta, un
commentario per spiegare i suoi
versi. Ma egli, come l’autore del
Cantico dei Cantici della Bibbia,
era un puro che aveva compreso
che l’amore fra un uomo e una
donna è la più potente parabola
per descrivere l’amore di Dio.
Diffidava del linguaggio degli
intellettuali, sapeva che lo spirito
di Dio soffia dove vuole e che la
verità ha confuso tanti dotti. E lui
cercava la verità.
Ibn Arabi influenzò il pensiero e
la spiritualità europea, da Dante
a san Giovanni della Croce. In
Occidente è chiamato Doctor
Maximus. Finì la sua vita a
Damasco nel 1240. Era ormai
maestro di eccelsa fama.
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