ANCHE L`ALZHEIMER AVRÀ IL SUO VACCINO

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DI MONICA TIZZONI
EREDITARIETÀ:
SÌ O NO ?
씰 Avere in famiglia un malato
di Alzheimer non vuole dire
essere automaticamente
destinati ad ammalarsi, perché
nel 95% dei casi la malattia
è del tutto sporadica, non viene
“ereditata”. Solo per il 5% esiste
famigliarità. Succede in genere
quando la malattia ha un esordio
precoce, intorno ai 40-50 anni.
In questi casi ci sono delle
alterazioni genetiche nei tre geni
riconosciuti come associati
alla malattia: una sul gene della
proteina precursore dell’amiloide
APP, e le altre due nei geni
di un paio di enzimi che
intervengono anche loro sulla
proteina precursore
dell’amiloide: PS1 e PS2.
In presenza di queste mutazioni
aumenta infatti il rischio
di sviluppare la patologia.
La ricerca mondiale ha fretta. I passi avanti sono
[LA ZONA VERDE]
«Vi sono innanazi tutto gli inibitori dell’aceticolinesterasi» speiga Padovani. «Agiscono a livello cerebrale bloccando l’attività
dell’enzima che distrugge l’acetilcolina, fondamentale per i processi della memoria e del
pensiero. Nel malato di Alzheimer infatti c’è
una carenza di questa sostanza. Tali farmaci
migliorano le prestazioni mnemoniche e l’attenzione: il paziente è più collaborativo, più
presente alla realtà e partecipe di quello che
succede. Migliora anche il comportamento,
con meno agitazione e problemi depressivi» .
Secondo alcuni dati recenti questi farmaci rallentano anche l’evoluzione della malattia, ma
c’è un’altra faccia della medaglia: nel 3040% dei casi non si mostrano efficaci. Non è
prevedibile quando succeda e non se ne sa
neppure il motivo. Forse dipende da una predisposizione genetica, da una cattiva diagnosi
o da ridotta disponibilità del farmaco a livello
cerebrale. «L’unico indicatore di efficacia è la
risposta che il paziente ha a tre mesi», prosegue Padovani. «Generalmente, se dopo tre
mesi c’è miglioramento significa che con quel
paziente avrà buon esito. In caso contrario, i
farmaci vanno sospesi».
C’è poi la memantina, già impiegata dal ’90
nei Paesi del Nord Europa, è arrivata anche
씮
500.000
i malati
di Alzheimer
nel nostro Paese,
24 milioni
in tutto il mondo
stati notevoli, ma la malattia è in continuo aumento
ANCHE L’ALZHEIMER AVRÀ IL SUO VACCINO
C
inquecentomila casi nel nostro Paese e oltre 24 milioni nel mondo. Con
la previsione di veder raddoppiare
questi numeri nei prossimi vent’anni. Sono i
dati della diffusione della malattia d’Alzheimer: un processo degenerativo che colpisce
le cellule cerebrali e in particolare le aree che
governano memoria, linguaggio, percezione
e cognizione spaziale, e che produce un declino progressivo delle funzioni cognitive;
nonché il deterioramento della personalità e
della vita di relazione. Riguarda un italiano
su 20 dopo i 65 anni, ma può manifestarsi anche prima, se pur raramente.
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«La malattia è provocata da una distruzione dei neuroni cerebrali dovuta principalmente alla proteina beta-amiloide, che si deposita tra i neuroni stessi causando grovigli e
placche che portano alla loro morte», spiega
Alessandro Padovani, docente di neurologia
dell’Università di Brescia. «Questa proteina
viene prodotta dagli stessi neuroni e in concentrazione normale serve a regolare la trasmissione delle informazioni fra cellule e nella memorizzazione. Ma per una ragione che
ancora non sappiamo a un certo punto il
neurone ne aumenta eccessivamente la produzione, causando l’inizio della malattia».
La ricerca negli ultimi dieci anni ha fatto
passi importanti nella lotta all’Alzheimer e
anche se non esiste ancora una terapia capace di guarire, oggi sono disponibili farmaci
in grado di attenuare i sintomi della malattia
e di rallentarne l’evoluzione.
A CHE PUNTO SIAMO
Le medicine attualmente a disposizione
fanno parte di due classi farmacologiche differenti, ma fondamentali perché garantiscono risultati che, sebbene non risolutivi, hanno un grande impatto sulla qualità di vita del
malato e di chi lo assiste.
UNA MALATTIA A TRE TEMPI
씰 Il decorso della malattia di Alzheimer può essere suddiviso in tre
fasi, di durata variabile. All’inizio prevalgono i disturbi della memoria,
ma possono essere presenti anche quelli del linguaggio. La persona
è ripetitiva, tende a perdere gli oggetti, a smarrirsi e non ritrovare
la strada di casa. Può avere squilibri emotivi, irritabilità, reazioni
imprevedibili. Nella fase intermedia il malato si avvia a una progressiva
perdita di autonomia, può avere deliri e allucinazioni e richiede
un’assistenza continua. L’ultima fase è caratterizzata dalla completa
perdita dell’autonomia: il malato smette di mangiare, non comunica più,
diventa incontinente, e infine è costretto a letto o sulla sedia a rotelle.
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[LA ZONA VERDE]
UNA MANO ALLA FAMIGLIA
Nel 95%
dei casi
la malattia
non è legata
a fattori di
famigliarità
Nel 2010
è previsto
l’inizio della
sperimentazione
del vaccino
anche in Italia
씮
da noi da quattro anni per le forme
severe. Il suo scopo è bloccare nel
cervello l’azione nociva del glutammato, un aminoacido che, a basse
dosi, ha un’azione protettiva sui
neuroni mentre ad alta concentrazione è neurotossico.
«La memantina ha un’azione sintomatica con miglioramento dei disturbi cognitivi e comportamentali
anche nelle forme lievi» continua
Padovani, «oltre ad avere un effetto
protettivo a lungo termine. In base
ai risultati di nuovi studi, chi assume contemporaneamente sia la memantina che un inibitore dell’acetilcolenesterasi, ha un rallentamento
nella progressione della malattia
che si stima intorno ai 3-4 anni».
Purtroppo sono in pochi a poter
usufruire dei vantaggi dell’assunzione contemporanea di entrambe le
terapie: il ministero della Salute infatti ha inserito tra i farmaci in fascia A soltanto gli inibitori della acetilcolinesterasi, mentre la memantina, sebbene riconosciuta come terapia per l’Alzheimer, è in fascia C,
con un costo molto elevato. Nella
grande maggioranza dei casi, i pazienti utilizzano farmaci di classe A e solo quando non vi
è risposta soddisfacente viene proposta la memantina, che però non tutti possono acquistare in quanto comporta una spesa di almeno
150 euro al mese.
Infine c’è anche una serie di farmaci che da
PAROLA D’ORDINE: PREVENZIONE
씰 L’età è il principale
fattore di rischio della
malattia di Alzheimer, ma
ne sono stati identificati
altri su cui intervenire.
L’ipertensione determina
una pressione cerebrale
che provoca alla lunga
l’ispessimento delle pareti
dei vasi, rendendo meno
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efficace sia l’apporto
di sostanze nutritive
ai neuroni, sia lo
smaltimento di tossine.
L’ipercolesterolemia
modifica il metabolismo
dei neuroni e li stimola
a produrre beta-amiloide.
Per questo si consiglia
allora di mettere in pratica
ziani abituali consumatori di succhi arricchiti
con vitamine, si ammalano di Alzheimer con
una frequenza molto inferiore», aggiunge Padovani. «Gli antiossidanti quindi hanno funzione di prevenzione, ma quando la malattia è
presente non servono più».
COSA RISERVA IL FUTURO
Nel frattempo la ricerca continua in modo
serrato su più fronti per arrivare a sviluppare
farmaci in grado non solo di alleviare i sintomi, ma di arrestare la malattia. I primi risultati
sono promettenti. Le opzioni sono numerose, in particolare quelle che agiscono a livello
enzimatico, bloccando la temibile produzione di beta-amiloide. Alcuni sono già pronti
per l’uso e nel giro di un paio di anni dovrebbero essere in sperimentazione anche nel nostro Paese.
«Pure terapia genetica offre interessanti
prospettive», prosegue Padovani. « Si pensa
di interferire a livello genetico con gli enzimi
che giocano produttori di beta-amiloide. Personalmente penso che sarà un’opzione possibile in cinque anni. C’è poi il vaccino: è già in
studio da anni e vi sono risultati moltom promettenti, tanto che nel 2010 avremo il vaccipiù parti vengono proposti come capaci di ritardare il deterioramento cognitivo: alcuni antiossidanti come la vitamina E, il ginkgo biloba e la selegina. La loro efficacia però è dimostrata su modelli animali, mentre gli studi sull’uomo non hanno mostrato un’azione interessante. «Studi americani dimostrano che gli an-
uno stile di vita sano,
in modo da contrastare
questi due fattori. Basta
poco: alimentazione
equilibrata, con pochi
grassi e ricca di verdura
e frutta; esercizio fisico
regolare; non fumare;
assunzione costante
di farmaci mirati quando
sono già presenti i fattori
di rischio.
씰 La Federazione Alzheimer Italia è la maggiore organizzazione
nazionale non profit dedicata alla malattia: riunisce 47 associazioni
locali impegnate nell’assistenza ai malati e ai loro familiari. Gli obiettivi
della Federazione sono: diffusione dell’informazione e sensibilizzazione
dell’opinione pubblica e delle istituzioni; promozione della ricerca
medica e scientifica; sostegno e tutela del malato e dei suoi familiari;
partecipazione alla programmazione della politica sanitario-sociale.
Fra le varie attività che vengono portate avanti si segnalano
la preparazione della famiglia ad affrontare con competenza
l’assistenza; il sostegno ai famigliari attraverso anche
una linea telefonica e incontri con i medici; diverse
pubblicazioni, fra cui un notiziario, e conferenze.
Federazione Alzheimer Italia, via T. Marino 7
20121 Milano. Tel 02.80.97.67; www.alzheimer.it
no in sperimentazione clinica anche in Italia,
destinata a chi inizia a lamentare i primi disturbi della malattia. Infine è meno lontano di
quanto si possa pensare l’uso delle cellule staminali. Non per generare nuovi neuroni, ma
per produrre sostanze neurotrofiche in grado
di aumentare la resistenza e vitalità del neurone di fronte alle azioni neurotossiche del betaamiloide. In Israele e in Gran Bretagna già
fanno applicazioni di cellule staminali con
questa indicazione; se i risultati saranno lusinghieri, la terapia con le staminali potrebbe essere una realtà fra pochi anni».
왎
L’attività
cerebrale
contrasta
la malattia: sia
come prevenzione
che come terapia
Infine, un’indicazione,
assai importante:
essere e rimanere attivi,
sia intellettualmente
sia fisicamente.
È dimostrato che chi ha
interessi, mantiene
contatti sociali e si
impegna in un’attività
sportiva si ammala meno
frequentemente
di Alzheimer.
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