Organi di Senso - AppuntiMedicina

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Organi di
Senso
La Laringe …......... 2
Audiologia …......... 29
Vestibologia …......... 56
Le Cavità Nasali …......... 60
Le Paralisi del VII n.c. …......... 66
Oftalmologia …......... 71
Odontostomatologia …......... 115
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LA LARINGE
La laringe è un organo muscolo cartilagineo deputato alla fonazione, che si trova all'inizio delle vie respiratorie inferiori, nel punto di congiunzione di queste con l'ipofaringe. Ha la forma di un imbuto, ed è costituita anteriormente dalle cartilagini tiroide in alto e cricoide in basso. La tiroide è connessa da una membrana all'osso ioide, e da un altro legamento membranoso alla cricoide. La cricoide fornisce l'attacco ai primi anelli cartilaginei della trachea. La parte interna del laringe è formata in basso dalla cricoide e delle cartilagini ariepiglottidee, e in alto dall'epiglottide. Le corde vocali sono due, pari e simmetriche, tese fra i processi superiori della cartilagine aritenoide e la cartilagine tiroide. Più in basso di queste ci sono altre due cordicelle fibrose dette corde vocali false, e fra queste quattro strutture si apre una specie di cassa di risonanza detta ventricolo di Morgagni. Anatomo­fisiologia della fonazione
MUSCOLI LARINGEI
1. Muscoli estrinseci
La muscolatura estrinseca della laringe è responsabile dei movimenti di innalzamento e di abbassamento della laringe che accompagnano gli atti di deglutizione.
La muscolatura estrinseca della laringe ne permette il movimento verso l'alto e il basso, e corrisponde alla muscolatura della regione del faringe e del collo. Si tratta essenzialmente di tre muscoli principali che avvolgono faringe e laringe insieme inserendosi anteriormente sull'aponefrosi dello pterigomandibolare (costrittore superiore), sull'osso ioide (costrittore medio) e sulla cartilagine tiroide (costrittore inferiore). L'imbuto è avvolto da queste tre fasce, e stretto nel fondo dal costrittore inferiore, che funge anche da sfintere esofageo superiore. Anteriormente i muscoli milojoidei, omojoidei, tireojodei, tireoglosso e sternotiroidei completano la copertura. All'interno, la laringe comunica con l'ipofaringe attraverso l'apertura epiglottidea, dove il margine libero dell'epiglottide scende ad ogni deglutizione chiudendo l'accesso alle vie respiratorie.
•
•
Sovrajoidei
◦ Digastrico
◦ Milojoideo
◦ Stilojoideo
◦ Costrittori medio ed inferiore
Sottojoidei
◦ Sternojoideo
◦ Omojoideo
◦ Sternotiroideo
◦ Tirojoideo
2. Muscoli intrinseci
• Adduttori
• Abduttori
• Tensori
I muscoli cricotiroidei fanno ruotare in basso e in avanti la tiroide, con un movimento a cerniera anteriore dello scudo tiroideo sulla cricoide, mettendo in tensione le corde, in quanto la tiroide e le aritenoidi si allontanano.
I muscoli cricoaritenoidei posteriori, tesi fra i due processi aritenoidei, fanno allontanare la parte anteriore di essi, allontanando le corde vocali. I muscoli cricoaritenoidei laterali, tesi fra la cricoide e le aritenoidi, fanno l'opposto. Il muscolo (inter)aritenoide, teso fra i due processi aritenoidei, avvicina anch'esso le corde vocali. I muscoli tiroaritenoidei, tesi fra la tiroide e le aritenoidi, accorciano le corde vocali diminuendone la 2
Alessandro G. - 2011/2012
tensione. Abduzione: Cricoaritenoidei posteriori
Adduzione: Cricoaritenoidei laterali ed interaritenoideo
Tensione: Cricotiroidei Rilasciamento: Tiroaritenoidei
NERVI LARINGEI
Tutti i muscoli del laringe sono innervati dal laringeo inferiore o ricorrente, ad eccezione del crico­tiroideo che è innervato dal laringeo superiore. I due nervi laringei partono entrambi dal nervo vago (3). Il laringeo superiore si stacca da esso a livello del ganglio nodoso, e si divide, all'altezza dell'osso ioide, in due branche: quella esterna (2) che innerva con fibre motrici il cricotiroideo, quella interna (1) che ha solo fibre sensitive, e che si anastomizza con il laringeo inferiore (ansa di Galeno). Il laringeo inferiore o ricorrente (4) nasce molto più in basso, a livello delle strutture che derivano dal VI arco branchiale. A destra questo corrisponde al tronco della succlavia, con il quale è in stretto rapporto. Passa poi sopra la pleura superiore, e seguendo il margine destro dell'esofago entra in strettissimo rapporto con il lobo laterale destro della tiroide, per entrare nel laringe dove innerva tutti gli altri muscoli intrinseci (di destra). Il ricorrente di sinistra nasce al di sotto dell'arco aortico dove questo incrocia il bronco di sinistra, gli gira intorno da davanti a dietro contattando pericardio, atrio sinistro e vene polmonari. Passa sopra al bronco di sinistra e poi sale lungo la faccia anteriore dell'esofago, contrae rapporti molto stretti con il lobo sinistro della tiroide e finisce in laringe con fibre motorie.
•
•
N. Laringeo Superiore (essenzialmente funzione sfinterica)
◦ N. Laringeo Interno (sensitivo)
◦ N. Laringeo Esterno (motorio per il crico­tiroideo)
N. Laringeo Inferiore (funzione fonatoria e respiratoria)
3
Esclusivamente motorio; decorso differente a sn rispetto a ds.
La branca anteriore innerva tutti i mm. della laringe salvo il crico­tiroideo; la branca posteriore innerva il costrittore inferiore della faringe.
Conformazione interna della laringe
Lo strato mucoso inferiormente e superiormente è costituito da epitelio pseudostratificato ciliato. La superficie mediale di contatto è costituita da epitelio pavimentoso non corneificante.
Fisiologia della laringe
1. Funzione respiratoria: la laringe fa parte delle V.A.S.; partecipa alla rimozione delle secrezioni tracheo­bronchiali (riflesso della tosse).
2. Funzione sfinterica per prevenire l'aspirazione: la contrazione della muscolatura ariepiglottica riduce molto l'aditus laringeo
◦ Retroversione dell'epiglottide
◦ Innalzamento della laringe (muscoli estrinseci sovrajoidei)
◦ Adduzione delle corde vocali, e contemporaneo arresto della respirazione ◦ Riflesso della tosse (adduzione delle corde, arresto del respiro): serve a detergere le vie aeree dall'entrata di eventuale materiale estraneo quando viene a mancare il sincronismo 3. Funzione fonatoria: rappresenta un'abilità tardiva della laringe. Vibrazione delle corde vocali durante l'espirazione
◦ Organi attivatori: polmoni e muscoli respiratori
◦ Organi vibratori: corde vocali
◦ Organi risuonatori: sovraglottide, faringe, cavo orale, cavità nasali e paranasali
La vibrazione prodotta a livello delle corde vocali viene poi modificata, in quanto si arricchisce delle formanti superiori, acquisendo un suo timbro ad opera delle cavità di risonanza. La vibrazione subisce un'amplificazione, viene articolata dai movimenti della mandibola, della lingua, del velo palatino, della labbra, delle guance, ecc.
Caratteristiche acustiche della voce
• Intensità: l'intensità del suono vocale dipende dall'ampiezza della variazione di pressione e si traduce alla registrazione oscillografica con l'ampiezza delle onde del tracciato. L'intensità vocale varia con la pressione sottoglottica.
Husson ha calcolato:
10 cmH2O nella conversazione calma (30db)
60 cmH2O nel canto leggero(60 dB)
100 cmH2O grido del richiamo (70 dB)
160 cmH2O esposizione di un oratore (80db)
360 cmH2O tenore al massimo della potenza (120 dB)
• Altezza: l'altezza del suono esprime la frequenza della variazione di pressione. L'altezza della voce o frequenza del suono fondamentale dipende direttamente dalla periodicità del movimento delle corde vocali. L'altezza tonale di un soggetto dipende dalla dimensione del proprio laringe: più le corde vocali sono lunghe più la voce è grave.
• Timbro: il timbro della voce dipende da una parte dalle modalità d'accollamento delle corde vocali e dall'altra dalle caratteristiche anatomiche delle cavità di risonanza. Rappresenta una caratteristica molto importante del “suono vocale”, 4
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infatti è essenzialmente dal timbro che si può identificare una persona. Dal punto di vista della fisica il timbro di un suono, come la voce, dipende dal numero e dall'intensità relativa delle armoniche. Le armoniche corrispondono a frequenze multiple del suono fondamentale che si sovrappongono a quest'ultimo secondo una ripartizione nella scala delle frequenze. Sul tracciato sonografico sono evidenziate sotto forma di bande grigie
• Registri: quando si emette una sequenza di suoni (canto), partendo dal suono più grave per arrivare al suono più acuto realizzabile, si osserva che la qualità della voce tende a modificarsi una o più volte per passare alle note più acute (cambia registro). Il registro è caratteristico di ogni voce e si può valutare con l'analisi dei campi vocali. Si distinguono due registri principali: grave ed acuto in relazione allo spessore e alla lunghezza delle corde vocali, ma vengono descritti anche un terzo ed un quarto registro.
4. Manovra di Valsalva
◦ Consente la trasmissione della pressione alla cavità addominale
◦ Rende stabile l'espansione toracica nel sollevamento di pesi ed in alcune prestazioni vocali (grida, canto)
Modalità d'esame della laringe
Laringoscopia indiretta:
Si esegue con il malato seduto, a capo leggermente esteso. Si fra protrudere la lingua, in modo da sollevare la laringe, ad essa ancorata tramite l'osso ioide, e si introduce uno specchietto riscaldato (altrimenti si appanna) a 40­45° al davanti dell'ugula. Illuminandolo, esso proietta la luce in laringe e riflette all'osservatore quello che si vede. Per facilitare l'osservazione della laringe si può far pronunciare la lettera “E” o “I”, ottenendo un maggior innalzamento della laringe stessa, e un avvicinamento delle corde vocali. Può essere necessaria una anestesia locale da effettuare nei seni piriformi. Se il paziente respira profondamente le corde vocali sono dilatate e si intravede la trachea. Vantaggi: veloce e non costosa
Svantaggi: può risultare fastidiosa, non è fisiologica, non consente la memorizzazione delle immagini
Laringoscopia a fibre ottiche ­ Fibroendoscopia
Richiesta in genere nei bambini, perché la forma dell'epiglottide è più larga e non permette la visualizzazione indiretta, si usa soprattutto per interventi di polipectomia endoscopica, intubazione endotracheale, broncoscopia superiore. Lo strumento usato è un laringoscopio flessibile a fibre ottiche, oppure rigido .
Laringoscopio rigido (70 o 90 gradi): Vantaggi: migliore immagine ottica, ingrandisce grazie allo zoom, consente di tenere una documentazione video
Svantaggi: può essere mal tollerato, non è fisiologico ed è costoso
Fibroendoscopio
Vantaggi: ben tollerato, fisiologico e consente una documentazione video
Svantaggi: maggiore tempo, costoso e risoluzione limitata dalle caratteristiche delle fibre ottiche
Videonasolaringoscopia
EMG
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Microlaringoscopia diretta
È utilizzata per il trattamento chirurgico
Stessa tecnica della laringoscopia diretta, ma lo strumento da utilizzare è il laringoscopio associato a microscopio operatorio, che permette una visione molto precisa della mucosa e l'analisi di alterazioni anche di livello minimo, oltre che l'esecuzione di numerosi interventi di chirurgia funzionale soprattutto sulle corde vocali Videostroboscopia
Fondamentale per lo studio della cinetica delle corde vocali. L'esame viene svolto come una normale laringoscopia indiretta o con fibre ottiche; al paziente viene fatta pronunciare la vocale E; la frequenza di vibrazione cordale sarà recepita da un microfono a contatto posto a lato della cartilagine tiroidea, e sarà automaticamente estratta da un sistema di filtri. Si creerà un sincronismo tra la frequenza di vibrazione cordale e la frequenza di illuminazione.
Illuminando le corde vocali con lampi di luce sincronizzati con la frequenza di vibrazione, esse saranno illuminate sempre nello stesso momento del loro ciclo vibratorio e cadendo la luce sempre nello stesso punto appariranno all'esaminatore come fossero ferme qualora il funzionamento sia normale e simmetrico.
Qualora la frequenza di accensione della lampada sia diversa (minore) rispetto alla frequenza di vibrazione, osserveremo le corde durante tutto l'arco del movimento nei punti via via adiacenti che verranno illuminati, ottenendo in quest'ultimo caso un'immagine di lento movimento.
Permette di osservare le due componenti del movimento vibratorio: lo spostamento delle corde vocali (progressiva chiusura­apertura) e l'onda mucosa (onda glottica):
• Qualità dell'avvicinamento delle corde vocali e localizzazione dell'eventuale deficit di accollamento
• Simmetria o assenza di movimenti vibratori e ondulatori
• Ampiezza della vibrazione laterale
• Qualità dell'ondulazione della mucosa
Tale tecnica si è evoluta grazie al fibroscopio rigido o flessibile collegato ad una telecamera che dà la possibilità di esaminare le corde ingrandite, nel primo caso, e durante l'eloquio o il canto, nel secondo caso.
Imaging
TC: Metodica di prima istanza (mdc)
MRI: Valore complementare
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PATOLOGIA INFIAMMATORIA DELLA LARINGE
Congestione: marcata soprattutto a livello glottico dove le corde vocali appaiono iperemiche con secrezioni mucose a livello della commessura anteriore.
Edema: si localizza preferibilmente a livello del corion ed in particolare nello spazio di Reinke. Ciò impedisce la genesi e la propagazione dei movimenti ondulatori della mucosa.
I fenomeni flogistici associati perturbano la contrazione dei muscoli intrinseci della laringe che insieme alla componente edematosa dà luogo alla disfonia. Epidemiologia
Predomina nei maschi
Colpisce di più i professionisti della voce
Fattori favorenti
• Stagione umida e fredda
• Fumo
• Etilismo cronico
• Reflusso Gastro­esofageo
• Surmenage delle corde vocali
• Inquinamento atmosferico
• Esposizione a vapori irritanti e ad ambienti polverosi
Sintomatologia
L'edema laringeo comporta non solo una ipomobilità della laringe ma crea una perturbazione dei movimenti della mucosa che ricopre le corde vocali.
I fenomeni flogistici associati perturbano ulteriormente la contrazione dei muscoli intrinseci della laringe che insieme alla componente edematosa generano la disfonia.
Le analisi aerodinamiche eseguite in queste condizioni evidenziano che la fase di adduzione è più breve e persiste una beanza della glottide.
In genere compare nel corso di un episodio influenzale o una faringite virale ed è caratterizzata da:
• Disfonia con una voce che tende a diventare da una voce “velata” ad una voce sempre più roca fino all'afonia
• Sensazione di pizzicore
• Tosse secca e stizzosa
• Sensazione di costrizione o di bolo
• Febbre assente o moderata
• Dispnea laringea, rara negli adulti a causa dell'ampiezza del lume laringeo
Eziologia virale: più spesso associata ad una flogosi delle VADS e può associarsi ad una tracheite (Rhino­, Influenza­ e Parainfluenzavirus). Laringiti erpetiche sono casi particolari che colpiscono più frequentemente pazienti immunodepressi (presenza di vescicole o di ulcerazioni della mucosa laringea dolorose).
Eziologia batterica: più frequentemente evoluzione di una laringite virale. La mucosa laringea può divenire granuleggiante e ricoprirsi di pseudomembrane. È frequente l'associazione con una tracheite. I germi in causa possono essere degli streptococchi, stafilococchi, pneumococchi e Haemophilus influenzae (“infernal trio”); sono stati isolati anche germi come il Proteus mirabilis, Proteus vulgaris, Pseudomonas aeruginosa ed Actinomyces. Alcuni autori (Schalen) riportano la presenza di una Moraxella catarrhalis nella rinofaringe di pazienti con laringite acuta rispetto al 6­8% del gruppo di controllo.
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Eziologia micotica: si presenta, in genere, in forma subacuta.
• Candidosi: Raramente interviene in assenza di fattori favorenti. Tra i fattori di rischio vanno considerati: antibiotici; corticosteroidi specie quelli inalati; diabete; alcool; intubazioni prolungate; irritazioni laringee da caustici o da flogosi; immunodepressione (chemioterapia, AIDS); effetti della radioterapia. Il paziente presenta una disfonia e, specie nelle forme da immunodepressione, può essere presente anche una disfagia fino ad una dispnea.
• Aspergillosi: il grado di invasione laringea dipende, in genere, dalla immunocompetenza del paziente. Può simulare una neoplasia.
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Laringite catarrale:
◦ Ipertrofia della commessura posteriore
◦ Muco denso endolaringeo
Eziologia virale, accompagna un analogo processo del rinofaringe. È accompagnata da disfonia, secchezza della gola e tosse secca e stizzosa. Successivamente si produce un espettorato non abbondante, denso e viscoso. Tutta la mucosa è iperemica e congesta, specie nella regione delle corde vocali. Questo processo si estende spesso alla muscolatura intrinseca del laringe, provocando dei quadri endoscopici caratteristici dovuti alla paralisi infiammatoria dei diversi muscoli.
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Tracheite batterica pseudomembranosa: è una forma di croup non comune, atipica, potenzialmente letale, dove l'infezione, di solito da Stafilococco aureo, causa la formazione di membrane simili a croste nell'albero tracheobronchiale. Queste membrane e croste nel lume tracheale determinano stridore inspiratorio ed espiratorio. Vi può essere insorgenza rapida di ostruzione respiratoria.
Laringite allergica: la dilatazione acuta dei vasi e l'aumento della permeabilità capillare dovuta all'istamina comportano una iperemia della mucosa laringea. Essa può essere variabile e può portare all'ostruzione della via aerea. Diverse sostanze sono capaci di produrre tale reazione: tra i farmaci FANS, aspirina, penicillina. Alcuni alimenti, punture di insetti, allergeni inalanti. Un'altra possibile causa è l' Angioedema di Quincke nella sua forma ereditaria autosomica dominante da deficit della C1esterasi­inibitore (C1INH).
Laringite medicamentosa non immunologica: dovuta al contatto diretto della mucosa con la sostanza (arsenico, mercurio) Emorragie sottomucose in soggetti in terapia con anticoagulanti: l'ematoma si localizza più facilmente nella faccia linguale dell'epiglottide a causa della ricca vascolarizzazione di questa area . Rispetto ad una epiglottite mancano i segni generali dell'infezione.
Laringiti da caustici o da danno termico: l'aggressione termica gioca un ruolo più importante rispetto a quella chimica. L'intensità del calore produce vasodilatazione.
Obiettività laringea
Le corde vocali perdono il classico colorito madreperlaceo: sono iperemiche con vasi visibili sulla faccia superiore. La motilità è conservata. Secrezioni mucose presenti particolarmente a livello della commessura anteriore.
Evoluzione
L'evoluzione è benigna. Le recidive sono in relazione a fattori favorenti.
La persistenza di disfonia oltre i 15 giorni deve portare a rivedere la diagnosi.
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Le complicazioni sono rare e possono consistere in manifestazioni flemmonose laringee (epiglottiti) o perilaringee con conseguente comparsa di dispnea, più probabili in soggetti immunodepressi.
Trattamento
Trattamenti con antibiotici, antiflogistici o corticosteroidi per via sistemica, riposo vocale, eliminazione di fattori irritanti (tabacco, alcool).
Inalazioni caldo­umide o aerosolterapia con fluidificanti associati a corticosteroidi.
Se esiste RGE: correggere con dieta e terapia.
Se esiste distress respiratorio: Intubazione o Tracheotomia
Complicazioni
Le forme di origine batteriche possono resistere al trattamento medico ed evolvere verso un processo ulcerativo della mucosa laringea, una epiglottite, una pericondrite, un ascesso laringeo. Queste forme gravi possono necessitare di misure terapeutiche complesse come l'antibioticoterapia associata a corticosteroidi per via sistemica, l'intubazione.
Le laringiti allergiche possono avere un carattere rapidamente evolutivo e provocare una dispnea intensa fino all'asfissia. EPIGLOTTITE
1 caso/100.000. Colpisce più facilmente il sesso maschile (2/1). In età pediatrica grazie alla vaccinazione contro l'Haemophilus è in netta diminuzione.
È caratterizzata da una infiammazione delle strutture sopraglottiche e soprattutto dell'epiglottide secondaria ad una infezione delle vie aeree superiori. Si manifesta con febbre, disfonia, odinofagia, dispnea.
Alla diagnosi si giunge con una laringoscopia indiretta o con l'aiuto di un fibroscopio I germi più frequentemente in causa sono Haemophilus, Pneumococco, Streptococco β­
emolitico.
La prognosi dipende dalla rapidità di inizio della terapia. La mortalità è inferiore all'1% e l'intubazione o la tracheotomia sono necessarie in circa il 10% dei casi. Nei pazienti immunodepressi tale percentuali sono più elevate.
PERICONDRITI
Sono rare e colpiscono più facilmente la laringe dopo radioterapia, oppure i pazienti immunodepressi o dopo una intubazione prolungata.
Sintomi: disfagia, vivo dolore alla palpazione della cartilagine tiroide e cricoide, la cute può essere arrossata La diagnosi è clinica ma per la valutazione dell'estensione la TAC è l'esame di scelta.
ASCESSO LARINGEO
È una complicazione di una epiglottite o di una pericondrite. Una fluttuazione della parte anteriore del collo evidenzia una necrosi della cartilagine tiroide.
Tracheotomia d'urgenza in anestesia locale.
L'estensione ai tessuti molli del collo può complicarsi ulteriormente con una mediastinite.
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PARALISI LARINGEE
Completa o incompleta: riferimento ai movimenti residui.
Unilaterali o bilaterali: lateralità della paralisi. La corda sana compie un tentativo di compenso arrivando a spostarsi oltre la linea mediana per mettersi a vibrare in risonanza con l'altra. Questo compenso avviene per gradi .
Disfoniche o dispneizzanti: sintomatologia.
Adduzione o abduzione: posizione corda paretica.
Centrali o periferiche: sede del danno.
1. Paralisi laringee centrali
Le cause sono legate ad alterazioni delle strutture nervose centrali (lesione dei centri motori corticali, vie di associazione o nuclei bulbari del vago)
• Malattie degenerative (SLA, Arnold­Chiari, Sclerosi a placche) • Neoplasie
• Infezioni virali (encefaliti, poliomielite)
Meno frequenti (1/10). In genere le paralisi sono in abduzione o posizione paramediana.
Classificazione di Ward­Hanson­Berci: distinzione tra disturbi del sistema afferente e disturbi del sistema efferente
Disturbi del s. afferente: lesione a sede soprabulbare con difettosa coordinazione fra afferenze sensitive e funzionali laringee. La stimolazione della mucosa delle vie aeree provoca spiccato riflesso laringeo con laringospasmo, e non paralisi Disturbi del s. efferente: • sistema piramidale: perdita di coordinazione fra movimenti respiratori e fonatori; questi pz. hanno difficoltà nel comprendere il linguaggio scritto e parlato e presentano disartria ed afonia • sistema extrapiramidale: alterazione della motilità laringea con scarso controllo dei movimenti fonatori (tremore e paresi delle corde vocali, tipico del Parkinson)
• sistema cerebellare: frequenti contrazioni involontarie delle corde vocali con adduzione ed abduzione irregolari; nella M. di Arnold­Chiari (anormale disposizione del romboencefalo) tale quadro sfocia in una paralisi bilaterale delle corde vocali
• midollo allungato: lesioni del midollo allungato che interessano il nucleo del X n.c.; spesso si associano a lesione di altri nuclei; si manifestano con paralisi flaccida in posizione paramediana, disfagia, inalazione e rinolalia aperta (siringomielia)
Sindrome di Gerhardt: paralisi bilaterale incompleta delle corde vocali.
La paralisi riguarda esclusivamente i muscoli crico­aritenoidi posteriori e le due corde vocali sono in posizione paramediana; poiché i movimenti di adduzione sono conservati, le corde vocali durante la fonazione si accavallano, mentre durante l'inspirazione vengono aspirate verso il basso; non si ha quindi disfonia, bensì dispnea inspiratoria; la sindrome è uno dei sintomi più importanti della tabe dorsale, essendo conseguente a meningo­radicolite luetica del X paio di nervi cranici.
• Paralisi incompleta delle corde vocali in adduzione
• Corde vocali in posizione paramediana
• Dispnea
• Lieve disfonia (durante la fonazione le cc. vv. possono essere normalmente addotte)
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In genere secondaria a lesioni del nucleo ambiguo e delle sue fibre radicolari (tabe). Secondo Semon le fibre per i muscoli cricoaritenoidei posteriori hanno una disposizione periferica e quindi sono le prime ad essere lese; secondo King esiste una duplice funzione dei ramuscoli terminali del ricorrente per cui le fibre dilatatrici sono più fragili.
Sindrome di Ziemsen: paralisi delle corde vocali in abduzione (diplegia fonatoria).
• Corde vocali fisse in abduzione (glottide aperta)
• Tosse, inalazione di solidi e liquidi (ab ingestis)
• Afonia transitoria che diventa poi persistente
Patogenesi centrale (infarto bulbare per sindrome di Wallemberg).
2. Paralisi laringee periferiche
La branca interna del nervo laringeo superiore penetra attraverso la membrana tirojoidea insieme al peduncolo vascolare (arteria e vena laringee) ed porta l'innervazione sensitiva alla laringe. La branca esterna provvede all'innervazione motoria per il muscolo cricotiroideo.
•
N. Laringeo superiore
◦ Incompleta
Ramo esterno motorio (m. cricotiroideo) o anche solo il ramo interno sensitivo (lesionabile nella faringotomia laterale).
Causa: iatrogena (chirurgia), infezioni (difterite, Herpes Zoster).
Ipotono delle corde vocali, lieve disfonia.
◦ Completa
Rami esterno ed interno (sensitivo).
Lesione a monte della biforcazione.
Ipotono delle corde vocali, lieve disfonia, anestesia della metà omolaterale della laringe.
•
N. Laringeo inferiore
◦ Monolaterali (traumi, neoplasie specie dell'apice del polmone, mediastiniche o dell'esofago, infezioni, affezioni cardiovascolari). Ristagno di saliva dal lato leso. È importante distinguere tra la paralisi della corda vocale e l'immobilità cordale risultante dalla fissità dell'articolazione cricoaritenoidea: questo può essere apprezzato solo alla laringoscopia diretta testando il movimento passivo dell'aritenoide sulla superficie dell'articolazione della cricoide.
▪ Unilaterale a Sinistra: più frequenti
Adenopatie neoplastiche maligne; patologia cardio­aortica; nevriti virali; neoplasie maligne dell'esofago cervicale o della tiroide.
▪ Unilaterale a Destra: meno frequenti
Nevriti virali; neoplasie maligne dell'apice polmonare destro; neoplasie maligne dell'esofago cervicale o della tiroide.
◦ Bilaterali (adduzione o abduzione)
Bilaterali Periferiche
Neoplasie maligne dell'esofago cervicale o della tiroide
Sindrome di Riegel: paralisi del laringeo inferiore in adduzione (diplegia totale)
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•
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•
•
Paralisi completa
Corde vocali fisse in posizione mediana Dispnea e disfonia marcata (prevale la dispnea)
In genere causata da carcinomi della tiroide o dell'esofago, chirurgia tiroidea
Sebbene sia riferita come “iniezione della corda vocale” o “iniezione intracordale”, l'iniezione di pasta di Teflon è paracordale per aumentare e medializzare l'emilaringe paralizzata in modo che la vibrazione delle corde vocali diventi più efficace. La pasta non deve essere posizionata superficialmente. Viene iniettata come prima (e spesso unica) iniezione nell'emilaringe posterolaterale, nella porzione laterale del muscolo tiroaritenoideo, mediale alla lamina della cartilagine tiroide e laterale al processo vocale dell'aritenoide; in qualche caso è necessaria una seconda iniezione supplementare più piccola, anteriormente alla prima, per un totale di 0,5 ­ 0,7 cc.
La normale mobilità dell'articolazione cricoaritenoidea dovrebbe essere verificata prima dell'iniezione. I pazienti giovani, e quelli con una prognosi buona con paralisi di una corda vocale da lungo tempo, possono trarre maggiore giovamento dalla medializzazione della corda vocale o da una delle tecniche di fonochirurgia disponibili, per produrre una riabilitazione della voce senza introduzione di sostanze estranee nei tessuti laringei.
Tiroplastica di tipo I: inserimento di materiale per medializzare la corda vocale attraverso una finestrella aperta nella cartilagine tiroide.
DISFONIA
Alterazione di uno o più dei propri caratteri acustici o più semplicemente una turba momentanea o duratura della funzione vocale :
• Timbro • Intensità
• Altezza tonale
Disfonia disfunzionale
Un'alterazione della funzione vocale sostenuta essenzialmente da una turba del gesto vocale:
• Disfonia disfunzionale semplice in cui non si osservano lesioni specifiche della laringe.
• Disfonia disfunzionale complessa quando per una disfonia disfunzionale semplice compaiono delle complicanze laringee.
Età tra i 32 e i 58 anni
Professionisti della voce (60%)
Predominanza nel sesso femminile (66%)
Le disfonie funzionali sono malattie della voce che sono caratterizzate da una alterazione del timbro vocale (prevalentemente nel senso di raucedine) e/o da una limitazione della prestazione vocale senza che si possano riconoscere modificazioni organiche primarie delle strutture anatomiche interessate alla creazione della voce.
Nella clinica queste disfonie compaiono per eccesso o difetto di tensione muscolare che colpiscono soprattutto
• la pressione di soffio (attività dell'apparato respiratorio)
• la resistenza glottica (tensione delle corde vocali).
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Teorie patogenetiche
• Organicistiche : sproporzione fra i differenti organi della parola (volume polmonare e configurazione delle corde vocali)
◦ Turbe uditive
◦ Turbe endocrine
◦ Turbe neurologiche
◦ Eziologia otorinolaringoiatrica (fonastenia, allergia, etc.)
• Psicologiche : emozione, malattie mentali (disfonia di rifugio in certi soggetti che cercano di sfuggire ad alcune situazioni; fonazione ipertonica come meccanismo di regressione o di difesa contro un'angoscia esistenziale) che sfocia in un meccanismo arcaico di ipertonia vocale.
“Circolo vizioso” dello sforzo vocale
Disturbo della voce → Aumento momentaneo di efficacia
↓
Sforzo vocale → Riduzione volontaria della produzione vocale; progressiva riduzione di rendimento
↓
Fattori favorenti
↓
Sforzo vocale continuo → Distorsioni nel meccanismo di proiezione vocale
→ Alterazioni della mucosa della laringe
Fattori scatenanti:
• Alcune affezioni in campo ORL (laringite acuta, intubazione, eccessi vocali, urla)
• Fattori psicologici (l'emozione prende spesso”alla gola”)
• Affaticamento generale
• Tosse (provoca una irritazione laringea)
• Periodo premestruale (si produce una modificazione dell'epitelio che si ispessisce e modifica la sua componente cellulare)
• Gravidanza (una importante modificazione della parete addominale può determinare difficoltà nella proiezione vocale)
• Disfonia ex­acinesia terapeutica (una cura inopportuna di silenzio vocale prolungato)
Fattori favorenti:
• Obbligo professionale a parlare o a cantare
• Fattori psicologici (tendenza all'ansietà, perfezionismo)
• Intossicazione alcoolica e tabagica
• Reflusso gastro­esofageo
• Affezioni croniche della sfera ORL
• Deficit del controllo audio­fonatorio (difetto uditivo)
• Tecnica vocale difettosa
• Esposizione al rumore
• Esposizione a polveri, a vapori irritanti e ad aria condizionata
• Imitazione • Essere in contatto con soggetti ipoacusici
• Antecedenti polmonari (precedenti interventi di frenicotomia, pneumotorace o l'esito di 13
affezioni flogistiche (TBC))
Sintomatologia
Sensazioni concernenti le possibilità fonatorie: • Raucedine
• Irregolarità di timbro
• Scarsa capacità dopo un certo periodo d'uso della voce parlata e cantata
• Inefficacia in particolare della voce di richiamo
Sensazioni avvertite a livello dell'organo vocale: sono la conseguenza diretta del “circolo vizioso”
• Fastidio alla gola
• Pizzicori
• Sensazione della presenza di muco di cui il pz. cerca di liberarsi mediante schiarimento della voce
• Sensazione di irritazione laringea e bruciore
• Affaticamento o dolore durante la fonazione prolungata
• Sforzo respiratorio o senso di oppressione
Tale tipo di disfonia può evolvere verso la guarigione spontanea se intervengono modificazioni nella vita del paziente. Più sovente si aggrava fino ad installarsi in maniera permanente. In qualche caso compaiono complicanze laringee.
In una prima fase le azioni terapeutiche saranno variabili: dai trattamenti ORL fino alla psicoterapia.
La seconda fase è costituita dalla rieducazione che mira ad un recupero degli automatismi normali attraverso esercizi che riguardano:
• La padronanza del livello di tensione psico­motoria
• Il respiro e la postura globale
• La voce stessa
DISFONIA DISFUNZIONALE COMPLESSA
1. Nodulo delle corde vocali
Ispessimento mucoso bilaterale fusiforme in genere localizzato al passaggio tra terzo anteriore e terzo medio della corda vocale.
Adulti: maggiore frequenza nella donna
Bambini: maggiore frequenza nei maschi
Età: si osserva più frequentemente tra i 20 e i 30 anni. È strettamente legato alla professione (cantanti, insegnanti). Sopraggiunge in un soggetto che da tempo presenta una disfonia disfunzionale (qualche mese o qualche anno).
Sintomi soggettivi: pizzicori, dolori, alterazione della propria voce cantata con perdita degli acuti.
Sintomi obiettivi: si possono rilevare le alterazioni acustiche del comportamento fonatorio che non sono caratteristiche della lesione.
Laringoscopia: lesione del bordo libero della corda vocale all'unione tra terzo anteriore e terzo medio. Nel bambino si situano più all'unione del primo e secondo quarto.
Il nodulo può essere:
• Spinoso: ridotto ad una piccola spina biancastra spesso ricoperta di muco eliminabile con un colpo di tosse
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Alessandro G. - 2011/2012
Edematoso: tumefazione liscia
Fibroso: lesione vecchia, consistente e leggermente rugoso
Nodularità: volume importante, frequente nel bambino
Kissing noduli: lesione bilaterale molto frequente, in cui uno dei due noduli è generalmente più voluminoso
Perché si formi un nodulo è necessario che le corde vocali sventolino (diminuzione del tono). L'ondulazione della mucosa si propaga in senso infero­superiore e la chiusura laringea è tanto più brusca a livello del bordo libero della corda quanto più il flusso di aria è intenso. Per la legge di Bernoulli la pressione negativa intraglottica è direttamente proporzionale alla rapidità della corrente aerea.
A causa di questo flusso di aria eccessivo la parte muscolo­membranosa (2/3 anteriori) delle corde vocali ipotoniche assume un aspetto arcuato a convessità superiore ed è all'apice di tale convessità che si produce il trauma più grave ogni volta che le corde vocali si uniscono. Il trauma ripetuto è responsabile dell'ispessimento dell'epitelio in quel punto preciso che corrisponde all'unione tra terzo medio e terzo anteriore.
Evoluzione: il nodulo recente può sparire rapidamente se si interrompe lo sforzo. Qualora le condizioni persistano il volume del nodulo tende ad aumentare evolvendo verso una forma fibrosa. Il nodulo vecchio e fibroso diventa difficilmente reversibile.
Il fastidio funzionale, essendo ben sopportato, lascia poco spazio ad un intervento terapeutico. Talvolta il pz si affeziona ad un tipo di voce che lo caratterizza (voce roca).
Il trattamento logico del nodulo è la rieducazione, il cui obiettivo essenziale è l'eliminazione del comportamento di forzatura, attraverso informazione, rilassamento, tecnica del respiro, verticalità.
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•
•
2. Polipo cordale
La sede, come per il nodulo, è l'unione tra terzo anteriore e terzo medio. Talora lo si riscontra alla commessura anteriore leggermente sotto la glottide (in tale caso sembra prodotto da sforzi di tosse ripetuti); più raramente è impiantato sulla faccia superiore della corda vocale. Può, assumere aspetti angiomatosi fibrotici, e mixoidi.
Laringoscopia: il polipo si presenta sotto forma di una masserella arrotondata che si sviluppa a partire dalla corda vocale. Il polipo può essere peduncolato o sessile a seconda della base di impianto. Il polipo evolve in seguito ad uno sforzo intenso in particolari circostanze, quali le infiammazioni delle vie aeree, cattiva acustica di una sala o difficili circostanze psicologiche.
Rispetto al nodulo, si può ipotizzare che il polipo corrisponda ad uno sforzo più violento e limitato nel tempo, come un traumatismo vocale brutale e anche colpi di tosse.
Ipotesi più recente: non riguarderebbe solo lo sforzo vocale ma sforzi glottici extra­vocali che mettono in gioco la funzione sfinterica della laringe con blocchi glottici intensi seguiti da decompressioni brusche e traumatizzanti per la laringe, come avviene in alcuni sport (sollevamento pesi, motocross, o l'uso di strumenti a fiato).
A seguito di uno sforzo fisico a glottide chiusa si verificherebbe una emorragia nella lamina propria superficiale responsabile di fenomeni infiammatori locali (per questo sono presenti spesso aspetti angiomatosi). La cicatrizzazione ostacolata dal proseguimento del traumatismo vocale porta alla formazione del polipo.
Non è raro trovare una lesione fibrovascolare più piccola sulla corda vocale controlaterale. L'epitelio sovrastante è di solito normale e può essere abbastanza preservato.
Trattamento chirurgico e rieducazione vocale. La rieducazione può essere limitata a 15
poche sedute ma è indispensabile. Dovrà essere preoperatoria e postoperatoria e non dovrà subire interruzioni: a partire dal giorno successivo il pz. dovrà essere allenato al rilassamento o alla tecnica della respirazione. Verso il sesto/decimo giorno si procederà alla ripresa vocale.
3. Edema cronico delle corde vocali (Edema di Reinke o Cordite polipoide)
(Laringite cronica ipertrofica di aspetto mixomatoso; laringite pseudomixomatosa; edema cronico delle cc.vv.; edema cronico gelatinoso delle cc.vv.; poliposi laringea; degenerazione polipoide delle cc.vv.; fibroma edematoso)
Trasformazione edematosa del chorion della mucosa (strato tra mucosa e sottomucosa, analogo quindi al derma cutaneo) della corda vocale che interessa lo spazio di Reinke specie nella sua superficie superiore.
È una affezione relativamente frequente, bilaterale.
Netta predominanza del sesso maschile.
È in relazione all'uso di tabacco, alcool, R.G.E.; inquinamento atmosferico o ambientale.
Disfonia lentamente progressiva: la tonalità della voce diventa via via più grave con perdita del registro acuto.
Gli elementi del chorion (fibre connettive ed elastiche) sono associati ad essudato fibrinoso nel quale si osservano dei neovasi. L'epitelio di superficie è generalmente normale, a volte atrofico. La membrana basale è normale o ispessita. Può essere presente una placca leucoplasica. Eccezionalmente, atipie cellulari testimoniano una trasformazione maligna.
Classificazione di Yonekawa:
Grado 1°: l'edema provoca un contatto tra i terzi anteriori delle corde vocali in abduzione Grado 2°: contatto tra i due terzi anteriori
Grado 3°: contatto tra le corde vocali lungo tutta la loro lunghezza
Terapia: incisione della faccia superiore della corda vocale, aspirazione della sostanza fondamentale, resezione della mucosa in eccesso, riposizionamento con o senza colle biologiche.
4. Ulcera dell'aritenoide (granuloma da contatto) È un'alterazione della mucosa da perdita di sostanza che denuda la cartilagine aritenoide. Tale ulcera si situa spesso al terzo posteriore della glottide a livello dell'apofisi vocale, a volte coinvolge, più in alto, la faccia interna dell'aritenoide.
Tessuto di granulazione localizzato al processo vocale dell'aritenoide dove il mucopericondrio si attacca direttamente alla cartilagine con assenza di uno strato sottomucoso.
È il risultato di una reazione infiammatoria secondaria a disturbi traumatici della mucosa. Si riscontra più frequentemente nella regione aritenoidea.
Usualmente esofitica e spesso con base ristretta.
Si manifesta in pazienti con tosse cronica o reflusso gastro­esofageo. Può essere il risultato di intubazioni prolungate o a capo iperesteso o di chirurgia endolaringea o broncoscopia con endoscopio rigido per danneggiamento del pericondrio dell'aritenoide.
Questa alterazione può essere in rapporto con un traumatismo delle aritenoidi nel corso della fonazione.
Sintomatologia: i disturbi insorgono in modo progressivo in qualche settimana o in pochi mesi e sono caratterizzati da:
• Affaticabilità vocale
• Senso di corpo estraneo o di fastidio
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Disfonia in genere non particolarmente importante e più spesso dovuta alla tosse che il pz. presenta nel tentativo di espellere il granuloma
• Costrizione e dolori laringei durante la fonazione prolungata
• Dolore localizzato all'orecchio (otalgia riflessa) in genere assente d.d. con cancro laringeo o TBC laringea
Evoluzione: lenta e costante, frequenti recidive Trattamento: • Silenzio vocale per qualche giorno
• Rieducazione abbastanza lunga e difficile. Molto importante sarà l'allenamento al rilassamento. Gli esercizi vocali saranno orientati verso la realizzazione di attacchi dolci e verso la produzione di emissioni vocali sicure e potenti. Quando il granuloma è suscettibile di eliminazione spontanea sotto l'effetto dei trattamenti suddetti alcune manovre di espulsione a base di colpi di glottide inspiratori ed espiratori possono favorirne l'espulsione.
• Trattamento antireflusso
• L'ablazione chirurgica potrà essere indicata solo nel caso il granuloma crei seri problemi di vocalità. Il problema delle recidive è frequente.
•
5. Papillomatosi laringea
Papillomavirus umano 6­11, gli stessi che si ritrovano a livello genitale (vi sono particelle virali in seno alla lesione).
Caratterizzata da lesioni esofitiche. Esiste una forma giovanile ed una forma dell'adulto. La prima può complicarsi con l'ostruzione delle vie aeree, la seconda può andare incontro ad una trasformazione maligna.
La lesione è limitata all'epitelio: l'escissione dovrebbe preservare il legamento vocale. Interessa più comunemente la regione muscolo­membranosa, ma può estendersi dietro all'aritenoide, al ventricolo ed alla regione sottoglottica.
Il grado di crescita può essere irregolare e imprevedibile con remissioni ed esacerbazioni che avvengono senza una ragione apparente.
Una evoluzione spontanea è possibile ma una recidiva può apparire nell'adulto dopo remissione di una forma infantile.
Si distingue una forma ad evoluzione clinica benigna (buona) nella quale il sintomo è la disfonia, ed una forma più severa che può estendersi a tutta la via aerea.
Non esiste attualmente un fattore biologico prognostico.
I dati epidemiologici sono difficili da definire: non risulta una predominanza etnica; l'incidenza nel bambino è valutata da 0,2 a 0,7 per 100'000 ab.; nell'adulto 3,94 (studio danese) e 1,8 (studio USA) per 100'000 ab.
La contaminazione nel neonato avviene nel passaggio attraverso il canale cervicale dell'utero. Nell'adulto è possibile che la contaminazione possa anche essere neonatale ma esprimersi secondariamente.
Trattamento:
Laringoscopia in sospensione: i papillomi possono essere resecati o vaporizzati. Gli strumenti utilizzati possono essere:
• Strumenti a freddo
• Laser CO2, a diodi, argon. Il vantaggio di questi strumenti è quello di distruggere la lesione rispettando il più possibile il tessuto sano ed in particolare la mucosa
◦ Microspot Laser CO2: l'energia del laser CO2 viene assorbita dall'acqua e consente 17
allo spazio di Reinke di comportarsi come una barriera naturale che protegge il legamento vocale. Provvede ad una eccellente emostasi. Il danno termico che comporta può essere dannoso.
• Microdebrider
Antivirali per uso topico e sistemico. Dopo iniezione intralesionale con cidofovir eventualmente ripetuta, limitando l'escissione chirurgica ai casi di ostruzione della via aerea, si è ottenuta una remissione completa nel 31% con 2,6 interventi endoscopici.
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DISPLASIE EPITELIALI DELLE CORDE VOCALI
Criteri istologici
• Ipercromatismo • Polimorfismo nucleare
• Atipie cellulari
◦ del rapporto nucleo/citoplasma
◦ mitosi atipiche
◦ anomala differenziazione
• Cheratosi
• Cambiamenti strutturali
◦ approfondimento dell'epitelio nello stroma
◦ modificazioni strutturali dei vari strati epiteliali
LESIONI PRECANCEROSE
Lesioni iperplastiche/displastiche dell'epitelio di rivestimento. Due modalità evolutive possibili:
Epitelio normale
Carcinoma invasivo
Iperplasia semplice
Carcinoma in situ
Clinica:
• Placche leucoplasiche
• Ispessimenti/eritroplachia
• Papillomi dell'adulto (rispetto al giovanile che è in relazione con HPV6­11, nell'adulto si riscontra HPV16)
Cheratosi
• Senza displasia
• Con displasia
◦ lieve
◦ moderata
◦ severa (ca. in situ) 19
Imaging
Fluorescenza: nell'ambito del work up pre­ o intraoperatorio, oltre all'imaging utilizzato nella valutazione delle lesioni profonde, al fine di apprezzare l'estensione superficiale del tumore e di pianificare l'estensione chirurgica può venire associata la valutazione endoscopica, che in un primo momento sfruttò il fenomeno della fluorescenza indotta, e successivamente quello dell'autofluorescenza. La fluorescenza nelle prime esperienze era provocata dall'assorbimento dell'agente fluorescente (verde­indocianina): la variazione del segnale di fluorescenza ed il calcolo conseguente dell'indice di perfusione consentiva di distinguere il tessuto patologico da quello normale.
Nell'autofluorescenza non si utilizzano sostanze esterne. Grazie al principio che la composizione biochimica e l'architettura isto­morfologica del profilo dei tessuti determinano caratteristiche spettrali di fluorescenza differenti, è possibile differenziare il tessuto normale da quello patologico pre­neoplastico e tumorale.
Narrow Band Imaging (NBI): la luce normale è composta da tutte le frequenze dello spettro visivo. Nella NBI la luce proiettata è composta di due bande specifiche che sono fortemente assorbite dall'emoglobina. La banda con onde più corte (415 nm) penetra solo gli strati superficiali della mucosa, e viene assorbita dai capillari superficiali. La banda ad onde più lunghe (540 nm) penetra più profondamente ed è assorbita dai vasi venosi, che sono più profondi dei capillari della superficie della mucosa.
CARCINOMA DELLA LARINGE
Il carcinoma della laringe rappresenta l'1­2% di tutti i carcinomi epiteliali maligni. È la neoplasia più frequente del distretto testa/collo, la sesta neoplasia per frequenza nell'uomo. Un terzo degli affetti muore per questa malattia primitiva. Negli USA ci sono 11'000 nuovi casi all'anno.
Si tratta normalmente di carcinomi con epitelio pavimentoso, corneificato o meno; più raramente forme anaplastiche o adenocarcinomi. La forma è vegetante o infiltrata: in un secondo tempo entrambe tendono all'ulcerazione. Epidemiologia:
Gli uomini sono affetti 4 volte di più delle donne negli USA e 10 volte di più delle donne negli altri paesi del mondo (tale rapporto si sta modificando a causa dell'aumento del fumo da parte delle donne).
Colpisce prevalentemente la 6a­7a decade di vita.
Prevale nelle classi economiche più basse, nelle quali la diagnosi viene fatta ad uno stadio più avanzato.
Fattori di rischio:
• Fumo ed alcool
◦ Fumo: rischio alto per tutti i siti di laringe/ipofaringe.
◦ Alcool: maggior rischio per l'epilaringe/ipofaringe, basso per l'endolaringe.
Il 95% risulta fare uso di tabacco ed alcool all'anamnesi
• Carcinogenesi industriali: 5% (Asbesto, Idrocarburi aromatici policiclici, Nickel, Radiazioni ionizzanti)
• Papillomavirus (11% di degenerazione nell'HPV dell'adulto). Più frequente è il 16.
L'identificazione delle positività HPV sembra avere delle implicazioni per la diagnosi, la prognosi, la terapia e la prevenzione dei tumori della testa e del collo. HPV soprattutto 16 e 31; particolarmente quest'ultimo risulta un genotipo particolarmente oncogeno in tutti i tumori del distretto testa e collo anche se in modo più specifico per i carcinomi 20
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della tonsilla. La stadiazione della malignità è ormai imprescindibile da questa ricerca.
I pazienti HNSCC HPV­positivi dimostrano una maggiore sopravvivenza rispetto a quelli HPV­negativi. La causa di questa migliore sopravvivenza non è stata totalmente chiarita, tuttavia l'integrità della risposta apoptotica dovuta ai geni p53 consentirebbe una migliore risposta alla radio­ e chemioterapia. • Reflusso gastroesofageo
Localizzazione: la classificazione di Pietrantoni propone di dividere in tre zone principali: sopraglottica o vestibolare, glottica o cordale, sottoglottica.
1. Sovraglottide:
◦ Epiglottide epijoidea
◦ Epiglottide infrajoidea
◦ Pliche ariepiglottiche
◦ False corde
◦ Aritenoidi
2. Glottide:
◦ Corde vocali
◦ Commissura anteriore
◦ Commissura posteriore
3. Sottoglottide
Incidenza:
• Sopraglottico: 41%
• Glottico: 56%
• Sottoglottico: 1­2%. La maggiore parte delle localizzazioni sottoglottiche rappresenta l'estensione di primitive localizzazioni glottiche.
Isotipi
90%: carcinomi squamocellulari
10%: Linfoma, Carcinoma Spindle cell, NEC, Melanomi mucosi, Ghiandole salivari minori, sarcomi
Sintomatologia:
1. Sopraglottico: in questo caso la sintomatologia che compare per prima sono i disturbi alla deglutizione. Successivamente si ha disfonia, e se il tumore invade ancora di più lo spazio laringeo si ha raucedine e disfagia. 2. Glottico: il primo sintomo sono disfonia e raucedine per l'invasione delle corde vocali, solo successivamente compare la dispnea da ostruzione aerea; la disfagia è praticamente assente. 3. Sottoglottico: hanno come primo sintomo una lieve emottisi, poi disfonia e raucedine, se il tumore risale o infiltra il ricorrente, e dispnea da ostruzione aerea.
Classificazione TNM:
• Aiuto nel progettare il trattamento
• Fornisce informazioni prognostiche
• Permette la valutazione dei risultati
• Facilita lo scambio di informazioni e la ricerca
Tx: Tumore primitivo non definibile
T0: Tumore primitivo non evidenziabile
Tis: Carcinoma in situ
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1. Sovraglottide: la via di diffusione è anteriore, verso lo spazio compreso fra l'epiglottide e la membrana tirojoidea anteriore. Questa zona non offre barriere anatomiche e da qui la neoplasia può invadere la base della lingua o protrudere sotto la cute. In alternativa può essere frequente la diffusione indietro, verso il seno piriforme. T1: tumore limitato ad una sola sottosede della sovraglottide, con motilità normale delle corde vocali.
T2: il tumore invade la mucosa di più di una delle sottosedi adiacenti della sovraglottide o della glottide o regioni esterne alla sovraglottide (ad esempio mucosa della base della lingua, vallecola, parete mediale del seno piriforme) senza fissazione della laringe.
T3: tumore limitato alla laringe con fissazione della corda vocale e/o invasione di una qualsiasi delle seguenti strutture: area post­cricoidea, tessuti pre­epiglottici, spazio paraglottico, e/o minima erosione cartilaginea.
T4a: il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti extra­laringei (es. trachea, tessuti molli del collo, inclusi i muscoli estrinseci della lingua, muscoli pretiroidei, tiroide o esofago).
T4b: il tumore invade lo spazio prevertebrale, ingloba la carotide o invade le strutture mediastiniche.
2. Glottide: di solito invade il ventricolo, le corde vocali, e spesso si estende in avanti, perforando o aggirando la cartilagine tiroide T1: tumore limitato alla/e corda/e vocale/i (può coinvolgere la commissura anteriore o quella posteriore) con normale motilità.
T1a: lesione di una sola corda vocale
T1b: lesione di entrambe le corde vocali
T2: il tumore si estende alla sovraglottide e/o alla sottoglottide, e/o con compromissione della mobilità delle corde vocali.
T3: tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali e/o invade lo spazio paraglottico e/o presenta minima erosione cartilaginea.
T4a: il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti extra­laringei (es. trachea, tessuti molli del collo inclusi i muscoli estrinseci della lingua, muscoli pre­
tiroidei, tiroide, esofago).
T4b: il tumore invade lo spazio prevertebrale, ingloba la carotide o invade le strutture mediastiniche.
3. Sottoglottide: l'estensione è in avanti, verso la cute al di sotto della cartilagine tiroide, o posteriormente verso la bocca dell'esofago. Raramente interessa le porzioni superiori o inferiori del laringe. T1: tumore limitato alla sottoglottide.
T2: il tumore si estende a una o entrambe le corde vocali, con mobilità normale o compromessa.
T3: tumore limitato alla laringe con fissazione delle corde vocali.
T4a: il tumore invade la cartilagine tiroidea e/o si estende nei tessuti extra­laringei (trachea, tessuti molli del collo, inclusi i muscoli estrinseci della lingua, muscoli pretiroidei, tiroide o esofago).
T4b: il tumore invade lo spazio prevertebrale, ingloba la carotide o invade le strutture mediastiniche.
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Metastasi linfonodali
1. Sopraglottico: 30% (elevata incidenza di metastasi bilaterali)
2. Glottico (T3): 17% (svuotamento precauzionale; lesioni transglottiche: metastasi nel 19­21%)
3. Sottoglottico: 14­22% (50% Paratracheali o livello VI)
Diagnosi
• Laringoscopia indiretta
• Laringoscopia con fibroscopio rigido 70°
• Laringoscopia con fibroscopio flessibile
• Laringostroboscopia
• TAC spazio preepiglottico
Nella gestione del paziente con patologia laringea la TC occupa un ruolo importante sia nella stadiazione che nel follow­up, fornendo informazioni preziose circa la possibilità di un approccio conservativo.
La TC fornisce informazioni chiave su:
◦ Estensione sottomucosa della malattia ◦ Volume tumorale ◦ Estensione extralaringea ◦ Staging dell'N
◦ Completando lo studio del torace è possibile ottenere informazioni aggiuntive sulla presenza di eventuali neoplasie sincrone polmonari
Nello studio delle neoplasia laringee la TC può essere considerata come la tecnica di scelta in virtù della sua praticità e disponibilità.
• RM (complementare)
◦ spazio paraglottico
◦ estensione ipoglottica
◦ infiltrazione cartilaginea
Nel follow­up di pazienti trattati per carcinoma della laringe sembra fornire un maggiore numero di informazioni rispetto alla TC: tra i vantaggi offre informazioni più accurate nelle neoplasie estese alla commessura anteriore.
• Microlaringoscopia diretta in sospensione
• Panendoscopia Altre indagini: Radiografia o TC del torace; Broncoscopia; Esofagoscopia; Funzionalità epatica; Funzionalità respiratoria; Ecografia addominale (fegato); PET ?
BASI TECNICHE DELLA CHIRURGIA FUNZIONALE
DELLA LARINGE
L'espansione neoplastica è anarchica ma guidata da barriere ed aree di debolezza: 1. Loggia ITE (Io­Tiro­Epiglottica): funziona da cuscinetto, comunica con lo spazio paraglottico.
In caso di coinvolgimento della ITE da parte della neoplasia la classificazione diventa automaticamente T4.
2. Spazio paraglottico: spazio sottomucoso posto lateralmente alle vere e false corde (tra l'ala tiroidea lateralmente e la membrana quadrangolare superomedialmente ed il cono elastico inferomedialmente). Il coinvolgimento dello spazio paraglottico controindica la chirurgia conservativa.
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3. Ventricolo: recesso aereo orizzontale posto tra le false e le corde vocali vere. Non appartiene a nessuna delle 3 regioni laringee.
• precoce diffusione laterale • fissità emilaringe
• cancro su laringocele
• impossibile la chirurgia funzionale nei casi avanzati
4. Piano glottico: corde, commessura anteriore (manca il cono elastico) e posteriore. È un vallo biologico sia per quanto riguarda la diffusione diretta dei tumori sopraglottici sia per quanto riguarda il circolo linfatico T3:
• infiltrazione muscolo vocale
• impegno ventricolo
• blocco aritenoide
Nei T3 senza coinvolgimento para e sottoglottico è possibile una chirurgia funzionale.
5. Membrana crico­tiroidea: importanza chirurgica. Si trova a 10 mm dalla commissura anteriore. Diffusione extralaringea (peduncolo arterioso antero­inferiore).
6. Sottoglottide: dal bordo inferiore delle corde vocali al limite inferiore della cartilagine cricoide. È controindica la chirurgia funzionale. Prognosi infausta: metastasi a linfonodi paratracheali e mediastinici superiori, previscerali e paraviscerali (ricorrenziali e paratracheali). Le lesioni sottoglottiche danno metastasi laterocervicali nel 19,3%, sono rare le metastasi mediastiniche (1­2%)
7. Cartilagini: la epiglottide è il punto debole. L'ossificazione favorisce l'infiltrazione neoplastica. L'interessamento aritenoideo e commissurale posteriore si accompagna a metastasi anche bilaterali.
Tumori metacroni associati al carcinoma della laringe si associano dal 5% al 35% dei casi e soprattutto a livello polmonare (più frequentemente) ed esofageo. Riguardo ai carcinomi metacroni il carcinoma sopraglottico ha una incidenza 3 volte maggiore rispetto al carcinoma glottico.
Terapia:
Uno stadio precoce (T1 eT2) può essere trattato con la sola radioterapia o solo con la chirurgia con risultati di guarigione dell' 85­95%.
La chirurgia prevede un trattamento di minore durata, riservando la radioterapia alle recidive ma può avere peggiori risultati sulla voce.
La radioterapia ha una durata di 6­7 settimane, evita rischi chirurgici ma può avere complicazioni:
• Mucosite • Odinofagia • Micosi
• Edema Laringeo
• Secchezza
• Fibrosi e Senso di costrizione
• Radionecrosi
• Ipotiroidismo
• Tumori radio­indotti possono comparire a distanza di tempo
Nelle lesioni avanzate può essere spesso indicata una radioterapia adiuvante. La maggiore parte dei T3 e T4 necessita di una laringectomia totale. Nei T3 senza coinvolgimento para­ e sottoglottico è possibile una chirurgia funzionale. Le indicazioni alla radioterapia post­
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operatoria includono:
• T4 con invasione dell'osso/cartilagine ed estensione ai tessuti molli del collo • Invasione perineurale, vascolare e multipli linfonodi positivi, superamento della capsula linfonodale • Margini di resezione <5mm o positivi, estensione sottoglottica
La radioterapia adiuvante inizia sei settimane dopo la chirurgia e prevede un trattamento quotidiano per 6­7 settimane La chemioterapia può essere utilizzata in associazione con la radioterapia nelle forme avanzate. Vengono in genere usati Cisplatino e 5­Flourouracile. Il Cisplatino sensibilizza alla radioterapia le cellule cancerogene ed aumenta la sua efficacia se somministrato in concomitanza. L'induzione chemioterapica associata con radioterapia nelle forme avanzate (neoadiuvante) è una ulteriore opzione. Gli studi al riguardo dimostrerebbero una percentuale di sopravvivenza simile a quella della laringectomia totale con radioterapia adiuvante ma con preservazione della voce. Tuttavia tale affermazione necessita di ulteriori studi.
•
Chirurgia RADICALE
◦ Laringectomia totale
Riservata alle forme vestibolari diffuse o ventricolari. Questo intervento impone la creazione di una stomia permanente. La tecnica di Staffieri consiste nel rimuovere solo la parte sottoepiglottidea, e lasciare il primo anello tracheale. Queste due strutture vengono messe in contatto, conservando la via digestiva e il meccanismo sfinterico. Nella neo­laringe viene creata una neo­glottide vibrante a spese della mucosa esofagea che viene estroflessa attraverso lo strato muscolare. Altre tecniche permettono la creazione di una stomia fra esofago e trachea, protetta da una protesi che la chiude a comando del paziente quando non vuole parlare. Indicazioni:
▪ T3 con invasione dello spazio paraglottico o preepiglottico o T4 ▪ Esteso coinvolgimento delle cartilagini tiroide e cricoide
▪ Estensione ai tessuti molli del collo ▪ Estensione alla base della lingua oltre le papille circumvallate
Trattamento:
Lo svuotamento del collo (radicale o radicale modificato) è indicato in presenza di linfonodi. Lo svuotamento può essere indicato anche in assenza di linfonodi nei pazienti nei T2 sopra o sottoglottici. In caso di N0 è indicato uno svuotamento selettivo con risparmio dello SCM, V.G.I. e XI nervo cranico. In caso di N1 è indicato uno svuotamento radicale modificato dei livelli II­IV.
Complicazioni:
▪ Stadiazione imprecisa
▪ Infezione
▪ Difficoltà alla deglutizione
▪ Perdita del gusto e dell'olfatto
▪ Fistola
▪ Dipendenti dalla presenza della tracheostomia
▪ Lesione di nervi cranici: VII, IX, X, XI, XII
▪ Ictus o rottura di carotide ▪ Ipotiroidismo
▪ Fibrosi indotta dalla radioterapia
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Riabilitazione vocale:
Dopo l'intervento alcuni pazienti possono parlare utilizzando la voce erigmofonica, derivante dalle vibrazioni dell'aria immagazzinata nell'esofago cervicale e periodicamente eruttata. Chi non riesce in quest'arte può utilizzare apparecchi protesici. ▪ Protesi tracheo­esofagea
▪ Laringofono
▪ Voce esofagea o erigmofonica
Prognosi: sopravvivenza a 5 anni: Stadio
Stadio
I
>95%
III 70­80%
II 85­90%
IV 50­60%
Follow­up:
Dopo il trattamento iniziale il pz. viene seguito ad intervalli di 4­6 settimane. Dopo il primo anno: controllo ogni due mesi. Al terzo e quarto anno: controllo ogni tre mesi. Dal quinto anno in poi: controllo annuale.
Il paziente viene considerato guarito dalla malattia primitiva dopo che sono trascorsi 5 anni liberi da malattia. La maggiore parte dei tumori laringei recidiva nei primi due anni. Nonostante la diagnosi più precoce e le maggiori opzioni terapeutiche la sopravvivenza non è migliorata molto negli ultimi trent'anni.
•
Chirurgia PARZIALE
Laringectomia parziale: si tratta di un intervento semi­conservativo, in cui si fa una rimozione, tramite accesso anteriore e mediale, delle strutture invase della laringe. Può essere sopraglottidea, con rimozione dell'epiglottide e della membrana tirojoidea (in questo caso dopo l'intervento il paziente ha difficoltà a deglutire il cibo), anteriore, con rimozione della sola cartilagine tiroide e della commissura anteriore delle corde vocali, o frontolaterale, con rimozione di una metà della cartilagine tiroide e della commissura anteriore delle corde vocali. ◦ Cordectomia ◦ Laringectomia sopraglottica
◦ Laringectomia subtotale ricostruttiva: lesioni cordo­commissurali con estensione ad una o più sottosedi della regione sovraglottica
▪ Intervento di Labayle: cricojoidopessia (CHP)
▪ Intervento di Mayer­Piquet: cricojoido­epiglottopessia.
Tracheotomia
Apertura della parete anteriore delle trachea cervicale il cui lume viene mantenuto in comunicazione con l'esterno attraverso una cannula.
La trachea inizia a immediato contatto con la fine della cartilagine cricoide, e in questo punto è a diretto contatto con la cute. Subito al di sotto del primo anello tracheale vi è la tiroide. La tracheotomia consiste nel praticare a livello tracheale una finestra che consenta il passaggio dell'aria. Si fa una incisione verticale (o trasversale) della cute, e poi si prosegue verso i piani profondi sempre nella linea mediana. Sotto alla fascia cervicale superficiale si separa il rafe mediano dei due muscoli sternojoidei e sternotiroidei incidendo la fascia aponeurotica che li unisce, e si trova l'istmo della tiroide, che viene scostato verso l'alto o verso il basso a seconda si voglia fare una tracheotomia sopra o sotto istmica. Si può anche sezionare il bordo della tiroide facendo così una tracheotomia transistimica. Si fa dunque una incisione sulla trachea (verticale, o a T doppia, o una escissione di un rettangolo di parete) che si incannula.
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Indicazioni: • respirazione: ostacolo laringo­tracheale
• aspirazione: disturbi della deglutizione, polmonite ab ingestis e ingombro secretivo bronchiale
• ventilazione: respirazione assistita
Cause di insufficienza respiratoria acuta
• Locali ◦ Cervico­facciali: traumatismi facciali con caduta della lingua, lesioni espansive del collo (linfangioma, flemmone)
◦ Laringee: lesioni neoplastiche, paralisi cordali bilaterali, edema post­
radioterapico, traumi laringei, corpi estranei, traumi laringei, infezioni laringee (difterite, ascessi laringei, laringite ipoglottica del bambino, laringopiocele)
◦ Tracheali: corpo estraneo, edema tracheale, rottura traumatica della trachea, tracheomalacia nel bambino, stenosi tracheali
• Centrali
◦ traumatismi cranio­cerebrali, coma
◦ neoplasie cerebrali
◦ esito di interventi neurochirurgici
◦ disturbi vascolari (del tronco, svuotamenti latero­cervicali bilaterali con legatura di entrambe le vene giugulari interne)
◦ infettive (encefalite, poliomielite bulbare)
◦ tossiche (barbiturici, oppiacei, anestetici)
• Affezioni dell'apparato toraco­pleurico
◦ Lesioni muscolari: fatica muscolare, anemia acuta, rottura del diaframma, contrattura muscolare (epilessia, tetano, rabbia)
◦ Lesioni traumatiche della gabbia toracica
◦ Lesioni pleuriche: versamento pleurico, pneumotorace, pachipleurite, sinfisi pleurica estesa
Chirurgica
• di estrema urgenza
◦ Cricotirojoidotomia:
procedura d'emergenza che consiste nel bucare rapidamente la membrana crico­tiroidea direttamente nel laringe e introdurre subito una cannula: non ci sono la tiroide o alcun muscolo, ma si possono provocare danni permanenti alle corde vocali. ◦ Minitracheotomia
• di elezione
◦ “difficili” (anomalie vascolari, cervico­artrosi, gozzo)
Non chirurgica
• percutanea per dilatazione (Ciaglia)
• translaringea (Fantoni)
Migliore rapporto costo/beneficio (risparmio costi di sala operatoria)
Più sfavorevole rapporto rischi/beneficio (maggiore incidenza di complicanze)
Più rapida curva di apprendimento
Necessità di idonea selezione del paziente (esclusione di pz. con anatomia difficile o fattori diatesici sfavorevoli)
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Complicanze:
• Intraoperatorie
◦ Lacerazioni laringo­tracheali
◦ Arresto cardiorespiratorio
◦ Pneumo­mediastino
◦ Pneumotorace
◦ Lesioni del nervo ricorrente
◦ Emorragia
◦ Disinserzione tracheale
• Postoperatorie
◦ Precoci
▪ enfisema sottocutaneo o mediastinico
▪ emorragia
▪ dislocazione o ostruzione della cannula
▪ infezione o ulcerazione dello stoma
▪ pneumotorace, pneumomediastino
◦ Tardive
▪ granulomi tracheali
▪ stenosi laringo­tracheale
▪ fistola tracheoesofagea
▪ emorragia cataclismatica (fistola tracheo­anonima)
Tracheostomia
Abboccamento permanente, dopo la tracheotomia, della trachea alla cute.
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AUDIOLOGIA
L'ORECCHIO ESTERNO
L'orecchio esterno è composto dal padiglione auricolare e dal meato acustico esterno. Il padiglione è ai lati dell'osso temporale, ed è costituito da tessuto cartilagineo rivestito da tegumenti e cute. La sua funzione è l'amplificazione delle onde sonore, che vengono convogliate al meato acustico. In piccola parte interviene anche nel processo di localizzazione della direzione del suono.
1.
2.
3.
4.
PATOLOGIE DELL'ORECCHIO ESTERNO
Malformazioni (atresia auris) Flogosi (otite esterna: batterica, micotica o virale) Neoplasie (esostosi ed osteoma, carcinoma) (Tappo di cerume) 1. Atresia auris
Malformazione dell'orecchio esterno derivante da anomalie di sviluppo del primo e secondo arco branchiale e del primo solco branchiale. Generalmente monolaterale, ha una prevalenza di 1:10.000 Si associa frequentemente a malformazioni dell'O.M., con conseguente ipoacusia trasmissionale massima (60 dB).
Clinica: anomalia estetica, ipoacusia Terapia: protesizzazione, intervento chirurgico con finalità estetica e/o funzionale. Nei casi monolaterali può essere consigliabile l'astensione terapeutica •
•
•
2. Flogosi
Otite esterna semplice: favorita da traumatismi, dermatosi e stati distrofici della cute, contatto con liquidi non sterili. Sostenuta in genere da Streptococco emolitico, Proteus, Pseudomonas aeruginosa e Stafilococco aureo. Frequente la sovrainfezione micotica; rara l'eziologia virale.
Sintomatologia: patognomonico il dolore estremo, sensazione di occlusione, ipoacusia di trasmissione.
Terapia: medicazioni locali, antibiotici per os. Passa in genere in una settimana Otite esterna maligna: sostenuta in genere da Pseudomonas aeruginosa e favorita dal diabete, ha andamento osteolitico e può estendersi al basicranio, anche controlaterale: l'evoluzione naturale è mortale. Si deve sospettare, soprattutto in soggetti anziani e diabetici, in caso di mancata guarigione di un'otite esterna dopo adeguata terapia.
Diagnosi differenziale: con carcinoma dell'orecchio medio: biopsia!
Clinica: otorrea e dolore. Febbre non sempre presente.
Esami di laboratorio: leucocitosi non importante, VES costantemente innalzata.
Diagnostica per immagini: TAC ad alta risoluzione (HRTC). Scintigrafia o SPECT con 99Tc (più sensibile per il tessuto osseo) e 67Ga (specifico per i leucociti) ormai abbandonate ma molto sensibili.
Terapia: antibiotica prolungata (chinolonici per os o cefalosporine di III generazione per via parenterale) fino a negativizzazione del quadro otoscopico e della TC con normalizzazione della VES.
Herpes Zoster Oticus: si manifesta con la formazione di vescicole nella conca, nell'area innervata da rami sensitivi del nervo faciale. Nei casi più gravi può 29
concomitare paresi del nervo faciale (Sindrome di Ramsay­Hunt), sofferenza cocleare e vestibolare di vario grado.
Terapia: antivirali specifici (Acyclovir) a dosi elevate, antiedemigeni per contrastare l'infiammazione e l'iperemia/edema che causano compressioni del n. faciale nel canale osseo.
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3. Neoplasie
Esostosi: non sono formazioni neoplastiche in senso stretto; in genere bilaterali e sono più frequenti in chi pratica attività natatoria e subacquea, principalmente a causa degli shock termici improvvisi da freddo. Si formano lentamente e vicino alla membrana del timpano, costituite da osso compatto. Difficilmente occludono il meato, da sole, ma possono favorire la formazione di tappi di cerume. Terapia: chirurgica se le formazioni hanno effetto occlusivo.
Osteoma: tumore osseo benigno, più spesso monolaterale, peduncolato a piccola base d'impianto. Può diventare occludente. È una formazione ossea o cartilaginea che non richiede nessuna terapia a meno che non provochi occlusione o prenda contatto con il timpano. Carcinoma: evenienza rara, si tratta in genere di carcinoma spinocellulare. Inizialmente asintomatico, può subire una sovrainfezione (diagnosi differenziale con otite esterna maligna).
Nella progressione tende ad invadere l'orecchio medio e a metastatizzare ai linfonodi locoregionali.
Diagnostica: TC ed eventuale RM per stabilire l'estensione della lesione Terapia: chirurgia (abbastanza demolitiva), eventualmente associata a RT 4. (Tappo di cerume)
Il tappo si produce solo nella parte fibrosa del meato acustico esterno, dove sono le ghiandole ceruminose. Esse sono ghiandole sudoripare modificate che secernono una sostanza giallo­brunastra, detta cerume. Ipersecrezione, modificazioni dei componenti del secreto, o arresto dello scorrimento verso l'esterno, possono portare alla formazione di un tappo di cerume. La massa aumenta notevolmente di volume all'ingresso di acqua nel meato provocando delle ipoacusie improvvise e transitorie, con acufeni e senso di occlusione auricolare. Questo succede al mattino, in ambienti umidi, dopo immersioni, ma anche per compressioni e spostamento della massa ceruminosa. Non si tratta di una vera e propria malattia, ma può dare sintomi fastidiosi: ipoacusia di trasmissione, acufeni (per compressione del timpano e del manico del martello), vertigini. Deriva da ipersecrezione delle ghiandole ceruminose, facilmente associata a manovre di autodetersione.
Diagnosi otoscopica, con rimozione ambulatoriale, che può essere preceduta dalla somministrazione di gocce emollienti per qualche giorno.
L'ORECCHIO MEDIO
L'orecchio medio inizia con la membrana timpanica. Ha la forma di una cavità appiattita ed allungata: la parte principale dell'orecchio medio è il cavo timpanico, che ospita la catena degli ossicini (connessa a sua volta con l'orecchio interno); è una cavità piuttosto piccola di forma irregolare, praticamente discoidale, situata nella parte petrosa dell'osso temporale fra l'orecchio esterno e quello interno, provvista di sei pareti:
1. Parete laterale (membrana timpanica)
2. Parete mediale (promontorio)
3. Parete posteriore (mastoidea)
4. Parete anteriore (carotidea)
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5. Parete superiore (tegmen tympani)
6. Parete inferiore (giugulare)
Medialmente il cavo timpanico comunica con la tuba di Eustachio, che si apre nel rinofaringe in corrispondenza del torus tubarum, e ha la funzione di equilibrare le pressioni da una parte all'altra della membrana. La tuba di Eustachio protegge l'orecchio medio da tutte le condizioni che comportano brusche modificazioni pressorie dell'aria, attraverso un meccanismo di chiusura a valvola. Posteriormente c'è il recesso epitimpanico, molto vicino all'osso che ospita la catena degli ossicini.
L'orecchio medio origina dall'evaginazione delle tasche faringee, ed ha quindi origine endodermica a differenza dell'orecchio esterno ed interno (ectodermici). Un residuo di questa origine embriologica faringea è proprio la tuba faringotimpanica.
La membrana del timpano è incastrata nell'osso timpanico con un orletto cartilagineo che si infila in un apposito solco nell'osso. Rispetto al manico del martello, che vi è adeso dalla parte interna dell'orecchio medio, si divide in due zone, posteriore e anteriore, a loro volta divise in due quadranti, superiori e inferiori. È divisibile anche in una pars tensa e una pars flaccida. La pars flaccida ricopre il manico del martello, è una struttura di solo sostegno, e non trasmette energia. La pars tensa serve alla trasmissione al martello dell'energia vibratoria. Le fibre interne hanno diversi strati: • Trasversale (solo nella zona inferiore): orizzontali, sotto al manico del martello. È lo strato più esterno
• Radiato: dal manico del martello all'orletto cartilagineo • Circolare: subito sotto al radiato, si attaccano alla parte superiore dell'orletto cartilagineo, e girano intorno al martello • Parabolico: due fasci, uno ad un lato e uno all'altro del martello. Partono dal processo breve del martello e si inseriscono nella cartilagine in basso Questo complesso sistema ha due funzioni: • Essere capace di entrare in risonanza a qualsiasi frequenza compresa fra i 16 e i 20'000 Hz • Resistere a variazioni enormi di pressione, purché graduali: improvvise compressioni o decompressioni possono lacerare le fibre. Il muscolo tensore del timpano, agendo sull'anello fibroso, tende le fibre radiali e rilascia quelle circolari, permettendo di variare la forma della membrana senza variare tensione. L'apparato di trasmissione è composto da tre ossicini articolati fra loro e sottoposti all'azione di due muscoli. Il martello è formato da una testa ellittica, che forma l'articolazione con l'incudine, che continua con il collo e in basso con il manico, che è attaccato alla membrana. La membrana vibrando sposta di lato il manico, e quindi la testa del martello sbatte contro l'incudine (o meglio lo sposta anch'esso lateralmente). Il martello ha anche un processo laterale, lungo, e un processo anteriore, molto più breve. La faccia anteriore del corpo dell'incudine presenta un recesso che si articola con il martello, e la faccia posteriore è attaccata alla parte posteriore della cavità timpanica. Oltre al corpo c'è una apofisi lunga diretta in basso, e al suo termine c'è il processo lenticolare su cui si articola la staffa. La staffa è il più piccolo degli ossicini, ha una testa che si articola con l'incudine, due archi che si portano verso la platina. Lo spazio fra gli archi e la platina è chiuso da una sottile membrana. La platina è incastrata nella finestra ovale tramite un legamento detto legamento anulare della staffa. La catena degli ossicini nel suo completo è assicurata alla cavità timpanica da due legamenti, uno con la testa del martello e uno con il corpo dell'incudine.
Sugli ossicini agiscono inoltre due muscoli:
• il tensore del timpano, che si trova in un canale superiore a quello tubarico, si inserisce sulla radice del manico del martello. Questo è innervato da un ramo del mandibolare del trigemino, e lo sposta medialmente modificando la forma della membrana timpanica. Inoltre l'incudine si piega medialmente con il martello, aumentando la pressione della staffa nella finestra ovale. È dunque un sistema di amplificazione che non aumenta però la tensione della membrana timpanica.
lo stapedio, un muscoletto contenuto in una sporgenza detta eminenza piramidale, agisce sul collo della staffa allontanandola dalla finestra ovale. Innervato dal VII, si contrae quando il suono arriva ad un livello superiore ai 90dB. L'effetto è quello di protezione non da rumori improvvisi, ma da toni forti costanti, in un fenomeno di adattamento al rumore.
Inoltre i due muscoli agiscono filtrando le frequenze alte e basse a vantaggio di quelle medie, ottenendo quindi una maggior comprensione del linguaggio umano. La catena degli ossicini finisce per agire nella finestra ovale. Questo meccanismo può essere messo in moto non solo dalla vibrazione della membrana: • Inerzia: quando il capo vibra, l'inerzia della staffa la fa muovere contro la finestra ovale provocando una •
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compressione dell'endolinfa Compressione: quando il cranio e le sue ossa vibrano, questa vibrazione si trasmette all'endolinfa (conduzione ossea) • Trasmissione mandibolare: alcune frequenze possono portare a vibrare il condilo della mandibola, che a sua volta attiva la trasmissione ossiculare. Ecco perché la distruzione della catena ossiculare non provoca la perdita completa dell'udito. Le oscillazioni della catena degli ossicini in risposta alla membrana timpanica sono però il sistema di trasmissione funzionalmente migliore. Il sistema timpano­ossiculare svolge la funzione di trasmettere alla perilinfa le vibrazioni sonore agendo secondo il principio del pistone idraulico:
• Riduzione dell'area di oscillazione: la platina della staffa ha una superficie 17 volte inferiore rispetto alla superficie vibrante della membrana timpanica, ed a questo decremento di superficie corrisponde un aumento della pressione sonora di 17 volte.
• Leva di secondo genere: il braccio della potenza (manico del martello) è lungo 9,5 mm contro i 6,3 mm del braccio della resistenza (incudine) con rapporto di 1,5.
•
Esso è quindi un adattatore di impedenza: favorisce la propagazione dell'onda sonora dall'aria, che ha un'impedenza bassa, ai liquidi labirintici, che hanno un'impedenza elevata. La sua funzione è di trasmettere l'energia nel modo ottimale, disperdendone la minore quantità possibile (sotto forma di energia riflessa). La forza che si estrinseca sulla staffa per unità di superficie è 30 volte (20×1,5) maggiore di quella applicata sulla membrana timpanica.
Per il funzionamento ottimale del sistema timpano­ossiculare occorre che la pressione dell'aria all'interno dell'orecchio medio sia in equilibrio con la pressione esterna: la tuba uditiva ha un ruolo centrale! Dal malfunzionamento della tuba uditiva ha origine quasi tutta la patologia flogistica dell'orecchio medio. In molti casi le alterazioni anatomiche si traducono in corrispondenti alterazioni funzionali.
Otoscopia e studio funzionale
1. Esame audiometrico (soprattutto tonale)
2. Impedenzometria
Forma di audiometria oggettiva che si basa sulla resistenza offerta dalle strutture dell'orecchio medio al passaggio di un onda sonora. Questo sistema è in grado di fornire una efficace misura delle condizioni dell'orecchio medio e della catena degli ossicini. In particolare si cerca di valutare la rigidità della catena ossicolare, che corrisponde all'impedenza assoluta offerta dall'orecchio.
L'impedenza è l'opposizione di un sistema ad essere attraversato da un'energia. Nel caso di un'energia sinusoidale, come l'onda sonora, l'impedenza è composta da:
• Resistenza: componente fissa per le forze lineari (attrito)
• Reattanza: componente variabile in funzione della frequenza dell'onda
◦ Reattanza di rigidità: diminuisce all'aumentare della frequenza ; maggiore influenza su frequenze basse (es.: raffreddore)
◦ Reattanza di massa: aumenta con l'aumentare della frequenza; maggiore influenza su frequenze alte (riguardo all'orecchio, essa non esiste mai da sola, si associa sempre a quella di rigidità)
La reattanza è minima quando l'onda attraversa l'aria, mentre aumenta attraverso altri mezzi (analogamente a quando svolgiamo esercizi fisici all'aria o nell'acqua, che offre maggiore resistenza!).
I suoi ad alta intensità hanno una reattanza dovuta quasi solo alla massa, e quindi vengono usati suoni a bassa intensità. Esistono valori di frequenza dell'onda sonora per cui la somma algebrica tra reattanza di massa e di rigidità è uguale a zero: frequenza di risonanza. In questo caso il sistema funziona con la minore dispersione di energia possibile, legata al solo attrito.
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A. Timpanometria
Nella pratica clinica è utilizzata la tecnica dinamica, che consta in variazioni di pressione indotte all'interno del Canale Uditivo Esterno.
È importante quindi che prima di tutto il timpano non sia perforato.
L'impedenziometro ha tre tubicini che entrano del meato esterno insieme, circondati da una struttura che chiude completamente la cavità:
1. Manometro per la variazione di pressione all'interno del CUE
2. Generatore del tono sonda (solitamente 220 Hz)
3. Rilevatore dell'energia riflessa
Il grafico ottenuto mostrerà in ascissa la Pressione indotta nel CUE espressa in mmH 2O (oppure daPa); in ordinata la riflessione dell'energia acustica attuata dal timpano, espressa in mho (inverso degli Ω della resistenza) : con il voltmetro del rilevatore si misura l'energia riflessa dal timpano, e quindi si ricava l'energia assorbita da esso, che è proporzionale alla sua compliance (l'inverso della reattanza). Il picco è espressione del funzionamento ottimale del sistema: esso corrisponde all'uguaglianza tra pressione esterna indotta e pressione endotimpanica. La pressione +200 significa un aumento del 2% della pressione nel CUE.
Nell'orecchio normale (A) questo mette sotto tensione la membrana e la rende rigida, quindi la compliance è zero. Attorno a pressione 0, ossia ambientale, c'è equilibrio fra la pressione dell'aria nell'orecchio medio e nel meato esterno, e quindi la membrana è rilasciata e la compliance è massima. Di nuovo, per il motivo opposto, la membrana è in tensione con un ­2% di pressione. Timpanogrammi patologici dipendenti da malfunzione tubarica:
(B): Versamento endotimpanico o esiti cicatriziali di notevole entità: la pressione endotimpanica è sempre insufficiente (inoltre il sistema vibra attraverso liquidi aumentando quindi la reattanza).
(C): Stenosi tubarica: il picco è ad una pressione di equilibrio negativa, questo significa che la pressione endotimpanica è negativa, per l'ostruzione ed i conseguenti fenomeni di riassorbimento dell'aria.
Timpanogrammi patologici non dipendenti da malfunzione tubarica:
(D): Disgiunzione ossiculare
(E): Irregolarità cicatriziali della MT, senza particolare significato clinico
B. Studio del riflesso stapediale
Meccanismo che irrigidisce il sistema con funzione protettiva, normalmente evocato da stimoli sonori di intensità sopra­soglia (oltre 85 dB); dipende da un arco riflesso cocleo­
faciale. Viene studiato su un range di frequenze (500 ­ 4'000 Hz), e si manifesta come un aumento della riflessione dell'energia dato dal blocco della staffa.
Può essere evocato da stimoli di una intensità sopra­soglia inferiore alla norma in caso di recruitment (patologia dell'orecchio interno).
Può non essere evocabile in presenza di versamenti, esiti cicatriziali e timpanosclerotici, otosclerosi (la staffa è già fissa allo stato basale).
Bisogna valutare quindi il grado dell'ipoacusia trasmissionale, e/o una fissità ossiculare.
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•
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PATOLOGIA FLOGISTICA ACUTA
OTITE MEDIA SECRETIVA (OMS) o sieromucosa
Carica microbica timpanica praticamente assente
Deriva da una stenosi tubarica; più frequente nei bambini (per compressione adenoidea). Nell'adulto, se monolaterale, deve far sospettare una neoplasia rinofaringea, della quale può costituire il primo segno clinico. Fondamentale la rinofaringoscopia.
Sintomi: sensazione di occlusione, ipoacusia trasmissionale, non dolore (per questo si riconosce più tardi).
Diagnosi: otoscopica, audiometrica ed impedenzometrica
Terapia: mucolitici per os o per aerosol, decongestionanti nasali (steroidi o α­
adrenergici negli adulti, soluzione salina nei bambini), eventuale instillazione nasale di soluzione antibiotica per disinfezione della rinofaringe.
Tende a cronicizzare.
OTITE MEDIA ACUTA (OMA) o catarrale e/o purulenta
Carica microbica timpanica presente
I processi catarrali hanno origine tubarica, per natura meccanica (ostruzione della tuba e ristagno delle secrezioni) o infiammatoria (sostenute da salpingite o tubo­timpanite). Deriva dalla propagazione di un una flogosi infettiva rinofaringea: è utile ricercare nell'anamnesi un raffreddore. Nei bambini può essere scatenata da una adenoidite che risale la tuba.
Sintomi: dolore causato dall'essudato infiammatorio che tende il timpano, sensazione di occlusione ed ipoacusia trasmissionale.
Diagnosi: otoscopica con il supporto anamnestico
Terapia: antibiotici per os (discussi), per il resto come OMS acuta. Il 60% dei casi guarisce spontaneamente: è possibile evitare gli antibiotici mantenendo un monitoraggio del pz; sono però utili per accelerare la guarigione con lo scopo soprattutto di alleviare il dolore.
Complicanze (rare): diagnosi in base all'obiettività, terapia antibiotica parenterale ed eventualmente chirurgica.
◦ empiema mastoideo
◦ paresi del facciale: possibile in quel 20% di persone che non hanno il canale del n. faciale completamente chiuso
◦ tromboflebite del seno sigmoideo, propagazione dell'infezione all'orecchio interno, alle meningi e all'encefalo
•
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PATOLOGIA FLOGISTICA CRONICA
OMS CRONICA: evoluzione dell'OMS acuta
Presenta alterazioni endotimpaniche conseguenti alla permanenza di una stenosi tubarica di una certa entità, con riassorbimento aereo, metaplasia ghiandolare ed aumento delle secrezioni che comportano la formazione di un essudato di consistenza colloide (“glue ear”).
Più frequente nei bambini (le adenoidi infiammate aumentano di dimensione ed ostruiscono la tuba per compressione).
Diagnosi come per OMS acuta
Terapia: inserimento di tubi di ventilazione transtimpanici (con lo scopo di riequilibrare le pressioni), eventuale adenoidectomia (in genere nel bambino), vaccini Alessandro G. - 2011/2012
•
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anticatarrali per os, per il resto come OMS acuta. L'obiettivo è normalizzare la funzione tubarica.
OTITE MEDIA ESSUDATIVA CRONICA: evoluzione dell'OMA (consegue ad un'insufficiente bonifica tubo­timpanica) o per perforazione traumatica del timpano. Può derivare dall'esterno, per contaminazione attraverso la perforazione, che in genere è sempre presente.
Sintomi: ipoacusia trasmissionale, otorrea mucopurulenta
Diagnosi: otoscopica. Può essere utile in alcuni casi un esame batteriologico del secreto
Terapia: lavaggi auricolari con soluzione borosalicilica, eventuali antibiotici per os e locali (naso, orecchio)
TIMPANOSCLEROSI: particolare risposta “subdola” a stimoli flogistici infettivi (pregressa insufficiente terapia antibiotica?) e/o meccanici (tubi di ventilazione). Può essere a timpano chiuso od a timpano aperto.
Si forma una modesta quantità di essudato o trasudato che inducono la proliferazione del connettivo. •
È caratterizzata dalla formazione di placche di materiale amorfo, con calcificazioni, in sede sottomucoperiostale. Ha aspetti morfologici, e in qualche misura epidemiologici, comuni con l'aterosclerosi (predisposizione genetica?): l'associazione con l'ipercolesterolemia potrebbe comportare aumentato rischio aterosclerotico delle carotidi.
L'estensione è variabile: va dall'interessamento della sola MT (miringosclerosi, senza significato clinico), al blocco della catena ossiculare
Sintomi: possibile ipoacusia trasmissionale
Terapia chirurgica, se necessaria
◦ Miringoplastica: chiusura della perforazione (tramite innesto della fascia del m. temporale autologa)
◦ Ossiculoplastica: ripristina la funzionalità del sistema di trasmissione (protesi autologhe od eterologhe)
COLESTEATOMA: formazione derivante dalla presenza di epidermide nell'orecchio medio, in genere derivante da stenosi tubarica.
È formato da una matrice epidermica all'interno dell'orecchio medio, la cui desquamazione provoca l'accumulo di materiale cheratinico, che tende all'aumento di volume; questa deriva in genere da una tasca di retrazione epitimpanica, che si forma in corrispondenza della pars flaccida (area di scarsa resistenza) e consegue ordinariamente a malfunzione tubarica.
Si chiama così perché accanto alle cellule infiammatorie croniche e ai prodotti della desquamazione cellulare ci sono granuli di colesterina. Può essere sul timpano, nell'antro, nella mastoide. L'evoluzione naturale consiste in una lenta erosione delle strutture ossee circostanti.
L'espansione è molto invasiva, si può avere la distruzione delle pareti ossee mastoidee, e giungere a occupare il cavo del timpano distruggendolo completamente. Altre possibilità patogenetiche: colesteatoma congenito, migrazione di epidermide attraverso una perforazione marginale, colesteatoma iatrogeno.
Sintomatologia dipendente dall'estensione, dall'erosione e dalla presenza di flogosi: ◦ asintomaticità
◦ ipoacusia trasmissionale o mista per interessamento labirintico
◦ otorrea
Complicanze relativamente frequenti sono:
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◦ vertigini per erosione labirintica
▪ Possibile stimolazione labirintica senza labirintite
▪ Possibile labirintite con interessamento anche cocleare
◦ paresi o paralisi del facciale Facile sovrapposizione e cronicizzazione di fenomeni flogistici per motivi anatomici e meccanici: restringimento del colletto, infezione dell'orecchio medio.
Complicanze meno frequenti: empiema mastoideo, meningite, ascessi encefalici, tromboflebite del seno sigmoideo.
Colesteatoma ricorrente per recidiva o residuo operatorio.
Diagnosi: importante la valutazione radiologica (HR­TC delle rocche petrose e delle mastoidi senza mezzo di contrasto) anche in previsione dell'intervento chirurgico; otoscopia.
Terapia degli esiti di otite cronica e del colesteatoma: timpanoplastica (TPL).
La terapia medica a volte agevola la possibilità di guarigione spontanea, ma più spesso è necessaria la rimozione estesa del colesteatoma con tutte le strutture della cavità timpanica esclusa la staffa: i vari recessi timpanici vengono demoliti e tutto l'orecchio medio viene trasformato in cavità unica. ◦ TPL chiusa: conservazione della parete posteriore del CUE
▪ Pro: conservazione della normale anatomia, non dà limitazioni nella vita quotidiana.
▪ Contro: più facile ricorrenza di malattia (residuo e recidiva) anche a distanza di molti anni; frequente necessità di un “second look” programmato.
◦ TPL aperta: abbattimento della parete posteriore del CUE. Il colesteatoma viene messo in comunicazione con l'esterno così può desquamare normalmente come ogni epidermide. Si lascia un micro­cavo timpanico (corrispondente alla pars tensa); questo riduce la necessità di aria endotimpanica, sopperendo alla ridotta funzionalità tubarica; va però ad esporre il canale semicircolare laterale.
▪ Pro: frequente risoluzione del problema in un solo intervento (recidive meno facili); possibilità di mantenere elementi ossiculari funzionalmente utili; minor necessità di ventilazione.
▪ Contro: limitazioni nella vita quotidiana (non si può immergere l'orecchio, per evitare stimolazioni labirintiche del canale semicirolare esposto); necessità di periodiche medicazioni.
L'ORECCHIO INTERNO
L'orecchio interno: è alloggiato nella profondità della rocca petrosa del temporale e contiene il labirinto osseo, che alloggia al suo interno sia l'apparato di trasduzione acustica che quello vestibolare. La finestra ovale è l'accesso alla coclea, che si avvolge per due giri e 3∕4 su se stessa. Una seconda comunicazione con la cavità timpanica si ha con la finestra rotonda. Infine il vestibolo del labirinto osseo comunica con l'endocranio tramite una struttura canalicolare (acquedotto del ventricolo) che permette l'ingresso di un liquido, l'endolinfa, che riempie le strutture cave del labirinto membranoso. Il labirinto osseo invece contiene la perilinfa che bagna tutte le strutture in esso contenute. Il labirinto osseo è contenuto nello spessore della rocca petrosa, fra la cavità timpanica e l'endocranio, in corrispondenza della fossa cranica posteriore, lateralmente. L'asse della coclea è perpendicolare a quello della rocca petrosa, e la sua base è rivolta verso la fossa cranica posteriore. All'interno del labirinto osseo è contenuta una struttura che in parte ne è l'impronta, ma è più piccola e contiene anche altre strutture: questa struttura è detta labirinto membranoso.
L'endolinfa proviene dal sacco endolinfatico, nel vestibolo del labirinto osseo, che comunica con le meningi, e attraverso l'acquedotto si distribuisce a tutte le strutture dell'orecchio interno. Dapprima comunica, con un sottile canalino, con l'utricolo, il bacino di raccolta dell'endolinfa dell'apparato vestibolare, poi nel sacculo, da dove, tramite il ductus reuniens o canale di Hensen, va nel canale cocleare. Il canale cocleare, dopo il dotto di 36
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Hensen, entra nella coclea, e vi compie i tre giri (basale, intermedio e apicale), l'ultimo incompleto, terminando a fondo cieco. Il canale cocleare è a sua volta sepimentato in due canalini, uno superiore e uno inferiore, separati fra di loro da una membrana. Questi due canalini comunicano al termine dei tre giri tramite un forame detto elicotrema. Il canale cocleare è il cuore dell'orecchio interno e sede del sistema trasduttivo. Esso è diviso in due scale, la scala vestibolare e la scala timpanica, da una membrana formata da una parte ossea, o modiolo, attaccata all'asse osseo della coclea, e da una parte membranosa, o membrana basilare, che unisce il modiolo alla parete della coclea. A sua volta la scala vestibolare è sepimentata dalla membrana di Reissner, che però non è impermeabile all'endolinfa, e quindi le due parti della scala vestibolare sono in comunicazione continua fra loro. Sulla membrana basilare, per tutti i tre giri, poggia l'organo del Corti, il sistema di cellule sensoriali che trasformano le vibrazioni dell'endolinfa in segnali elettrici, convogliati al ganglio spirale (che segue la coclea lungo l'asse per tutta la sua estensione) e al nervo cocleare. Sopra all'organo del Corti sta sospesa la membrana tentoriale, che fa parte funzionalmente dell'organo stesso. Le cellule sensoriali sono organizzate in due gruppi, quelle interne e quelle esterne, le prime organizzate in una sola fila, le seconde in tre file. Esse sono separate dai pilastri interno ed esterno, che delimitano il tunnel di Corti, e sostenute dalle cellule di sostegno. Le cellule interne sono circa 3'400, quelle esterne 30'000. La loro superficie libera attraversa una membrana reticolare dalla quale fuoriescono delle stereociglia mobili. Le cellule acustiche alla loro base hanno terminazioni nervose di due tipi: afferenti, che portano l'informazione sensoriale al SNC, ed efferente, che porta informazioni per modulare l'attività del recettore periferico. L'innervazione afferente riguarda quasi del tutto le sole cellule interne, che anche se sono di meno ricevono il 95% delle fibre. Queste fibre arrivano al ganglio spirale: le fibre delle cellule interne contattano ognuna un neurone gangliare, quelle delle cellule esterne hanno un neurone ogni 10­20 fibre. Le fibre efferenti partono dalla corteccia acustica, raggiungono l'oliva e con un fascio olivo­cocleare innervano le cellule acustiche interne ed esterne. La perilinfa del labirinto osseo è simile in composizione a quella dei fluidi extracellulari, mentre l'endolinfa ha alta composizione di Na+ come quella dei liquidi endocellulari.
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Le vibrazioni acustiche giungono alla platina della staffa
Trasmissione delle vibrazioni alla perilinfa della scala vestibolare
Trasmissione alle strutture membranose
Trasmissione alla perilinfa della scala timpanica
Estroflessione della finestra rotonda che permette la trasmissione della vibrazione
Le vibrazioni della staffa inducono nella perilinfa della scala timpanica spostamenti pressori opposti: questi si traducono in un'onda longitudinale migrante. Questa struttura mette in risonanza la membrana basilare con intensità differenti in luoghi differenti, a seconda delle frequenze di percussione della staffa. Ad ogni frequenza sonora, un punto preciso della coclea entra in risonanza. Questo avviene perché la membrana è corta e sottile al punto basale, e quindi risuona a basse frequenze, lunga e spessa al punto apicale, dove risuona ad alte frequenze. Le cellule del Corti, muovendosi sulla membrana tectoria, con le loro stereociglia, ad una frequenza uguale a quella dell'onda migrante, trasmettono informazioni su frequenza, intensità e modulazione del suono. Assume importanza sia la zona dove le cellule sono in risonanza, sia il tempo e l'intensità con cui vibrano. Il cervello analizza la vibrazione delle cellule e ne ricava le caratteristiche del suono. La scala timpanica serve a equilibrare le pressioni ai due lati dell'organo del Corti, e a scaricare la vibrazione in eccesso sulla finestra rotonda. In realtà pare che anch'essa partecipi in parte al processo di trasformazione dell'energia meccanica in quella elettrica. La trasduzione del segnale acustico avviene grazie all'attivazione delle cellule ciliate interne dell'organo del Corti. L'onda acustica si trasmette alla membrana basilare con un movimento ondulatorio dalla base della chiocciola lungo tutto il canale cocleare. La membrana basilare (MB), per le sue caratteristiche fisiche peculiari, è posta in vibrazione in zone differenti a seconda della frequenza del segnale acustico: zone prossimali per le frequenze acute, più distali per le frequenze gravi. In particolare esiste un punto di massima oscillazione della MB, caratteristico per ogni frequenza: alla base per le frequenze acute, verso l'apice per le frequenze gravi, oltre tale punto l'oscillazione si esaurisce rapidamente. I movimenti della MB sono trasmessi alle strutture dell'organo di Corti: cellule cigliate e membrana tectoria (MT). Per effetto di un differente punto di inserimento nel lembo spirale osseo di MB e MT, avviene 37
uno stiramento delle cellule cigliate, quindi apertura dei canali di trasduzione, penetrazione di ioni K+ all'interno della cellula, e depolarizzazione con conseguente liberazione di neurotrasmettitore (glutammato) che attiva la fibra nervosa.
STAZIONI DELLE VIE UDITIVE CENTRALI
Una volta generato il segnale di depolarizzazione cellulare per le sollecitazioni delle stereociglia, si attivano i neuroni di I ordine: le cellule (prevalentemente) bipolari del ganglio spirale di Corti, i cui dendriti sono a contatto delle cellule cigliate; gli assoni centripeti formano la componente cocleare del nervo acustico. Da qui, passando nel meato acustico interno, le fibre vanno a due nuclei nel ponte, il cocleare ventrale e il cocleare dorsale, attraverso il solco bulbopontino. Una parte di queste fibre va, sia omo che controlateralmente, lungo il lemnisco laterale, raggiunge il tubercolo quadrigemino inferiore (alcune fanno una tappa intermedia al nucleo del lemnisco laterale), e da qui, per il corpo genicolato mediale, arrivano all'area acustica primaria. Un'altra parte invece raggiunge invece l'oliva superiore, da cui si diparte un fascio che controlla i riflessi acustico motori e modula l'attività dell'organo uditivo. Ogni fibra ha un modello di scarica tutto o nulla, che si attiva solo in risposta ad una determinata frequenza: essa però trasmette o uno stimolo su tre, o su due, o tutti a seconda della intensità del suono, permettendo una iniziale discriminazione dell'intensità. Principali stazioni:
1. nuclei cocleari dorsale e ventrale
2. complesso olivare e corpo trapezoide
3. lemnisco laterale
4. tubercoli quadrigemini inferiori
5. corpo genicolato mediale
6. corteccia
Mediamente quindi le vie acustiche sono costituite da 5 neuroni. Dopo le prime stazioni la via è parzialmente crociata, cosicché il complesso olivare superiore è il primo centro di relé che riceve afferenze da entrambe le orecchie; ed il numero di fibre nervose aumenta progressivamente. LE IPOACUSIE
In generale, il livello uditivo di una persona è determinato dal livello migliore tra gli uditi delle due orecchie (“meglio uno solo funzionante, che entrambi malfunzionanti”).
Tecniche audiometriche
• ACUMETRIA (diapason ­ voce viva) • AUDIOMETRIA TONALE (toni puri ­ test topodiagnostici) • AUDIOMETRIA VOCALE (logotomi, parole, frasi) • AUDIOMETRIA INFANTILE DI SCREENING (ABR, otoemissioni) • AUDIOMETRIA INFANTILE A RIFLESSI CONDIZIONATI (COR, peep show, audiometria vocale con rinforzo visivo) • ELETTROENCEFALO AUDIOMETRIA (ABR, SVR) • TECNICHE INDIRETTE (impedenzometria, otoemissioni) Ci sono diverse metodiche per la valutazione della funzione uditiva, la principale è l'audiometria che può essere • Audiometria soggettiva: richiede un'attiva partecipazione del paziente, a sua volta è distinta in ◦ Audiometria tonale: stimoli tonali puri 38
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•
◦ Audiometria vocale: stimoli complessi ­ fonemi Audiometria obiettiva: non richiede la collaborazione del soggetto Il deciBel (dB) Il suono è una variazione della pressione aerea intorno allo 0 ambientale. Il decibel è una unità di misura relativa che indica il rapporto, in scala logaritmica, tra una grandezza ed una misura di riferimento.
I
log10
I0
I0 = riferimento = 10 ­16 Watt / cm2 = 2 decimillesimi di dine dB =
10
• dB HL: il riferimento è costituito dalla soglia audiometrica del soggetto normale (Hearing Level) • dB SPL: il riferimento è costituito da un valore assoluto di pressione acustica (Sound Pressure Level) ( )
Il campo uditivo umano spazia tra 16 e 20'000 Hz, ma non ha una sensibilità costante: quella massima è tra 500 e 2'000 Hz, ovvero, la soglia uditiva (la minima intensità sonora ad una determinata frequenza che viene percepita dal soggetto) nelle frequenze centrali è più bassa. La relazione tra frequenze ed intensità implica che, mentre le prime variano in scala lineare, la seconda, misurata in decibel, varia in scala logaritmica: pertanto per raddoppiare una sensazione di intensità di un suono sarà necessario renderlo elevato al quadrato.
Il campo dinamico di un orecchio è rappresentato dalla distanza tra l'intensità della soglia uditiva e quella della soglia del fastidio/dolore, ovvero tra il minimo suono udibile ed il massimo suono sopportabile. Esso normalmente sottende una variazione di intensità di 1'000 miliardi di volte!
AUDIOMETRIA TONALE
L'audiometria tonale è l'esame principale in audiologia. L'audiometria tonale valuta le soglie uditive del soggetto a varie frequenze sonore. L'audiometria tonale può essere svolta con due modalità: • Per via aerea: attraverso cuffie • Per via ossea: mediante un vibratore applicato sulla mastoide Nell'esame audiometrico tonale il livello 0 dell'audiometro rappresenta un'intensità pari alla soglia uditiva media degli individui, si effettua cioè una misurazione in dB HL.
Nella pratica clinica non si analizza tutto lo spettro di frequenze udibili ma solo quelle tra 125 e 8'000/11'000 Hz.
L'esame audiometrico si inizia dalla valutazione dell'orecchio migliore. Se viene riscontrata una differenza tra le soglie dei due lati maggiore di 40dB bisogna applicare all'orecchio migliore un suono mascherante (l'orecchio migliore altrimenti può percepire stimoli controlaterali). Classificazione delle ipoacusie
Il test audiometrico delle due vie permette di ottenere informazioni sulla sede del danno uditivo. Una alterazione riscontrata nel test per via aerea può rappresentare un danno sia trasmissionale che neuro­sensoriale; una alterazione per via ossea invece rappresenta sempre un danno neuro­sensoriale.
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via aerea (cuffia) ○ , △ : dx
× , □ : sx  o. esterno ↓
o. medio ↓
chiocciola via ossea (vibratore)  ↓
> , ▷ : dx
nervo acustico ◁ , < : sx
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IPOACUSIA TRASMISSIVA: solo la via ossea è normale → lesione orecchio esterno e/o medio Tappo di cerume Otiti esterne e medie
Malformazioni minori o maggiori Otosclerosi •
IPOACUSIA NEURO­SENSORIALE: la via ossea è alterata come la via aerea → lesione cocleare e/o VIII n.c.
Labirintiti Trauma acustico Malattia di Ménière Presbiacusia (ipoacusia senile) Neurinoma dell'VIII
•
IPOACUSIA MISTA: la via ossea è patologica ma migliore della via aerea
Ipoacusia trasmissiva + ipoacusia neuro­sensoriale: lo scarto tra normalità e via ossea rappresenta il deficit neuro­sensoriale, quello tra via ossea ed aerea il deficit trasmissionale.
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La conduzione ossea
Fenomeno di Weber: la prova di Weber si esegue con un diapason di tonalità grave al vertice del capo: il soggetto normale localizza il suono da tutti e due i lati o “nella testa”, nelle ipoacusie trasmissive il soggetto localizza il suono al lato malato (Weber sinistro o destro), per un rinforzo dovuto al fatto che la coclea è sana, mentre nelle ipoacusie neurosensoriali il suono viene localizzato al lato sano. La prova di Weber consente la differenziazione di risultati audiometrici dubbi.
Attenuazione interaurale
Mascheramento
AUDIOMETRIA VOCALE
L'audiometria vocale riproduce più fedelmente (rispetto alla tonale) le situazioni quotidiane di stimolazione sonora. L'audiometria vocale permette la valutazione della funzione uditiva nella sua interezza intesa come 40
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funzione sociale ­ la capacità di percepire, comprendere, memorizzare ed elaborare i suoni. Questo esame valuta quindi l'intellegibilità del linguaggio ed è utile in • Diagnosi topografica del danno uditivo • Valutazione del grado di idoneità sociale • Orientamento verso le possibilità terapeutiche Nelle prove si usano liste di 10 parole bisillabiche foneticamente equilibrate, inviate a intensità crescente fino al riconoscimento da parte del soggetto del 100% dei fonemi. Il risultato della prova è riassunto in un grafico che valuta l'intellegibilità. Il grafico definisce: • Soglia di detenzione: intensità alla quale lo 0% dei fonemi è compreso (normalmente a 0dB) • Soglia di percezione: intensità alla quale il 50% dei fonemi sono compresi (normalmente a 15dB) • Soglia di intellezione: intensità alla quale il 100% dei fonemi sono compresi (normalmente a 25dB) Tanto più alte sono le soglie tanto più grave è l'ipoacusia.
Tipologia della curva: • Curva a plateau: indica la presenza di recruitment • Curva di morfologia normale ma spostata a intensità più alte: ipoacusia trasmissionale. LE IPOACUSIE TRASMISSIONALI
Le ipoacusie trasmissionali comprendono due gruppi di patologie: le patologie dell'orecchio esterno e le patologie dell'orecchio medio. LE IPOACUSIE NEURO­SENSORIALI
1. Ipoacusie cocleari © Lesioni della chiocciola. Caratterizzate dalla presenza del recruitment: abnorme sensibilità agli incrementi di intensità, dovuta alla riduzione del campo dinamico, con innalzamento della soglia uditiva ed abbassamento di quella dolorifica (nelle ipoacusie trasmissive invece non c'è recruitment ma uno shift del campo dinamico).
2. Ipoacusie retrococleari ®
◦ Lesioni dell'VIII n.c.: caratterizzate da una pessima discriminazione vocale (soprattutto nelle lesioni tumorali) ed adattamento patologico (diminuzione della scarica del recettore al persistere dello stimolo).
◦ Lesioni delle vie uditive centrali: il deficit tonale è solo lieve o assente, ci sono piuttosto alterazioni delle funzioni associative, integrative etc.
Cause:
• Ipoacusia Improvvisa Idiopatica: ©, ® Probabili cause infettive o vascolari. Solitamente regredisce in due settimane, in una percentuale che raggiunge anche il 70% dei casi, ma il recupero è quasi esclusivamente parziale. Vi possono essere recidive.
• infettive (virali, batteriche) ©, ®
• vascolari © • tossiche (farmaci, altre sostanze) © 41
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◦ antibiotici: streptomicina, gentamicina e altri aminoglicosidi, eritromicina ◦ cloramfenicolo
◦ diuretici: furosemide, acetazolamide, ac. etacrinico
◦ antimalarici: chinino, salicilati
◦ antiblastici
◦ nicotina ed altri tossici generici Malattia di Ménière: © La causa della malattia è sconosciuta, ma è concomitante ad un aumento della pressione per idrope endolinfatica. Descritta per la prima volta dal medico Prosper Ménière nel 1861.
Labirintopatia con triade:
◦ calo dell'udito
◦ acufeni
◦ scompenso vestibolare periferico
Prima fase: crisi recidivanti di ipoacusia fluttuante, acufeni, sensazione di pienezza auricolare e scompenso vestibolare (inizialmente irritativo) Stabilizzata: ipoacusia pantonale irreversibile, attenuazione o scomparsa delle crisi vertiginose.
Il trattamento più utilizzato si basa sulla diminuzione della pressione del fluido contenuto nel labirinto membranoso dell'orecchio interno. Talvolta la malattia non può concludersi spontaneamente ed è necessario un intervento, il cui esito è la fine della sintomatologia vertiginosa. Questo consiste in una neurectomia vestibolare e si pratica recidendo il nervo vestibolare, interrompendone il contatto con il SNC. Autoimmuni: © Isolate o sistemiche; simulano la malattia di Ménière
trauma acustico: © Danno alla coclea da esposizione abnorme ai suoni. Si presenta interessando prima la frequenza dei 4'000 Hz, poi aumenta allargandosi alle frequenze vicine.
◦ Acuto: un'eccessiva energia massimale
◦ Cronico/professionale: stimolo applicato in maniera continuativa. 80 ­ 85 dB (per 8 ore al giorno per 5 giorni settimanali) sono già considerati pericolosi.
trauma cranico con interessamento della zona temporale ©, ®
Presbiacusia: ©, ®, (SNC). Perdita dell'udito, dovuta all'avanzamento dell'età, con perdita di neuroni in tutto l'apparato uditivo e del SNC. Oggi prevale la tendenza a non considerare la presbiacusia una patologia vera e propria, ma soltanto un segno fisiologico dell'invecchiamento. Oltre che dalla riduzione di sensibilità uditiva, la presbiacusia è caratterizzata da una riduzione della comprensione di dialoghi in ambienti rumorosi, da una rallentata elaborazione centrale delle informazioni acustiche (difficoltà di tradurre il significato) e da un'imprecisa localizzazione spaziale della fonte sonora
ereditarie ©
tumori ® (neurinomi, meningiomi) della fossa cranica posteriore
◦ Neurinoma dell'acustico: schwannoma benigno, riscontrato nell'1­3% delle autopsie, che causa ipoacusia monolaterale ingravescente. La terapia è chirurgica in neurinomi comprimenti o quelli a rapida crescita, mentre neurinomi piccoli e con crescita lenta vengono semplicemente seguiti con follow­up attento. Alessandro G. - 2011/2012
• fistola perilinfatica ©
• malattie SNC ® Sintomatologia: la curva audiometrica è abbastanza tipica , perché evidenzia classicamente un deficit uditivo a frequenze alte • Acufeni • Cattiva discriminazione vocale • Eventuale sintomatologia vestibolare associata • Spesso l'ipoacusia, se lieve o limitata a poche frequenze, può non essere avvertita come tale Diagnosi differenziale: tramite
• audiometria tonale e vocale
• anamnesi
• follow ­ up
• ABR (potenziali del tronco)
• RMN: rappresenta il gold standard ma è molto costosa
In caso di ipoacusia percettiva, acufene, deficit vestibolare unilaterale è necessario escludere una patologia espansiva (in primo luogo neurinoma dell'VIII n.c.).
Terapia
• TERAPIA MEDICA: steroidi, vasoattivi, diuretici, osmotici, etc; per le ipoacusie improvvise, autoimmuni, m. di Ménière
• OSSIGENOTERAPIA IPERBARICA nelle ipoacusie improvvise. Ha azione antiedemigena
• PROTESI ACUSTICA nelle ipoacusie bilaterali oltre 35­40 dB • IMPIANTO COCLEARE nelle ipoacusie gravissime o che comunque non traggono beneficio dalla protesizzazione acustica. L'impianto cocleare consiste in un elettrodo che, introdotto nell'orecchio interno, stimola direttamente le terminazioni del nervo acustico bypassando il sistema di trasmissione e di trasduzione (l'elettrodo converte lo stimolo acustico in quello elettrico). • TERAPIA CHIRURGICA O RADIOTERAPIA nel neurinoma dell'acustico • OSSERVAZIONE in caso di un neurinoma piccolo o insorto in soggetti anziani. AUDIOMETRIA A RISPOSTE ELETTRICHE (E.R.A.)
Tale metodica si è affermata negli ultimi decenni, in campo sperimentale e clinico. È basata sullo studio dei potenziali neuroelettrici evocati da stimolazioni sonore.
Esplorando obiettivamente l'apparato uditivo consente:
• il rilievo della soglia uditiva
• la topodiagnosi delle lesioni uditive
• l'evidenziazione del recruitment
• l'accertamento di disordini delle funzioni percettive ed associative
• lo studio dei processi maturativi cerebrali
Importanza in campo clinico: va affiancata alle metodiche psicoacustiche ogni volta che il soggetto in esame non sa o non vuole collaborare.
La paternità dell'E.R.A. è attribuita a Davis (1938), che notò che la percezione di un suono cambia il ritmo dell'EEG (Complesso K, risposte al vertice).
La trasduzione meccano­elettrica avviene nell'organo del Corti. L'impulso nervoso così 43
generato percorre il nervo acustico, e i vari settori della via acustica ascendente fino alla corteccia, dando luogo ad una serie di fenomeni bioelettrici, con una precisa successione temporale e un peculiare ordine di grandezza.
•
•
Classificazione dei potenziali evocati ­ in base ai tempi di latenza
Risposte precoci (fino a 10 msec ­ ABR = VIII n.c. e tronco) ◦ forniscono la soglia media approssimata per le frequenze acute fino a 70 dB HL
◦ non risentono del sonno o della sedazione Risposte tardive (oltre 50 msec ­ SVR = corteccia) ◦ forniscono soglie relativamente accurate per ogni frequenza esaminata ◦ richiedono uno stato di veglia tranquilla Nome Sorgente Epoca di latenza
Microfonico cocleare (MC)
Cellule ciliate
First
Potenziale di sommazione (PS)
Cellule ciliate
First
Potenziale d'azione (PA)
Nervo
First
Potenziali del tronco (ABR)
Nervo ­ tronco
Risposte a latenza media
Talamo
Middle
Risposte a 40 Hz
Tronco ­ talamo
Fast (?)
Risposte lente al vertice (SVR)
Corteccia primaria
Slow
Componente positiva tardiva (P­300)
Corteccia primaria ed aree associative
Late
Cognitive negative variation (CNV)
Aree associative
Late
First ­ Fast
Modalità di registrazione dei potenziali
I segnali elettrici prodotti dall'attività delle strutture nervose interessate dallo stimolo sono di ampiezza molto debole, vengono, in genere, registrati a distanze considerevoli dalle sorgenti con elettrodi di superficie posti a distanze (tecnica “far field”).
Unica eccezione è rappresentata dalla elettrococleografia (ECOchG), per la registrazione dei potenziali cocleari (Microfonico e di Sommazione) e del Potenziale d'Azione: questi potenziali sono più facilmente identificabili con la tecnica “near field”, cioé con elettrodo transtimpanico. In questo caso il segnale elettrico sarà più ampio perché derivato in prossimità del centro di elettrogenesi.
L'ECOchG, messa a punto negli anni '60, è stata per molti anni l'unica metodica di registrazione dei potenziali uditivi utilizzabile in campo clinico, fino a che l'evoluzione tecnologica non ha assicurato sufficiente attendibilità alle risposte del tronco encefalico. Da allora l'ECOchG ha perso la sua supremazia a favore delle tecniche non invasive, che fanno uso di elettrodi di superficie. Infatti la diffusione dell'ECOchG, nonostante l'indiscussa attendibilità dei dati che può fornire, è sempre stata limitata sia dalla necessità di anestesia generale nel bambino che dalla presenza di un otorino per il posizionamento dell'elettrodo a livello del condotto uditivo esterno o sul promontorio con l'approccio transtimpanico; quest'ultima esigenza rappresenta il maggiore ostacolo.
POTENZIALI DI RECETTORE E NEURALI
In risposta ad uno stimolo adeguato, la coclea ed il nervo generano tre diversi potenziali:
• due di origine sicuramente cocleare, cosiddetti di recettore:
44
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•
◦ il Microfonico Cocleare (MC)
◦ il Potenziale di Sommazione (PS)
un potenziale neurale: il Potenziale d'Azione globale (AP), che origina dai neuroni di I ordine del nervo acustico
Potenziale Microfonico Cocleare (MC)
Registrato negli anni '50 dall'esterno della coclea, si considera il prodotto globale dei fenomeni di depolarizzazione e iperpolarizzazione delle cellule ciliate. È un potenziale polifasico, con latenza trascurabile; si può considerare l'analogo elettrico dello stimolo acustico (forma d'onda sostanzialmente identica allo stimolo acustico che lo ha evocato).
Potenziale di Sommazione (PS)
Si può definire come uno spostamento in corrente continua della isoelettrica che si sviluppa in concomitanza al MC. Può comparire nella registrazione elettrococleografica del PA, quando lo stimolo acustico presenta una intensità elevata, come un'onda positiva o negativa che si sovrappone alla porzione iniziale del PA. Per distinguere il PS dal PA occorre indurre un adattamento della risposta neurale (maggiore ritmo di stimolazione): allora il PS (potenziale di recettore) persiste, mentre il PA si riduce.
Potenziale d'Azione globale del Nervo Cocleare (PA)
Riflette l'attivazione sincrona di una vasta popolazione dei neuroni che si dipartono dall'organo di Corti. Nasce dalla trasduzione meccano­elettrica operata dal complesso membrana tectoria­cellule ciliate. Il potenziale d'azione globale rappresenta la somma di potenziali d'azione di ogni fibra.
Morfologia della risposta:
• Risposta normale: udito normale e sordità trasmissive
• Risposta dissociata: sordità neurosensoriali con perdita soprattutto dellle frequenze acute
• Risposta bifasica: deficit neurosensoriale con curva audio piatta
• Risposta allargata: malattia di Ménière e neurinoma dell'acustico
• Risposta anormale: sordità neurosensoriale con deficit più evidente per le frequenze acute
Tipo di stimolo
• Click per valutazione onda I (quando non possibile con elettrodi di superficie)
• Tone pip per la soglia della coclea alle diverse frequenze
• Tone burst per differenziare al meglio il PS rispetto al PA
Malattia di Ménière
Il dato più significativo, come in altre patologie caratterizzate da idrope, è la presenza di un potenziale di sommazione molto ampio, che si può notare come una deflessione nella branca discendente del PA, oppure pre­onda negativa che si stacca dall'N1. Diagnosi di cofosi
Anche se tale indicazione non è frequentemente posta, l'ECOchG rappresenta la metodica più precisa e definitiva per escludere una qualche attività cocleare, essendo l'unico test che non richieda il mascheramento controlaterale, molto difficoltoso in caso di ipoacusia profonda.
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Applicazione dell'ECOG nella valutazione della soglia
ABR resta il metodo di elezione; spesso però nei piccoli fra i 6 mesi e i 3 anni è necessaria la sedazione, ed in caso di bambini ritardati o difficili, si impone l'uso dell'anestesia generale anche per ABR: cade allora l'obiezione principale all'uso dell'anestesia generale.
POTENZIALI DEL TRONCO ENCEFALICO:
ABR (AUDITORY BRAINSTEM RESPONSES)
Rappresenta l'espressione della scarica sincrona del nervo VIII e delle unità neuronali del tronco encefalico, in risposta ad una stimolazione uditiva.
In un soggetto normale è costituito da una successione di sette onde (contrassegnate ognuna da un numero romano) entro 10 msec dall'invio dello stimolo acustico.
Parametri
1. Ampiezza
2. Latenza: il parametro più importante. Valutata in senso assoluto come distanza fra il tempo di invio dello stimolo e il picco dell'onda; valutata in senso relativo come distanza fra i picchi delle onde più importanti: intervalli I­III, III­V e I­V.
L'intervallo I­V, molto importante, rappresenta il cosiddetto “tempo di conduzione centrale”.
Delle componenti il pattern ABR, la V onda è la più stabile e la più facilmente individuabile anche a bassa intensità di stimolazione: infatti diminuendo l'intensità le varie onde aumentano proporzionalmente di latenza, e via via scompaiono, finché in prossimità della soglia uditiva resta la sola onda V.
Lo stesso comportamento avviene nell'ipoacusia: quanto più è accentuata la sordità, tanto più ci dobbiamo attendere la progressiva scomparsa delle componenti del pattern di risposta.
La risposta elettrofisiologica ABR presuppone l'integrità del recettore cocleare, per cui una perdita uditiva può alterarla in modo più o meno marcato fino alla completa scomparsa della stessa. Nei soggetti con deficit uditivi elevati (da 70 dB in poi) la possibilità di non rilevare una risposta è elevata: in questo caso l'apporto diagnostico della metodica deve essere considerato nullo.
Analogamente, una modificazione patologica dell'ABR è tanto più significativa quanto più la soglia uditiva è vicina alla norma, potendosi escludere gli effetti apportati alla risposta elettrofisiologica dal peggioramento della funzione uditiva.
Riguardo all'elettrogenesi, citando la definizione data da C.I. Berlin: la risposta è la rappresentazione di una scarica sincrona di singole unità neuronali sensibili all'inizio dello stimolo, dal primo al sesto ordine di neuroni delle vie uditive periferiche e centrali, ad un click o ad un tone burst di breve durata. Non è un “conscience hearing test”, ma unitamente ad altre metodiche può essere utilizzato per testare la sensibilità uditiva.
La risposta è condizionata dal sincronismo di scarica delle vie nervose, per cui qualunque disturbo che alteri tale meccanismo può ritardare o deprimere alcune componenti della risposta, fino alla completa abolizione della stessa anche in presenza di un udito normale.
L'identificazione dei siti generatori delle diverse onde è tuttora in discussione, anche se in passato si è tentato di attribuire una elettrogenesi precisa ad ogni singola onda:
• onda I: nervo cocleare
• onda II: nervo cocleare e nuclei cocleari
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onda III: complesso olivare superiore, nucleo mediale del corpo trapezoide e lemnisco laterale
• onde IV e V: talamo e radiazioni uditive, collicolo inferiore
Resta comunque sicura soltanto la genesi della I onda.
•
Per la risposta ABR è necessaria una stimolazione ripetitiva di tipo impulsivo in grado di fornire la massima energia in tempi minimi. Questa condizione si realizza con uno stimolo acustico come il click: di brevissima durata, perciò scarsamente specifico in frequenza (molto diverso dagli stimoli solitamente utilizzati in audiometria tonale). Il click è un impulso rettangolare, di 100 microsecondi di durata, che attraverso il trasduttore acustico (cuffia) dà luogo ad un rumore ad ampio spettro frequenziale: più spesso, a seconda del trasduttore utilizzato, si può osservare una maggiore concentrazione di energia tra 2 e 4 Khz, per poi avere un'attenuazione progressiva oltre i 4 KHz. Tuttavia, la regione di coclea in grado di fornire una scarica sincrona è quella basale, correlabile audiometricamente alle frequenze 2­4 KHz.
La calibrazione del click avviene in termini assoluti ed in termini relativi in riferimento ad un campione di normoudenti. In termini assoluti l'intensità del click è espressa in dB SPL peak equivalent (dB SPLp.e.) e l'ampiezza picco­picco del transitorio viene equiparata all'ampiezza di un tono puro di intensità nota. In termini relativi si fa riferimento alla soglia psicoacustica del click calcolata in un campione di soggetti normoudenti, da determinarsi nei singoli laboratori, in base alle caratteristiche di stimolazione, ad esempio la cadenza dello stimolo. Tale soglia costituirà lo 0 dB HL (oppure lo 0 dB nHL).
M odalità di esecuzione
ABR
I potenziali ABR non sono influenzati da sonno spontaneo o indotto farmacologicamente; sono, invece, disturbati da stati di tensione (contrazione dei muscoli della nuca e del collo) e dagli atti di deglutizione e suzione (nei piccoli in sonno leggero).
• Conduzione dell'esame negli adulti: pz rilassato, seduto o sdraiato supino, per evitare artefatti di natura muscolare.
Rilievo di soglia ABR negli adulti: si inviano al pz. stimoli uditivi a partire da una intensità sopraliminare (70­90 dB nHL), diminuendo l' intensità (a passi di 20­10 dB). Si assiste ad un aumento di latenza delle singole onde, nonché alla loro progressiva scomparsa: nell'ordine prima le onde pari (la II e la IV), poi le dispari (la I, la III ed infine la V). Quindi la soglia si identifica con la minima intensità di comparsa della V componente.
• Conduzione dell'esame nei bambini: in sonno spontaneo, meglio dopo privazione ipnica; immediatamente dopo il pasto nei piccoli (< 6­8 mesi); in sedazione farmacologica.
Rilievo di soglia ABR nei bambini: modalità differente nella somministrazione degli stimoli, per evitare il risveglio del bambino, specie se in sonno spontaneo. Si parte da un livello di comoda udibilità (60 dB), per poi scendere o salire con l'intensità, a seconda della presenza della risposta o della sua assenza. Si effettua, comunque, anche una stimolazione sopraliminare, per verificare la presenza di una eventuale componenta trasmissiva.
ABR è una metodica largamente diffusa:
1. nella diagnosi otoneurologica e neurologica
2. in campo audiologico come test obiettivo di valutazione della soglia uditiva
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Queste applicazioni sono rese possibili dalle caratteristiche di stabilità e di riproducibilità che contraddistinguono la risposta elettrofisiologica nel soggetto normale e, in parte, anche nel patologico.
1. Interesse otoneurologico
La valutazione otoneurologica è effettuata sulla risposta ottenuta in seguito a stimolazione con click, di rarefazione preferibilmente, a cadenza di 20 al secondo ad intensità massimale (90 dB nHL)
Occorre disporre di un'ampia normativa con un pattern tipico di risposta ABR, con valori di latenza assoluta e relativa ben codificati. Si procede all' analisi del tracciato del paziente, dopo averne accertato la funzione uditiva (con esame audiometrico ed impedenzometrico).
L'impiego dell'ABR si propone di rilevare una lesione del nervo VIII nei pazienti:
• Che presentano un'ipoacusia neurosensoriale
• Con altri disturbi della sfera oto­vestibolare: acufeni, difetti della discriminazione vocale, deficit vestibolari unilaterali Nella batteria dei test audiologici l'ABR costituisce il criterio di selezione dei pazienti da sottoporre alle indagini neuroradiologiche (TAC, RM). La diagnosi differenziale si basa sul fatto che i due tipi di lesione, cocleare o retococleare, danno luogo ad un diverso pattern di risposta ABR. I. Intervallo I­V
• Ipoacusie cocleari: anche in sordità elevate si ha la presenza di una risposta completa, quindi l'intervallo I­V è misurabile (non > 4.4 msec). L'intervallo I­V è indice molto affidabile e sensibile.
• Lesioni retrococleari: una lesione fra coclea e tronco dà luogo ad aumento della latenza relativa fra onda I e onda V (per aumento dell'intertempo I­III). Nei casi più gravi si ha scomparsa di tutte le componenti successive alla I, che resta l'unica onda leggibile del pattern di risposta (anche in ipoacusie lievi o normoacusie).
L'utilizzo dell'intervallo I­V è ridotto, per l'assenza frequente, nei neurinomi, delle prime onde della risposta (è utilizzata, da alcuni, una registrazione del PA con tecnica ECOchG da affiancare all'ABR in contemporanea).
II. Latenza dell'onda V
Può essere normale, per presenza di recruitment, nonostante l'ipoacusia (patognomonico di lesione cocleare), oppure può essere aumentata: allora occorre valutare se l'aumento sia dovuto al deficit uditivo o ad una lesione retrococleare. Per tale problema differenziale esistono diverse proposte:
1. Applicare al valore di latenza un fattore di correzione in rapporto alla perdita uditiva sui toni acuti confrontando poi con la normativa
2. Paragonare nello stesso paziente la latenza dell'onda V di entrambe le orecchie (indice ITV), differenza che non dovrebbe superare 0.3 msec
3. Paragonare la latenza dell'onda V con quella prevista nel soggetto normale, quindi ad uguale livello di sensazione (dB SL) del paziente ipoacusico (fattore ΔV)
Per la massima efficienza della metodica conviene utilizzare diversi indici da integrarsi reciprocamente, piuttosto che affidarsi ad uno solo.
In caso di ipoacusia severa:
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• l'assenza della risposta non offre indicazioni diagnostiche
• la presenza della risposta depone per una ipoacusia cocleare
Viceversa, l'assenza di risposta, non compatibile con l'ipoacusia, depone per una patologia retrococleare.
Per quanto riguarda la diagnosi di neurinoma dell'VIII n.c., negli anni 80 si diceva che nella diagnosi l'ABR avesse una potenzialità diagnostica del 95­98%; negli anni successivi ci si è accorti che:
• tumori > 1 cm venivano identificati nel 100% dei casi
• tumori intracanalari < 1 cm venivano identificati nel 63­93% dei casi
Comunque le ABR restano sempre un filtro per la RM.
La RM con m.d.c. (gadolinio) permette di identificare tumori intracanalari fino a 3 mm.
2. Interesse in campo audiologico
Le ABR evocate da click sono statisticamente correlate alle frequenze 2000­4000 Hz, quindi possiamo avere:
• Soglia ABR normale in presenza di deficit uditivo per le sole frequenze gravi
• Soglia ABR innalzata per deficit uditivo per i toni acuti, con soglia audiometrica normale per i toni gravi
L'impiego dell'ABR nella determinazione della soglia è limitato dall'entità dell'ipoacusia: perdite uditive ≥ 70 dB sono il limite oltre il quale si hanno elevate possibilità di non ottenere risposte ABR. Ciò determina l'impossibilità di quantificare le sordità gravi, consentendo solo di ipotizzare l'esitenza di grave deficit.
ABR e soglia audiometrica
(da studi condotti in soggetti normali ed in pazienti affetti da ipoacusia cocleare)
È possibile ricavare la soglia audiometrica media per le frequenze 2000­4000 Hz in dB HL con due metodi:
1. Si sottrae un fattore di correzione (che dipende dalle diverse apparecchiature) alla soglia ABR (espressa in dB SPL)
2. Si moltiplica la soglia ABR per un coefficiente pari a 0.73, risultato di analisi statistiche di regressione lineare
Il primo metodo è il più semplice e comodo.
Si ottiene così una predizione soddisfacente della soglia uditiva, a più o meno 10 dB dalla soglia reale.
In sintesi: la valutazione ABR attraverso la ricerca dell'onda V esprime la funzionalità del giro basale della coclea; la soglia dell'onda V rappresenta, quindi, la soglia uditiva per le frequenze acute 2000­4000 Hz; il dato quantitativo di tale soglia (in dB HL) si può ricavare sottraendo alla soglia ABR (in dB SPL) un fattore di correzione.
POTENZIALE CORTICALE: S.V.R. (SLOW VERTEX RESPONSE)
Metodica molto valida di esplorazione della funzione uditiva nel soggetto adulto. Permette di ricavare, in modo obiettivo, una soglia audiometrica per tutte le frequenze del campo tonale, anche in condizioni di scarsi residui uditivi. Infatti utilizzano come stimoli uditivi dei “tone burst” analoghi ai toni dell'audiometria convenzionale, quindi ben calibrabili nei parametri fisici.
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Vantaggi: specificità degli stimoli utilizzati
Svantaggi: sensibilità a molteplici fattori che condizionano l'identificazione della risposta, quali
• età
• incompleta maturazione cerebrale
• presenza di cerebropatie
• ipermotilità del soggetto
• stato veglia­sonno
• stato di attenzione
• abitudine
Condizioni migliori di rilievo della soglia SVR: un paziente che sia
• adulto
• normale
• sveglio • in condizioni di attività mentale.
Nelle condizioni ottimali, con accorgimenti tipo randomizzazione dello stimolo, l'SVR è espressione fedele della funzione uditiva del soggetto, e le soglie ottenute si discostano di 5­10 dB dalle soglie psicoacustiche (dimostrazioni su pz collaboranti).
In audiometria infantile l'SVR non è valida per:
• impossibilità di ottenere una veglia tranquilla che consenta la lettura della risposta, non potendo ricorrere alla sedazione.
• stato di ipermotilità del piccolo
• incompleta maturazione cerebrale
• presenza di cerebropatie
Tutti fattori che inficiano il riconoscimento della risposta, e di conseguenza il rilievo di soglia.
AUDIOLOGIA INFANTILE
L'approccio con il bambino, specie se molto piccolo, o sordo, o con turbe comportamentali, o con deficit intellettivi, è difficoltoso (atteggiamento diffidente, non interessato): è necessario ottenere collaborazione alla esecuzione dei tests. Pertanto occorrono tests semplici ed appropriati al tipo di risposta che il pz. può fornire.
La risposta del piccolo può richiedere 1. Semicollaborazione oppure collaborazione involontaria: prove semi­obiettive
2. Nessuna collaborazione attiva: prove obiettive
Il tipo di risposta del bambino varia in funzione di età mentale, età cronologica, stato neurologico, livello uditivo, disponibilità a collaborare, contesto ambientale.
1. Prove semiobiettive
Risposte riflesse o risposte volontarie: più o meno condizionate
• Risposte riflesse incondizionate (0­8 mesi): il bambino si esamina in sonno leggero osservando risposte incondizionate a stimoli sonori. La risposta può essere: ◦ reazioni di allarme: risveglio, arresto del pianto, modificazioni della frequenza cardiaca e del respiro
◦ reazioni posturali: diffuse contrazioni muscolari, reazioni toniche arti superiori ed inferiori
◦ reazioni psicoemotive
◦ riflesso cocleo­palpebrale
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•
•
•
Queste prove sono prove grossolane in quanto una mancata risposta può dipendere da deficit neurologici, psicomotori ecc. Il riscontro di un deficit richiede un approfondimento diagnostico. Risposte condizionate strumentali (8 mesi ­ 5 anni): associazione da parte del bambino dello stimolo uditivo con altro stimolo (ad esempio visivo) gratificante. Valutazione monoaurale specifica in frequenza.
◦ 8/9 mesi ­ 2 anni → COR (Conditioned Oriented Reaction): la risposta evocata può essere la rotazione della testa alla ricerca della fonte del suono alla quale il bambino riceve la gratificazione (viene accesa una luce). Questo test sfrutta il riflesso orientativo condizionato (COR) e riesce a stabilire, anche se in modo grossolano, delle soglie uditive. ◦ 2 ­ 5 anni → peep­show (play audiometria): la risposta richiesta deve essere più esigente: preme un pulsante quando sente il suono, e poi viene gratificato, con un filmato che parte, un giocattolo che si muove ecc. Audiometria vocale per immagini: riconoscimento di immagini di oggetti familiari, in relazione allo sviluppo linguistico del piccolo.
Esame audiometrico convenzionale: già in bambini di pochi anni.
2. Prove obiettive
Non richiedono la collaborazione del paziente
• REFLESSOLOGIA TIMPANICA
◦ Impedenzometria
◦ Timpanogramma: condizioni dell'orecchio medio
◦ Riflesso stapediale: predizione di soglia
▪ Vantaggi: conferma risultati di altre indagini
▪ Svantaggi: assente in una elevata percentuale di bambini sani o con lieve patologia dell'orecchio medio.
Soglia prevista = valore medio (0.5 ­ 2 KHz)
Grado di precisione modesto
• POTENZIALI EVOCATI UDITIVI
◦ ABR: si studiano i potenziali evocati dallo stimolo sonoro a livello del tronco cerebrale. La prova è svolta nel sonno e la registrazione è affidata a elettrodi applicati sul cranio.
▪ Vantaggi: rapidità di esecuzione; non invasività; eseguibile in sonno (spontaneo o indotto)
▪ Svantaggi: scarsa specificità frequenziale (click); permette di studiare la soglia solo per le frequenze acute; assenza della risposta per ipoacusie maggiori di 70 dB; assenza della risposta per cause diverse dalla sordità (incompleta maturazione, patologie sistema nervoso)
◦ SVR: studia i potenziali corticali durante la veglia. Sono prove poco adatte ai bambini perché richiedono veglia e attenzione per lungo tempo. ▪ Vantaggi: risultati sovrapponibili a quelli dell'audiometria tonale
▪ Svantaggi: età del bambino; stato di maturazione cerebrale; presenza di cerebropatie; agitazione psicomotoria del soggetto; necessità di veglia tranquilla
◦ ECOG: studia i potenziali mediante un elettrodo transtimpanico posizionato in anestesia generale. Viene usata raramente, si effettua in casi estremi. ▪ Vantaggi: specificità frequenziale maggiore che nell'ABR; migliore valutazione 51
•
della soglia uditiva (ipoacusie gravi o profonde, maggiori di 90 dB, con ABR assente)
▪ Svantaggi: impiego dell'anestesia generale; traumatismo (pur minimo)
Studio delle OTOEMISSIONI ACUSTICHE (OAE)
Studia (con click o toni 0.5 ­ 4 Khz) le onde emesse dalle cellule ciliate esterne con una sonda introdotta nel condotto uditivo. L'esistenza di attività delle cellule ciliate esterne conferma la normale funzione della coclea. Questo esame non permette di valutare le soglie uditive. Le OAE sono ridotte o assenti per una perdita uditiva maggiore di 30­50 dB.
◦ Vantaggi: test semplice, veloce, sufficientemente sensibile; buona conferma della funzionalità cocleare
◦ Svantaggi: nessuna discriminazione fra sordità cocleare o trasmissiva; non consente valori di soglia
L'otoemissione acustica è un test di largo impiego come screening effettuato in quarta giornata dopo la nascita. Un eventuale test patologico viene approfondito con ABR .
ABR come strumento di screening nei neonati:
• Identificazione dell'onda V ad una “intensità criterio” di 30 o 40 dB nHL (separazione pass/fail).
Occorre tenere conto che la risposta ABR nel neonato è molto diversa da quella dell'adulto, come presenza di onde, e come valore delle latenze, maggiori di quelle dell'adulto. Ciò è stato posto in relazione alla maturazione della via troncoencefalica, ed al suo grado di mielinizzazione. Le latenze tendono ad assumere il valore dell'adulto intorno ai 18­20 mesi di età.
• Valutazione della maturazione centrale: molto importante nei casi di prematurità e disordini del SNC (contributo all'assessment diagnostico, alla prognosi, alla riabilitazione). • Livello della soglia uditiva.
Sordità infantile
Sordità infantili: 1­3 / 1'000 nei paesi industrializzati
La sordità nei bambini rappresenta un handicap ancora più grave che nell'adulto, perché determina un'acquisizione del linguaggio deficitaria o assente.
La parola, per esere interamente compresa, deve essere prima ricevuta dal nostro organo uditivo periferico come messaggio sonoro, per essere poi decodificata, elaborata e memorizzata dal nostro sistema nervoso centrale.
Per una normale ecquisizione del linguaggio debbono essere normali ed attive tutte le strutture deputate a tali funzioni.
L'età critica per lo sviluppo del linguaggio sono i primi tre anni di vita (in cui avvengono lo sviluppo e l'armonizzazione delle funzioni superiori). Se la stimolazione acustica non avviene in tale periodo, si avrà una compromissione irreversibile dell'acquisizione del linguaggio.
Un'ipoacusia grave o gravissima prima REGISTRO DI RISCHIO AUDIOLOGICO dell'acquisizione del linguaggio non permetterà al • Familiarità • Infezioni ­ meningite batterica piccolo lo sviluppo dello stesso in modo spontaneo per • Anomalie craniofacciali ­ quadri sindromici la mancanza degli stimoli sonori, riproducendo i • Iperbilirubinemia quali il bambino realizzerà il linguaggio parlato. • Peso < 1500 g Questo causerà poi sensazione di isolamento, • Asfissia neonatale 52
•
•
Necessità di ventilazione meccanica Farmaci ototossici Alessandro G. - 2011/2012
emarginazione, e deficit dello sviluppo globale della personalità del bambino. Occorre una diagnosi che sia la più precoce e precisa possibile, per permettere un facile inserimento sociale.
Si ricorre pertanto ad un protocollo di screening neonatale su registri a rischio, anche se meglio sarebbe uno screening universale:
• Normoudenti → ☺
• Ipoacusici → sottoposti a test più accurati
→ provvedimenti terapeutici opportuni
La maggiore attenzione va posta nella fascia di età compresa fra 0 e 3 anni, per i noti problemi dell'apprendimento del linguaggio.
Ipoacusie trasmissive: le più diffuse; spesso causate da otiti
Ipoacusie neurosensoriali: le più importanti per gravità delle lesioni, irreversibilità, drammatiche conseguenze
◦ Sordità bilaterale (grave o profonda)
◦ Inibizione dell'acquisizione del linguaggio (parziale o totale)
◦ Sordomutismo
Dal punto di vista eziopatogenetico le sordità vengono divise in:
• Genetiche o ereditarie: comprendono difetti uditivi isolati oppure sindromi complesse
• Acquisite: in riferimento al momento in cui si instaura il danno uditivo si dividono in prenatali (embriopatie, fetopatie), perinatali, postnatali
◦ Con manifestazione clinica alla nascita (congenita)
◦ Con manifestazione clinica in epoca successiva (delayed) Principali cause delle sordità acquisite:
• Cause infettive,virali o batteriche (toxoplasmosi,rosolia)
• Anossiche
• Traumatismo ostetrico
• Prematuranza
• Incompatibilità materno­fetale (AB0, Rh, ittero nucleare)
• Tossici esogeni ed endogeni (antibiotici, streptomicina, …)
• Patologie dell'orecchio medio
Elementi clinici fondamentali:
• Grado di sordità
• Epoca di insorgenza
In particolare:
◦ Ipoacusie prelinguali: ipoacusie profonde, compromettono lo sviluppo del linguaggio (fino al sordomutismo) ◦ Ipoacusie postlinguali: deterioramento linguaggio acquisito, gravi disturbi comportamentali
La possibilità di sottrarre il piccolo da una inevitabile condizione di sordomutismo dipende da una diagnosi precoce del danno uditivo e dalla tempestiva messa in atto di misure terapeutiche e riabilitative. La diagnosi più precoce e precisa possibile e provvedimenti terapeutici e riabilitativi hanno lo scopo di prevenire e contenere le turbe dell'acquisizione del linguaggio e relative sequele.
•
•
Conclusioni: nessuna tecnica di indagine è perfetta; occorre il contributo di più tests per una definizione quantitativa e qualitativa del deficit uditivo ai fini di una terapia protesica e 53
riabilitativa opportuna. La scelta della metodica è condizionata da fattori quali:
• età mentale del soggetto
• presenza di cerebropatie
• patologia dell'orecchio
• disponibilità di mezzi tecnici
• abilità dell'esaminatore
Non esiste quindi un protocollo diagnostico valido in ogni caso.
Le indagini audiologiche in audio infantile andrebbero distinte in due periodi:
• Dalla nascita al secondo anno → diagnosi dei deficit uditivi congeniti di entità media o grave
• Dai tre ai cinque anni → perfezionamento della valutazione dei deficit uditivi; diagnosi delle perdite lievi o medie sfuggite al primo filtro; diagnosi di lesioni uditive intervenute o aggravatesi dopo il primo periodo.
PATOLOGIE DELL'ORECCHIO INTERNO
Otosclerosi
Malattia della capsula labirintica esclusiva della specie umana, caratterizzata da focolai di riassorbimento osseo e successiva nuova ossificazione anomala. Le aree più frequentemente interessate sono la fissula ante fenestram e la fossula post fenestram, situate ai margini della finestra ovale.
Eziopatogenesi: l'unico dato certo è la componente ereditaria, legata a due fattori, uno autosomico, uno X­linked. È possibile che fattori ormonali che incidono sul metabolismo del Calcio (menopausa, allattamento) possano influire sulla presentazione clinica. Tra i vari cofattori chiamati in causa, ha ultimamente credito l'ipotesi virale (morbillo).
Più frequente nel sesso femminile (2:1), età d'insorgenza relativamente giovanile (tra i 20 ed i 40 anni).
Presentazione istologica: 10 % nella razza bianca (la più colpita)
Presentazione clinica: 0,5­1 % nella razza bianca.
In genere bilaterale.
• Focolai confinati alla capsula labirintica → ipoacusia neurosensoriale pura (rara)
• Focolaio che invade il legamento stapedo­ovalare con conseguente fissità della staffa → ipoacusia inizialmente trasmissionale, e successivamente mista per l'azione istotossica di enzimi prodotti dal focolaio.
Diagnosi: • Otoscopia: MT normale
• Audiometria: ipoacusia trasmissionale o mista, spesso bilaterale ma non all'esordio, non necessariamente simmetrica
• Timpanogramma: una curva compliance/pressione morfologicamente normale, ma diminuita in tutti i punti, ad indicare una sclerosi diffusa ma valori pressori normali (non è quindi un problema tubarico)
• Riflesso stapediale: assente (effetto on­off: nelle forme iniziali, a staffa semi­bloccata)
• HRCT in casi selezionati
Terapia chirurgica: stapedo/stapedectomia: sostituzione della staffa (o di parte di essa) con una protesi eterologa. È un intervento elettivo che ripristina il sistema di trasmissione, senza però bloccare gli effetti della malattia sull'orecchio interno: rimane possibile la necessità, 54
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subito, o in futuro, di protesizzazione acustica. Per valutare il possibile effetto dell'intervento è utile, nei casi di ipoacusia mista, l'audiometria vocale.
Stapedoplastica: cause più frequenti di revisione
• Dislocazione della protesi
• Frattura dell'incudine
Possibilità di una fistola perilinfatica anche a distanza.
In caso di fluttuazione della soglia, o comunque di sospetto di fistola perilinfatica, è indicata una revisione anche in assenza di un gap trasmissivo certo. Indicazioni classiche alla revisione:
• Anamnesi
• Gap trasmissivo più o meno variabile (anche da un momento all'altro)
• Timpanogramma “a gobba di cammello”
Deiscenza del canale semicircolare superiore (SSCD)
Entità nosografica definita di recente (nel 1998): deiscenza della parete superiore del canale osseo semicircolare superiore, con conseguente esposizione del labirinto membranoso sotto alla dura madre della fossa media.
Probabilmente ha origine congenita, ma non sembra però manifestarsi subito (?).
Possibili sintomi: autofonia (percezione della propria voce e di tutti i rumori del cavo rinofaringeo), fenomeno di Tullio (vertigine scatenata da rumori intensi), vertigini, acufeni, ipoacusia di vario tipo e grado. La causa dei sintomi è l'aumento dell'ammettenza dell'orecchio interno.
Diagnosi: VEMPs (potenziali evocati vestibolari miogenici), HR­TC con ricostruzione coplanare al canale. La diagnosi differenziale è anche con otosclerosi!!
Terapia: chirurgia eventuale, in rapporto ala gravità dei sintomi, con ricopertura o chiusura del canale, via fossa media o transmastoidea.
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VESTIBOLOGIA
La struttura ossea del sistema vestibolare (labirinto posteriore) consiste nell'utricolo, su un lato del quale, opposto a quello da cui arriva l'endolinfa, si aprono tre canali ossei orientati nelle tre direzioni dello spazio, chiamati laterale, posteriore e superiore. Questi tre canali sono semicircolari, e prendono origine tutti e tre dalla parte laterale dell'utricolo, e ad essa ritornano. All'interno dei canali semicircolari c'è la struttura vestibolare che recepisce le accelerazioni. Nell'utricolo invece c'è, in una zona differenziata del suo epitelio, una struttura recettoriale che recepisce le modificazioni della direzione di orientamento del capo rispetto alla forza di gravità:
Macula utricolare e sacculare Nell'epitelio dell'utricolo si differenziano delle cellule sensoriali a fiasco (tipo I) e prismatiche (tipo II). Entrambe hanno sulla loro superficie apicale un chinociglio grande e lungo, ad una estremità, e una serie di stereociglia più sottili e man mano più corte mentre ci si allontana dal chinociglio. Una struttura sensoriale identica, con minime differenze, si trova anche nel sacculo. Sopra le ciglia è tesa una sottile membrana gelatinosa, che contiene all'interno degli otoliti (cristalli di carbonato di calcio). I movimenti della testa rispetto alla forza di gravità fanno inclinare la membrana gelatinosa sotto il peso degli otoliti, che provocano a loro volta lo spostamento delle stereociglia. Il chinociglio, fisso, si sposta di poco. La cellula è sensibile alla variazione di posizione fra chinociglio e stereociglia: quando queste si allontanano, produce un potenziale, quando si avvicinano, si iperpolarizza. Anche queste cellule hanno fibre afferenti ed efferenti. Queste strutture informano il SNC sulla posizione del capo, e provocano riflessi di aggiustamento centrati sui muscoli flessori ed estensori del capo. Organi canalicolari
I canali semicircolari membranosi sono immersi nella perilinfa e contengono endolinfa. Ogni canale ha due braccia che si inseriscono nell'utricolo: una semplice ed una ampollare, costituita da una piccola dilatazione detta appunto ampolla. Nell'ampolla si trovano delle cellule sensoriali identiche a quelle della macula, in una struttura detta cresta ampollare. Le cellule sono stimolate dagli spostamenti dell'endolinfa dei canali, che avvengono solo quando sono stimolati da una accelerazione che li muove per inerzia. Le stereociglia sono inglobate anch'esse in una membrana gelatinosa, detta membrana anista, sulla quale non ci sono otoliti. Anche questi recettori sono innervati come le macule, e trasmettono movimenti di accelerazione angolare del capo.
Le fibre nervose degli organi vestibolari raggiungono un ganglio posto lungo il decorso del ramo vestibolare dell'VIII nervo cranico.
Da qui le fibre raggiungono quattro nuclei situati nel ponte, che si occupano dei riflessi diretti ai muscoli per il mantenimento dell'equilibrio (Riflesso Vestibolo­Spinale), all'occhio (Riflesso Vestibolo­Oculomotore), ai centri del vomito (mal di moto), ai nuclei vestibolari all'angolo ponto­cerebellare, ed alla corteccia per codificare l'informazione cosciente.
Il sistema dell'equilibrio è quindi correlato anche alla visione ed al sistema propriocettivo.
La vestibologia classica considera solo il canale semicircolare laterale, e non le macule.
NISTAGMO FISIOLOGICO (V.O.R. = RIFLESSO VESTIBOLO ­ OCULOMOTORE)
I recettori labirintici sono attivi anche a testa ferma, inviando potenziali d'azione: se al tronco encefalico arrivano gli stessi stimoli da destra e da sinistra, vengono percepiti come informazione di stabilità.
La rotazione del capo viene percepita dai canali semicircolari attraverso il movimento inerziale dell'endolinfa: un movimento ampullifugo causa una attivazione inibitoria, mentre quello ampullipeto è eccitatorio, e prevale sull'ampullifugo. Questi stimoli agiscono sui nuclei 56
Alessandro G. - 2011/2012
del tronco encefalico e provocano un movimento dei globi oculari nella direzione della corrente endolinfatica (ossia nella direzione opposta al moto), finalizzato al mantenimento del campo visivo iniziale (fase lenta del nistagmo). Tale movimento si realizza per l'asimmetria delle afferenze labirintiche (aumentate dal lato della rotazione, e ridotte dall'altro) ai nuclei vestibolari, ed avviene sullo stesso piano dei canali eccitati.
Successivamente i globi oculari ritornano in asse col capo con un rapido movimento di ritorno (fase rapida del nistagmo), il cui verso definisce la direzione in cui “batte” il nistagmo.
LA VERTIGINE
Il sintomo della vertigine è una turba della sensibilità spaziale: una erronea sensazione di movimento, dell'ambiente esterno o del proprio corpo.
È una sensazione che segue alla modificazione dei rapporti del nostro schema corporeo con l'ambiente esterno. Può dipendere da cause molteplici, essendo parecchie le vie di stimoli che inducono la propriocezione (visivi, propriocettivi, auditivi e vestibolari). Le vertigini di tipo vestibolare (labirintiche) sono tipicamente rotatorie, in cui si vedono gli oggetti ruotare (vertigine oggettiva). Invece quelle centrali sono caratterizzate dalla sensazione di ruotare nello spazio (vertigine soggettiva). La vertigine oggettiva ha anche pallore, sudorazione, nausea e vomito e spesso dà acufeni. Discrepanza tra le informazioni sensoriali
Disequilibrio (dizzyness)
Oscillopsia
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Vertigini da lesione vestibolare periferica (al labirinto e/o al nervo acustico) Vertigini da lesione vestibolare centrale Vertigini oculari Vertigini propriocettive Vertigini psicogene Vertigini internistiche (da risentimento di uno o più apparati, secondario ad altra patologia: ischemia cerebrovascolare, ipertensione arteriosa con risentimento dei nuclei vestibolari, ecc) SINDROMI VESTIBOLARI ACUTE PERIFERICHE
Il nistagmo di tipo periferico è abolito dalla fissazione.
Le sindromi sono dette armoniche in quanto le varie componenti si alterano consensualmente.
1. Scompenso Vestibolare Acuto Periferico Deficitario
Se un sistema labirintico od un suo nervo smettono improvvisamente di funzionare, l'improvvisa asimmetria delle afferenze labirintiche ai nuclei vestibolari viene letta dal tronco encefalico come un movimento del capo, da cui deriva: • nistagmo spontaneo persistente con fase rapida verso il lato iperfunzionante.
• asimmetria muscolare con tendenza alla caduta verso il lato ipofunzionante.
• vertigine con intensa reazione vegetativa.
Questi permangono acutamente finché perdura lo squilibrio, in quanto il tronco ha una informazione continua di movimento. La patologia dovrebbe coinvolgere tutte le 3 direzioni, ma la componente orizzontale è prevalente già fisiologicamente, per cui prevale anche nella patologia.
Si risolve spontaneamente, attraverso un fenomeno di compenso vestibolare centrale: 57
persistendo la asimmetria di input vestibolari, si verifica a livello del tronco un progressivo reset del sistema, a partire da 2­3 giorni, che ignora il lato ipofunzionante, con graduale scomparsa della sintomatologia clinica in 2 o 3 mesi.
Cause più frequenti:
• Neurite vestibolare o Paralisi vestibolare improvvisa: sofferenza acuta esclusivamente vestibolare, senza altro interessamento cocleare o neurologico; le vertigini sono oggettive, rotatorie, con nausea e vomito; seri problemi nel mantenere la stazione eretta. Si risolvono in giorni o settimane, e la prognosi è benigna, ma possono lasciare lievi strascichi. Data l'associazione con episodi infettivi virali delle vie aeree superiori, l'eziologia potrebbe essere la medesima. La sede non è chiara (danno recettoriale diretto, o neurite/neuronite del nervo vestibolare o dei nuclei vestibolari del tronco encefalico). • ipoacusie improvvise con risentimento vestibolare • Malattia di Ménière
• traumi
• infarti vascolari
• Labirintite otogena: infezione dell'orecchio medio propagata all'orecchio interno; può evolvere in meningite.
• esordio acuto di neoplasie dell'APC (raro) Diagnosi differenziale:
• Ischemia cerebellare (se ci sono fattori di rischio: TAC) • Sclerosi Multipla Non si accompagna mai a perdita di coscienza; non sono presenti altri segni neurologici. Frequente associazione di deficit uditivi. Andamento migliorativo.
Terapia: Di grande importanza sono le afferenze visive (per ridurre il ny.) e propriocettive (fondamentale la mobilizzazione precoce). Da evitare la sedazione farmacologica protratta.
2. Scompenso Vestibolare Acuto Periferico Irritativo
Iperfunzionalità di un sistema labirintico: dà gli stessi effetti dello scompenso di tipo deficitario al lato opposto.
S. VESTIBOLARE CENTRALE o VERTIGINE NEUROLOGICA
Le vertigini neurologiche sono patologie gravi la cui diagnosi non è semplice. Talora sono di tipo soggettivo e subcontinue, con andamento ingravescente. Sono presenti altri segni neurologici.
Il nistagmo può essere spontaneo o rivelato di tipo centrale, incostante, multidirezionale, asimmetrico: sindrome disarmonica.
Attenzione alla vertigine ad esordio acuto da causa vascolare! VERTIGINE POSIZIONALE PAROSSISTICA BENIGNA (VPPB)
Nistagmo simil­centrale dissociato
È un'intensa vertigine, scatenata da particolari movimenti del capo, provocata probabilmente da otoliti liberi (è anche detta cupulolitiasi) provenienti dalla macula dell'utricolo, che si depositano nell'endolinfa dei canali semicircolari, più spesso nell'ambito del canale semicircolare posteriore (più raramente il laterale), che ha una estremità in comune con il superiore: nella sua forma più comune (posteriore) infatti provoca un nistagmo dissociato rotatorio­verticale. È possibile però che possano essere anche altre sostanze dell'endolinfa.
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L'eziologia è forse vascolare (insufficienza vertebrobasilare) oppure traumatica, ed al danno ischemico/degenerativo seguirebbe il distacco di otoliti.
Le vertigini sono rotatorie, oggettive, a rapida insorgenza e di solito a breve durata (30 ­ 40 secondi), recidivanti.
Vertigini e nistagmo sono evocabili con la tecnica di Hallpike: si fa passare rapidamente il pz. da eretto a supino, con testa iperestesa ruotata sul lato.
Basandosi sui caratteri di esauribilità, faticabilità, ripetitibilità delle vertigini, sono state sviluppate delle tecniche terapeutiche dette “manovre liberatorie” di Semont e di Epley volte a spostare gli otoliti.
S emeiologia vestibolare non strumentale
• Nistagmo spontaneo
• Nistagmo rivelato: compare o si accentua con una manovra clinica. ◦ dalla posizione del capo ◦ dai movimenti del capo
▪ Head Shaking Test ▪ manovra di Hallpike Test di Halmagyi: valuta in modo rapido il nistagmo fisiologico (VOR) Ny Periferico:
• bifasico
• orizzontale rotatorio, unidirezionale • nistagmi posizionali parossistici Ny Centrale:
• bifasico ­ pendolare • orizzontale puro, verticale, obliquo rotatorio • a direzione fissa o variabile (spontaneamente, con i movimenti dello sguardo o del capo) • coniugato o non coniugato Con l'esame clinico­anamnestico si può • apprezzare una patologia vestibolare periferica in atto (scompenso vestibolare acuto, VPPB)
• sospettare e/o confermare una patologia vestibolare periferica compensata, latente, pregressa • apprezzare nistagmi di tipo centrale o di dubbia interpretazione clinica • escludere ragionevolmente una patologia vestibolare periferica o centrale In molti casi la vertigine rimane di ndd!
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LE CAVITÀ NASALI
Il naso esterno è formato da due lamine cartilaginee attaccate al processo anteriore dell'osso mascellare, che forma la piramide nasale, e in alto appese alla spina dell'osso frontale. Le cavità nasali principali sono due, costituite medialmente dal setto cartilagineo che si incastra al vomere e superiormente con la lamina perpendicolare dell'etmoide. Lateralmente la cavità nasale è chiusa dai tegumenti. All'interno ogni cavità nasale è divisa in tre meati, tutti comunicanti fra di loro perché i setti sono formati da 3 coppie di ossa chiamate cornetti o ossa turbinate, che aggettano nella cavità principale. Sono avvolti da mucosa nasale con secrezione mucino­sierosa. Queste ossa sono importanti perché data la loro forma trattengono l'aria e ne permettono il riscaldamento e l'umidificazione. L'etmoide ha due lamine orizzontali, una superiore detta anche crista galli o lamina cribrosa, che dà l'accesso alle ramificazioni del nervo oftalmico, e una inferiore che contribuisce a formare il setto nasale e dalla quale si distacca una parte laterale che forma l'osso turbinato anteriore. La parte mediale della lamina inferiore invece forma una serie di ramificazioni che contengono le celle. Le cavità principali comunicano, con quattro accessi nel meato superiore, con quattro cavità scavate nelle ossa frontali: 1. Seni frontali: posti al di sopra della radice del naso ed estesi fino a sopra l'occhio, ognuno di essi comunica, con la sua parte anteriore, al meato medio attraverso il dotto frontonasale (che attraversa la parte anteriore del labirinto dell'etmoide) che si apre nello iato semilunare del cornetto medio.
2. Seno sfenoidale: due, piccoli, posizionati nello spessore dell'osso, con accesso posterosuperiore. L'orifizio di sbocco del seno ha una lunghezza di due millimetri e un'altezza di tre, l'inclinazione è tale per cui le secrezioni sfenoidali drenano nel rinofaringe e non nella fossa nasale.
3. Seno mascellare: ha il suo accesso in un forame posto fra il turbinato superiore e medio, al fondo dello iato semilunare, un introflessione della mucosa che accoglie all'apice il forame del canale rino­lacrimale ed alla base lo iato del seno mascellare. Questi sono scavati nello spessore dell'osso mascellare. Il foro è parzialmente chiuso dal processo uncinato che viene dalla massa laterale dell'etmoide. La sua peculiarità è di sboccare nel cornetto medio con un canale in salita, ovvero attraverso un drenaggio antigravitario.
4. Seni etmoidali (o celle etmoidali, o labirinti etmoidali): scavate nelle masse laterali dell'etmoide, generalmente in numero superiore a dieci, hanno nel complesso una forma a parallelepipedo. Le cellette etmoidali posteriori comunicano con il meato superiore, sotto il cornetto superiore, mentre con il meato medio, sotto il cornetto medio, le cellette etmoidali medie e anteriori.
Lo scopo delle cavità sinusali è quello di diminuire il peso del cranio. La vascolarizzazione del naso è affidata a diverse arterie, la arteria etmoidale anteriore che viene dalla carotide interna e vascolarizza la porzione anteriore della cavità nasale scendendo dall'alto verso il basso lungo la piramide nasale, l'etmoidale posteriore che dal tetto della cavità nasale da rami discendenti, l'arteria sfenopalatina che entra da dietro nella cavità nasale dal forame sfenopalatino e da tre rami che procedono orizzontalmente sotto le tre ossa turbinate, fino ad anastomizzarsi con la etmoidale anteriore, l' arteria grande palatina che da un ramo anastomotico con la branca più bassa della sfenopalatina, e infine l'arteria labiale che dà un ramo anastomotico sempre con la stessa branca della sfenopalatina, e si sfiocca in un plesso alla punta del naso a cui partecipa anche la etmoidale anteriore. Gli ultimi tre vasi originano dalla carotide esterna. Funzioni del naso: • Olfattoria: veicolazione delle particelle olfattive all'area sensoriale situata in corrispondenza della lamina cribrosa • Umidificazione: l'aria rallenta nelle ossa turbinate, e ha tempo di umidificarsi con le secrezioni sierose • Riscaldamento: specie a livello dei turbinati, che sono molto vascolarizzati dai rami della sfenopalatina
• Difesa aspecifica mucosale
• Filtrazione: l'epitelio ciliato si muove in sincronia verso il faringe e quindi le impurità, commiste a muco, vengono inghiottite ma non inalate • Cassa di risonanza: nella rinorrea o se le fosse nasali sono chiuse si parla di rinolalia chiusa.
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MUCOSA NASALE
L'iperreattività nasale deriva da un'abnorme reazione dell'apparato respiratorio a stimoli innocui. Nella patogenesi sono coinvolti: • Il sistema neurovegetativo • Il sistema immunitario • Strutture neuroendocrine trigeminali Il risultato finale dell'attivazione di questi sistemi in risposta a stimoli antigenici vari è una flogosi neurogena con vasodilatazione, trasudazione, aumento della secrezione ghiandolare, liberazione di istamina dalla degranulazione mastocitaria. La componente allergica e la componente di iperreattività aspecifica si possono intersecare in vari modi. La mucosa può essere soggetta a possibili alterazioni morfo­funzionali. Attualmente è considerato più corretto parlare di rinosinusiti.
• Riniti (infettive): acute (virali, batteriche), croniche. Le rinosinusiti possono anche essere di modesta gravità e guarire spontaneamente.
• Riniti (rinopatie)
◦ Vasomotorie o aspecifiche: la risposta neurale aspecifica può coinvolgere il sistema immunitario (attivazione di eosinofili); reazioni allergiche possono scatenare fenomeni di iperreattività aspecifica.
▪ Con eosinofili (NARES ­ Non Allergic Rhinitis with Eosinophily ) ▪ Senza eosinofili ◦ Specifiche (allergiche): IgE­mediate
▪ Periodiche
▪ Persistenti Diagnosi differenziale:
• Anamnesi: più informativa dell'esame obiettivo stesso!
◦ Inizio, frequenza e durata dei sintomi ◦ Carattere delle secrezioni ◦ Fattori scatenanti ◦ Disordini locali o generali ◦ Storia di allergie • Esame obiettivo • Prove cutanee epidermiche • Ricerca delle IgE specifiche • Esame citologico del secreto: non dirimente in caso di NARES
• Dosaggio IgA secretorie • Provocazione nasale: applicazione diretta dell'allergene diluito e verifica con rinomanometria
• Prova mucociliare (motilità normale: circa 5 mm/min.)
Se non si trova l'allergene: prove per rinopatia aspecifica • Prove cutanee con papaverina, acetilcolina, istamina ecc. • Provocazione nasale: applicazione locale di acqua fredda, acetilcolina, istamina, … • Esercizio muscolare, variazioni di posizione → Confronto con esame citologico del secreto, trasporto mucociliare, dosaggio IgA secretorie Terapia:
• Locale:
◦ Soluzione salina (lavaggi nasali): priva di controindicazioni, azione detergente e 61
blandamente decongestionante, utile per la rimozione meccanica del muco che costituisce un vettore di penetrazione di agenti infettanti.
◦ Vasocostrittori topici (sintomatici): agonisti α­adrenergici (mai oltre 5­7 gg). Se usati a lungo → Rinite medicamentosa:
▪ distruzione dell'attività ciliare ▪ alterazione del pH del muco ▪ metaplasia dell'epitelio ◦ Corticosteroidi: assorbimento sistemico modesto ma presente; azione più lenta rispetto agli α­adrenergici.
▪ Attivazione di proteine antinfiammatorie e repressione di citochine e chemochine proinfiammatorie ▪ Attività antiedemigena (amplificazione degli stimoli adrenergici e stabilizzazione endoteliale ed epiteliale) ◦ Antistaminici: più utili per la prevenzione e/o per una risposta rapida. Quelli di ultima generazione non passano la barriera ematoencefalica e non danno sonnolenza.
▪ Terapia locale (rinopatie specifiche stagionali)
• Cromoni: stabilizzazione della membrana mastocitaria, più utili nella prevenzione
• Sistemica: antistaminici
Trattamento delle rinopatie specifiche:
• Se possibile: controllo ambientale e allontanamento dell'allergene.
• Immunoterapia: deve essere protratta, necessita di elevata compliance; riguarda le allergie di origine inalatoria.
SINUSITI
Sono spesso complicanza di una rinite, con l'eccezione della sinusite mascellare, odontogena nel 10% dei casi; possono interessare tutti i seni paranasali. Potenziale rischio di complicanze intraorbitarie ed endocraniche attraverso la lamina papiracea e la lamina cribrosa .
Eziologia: batterica, virale, micotica (più rara e più grave) Sintomo principale: dolore, più intenso nella fase acuta Obiettività: possibile secrezione mucopurulenta Diagnosi • Anamnesi • Esame obiettivo → diagnosi clinica • Xgrafia dei seni paranasali (molto discussa)
• TC senza mdc (nel sospetto di complicanze encefaliche) 1. Sinusite acuta comune A prevalente componente batterica. Terapia:
• Lavaggi nasali con soluzione salina • Decongestionanti nasali
• Instillazione di soluzione antibiotica per via nasale (discussa) • Antibiotici per os
◦ amoxicillina + ac. clavulanico: richiede più somministrazioni
◦ chinolonici: solo nell'adulto, in quanto interferiscono con i centri di ossificazione, 62
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ma sono già efficaci con un'unica somministrazione
◦ cefalosporine di III generazione
Mucolitici FANS: a scopo antiedemigeno ed antalgico
2. Sinusite cronica Diagnosi
• Anamnesi • Esame obiettivo • TC senza mdc dei seni paranasali Terapia • Medica: come per sinusite acuta (a cicli prolungati) + corticosteroidi per os in luogo dei FANS; corticosteroidi topici a cicli prolungati. NON ASPIRINA! • Chirurgica: bonifica per via endoscopica (terapia di elezione per sinusite micotica)
In alcuni casi va in diagnosi differenziale con i tumori del massiccio facciale (sospetto in caso di lesione monolaterale): abitualmente carcinomi. Localizzazione più frequente: etmoide, seno mascellare.
Fattore di rischio specifico: inalazione di sostanze cancerogene (es.: colle da calzolaio) Sintomi: in rapporto alla localizzazione
◦ epistassi ­ ostruzione nasale: occupazione delle cavità nasali ◦ diplopia ­ esoftalmo: invasione dell'orbita ◦ epifora: lacrimazione persistente non drenata per ostruzione del canale nasolacrimale ◦ caduta dei denti: invasione alveolare ◦ dolore (infiltrazione del V n.c.)
◦ spesso lacrimazione monolaterale per ostruzione o infiltrazione del dotto nasolacrimale
Diagnosi: endoscopia + biopsia + TC (con/senza mdc) + RM Terapia: chirurgica classica , o endoscopica (quando possibile) POLIPOSI RINOSINUSALE Condizione infiammatoria cronica caratterizzata da intensa eosinofilia, ha molti aspetti in comune con le allergie. Generalmente formazioni multiple biancastre.
Incidenza: 2% della popolazione con picco nella VI decade.
Associazione frequente con sinusite eosinofila micotica (iperreattività indotta dalle ife su soggetti predisposti), con asma, intolleranza ad ASA (ac. acetilsalicilico) e stato allergico. Possibile colonizzazione nasale da Stafilococco Aureo.
Istologia: edema del chorion (strato tra mucosa e sottomucosa, analogo quindi al derma cutaneo) secondario ad alterata permeabilità vasale e versamento trasudatizio
Sintomi:
• ostruzione nasale → dispnea nasale
• ipo­anosmia (riferita come difficoltà di percepire i sapori) 63
• possibile rinorrea Diagnosi: endoscopia + TC senza mdc (preferibilmente fatta dopo bonifica antibiotica)
Terapia
• medica: corticosteroidi, possibile bonifica con antibiotici, antileucotrienici (nei casi con asma e intolleranza ad ASA)
• chirurgica (via endoscopica) per lo stadio avanzato POLIPO ANTRO­COANALE Formazione polipoide singola, spesso voluminosa che può causare ostruzione nasale.
Questo tumore nasce nel seno mascellare e attraverso il meato entra nella coana nasale, finendo addirittura nel rinofaringe e anche nell'orofaringe, dietro all'ugola. Si forma per l'estroflessione della mucosa iperplastica, e cresce all'indietro per via della corrente provocata dall'aria inspirata.
Secondo alcuni è il primo stadio della poliposi, ma la teoria classica dice essere l'esito di un'infezione iperacuta.
Terapia: chirurgia endoscopica EPISTASSI (SANGUINAMENTO NASALE) Essenziali: “idiopatiche”, benigne, tipiche del bambino; classicamente hanno origine nel Locus Valsalvæ.
• Sintomatiche ◦ Da cause sistemiche: ▪ ipertensione (con alterazioni della parete vasale) ▪ diabete ▪ emopatie: carenza del sistema coagulativo, ecc
▪ insufficienza epatica e renale ▪ uso prolungato di anticoagulanti ◦ Da cause locali: ▪ Possibili neoplasie del rinofaringe e del massiccio facciale (angiofibroma, carcinoma) ▪ Polipo sanguinante del setto (istologicamente è un angiofibroma): un ciuffo di capillari, ricoperti da una sottile membrana fibrosa, che possono causare copiose emorragie. Non ha nulla a che fare con le poliposi!
▪ traumi
▪ riniti
▪ malformazioni e degenerazioni vascolari
Trattamento possibile con catetere faringeo­nasale.
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TUMORI RINOFARINGEI
Più spesso carcinomi, ma anche il linfoma è ben rappresentato data l'abbondanza di tessuto linfatico nella regione.
Carcinoma rinofaringeo
Raro in Italia, colpisce più frequentemente soggetti oltre i 50 anni.
I carcinomi sono rari in Italia e mostrano una correlazione all'EBV. I carcinomi rinofaringei sono più frequenti nell'estremo oriente e questo fatto è stato correlato al largo uso di 64
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conservanti del pesce secco. Segni e sintomi precoci:
• Metastasi latero­cervicali • Otite media secretiva: spesso ha come origine la fossetta superiore all'ostio tubarico, causando ostruzione della tuba
• Possibile epistassi
• Segni e sintomi neurologici:
◦ Infiltrazione del V n.c. → dolore
◦ Infiltrazione dei nervi oculomotori (prevalentemente VI n.c.) → oftalmoplegia
◦ Infiltrazione per via metastatica, a livello del linfonodo di Krause­Cuneo, all'uscita del forame lacero, del IX, X e XI n.c. → paralisi del velo del palato, disfonia, alterazioni della motilità della scapola Diagnosi: endoscopica associata a biopsia e studio TC con m.d.c. Terapia elettiva: basata sulla radioterapia (sia per i linfomi che per i carcinomi) . È importante la diagnosi precoce.
Fibroangioma giovanile
Neoplasia benigna rara, Esclusivamente sesso maschile, nella II decade di vita.
Può originare dal corpo dello sfenoide, dall'osso occipitale o dal bordo coanale.
Si crea una ricchissima rete vascolare con lacune rivestite dalla sola tonaca endoteliale, senza quella fibrosa: il problema di questa patologia è soprattutto legato all'epistassi.
Accrescimento anche a spese delle strutture ossee circostanti.
Sintomi: ostruzione nasale, copiose epistassi
Diagnosi: TC e RM con mdc
Trattamento: chirurgico (quando possibile per via endoscopica) preceduto da microembolizzazione.
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LE PARALISI DEL VII N.C. Il nervo facciale (VII n.c.) è formato dal faciale propriamente detto e dal n. intermedio di Wrisberg; è un nervo misto:
• Fibre motorie : muscoli pellicciai della testa e del collo; m. stapedio; m. stiloioideo e ventre post. del m. digastrico. Innerva col suo tronco principale i muscoli mimici cutanei della faccia e del collo e altri muscoli derivati dal secondo arco branchiale.
• Sensibilità cutanea : regione retroauricolare, conca, meato acustico esterno
• Sensibilità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua • Fibre parasimpatiche : gh. sottomandibolare e sottolinguale; ghiandola lacrimale; mucosa nasale e palatale Il faciale origina dai nuclei motori somatici (1), situati posteriormente nel tronco encefalico. I nuclei motori del faciale sono due: quello superiore, Corteccia
le cui fibre si distribuiscono alla metà superiore della faccia, e quello inferiore, con fibre distribuite alla metà inferiore. Il nucleo superiore riceve fibre da entrambi gli Nuclei superiori emisferi, l'inferiore solo da quello controlaterale.
Forma il collicolo del faciale (2) sul pavimento del IV ventricolo, formando il “ginocchio interno” intorno al nucleo dell'abducente (3); emerge dal tronco encefalico anterolateralmente a livello del margine inferiore del ponte (4): attraversa l'angolo pontocerebellare insieme al nervo cocleo­vestibolare. Si dirige inizialmente all'indietro, per descrivere un'ansa che lo porta ad entrare nella rocca petrosa dell'osso temporale, e da qui percorre il canale di Falloppio (lungo 11 mm) sul fondo del meato acustico interno insieme ai nervi cocleare, vestibolare inferiore, vestibolare superiore, cocleare ed all'arteria uditiva interna. Fa una curva (ginocchio del faciale) dove forma il ganglio genicolato, con fibre sensitive provenienti dalla lingua, nella porzione posteriore della rocca petrosa, dirigendosi verso il basso (secondo ginocchio) dove esce dal cranio.
1. Il primo tratto, dall'ingresso al ginocchio è detto labirintico.
2. Il secondo tratto, dal ganglio genicolato al secondo ginocchio è detto timpanico. Frequente deiscenza nei pressi della finestra ovale (57% per Takahashi, 1992).
Possibile insorgenza di paralisi otogene e iatrogene (oto­chirurgia) 3. Il terzo tratto, dal secondo ginocchio al foro stilomastoideo è detto mastoideo. Deve essere individuato e preservato nel corso di una timpanoplastica .
Il tratto intracranico del nervo termina in corrispondenza del forame stilomastoideo. Uscito dal forame stilomastoideo emette prima un ramo per lo stapedio, poi la corda del timpano. Passa attraverso la loggia parotidea, dove si biforca nei rami temporo­
faciale e cervico­faciale.
• Rami di divisione del tratto temporo­faciale: ◦ Temporale ◦ Fronto­orbitario ◦ Fronto­ zigomatico ◦ Buccale superiore • Rami di divisione del tratto cervico­faciale: ◦ Buccale inferiore ◦ Marginalis mandibulae ◦ Cervicale Insieme a queste fibre decorre il nervo intermedio, che origina dai nuclei sensitivi del tratto solitario, e invia fibre efferenti per le ghiandole salivari sottomascellari e sottolinguale e per la ghiandola lacrimale, ed afferenti tattili e gustative dai 2 /3 anteriori della lingua tramite la corda del timpano (anastomosi con nervo linguale del Nuclei inferiori
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V n.c. ).
Il nervo petroso maggiore o grande petroso superficiale , formato da fibre di entrambi i nervi, fa stazione nel ganglio pterigopalatino, e raggiunge ghiandole lacrimali e nasali.
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PATOLOGIE DEL NERVO
Classificazione fisiopatologica di Sunderland Neuroaprassia: danno circoscritto alla guaina mielinica; continuità assonale preservata → Recupero completo .
Assonotmesi: perdita di continuità assonale ma senza rottura dell'endonervio → Recupero soddisfacente .
Endoneurotmesi: danno anche all'endonervio, perinervio conservato. Blocco cicatriziale → Sincinesie. Guarigione incompleta .
Perineurotmesi: rimane intatto solo l'epinervio → Sincinesie. Recupero parziale .
Neurotmesi: sezione completa del nervo → Nessun recupero Classificazione di House­Brackmann (1985) •
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Clinica
Difficoltà nella masticazione e nell'articolazione della parola Segno di Negro: quando il paziente guarda verso l'alto la fronte non si corruga dal lato della lesione, il globo colpito sembra ruotare più in alto
Impossibilità di soffiare, fischiare, gonfiare le guance . La rima orale è deviata in basso verso la lesione, anche la guancia appare flaccida . Nell'atto di mostrare i denti la bocca si stira verso il lato sano Dolore auricolare Iperacusia dolorosa Complicanze oculari (lagoftalmo, congiuntivite, cheratite) per abolizione del riflesso corneale e dell'ammiccamento ◦ Segno di Bell: rotazione del bulbo oculare in alto e all'esterno allo sforzo di chiudere le palpebre, dal lato della lesione. La palpebra paralizzata non si chiude. Ripercussioni psicologiche Sincinesie (tardive) PARALISI CENTRALE
Lesione a carico della corteccia cerebrale Cause: patologia vascolare, neoplastica, degenerativa, infettiva 67
Paralisi dell'emifaccia inferiore controlaterale (nessuna afferenza al nucleo inferiore).
PARALISI PERIFERICA Lesione a carico delle strutture del tronco encefalico e delle fibre nervose periferiche (dall'emergenza dal tronco encefalico alle terminazioni distali) Eziologia • Idiopatica (di Bell ­ “a frigore”) La diagnosi è ad esclusione . È la forma clinica più frequente (50 ­ 80% dei casi), non mostra predilezione di sesso od età . È una paralisi a frigore, probabilmente dovuta a vasculopatie o riattivazione di virosi da freddo. Probabile eziologia virale: Herpes Simplex Virus tipo I (McCormick, 1972; Murakami, 1996) Il diabete è un fattore di rischio .
Recupero spontaneo nell'85% dei casi (Peiterson, 1972) . Recidive: 6 ­ 10% dei casi .
Una paralisi recidivante o progressiva rende necessari accertamenti neuroradiologici per escludere una patologia tumorale .
Terapia medica: ◦ Protezione oculare: lacrime artificiali, pomate antibiotiche, bendaggio notturno, occhiali da sole
◦ Corticosteroidi (Prednisone 1 mg/kg/die con dosaggio decrescente e protezione gastrica) ◦ Antivirali (Aciclovir, cpr. 400 mg, 1 cpr x 5/die per 10 gg.) L'associazione corticosteroidi + antivirali è più efficace rispetto ai corticosteroidi da soli (Adour, 1996)
Non ci sono prove sufficienti per raccomandare la decompressione chirurgica del VII n.c. nella paralisi di Bell. Sono necessari al riguardo studi ben accurati sull'efficacia dei trattamenti. Gli studi che riportano i risultati funzionali di casi trattati chirurgicamente sono tutti in classe IV HB .
Si valuta alla ENoG se la degenerazione è di oltre il 90% entro 2 settimane : in questo caso il recupero è completo solo nel 50% dei casi , allora si ricorre alla decompressione. In caso contrario il recupero è completo nel 100% dei casi .
Nell'era del trattamento steroideo, non possiamo scartare la decompressione per via transmastoidea del nervo facciale nel trattamento della forma severa della paralisi di Bell, sebbene uno sforzo ulteriore sia necessario per ottenere prove definitive sulla reale efficacia dell'operazione. • Post­traumatica
Eziologia: frattura dell'osso temporale, spesso nel contesto di un politrauma (possibile valutazione ORL tardiva) Patogenesi : sezione del nervo (rara) ; ematoma intra­ o extranervoso ; compressione o contusione del tessuto nervoso per un frammento osseo ; stiramento del nervo o del ganglio genicolato .
Segni e sintomi associati: emotimpano, ipoacusia, vertigini, acufeni La chirurgia è controversa: non sempre è possibile prevedere il tipo di lesione (sezione /compressione /stiramento ), non sempre è possibile prevedere la sede della lesione.
• Neoplastica (neurinoma del facciale, dell'acustico, ca. parotide) • Otogena (otite media acuta, otite esterna maligna, colesteatoma) 68
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Herpes Zoster Oticus (S. di Ramsay­Hunt) → applicazioni topiche di Aciclovir
Malattia di Lyme (Borrelia burgdorferi) Malattie sistemiche (collagenosi, sarcoidosi, ecc.) Sindrome di Melkersson­Rosenthal Diagnostica
• Anamnesi ed esame obiettivo • Otoscopia • Esame audio­impedenziometrico (topodiagnosi e valore prognostico del riflesso stapediale) • HR­TC senza mdc dell'orecchio medio­interno • Visita neurologica • RM cerebrale con gadolinio • Scintigrafia con 99Tc e 67Ga (otite esterna maligna) • Esami ematochimici • Sierologia virale (Herpes Zoster, Herpes Simplex virus) • Ecografia del collo • Test di Schirmer → topodiagnosi
Si mette una striscia di carta assorbente sul fornice congiuntivale: se l'imbibizione della striscia è maggiore di 5mm, il test è positivo e la funzionalità lacrimale normale. Va ripetuto più volte perché la sua affidabilità è relativa. (D.d. con Sjogren) • Elettrogustometria • Studio della secrezione salivare • Elettroneuronografia ­ EnoG Esame elettrofisiologico a finalità prognostica ; da eseguire non prima di 3­5 giorni dall'esordio della paresi .
Si registra un potenziale d'azione composito muscolare calcolando la percentuale di fibre nervose in degenerazione rispetto al lato sano . L'esame va ripetuto periodicamente (fino al 14° giorno) .
La rapidità della denervazione è proporzionale alla severità della lesione (Fisch) .
Indicazioni
◦ Paralisi completa di Bell e s. di Ramsay­Hunt ◦ Paralisi completa post­traumatica ◦ Paralisi post­chirurgica se è dubbia l'integrità del nervo ◦ Valutazione pre­operatoria in alcuni casi di neurinoma dell'acustico e neoplasia parotidea • Elettromiografia ­ EMG (valutazione tardiva) Non utile in fase acuta!! Si effettua a partire dal 21° giorno.
Registra l'attività elettrica legata alla contrazione muscolare e studia le variazioni qualitative e quantitative dei potenziali d'azione sia del muscolo, sia delle singole fibre muscolari. Si effettua la registrazione mediante elettrodi ad ago, applicati in corrispondenza dei muscoli da esaminare, che registrano direttamente dall'interno di singole fibre muscolari. Ha un ruolo importante nella valutazione tardiva di paralisi a evoluzione sfavorevole .
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TECNICHE CHIRURGICHE Ripristino della continuità (anastomosi) ◦ Anastomosi VII­VII ◦ Anastomosi XII­VII ◦ Anastomosi VII­VII (Cross­Face) ◦ Anastomosi V­VII ◦ Anastomosi IX­VII ◦ Tecniche Combinate (baby­sitter) Decompressione
◦ Trans­mastoidea ▪ Trans­mastoidea extralabirintica (May) : dal ganglio genicolato al FSM
▪ Trans­temporale sopralabirintica (Fisch) ◦ Fossa cranica media ◦ Trans­labirintica ◦ Accesso combinato
Dislocazione
Terapia riabilitativa Indicata per paralisi complete e nei casi di lenta ripresa funzionale .
Da programmare dopo la terapia medica (20 ­ 30 gg.) Eseguita da personale specializzato in chinesiterapia : massaggi e rieducazione muscolare Proscrizione dell'elettroterapia Importanza dell'approccio psicologico nel rapporto fisioterapista­paziente Possibili sequele: ipertono muscolare e sincinesie Controllo EMG dei risultati terapeutici 70
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OFTALMOLOGIA
L'occhio, che costituisce l'organo periferico dell'apparato della visione, è interamente contenuto nell'orbita, una cavità a forma di piramide tronca orizzontale, con l'apice posteriore e mediale. Questa è delimitata: • Medialmente dall'etmoide e dal mascellare, che la separano dalle celle etmoidali e dalla cavità nasale.
• Lateralmente dallo zigomatico e dallo sfenoide.
• Superiormente dall'osso frontale, che la separa dalla fossa cranica anteriore.
• Inferiormente dal mascellare, che la separa dal seno mascellare. All'apice l'orbita ha delle aperture per i vasi e i nervi dell'occhio: • Canale ottico: nervo ottico e arteria oftalmica.
• Fessura orbitaria superiore: III, IV e VI nervo cranico (tutti i nervi diretti all'orbita), n. trigemino e vena oftalmica superiore.
• Fessura orbitaria inferiore: n. trigemino (seconda branca) e vena oftalmica inferiore.
L'occhio per muoversi ha bisogno di una muscolatura estrinseca, che agisce cioè sul bulbo oculare. Essa è formata da sei muscoli, quattro retti, (superiore, anteriore, mediale e laterale) che lo muovono sul piano verticale o orizzontale, e due obliqui che lo muovono contemporaneamente su entrambi i piani. I muscoli retti prendono tutti inserzione sull'anello di Zinn, un cercine fibroso che si trova all'apice dell'orbita, e si inseriscono direttamente sulla sclera. Le loro attività sono: • Retto laterale: Abduzione (movimento verso l'esterno del bulbo) • Retto mediale: Adduzione • Retto superiore: Movimento verso l'alto • Retto inferiore: Movimento verso il basso Tutti i muscoli retti, ad eccezione del laterale che è innervato dal VI n.c., sono innervati dal III n.c.. I muscoli obliqui sono: • Superiore: parte dall'anello di Zinn e, dopo essere passato sulla troclea che agisce come una puleggia, si inserisce sul quadrante superiore posteriore dell'orbita. Produce un movimento di deviazione laterale e di rotazione verso il basso (incicloversione). È detto trocleare o patetico. Innervazione da parte del IV n.c.. • Inferiore: parte dall'anello di Zinn, e si inserisce lateralmente e inferiormente. Fa fare un movimento di deviazione laterale e verso l'alto (excicloversione). È innervato dal III n.c.. Il bulbo oculare è quasi una sfera di 23 ­ 24 mm di lunghezza assiale, un po' meno di larghezza, costituita da tre membrane circolari concentriche, che dall'esterno all'interno sono: •
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Tonaca fibrosa: costituita da connettivo fibroso, avvolge tutto il globo oculare e presenta nella parte posteriore una serie di fori che danno accesso alle strutture vascolari e nervose (lamina cribrosa della sclera). La parte anteriore, priva di vasi ma ricca di nervi della branca oftalmica del trigemino, è detta cornea, ed ha un raggio di curvatura diverso dal resto della sclera. È trasparente e funziona come lente convergente. Tonaca vascolare (uvea): di origine mesenchimale, aderisce alla sclera, ed è praticamente una spugna vascolare analoga ai corpi cavernosi, che assicura il flusso ematico all'occhio esterno e alla papilla ottica, tramite il plesso di Zinn­Haller. In avanti si continua con il corpo ciliare. Il corpo ciliare è una formazione a corona circolare, divisa in una parte posteriore (pars plana) e una anteriore (pars plicata), corrugata a formare dei processi ciliari. Il corpo ciliare contiene le fibre muscolari che si occupano della movimentazione del cristallino; quando il muscolo ciliare è in tensione, il cristallino si rilascia, il suo diametro trasverso aumenta e quindi aumenta il potere convergente, permettendo la visione da vicino. Questo meccanismo, detto accomodazione, è innescato dalla stimolazione del III n.c. La capacità di accomodazione va fisiologicamente calando a partire dai 40 ­ 45 anni di età risultando nella presbiopia. I retti mediali sono innervati dal III n.c. così come il muscolo ciliare, e una tonica stimolazione del nervo per mantenere l'accomodamento si riflette 71
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sull'innervazione dei muscoli. Il riflesso dell'accomodazione è infatti contemporaneo alla convergenza e alla miosi, in quanto il primo serve per portare le immagini nello stesso punto della retina, mentre il secondo aumenta la profondità di campo . L'epitelio del corpo ciliare produce l'umor acqueo, che bagna tutta la camera anteriore dell'occhio; La produzione dell'umor acqueo è l'unica variabile (e mezzo di regolazione) della pressione interna del bulbo oculare, che aggira normalmente attorno ai 18mmHg. Se presente in eccesso causa un aumento della pressione oculare con possibilità di danneggiare il n. ottico, se deficitario la pressione diminuisce causando il fenomeno della tisi. Esso viene drenato all'angolo iridocorneale. Anteriormente il corpo ciliare si continua con l'iride, una struttura a corona circolare che contiene numerosissimi vasi (è praticamente la coroide anteriore). L'iride contiene al centro un foro detto pupilla, le cui dimensione possono essere variate dalla contrazione dello sfintere della pupilla, un fascio di fibre muscolari contenute nell'iride e innervate dal SNA tramite il III n.c.
Tonaca nervosa: la parte più interna dell'occhio, ricopre solo i 7/9 posteriori dell'occhio, cioè in pratica la camera posteriore, divisa dal corpo ciliare tramite una banderella fibrosa detta ora serrata . È formata da un complesso strato di cellule nervose fra cui sono presenti i fotorecettori che, attraverso la scomposizione fotochimica dei pigmenti retinoidi, trasformano l'energia luminosa in segnali elettrici. Sono presenti i coni, sensibili ai colori ed al contrasto luminoso, in numero di 6 milioni e raggruppati nella macula, una regione attorno alla papilla ottica in cui è presente la fovea, il centro deputato alla visione distinta: la fovea misura circa 0,3 mm in diametro, la macula è di circa 1,5 mm (rispetto alla papilla del nervo ottico che è di 1,5 ­ 1,7 mm) . In quest'area gli altri strati retinici diminuiscono di spessore e le cellule sensitive dell'occhio sono innervate in rapporto 1:1, cosicché l'80% dell'area visiva primaria (17) ai bordi della scissura calcarina è deputato agli stimoli provenienti dalla fovea. Nella retina periferica sono presenti principalmente i 120 milioni di bastoncelli, non sensibili ai colori ma funzionanti con poca luce. Nelle malattie che colpiscono la fovea il soggetto non riesce a leggere ma riesce ad orientarsi e quindi non sono delle cecità, mentre quando viene colpita la porzione periferica della retina la capacità di orientamento spaziale viene meno mentre viene conservata la capacità di riconoscere gli oggetti nel campo visivo della fovea. 1.
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Epitelio pigmentato Fotorecettori Membrana limitante esterna
Nucleare esterno (corpi dei fotorecettori)
Plessiforme esterno (sinapsi fra fotorecettori, cell. bipolari e orizzontali)
Nucleare interno (corpi delle cell. bipolari)
Plessiforme interno (cell. amacrine e gangliari)
Cellule gangliari
Fibre nervose
Membrana limitante interna
La vascolarizzazione della retina è doppia, in quanto la porzione interna della retina è fornita dall'arteria centrale della retina (ramo dell'oftalmica) che penetra nel bulbo oculare attraversando la lamina cribrosa e forma 4 arcate (temporali superiore e inferiore, e nasali superiore e inferiore). Il circolo retinico, visibile alla fluoroangiografia retinica, è un circolo terminale, in cui un eventuale aumento delle resistenze potrà essere compensato solo da un aumento della pressione di perfusione. I capillari del circolo retinico sono capillari ad endotelio continuo e sono avvolti da 72
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periciti, i quali con la loro contrazione regolano il calibro del lume in base alle esigenze metaboliche locali della retina. Il circolo retinico raggiunge gli strati intermedi della retina. Il secondo circolo è il circolo coroidale che deriva dalle arterie ciliari posteriori. I capillari coroidali sono ad endotelio fenestrato e creano un circolo di tipo lacunare. Essendo il circolo coroidale molto veloce, il gradiente arterovenoso di ossigeno è solamente del 6 ­ 7%. La velocità del circolo coroidale è essenziale anche ai fini di mantenere costante la temperatura a livello della retina per non compromettere i fini processi biochimici del sistema nervoso. Il foglietto retinico nervoso (dei recettori) è fornito dal circolo coroidale attraverso lo strato di epitelio pigmentato. La cavità interna dell'occhio è divisa in due parti (camera anteriore e posteriore) dal cristallino, una lente biconvessa che forma, assieme alla cornea, il diottro oculare. È sospeso alle fibre muscolari del corpo ciliare tramite le fibre zonulari di Zinn. È formato da fibre allungate contenute in un sacco fibroso detto sacco capsulare, indispensabile per gli scambi metabolici e per il mantenimento della trasparenza del cristallino stesso, che è avascolare. L'umor vitreo, posteriormente, serve a dare sostegno all'occhio e a fornire alla retina le sostanze nutritive in esso disciolte. Nella retina le fibre nervose pregangliari contattano le cellule recettoriali, e sono originate dalle cellule degli strati retinici più superficiali: le cellule bipolari (II neurone) e cellule gangliari (III neurone); da queste partono le fibre postgangliari che viaggiando parallelamente subito sotto la coroide si riuniscono nella macula ottica a formare il nervo ottico, che emerge in una papilla priva di fotocettori, ed escono dal bulbo oculare attraverso la lamina cribrosa, che rappresenta il punto di minore resistenza della sclera. Le fibre provenienti dalle emiretine nasali si incrociano e si scambiano a livello del chiasma ottico, situato a circa 2 cm dall'occhio al di sopra della sella turcica (emidecussazione). Dal chiasma si dipartono i due tratti ottici che raggiungono il corpo genicolato laterale del talamo e fanno sinapsi con i neuroni talamici. Da questi la via prosegue fino alla scissura calcarina dove si formano le aree corticali visive primaria (17), secondaria (18) e terziaria (19). Il sistema lacrimale mantiene umida la superficie dell'occhio tramite l'equilibrio fra produzione e rimozione delle lacrime. Questo sistema è quindi fatto da una parte produttiva e una parte espulsiva. La prima è formata da una serie di ghiandole lacrimali: la principale è situata all'angolo superiore esterno dell'orbita, nella fossa lacrimale, ed è fornita di dotti escretori che sboccano nel fornice congiuntivale superiore: è responsabile della secrezione lacrimale riflessa (a stimoli dolorosi o psichici). Le accessorie sono situate nella congiuntiva, e mantengono una secrezione lacrimale costante, basale. L'innervazione delle ghiandole è parasimpatica e deriva dal nucleo lacrimatorio del faciale; l'ortosimpatico ne diminuisce l'attività. Le lacrime evaporano o vengono drenate da una serie di canalini di deflusso nella congiuntiva della palpebra inferiore (punti lacrimali) e da qui vengono convogliate nel sacco lacrimale sito alla radice del naso: esiste poi un canale lacrimale che sbocca nel meato inferiore nasale ed ha uno sbocco protetto da una plica mucosa (valvola di Hasner) che impedisce all'aria di entrare nel sacco lacrimale. Le lacrime sono costituite da una componente lipidica, una acquosa, una mucosa; si dispongono sulla superficie anteriore dell'occhio e vengono distese sulla cornea e sulla congiuntiva ad ogni chiusura delle palpebre. Per capillarità scorrono sull'occhio e confluiscono nel lago lacrimale, dove pescano i puntini lacrimali, che attraverso i canalicoli e il canalino comune le portano al sacco lacrimale. Questo è un meccanismo attivo, in quanto esiste una pompa lacrimale che è dovuta alla posizione del sacco lacrimale, a metà del tendine del muscolo orbicolare: quando le palpebre si chiudono nel sacco c'è una pressione negativa, che aspira le lacrime dal lago lacrimale, e non aspira aria dal naso per via della valvola di Hasner. SVILUPPO DELLA FUNZIONE VISIVA
L'occhio è particolarmente sensibile alle variazioni di luminanza: la sensazione visiva è legata al contrasto.
1. Acuità visiva: Visus
Capacità di discriminare due punti nello spazio, riguarda quindi la capacità di distinguere i particolari. È convenzionalmente normale se il soggetto riesce a distinguere due punti che sottendono l'arco di 1' di grado ad una distanza dipendente dall'ottotipo (di solito 3 o 5 m), espressa in decimi. Il visus viene espresso con i decimi di acutezza a cui il paziente vede almeno il 50% delle lettere o simboli della riga. 73
Alla nascita il bambino è praticamente cieco (acuità visiva di 1/100); tra 0 e 6 mesi la vista aumenta fino a ~10/10; tra i 6 mesi e i 7 anni si stabilizza ai 10/10. Il visus scenderà nuovamente a valori bassi in caso di ostacolo alla visione. La regola generale è che un occhio che non viene stimolato visivamente, o non usato correttamente, non svilupperà la capacità visiva, ed è destinato a essere un occhio cieco. Nell'adulto il bendaggio di un occhio anche per periodi lunghi non comporta perdita di visione. È quantificabile con il reciproco dell'angolo visuale (angolo sotteso ai punto nodali dell'occhio da un determinato simbolo ad una determinata distanza) sotteso dallo stimolo, espresso in minuti primi (sessantesimi di grado). È tanto migliore quanto più piccola è la dimensione angolare del più piccolo stimolo visivo riconosciuto.
La misurazione dell'acutezza visiva (AV) è uno dei sistemi per valutare l'efficienza dell'apparato visivo. Essa informa solo sulla zona di fissazione. In base al tipo di stimoli utilizzati distinguiamo diversi tipi di acutezza visiva:
A) Acutezza di Visibilità: Percezione della presenza o meno di una mira
B) Acutezza di Ricognizione: Riconoscimento delle caratteristiche o della forma di un oggetto (correntemente misurata nella pratica clinica)
C) Acutezza di Risoluzione: Percezione dei dettagli di un oggetto
D) Acutezza di Localizzazione: Percezione della localizzazione spaziale relativa di due oggetti
L'acutezza visiva decresce dal centro alla periferia: è massima a livello della fovea (0°), ha una “fascia nera” tra 12°­18° nel settore nasale della retina, corrispondente alla papilla del n. ottico.
Misurazione dell'acutezza visiva in base al tipo di risposte utilizzate
• METODI SOGGETTIVI (PSICOFISICI): presuppongono un certo grado di collaborazione da parte dei soggetti.
Ottotipi:
◦ alfabetici
◦ numerici
◦ simbolici
◦ E di Snellen
◦ C di Landolt
• METODI OBIETTIVI: in soggetti non cooperanti in particolare età infantile
◦ Reazioni istintive (Riflesso d'ammiccamento, Riflesso pupillare fotomotore, Fissazione):
▪ Reazione di pianto occludendo un unico occhio veggente di un neonato
▪ L'assenza di riflessi pupillari diretti alla luce fa pensare a deficit visivo
▪ L'alternanza di fissazione (strabismo alternante) è indice di acuità visiva circa uguale nei due occhi: gli occhi vedono, ma il bambino usa alternativamente o l'uno o l'altro. 74
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◦ Potenziali evocati visivi: informazioni su efficienza qualitativa delle vie ottiche (dalla retina alla corteccia visiva )
◦ Movimenti oculari provocati dalla presentazione di stimoli visivi
▪ Nistagmo Optocinetico: evocato dall'osservazione di un oggetto in rapido movimento (come un cilindro rotante a strisce bianche e nere). Lo stimolo su un'area extrafoveale causa movimento saccadico per portare l'immagine dell'oggetto sulla fovea. Dimostra l'integrità delle vie visive (anche con scarsa acuità visiva). È utile per i primi giorni di vita, i simulatori, gli isterici
▪ Direzione preferenziale di sguardo (DPS): i bambini guardano preferenzialmente stimoli figurati (barre in bianco e nero) piuttosto che una superficie bianca. Quando le barre sono al di sotto della soglia di risoluzione (del visus) il bimbo guarderà indifferentemente da una parte o dall'altra.
▪ Movimenti oculari d'inseguimento
◦ Refrazione in cicloplegia (schiascopia): valuta il reale difetto refrattivo dei pazienti senza che venga messa in gioco l'accomodazione. Necessaria in età infantile!
2. Riflesso di fissazione
Mantenimento stabile sulla fovea dell'immagine dell'oggetto osservato. Matura entro il secondo anno di vita. Se non viene sviluppata la funzione della vista “centrale”, ovvero quando il visus bilaterale è inferiore a 2/10 dal quarto/quinto mese di vita, si instaura un nistagmo sensoriale che può condurre all'ambliopia.
3. Visione Binoculare
Consiste nell'uso simultaneo di entrambi gli occhi con fissazione bifoveale.
È presente già al quarto mese di vita, si stabilizza entro i 6 ­ 7 anni, e se non si instaura prima di questo periodo non sarà più inducibile. Si può interrompere anche in età adulta (eteroforie).
Condizioni necessarie affinché si sviluppi: • Corretto sviluppo neuromuscolare
• Vie ottiche normali
• Nitidezza e dimensioni delle immagini retiniche simili in entrambi gli occhi
Essa comporta la capacità del cervello di fondere le immagini provenienti dai due occhi e percepire il senso della profondità (stereopsi)
Rapporti tra patologia refrattiva e sviluppo della visione
Vizi di rifrazione e Visus: tra 10/10 (20/20) e 2/10 (20/100) la proporzione è diretta per vizi di rifrazione sferici. Nell'astigmatismo semplice l'elevazione della soglia è l'80% di quella dovuta a eguale entità di vizio sferico.
DISTURBI RIFRATTIVI • Ipermetropia (privazione sensoriale)
Per una minore lunghezza del bulbo oculare (meno di 21 mm) si ha una incapacità del sistema diottrico dell'occhio di focalizzare sulla retina i raggi provenienti dall'infinito. Il paziente allora è costretto ad un continuo sforzo di accomodazione soprattutto da vicino. La sintomatologia infatti è spesso quella da 75
difficoltà nella prolungata lettura. Comunemente si crede che la ipermetropia sia la incapacità di vedere da vicino, ma in realtà c'è lo stesso difetto sia nella visione da vicino che da lontano; per la visione all'infinito però l'occhio riesce a compensare (in genere si manifesta nei soggetti giovani, e spesso dopo l'infanzia recede da sola), quindi il paziente non riferisce disturbi. Alcuni usano quindi occhiali correttivi a lenti biconvesse (convergenti) soltanto durante la lettura.
Il continuo sforzo accomodativo sia da lontano che da vicino, e quindi anche nei pazienti che usano occhiali da lettura, provoca una sintomatologia da astenopatia accomodativa, discriminabile in quanto assente a riposo visivo (mattina, …) e recessivo con l'utilizzo di un occhio solo: ◦ Cefalea fino al vomito ◦ Bruciore oculare ◦ Blefarocongiuntivite astenopeica ◦ Dolore oculari e perioculari
Accompagnato al continuo processo di accomodazione vi è anche quello di convergenza, che può portare allo strabismo convergente (esotropia accomodativa).
Con la crescita dell'individuo, e quindi dell'occhio, l'ipermetropia tende a diminuire.
Ipermetropia → Esotropia accomodativa
→ Ambliopia ? •
Astigmatismo (privazione sensoriale)
Si ha quando la cornea non è perfettamente sferica, ma ellissoide. Quando la differenza di curvatura fra i meridiani verticali e orizzontali è elevata, il sistema ottico avrà due fuochi: uno per i raggi luminosi che attraversano i meridiani a curvatura maggiore (più vicino alla cornea) e uno per i raggi che passano nei meridiani a curvatura minore (più lontano). Uno sfiancamento della cornea può condurre a cheratocono.
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Miopia (buon visus per vicino)
Differenza tra visus lontano e visus vicino; può condurre a danni organici, retinici (distacco, emorragia, cicatrici: fenomeni abiotrofici) e non. Può essere anche aumentata dalla gravidanza, a causa degli ormoni miorilassanti che agiscono principalmente sull'utero.
Si parla di miopia quando i raggi provenienti dall'infinito vanno a fuoco prima della retina. È dovuta nella maggioranza dei casi ad una alterazione della lunghezza del bulbo oculare che è maggiore del normale (oltre 26 mm). A differenza dell'ipermetrope, il miope non può mettere in atto alcun meccanismo di compenso, perché non si può ridurre volontariamente il potere di convergenza del cristallino. La distanza in cui i raggi luminosi convergono alla retina con l'occhio rilassato è diminuita nel miope, che legge meglio e con meno sforzo. L'occhio ha una fase di crescita precoce molto rapida (a 4 anni ha già raggiunto l'80% della lunghezza definitiva) e poi una fase di crescita lenta che dura fino ai 20 anni. Nella miopia assiale la crescita rapida si prolunga oltre la norma. In certa misura (soprattutto per le forme più lievi di miopia, dette semplici o fisiologiche) risente dei fattori ambientali, come il tempo dedicato alla lettura o all'osservazione di oggetti vicini (scuola, uso dei videoterminali, lavori di precisione). Le forme più gravi invece sembrano trasmesse come carattere autosomici recessivi. In realtà la patogenesi non è chiara; riveste un ruolo il fatto che, nei primati, alterazioni della messa a fuoco in un occhio tendono a provocare la crescita dell'altro, e si instaura quindi un circolo vizioso. La prevalenza della miopia è maggiore nelle regioni nordiche (scarsa illuminazione) e varia dal 20 al 30%. L'occhio miope può essere confuso con un esoftalmo, e rispetto all'occhio emmetrope ha una maggiore associazione con il glaucoma. La terapia viene fatta con lenti concave divergenti, fisse su occhiali tradizionali oppure a contatto, e con la chirurgia rifrattiva. Questa va praticata con le opportune precauzioni in soggetti selezionati. La lente divergente provoca un rimpicciolimento dell'immagine sulla retina, che fino ad un certo limite può essere compensato dal cervello con un adattamento centrale: nella miopia ci sono praticamente sempre dei 76
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fatti degenerativi delle cellule retiniche, e quindi diminuisce la densità di fotorecettori. Il rimpicciolimento dell'immagine provocato dalla lente non avviene con la lente a contatto. Miopia → Exotropia
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Presbiopia:
La presbiopia è una condizione parafisiologica, che consiste in un calo della capacità di messa a fuoco (accomodazione), che si verifica per ingrandimento e irrigidimento del cristallino (che non arresta la crescita con l'età). Nella presbiopia, nonostante la contrazione del muscolo ciliare, il cristallino non modifica abbastanza la sua curvatura, sia perché con l'età diventa più rigido, sia per la continua crescita di dimensioni. cosicché si allentano le fibre della zona ciliare e non riescono a stirare e accomodare il cristallino. La terapia della presbiopia è difficile, essendo questa una condizione parafisiologica. Metodi correttivi dei vizi di refrazione: • Occhiale
Esistono due tipi di lente: lenti sferiche (correggono i difetti sferici come miopia e ipermetropia) che possono essere convergenti o divergenti a seconda del difetto da correggere e lenti cilindriche che correggono i difetti non sferici
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Sono efficienti solo al centro della lente e modificano la grandezza delle immagini.
Lente a Contatto (LAC)
Hanno diversi vantaggi: ◦ Non creano un sistema diottrico, che ha più superfici che rifrangono i raggi luminosi. La superficie anteriore della lente a contatto diventa la separazione di fase e quindi la curvatura della cornea, che ha lo stesso indice di rifrazione, viene ad essere annullata. A differenza degli occhiali, questo sistema non modifica la dimensione dell'immagine sulla retina, e soprattutto impedisce il manifestarsi di fenomeni di aberrazione di rifrazione che invece, con una correzione fissa sopra a 5­6 diottrie sono inevitabili. Nel sistema omogeneo non si hanno rifrazioni di sorta, e questo problema non c'è. La lente divergente provoca infatti (al contrario di quella convergente) un rimpicciolimento dell'immagine sulla retina, che fino ad un certo limite può essere compensato dal cervello con un adattamento centrale. Nella miopia ad esempio utilizzare una lente convergente rimpicciolisce l'immagine. Questo non avviene con le lenti a contatto. ◦ Non hanno la riduzione del campo visivo che hanno gli occhiali
Purtroppo corre il rischio di essere irritativa.
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Lente intraoculare
Chirurgia Refrattiva
Si tratta di modificare in maniera permanente il potere di rifrazione della retina direttamente. Il laser, opportunamente dosato e guidato, frammenta gli strati proteici superficiali senza intaccare la trama collagenica e quindi senza indebolire la cornea, permettendo di modificarne la curvatura in maniera estremamente precisa. Queste tecniche, un tempo usate per la miopia, sono oggi usate anche per l'ipermetropia e per l'astigmatismo con risultati meno brillanti. Va intrapresa solo al termine della crescita e dello sviluppo dell'occhio.
L'alterazione della normale coordinazione dei movimenti oculari in pazienti con stereopsi provoca diplopia (l'immagine cade su punti diversi tra le due retine) e confusione (i due occhi vedono campi visivi diversi). Questo non accade in pazienti che non abbiano sviluppato, entro l'età plastica del sistema visivo (8­10 anni), una visione binoculare normale (ambliopia o strabismo), in quanto attuano meccanismi per evitare diplopia e confusione: • Soppressione: fenomeno d'inibizione attiva a livello corticale. Le zone del campo visivo dell'occhio deviato vengono neutralizzate. Frequente negli strabismi a grande angolo.
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Corrispondenza retinica anomala: adeguamento soggettivo del paziente alla deviazione strabica: la fovea dell'occhio fissante viene a corrispondere a un'area più o meno estesa dell'occhio deviato. Frequente negli strabismi a piccolo angolo.
AMBLIOPIA
Ambliopia significa “occhio pigro”. È una alterata funzione visiva in uno o entrambi gli occhi, non giustificabile (interamente o parzialmente) da danni dell'apparato neuro­sensoriale evidenziabili con mezzi clinici.
Presente nel 2 ­ 4% della popolazione.
È fondamentale una diagnosi precoce! L'ambliopia dovrebbe idealmente essere prevenuta, ma questo non è sempre possibile (microstrabismo).
Cause:
Ambliopie monolaterali: 1. Strabismo (80% delle ambliopie)
La corrispondenza retinica anomala, e la soppressione, due meccanismi di compenso dello strabismo, portano nel tempo all'abitudine dell'occhio a non utilizzare alcune zone della retina; questo diminuisce la sua acuità visiva generando l'occhio pigro nel bambino; nell'adulto invece non c'è più la plasticità per escludere un occhio.
Lo strabismo può anche essere il risultato di ambliopia: l'esclusione di un occhio porta all'incapacità di usare i due occhi insieme e termina con lo strabismo. 2. Anisometropia
Si ha quando nei due occhi si formano immagini di grandezza diversa. Questo richiede la soppressione di una di queste immagini, con conseguente ambliopia. Eppure in questa situazione rimane comunque uno stimolo all'occhio che cresce in maniera normale, e l'ambliopia è minore. •
•
anisoipermetropia
anisomiopia
Ambliopia mono­ o bilaterale:
3. Deprivazione (Ambliopia ex anopsia)
La ambliopia da deprivazione si forma quando in un occhio viene a mancare la stimolazione visiva, e quindi manca lo stimolo alla crescita e allo sviluppo della corteccia visiva e del corpo genicolato laterale. Le lesioni sono inizialmente reversibili, e vanno poi ad alterare le vie ottiche in modo che vadano tutte a collegarsi solo all'occhio funzionante.
• ptosi completa, opacità dei mezzi, occlusione monolaterale o atropinizzazione • ipermetropia bilaterale elevata • astigmatismo (ambliopia meridionale)
In genere accade che il soggetto riceva una stimolazione diversa delle cellule cerebrali delle colonne orizzontali rispetto a quella delle colonne verticali, e quindi si crei una ambliopia simile a quella da privazione. Se la correzione dell'astigmatismo viene fatta entro i 10 anni di vita si evita di arrivare a questi punti. •
nistagmo ?
Metodi diagnostici
• Valutare la presenza di alternanza di fissazione (che esclude la ambliopia per definizione)
• Escludere Microstrabismo • Schiascopia in cicloplegia • Esame del visus soggettivo (E di Albini)
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• Osservazione del fundus
Terapia
• mezzi ottici
◦ Occlusione: metodo di scelta
◦ Penalizzazione: stimolazione dell'occhio ambliope penalizzando l'occhio che vede bene, con risultati migliori tanto quanto la terapia è precoce •
mezzi farmacologici: terapia medica che stimoli il sistema dopaminergico
◦ Levodopa/carbidopa
◦ Citicolina
STRABISMO
Si intende per strabismo ogni deviazione oculare da un allineamento perfetto, sia nella posizione primaria che nelle varie direzioni dello sguardo .
1. Concomitante: angolo di deviazione simile in tutte le posizioni di sguardo e con entrambi gli occhi fissanti
2. Incomitante (o paralitico): la deviazione è variabile nelle varie posizioni di sguardo, massima nella direzione in cui entra in azione il muscolo paretico
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•
Test per valutazione della stereopsi
QUANTITATIVI: basati su stimoli NON percepibili in alcun modo monocularmente
◦ Test di Lang: Cartolina ove esistono stimoli casuali stampati con sistema panografico: utile nei bambini molto piccoli
◦ Test TNO: con occhiali anaglifici (lenti rossa e blu)
QUALITATIVI ◦ Test delle due matite: un solo occhio non permette di allineare due matite; i soggetti strabici non ci riescono nemmeno con entrambi gli occhi aperti.
Valutazione della deviazione strabica
1. Riflessi corneali luminosi:
• simmetrici
• esotropici (occhi convergenti)
• exotropici (occhi divergenti)
→ stabilire il tipo di strabismo:
• Convergente (Esotropia)
• Divergente (Exotropia)
• Torsionale (inciclo­exciclotropia)
2. Test Diagnostici:
Cover Test: l'esaminatore scherma un occhio e osserva l'altro: fa diagnosi qualitativa (stabilisce il tipo di eterotropia)
• l'occhio osservato prende la fissazione (da una posizione di deviazione verso quella primaria): eterotropia!!
• l'occhio osservato non si muove:
◦ l'occhio fissato è quello fissante
◦ il visus è troppo basso
◦ non c'è strabismo: ortotropia (cover test alternato)
Uncover Test: l'esaminatore scherma un occhio e osserva il suo movimento alla 79
rimozione dello schermo: è una valutazione quantitativa. Evidenzia strabismo latente (eteroforia).
Misurazione della deviazione strabica Pazienti collaboranti: il visus dell'occhio deviato deve essere tale da prendere la fissazione. Non c'è fissazione eccentrica.
Cover test associato ai prismi: i prismi hanno finalità diagnostiche e terapeutiche/palliative. Spostano verso il loro apice la posizione apparente di un oggetto (un raggio luminoso che lo attraversa è deviato verso la base). L'apice del prisma deve essere orientato verso la deviazione strabica.
Si fa scorrere davanti all'occhio non occluso una barra di prismi a potere crescente; si osserva l'entità dei movimenti che fa l'occhio deviato per prendere la fissazione fino ad annullarli. Il prisma che annulla il movimento definisce l'angolo di strabismo (Diottrie Prismatiche). Sono utili per:
• Misurare l'angolo di strabismo • Quantificare l'entità della chirurgia
◦ Sui RM: 1 mm di chirurgia corregge 3 DP
◦ Sui RL: 1 mm di chirurgia corregge 2 DP
• Correggere diplopia in posizione primaria in casi selezionati (fino a 10 DP se integrati su lenti)
Pazienti non collaboranti, Pazienti non in grado di fissare con l'occhio deviato:
Test di Hirschberg: osservazione della simmetria della prima immagine di Purkinje sulla cornea
• 1 mm di decentramento: 7°di strabismo
• Riflesso al bordo pupillare: 15°di strabismo (30 DP)
• Tra forame pupillare e limbus: 30°di strabismo (60 DP)
• Riflesso al limbus: 45°di strabismo (90 DP) Test di Krimsky: si osserva la centratura del riflesso corneale dell'occhio deviato ottenuta facendo scorrere una barra di prismi davanti a tale occhio. Il prisma che determina la centratura definisce l'angolo di deviazione.
1. Strabismo concomitante
Può essere uno strabismo latente (eteroforia), od uno strabismo manifesto (eterotropia).
• Esotropia (strabismo concomitante convergente): lo strabismo più frequente nel mondo occidentale. È ad insorgenza infantile:
◦ Esotropia essenziale infantile (la più frequente)
Insorgenza dalla nascita fino a 6 mesi; è del tipo a grande angolo (> 30 diottrie prismatiche), angolo stabile. Il SNC è normale, non c'è paralisi bilaterale degli abducenti. Può essere associata a: OKN asimmetrico, deficit di abduzione, eccesso di adduzione, disfunzione dei muscoli obliqui, DVD, nistagmo latente o manifesto­
latente.
Iniziale alternanza con fissazione crociata Limitato potenziale per visione binoculare normale
◦ Esotropia accomodativa
Dopo il sesto mese di vita, a causa di una ipermetropia non corretta, il bambino costretto ad un accomodamento eccessivo produce una eccessiva e stabile convergenza. Il motivo è che i retti mediali sono innervati dal III n.c. così come il muscolo ciliare, e una tonica stimolazione del nervo per 80
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mantenere l'accomodamento si riflette anche sull'innervazione dei muscoli. Il riflesso dell'accomodazione è infatti contemporaneo alla convergenza e alla miosi; quindi lo strabismo è più evidente se il soggetto guarda da vicino. La correzione dell'ipermetropia permette la normalizzazione dello strabismo. ◦
◦
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◦
◦
Esotropia da scompenso di esoforia
Esotropia da nistagmo bloccato
Esotropia con alterazioni del S.N.C.
Microstrabismo
Esotropia sensoriale
In seguito ad una riduzione dell'acutezza visiva monolaterale (cataratta, opacità corneale, alterazioni della retina, del nervo ottico...) compare una esotropia che rende ragione di un attento esame della funzione visiva in tutti i bambini strabici. La terapia è la correzione chirurgica dell'acuità visiva. •
•
•
Terapie chirurgiche:
◦ indebolimento dei muscoli iperfunzionanti: recessione, ovvero arretrare il loro punto d'inserzione
◦ rinforzo dei muscoli deboli: resezione, ovvero accorciamento del ventre muscolare
Exotropia (strabismo concomitante divergente): cominciano più tardivamente, consentendo una maturazione della visione binoculare, e peggiorano nel tempo.
◦ Essenziale
◦ Exotropia da deficit parziale misconosciuto del III n.c.
◦ Exotropia da scompenso di exoforia
◦ Exotropia intermittente
◦ Exotropia secondaria
◦ Exotropia da anomalie anatomiche
Quando c'è un pesante ostacolo alla visione di un occhio (toxoplasmosi oculare, retinopatia acquisita) viene meno lo stimolo alla fusione delle immagini e quindi gli occhi tendono ad andare in exotropia, verso la posizione di riposo. Una exotropia, specie se insorta in un bambino, richiede una approfondita analisi dell'acuità visiva e dell'occhio: questa è il sintomo più frequente del retinoblastoma. Rosolia: Triade di Gregg:
• Microftalmia e microcefalia • Cataratta congenita, causa dello strabismo. La pupilla appare bianca. • Malformazioni cardiache Ipertropia
Ipotropia
2. Strabismo incomitante
Si tratta di una condizione in cui uno o più muscoli di un occhio sono paralizzati, che si caratterizza dall'avere un angolo di deviazione non sempre costante. La diplopia, sintomo costante, è più accentuata. I pazienti sono spesso adulti e questo rende molto più difficile mettere in atto meccanismi di compenso nervosi o oculari; si osservano posizioni compensatorie del capo (torcicollo oculare) che però portano alla vertigine e al falso orientamento, sintomi molto fastidiosi ma che si attenano con il tempo. L'angolo di deviazione aumenta quando si entra nell'area di azione del muscolo interessato e diminuisce fino a scomparire quando si guarda dalla parte opposta. •
Strabismo meccanico: dovuto a malattie sistemiche o localizzate dei muscoli
◦ distiroidismo: infarcimento e fibrosi dei muscoli senza ingrossamento dei tendini. Nel 30% dei casi è monolaterale, e può coinvolgere separatamente i due occhi a distanza di anni. Anche l'ipotiroidismo può causare esoftalmo come conseguenza di terapie che hanno l'effetto di ipertiroidismi relativi.
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•
◦ incarceramento muscolare: fratture delle pareti dell'orbita che intrappolano i muscoli
◦ miastenia, distrofie miotoniche
◦ miopatia miopica: l'occhio miope allungato si deforma fino a spostare i muscoli
Strabismo paralitico: traumi, accidenti vascolari, neuriti, alterazioni metaboliche, tumori
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Del VI n.c.: esotropia con deficit dell'abduzione e diplopia orizzontale. Il capo è ruotato verso il lato leso; il VI è un nervo vulnerabile, le paralisi acquisite sono frequenti. È statisticamente e probabilisticamente il più colpito dalla neuropatia diabetica perché è il più lungo e tortuoso tra i nervi oculari.
Del IV n.c.: deficit della incicloversione con diplopia verticale. Inclinazione e rotazione del capo verso il basso.
Del III n.c.: deficit multiplo di movimento: se il n.c. è interessato tutto allora si ha anche interessamento della pupilla e del muscolo ciliare, e alla diplopia si aggiunge un deficit dell'accomodazione; ptosi palpebrale.
Malattie vascolari, neoplastiche, demielinizzanti possono provocare paralisi molteplici dei nervi cranici con formazioni di sindromi oculoneurologiche. Meccanismi compensatorî: Diplopia, confusione, posizione anomala compensatoria del capo
Evoluzione in tre stadi successivi:
1. Deficit muscolo paretico e iper­reattività antagonista omolaterale
2. Contrattura dell'antagonista
3. Deviazione che si estende a tutte le posizioni di sguardo (concomitantizzazione dello strabismo) Diagnosi
• Test del vetro rosso: permette di sapere se la diplopia è orizzontale/verticale
si effettua con una luce bianca dopo aver coperto un occhio con un vetro rosso: il paziente normale vede una luce sola. Se il paziente dice di vederne due in qualche posizione allora c'è diplopia in quella direzione dello sguardo •
Il vetro di Maddox permette di studiare le torsioni: per effetto prismatico scompone una luce puntiforme in una striscia luminosa perpendicolare ai prismi che costituiscono il vetro stesso. La direzione dell'immagine torta corrisponde all'azione del muscolo deficitario.
Si ricercano la direzione di sguardo in cui la diplopia è massima e la direzione di sguardo in cui le due immagini della mira di fissazione sono più lontane tra loro.
L'immagine dell'occhio con il deficit muscolare è sempre quella più lontana dal paziente!
Immagine falsa → campo d'azione muscolo deficitario E
Test della motilità passiva o duzione forzata: per distinguere un deficit neurogeno da un deficit meccanico (miopatie restrittive, incarceramenti traumatici).
Si esegue in sala operatoria o in ambulatorio (con anestetici topici): con due pinze si afferra la congiuntiva limbare, si ruota il bulbo nella direzione che si vuole esplorare e si confronta con il movimento ottenuto dall'occhio controlaterale. Se non si incontra resistenza al movimento passivo, la causa è neurogena. Se si incontra resistenza la causa è miogena.
Paralisi di movimenti associati (fenomeno di Gunn) : sono paralisi sovranucleari, che derivano da un danneggiamento delle strutture telencefaliche, e che impediscono al soggetto di compiere movimenti associati: il paziente ad es può essere capace di muovere entrambi gli 82
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occhi indipendentemente verso un lato ma non di farlo con entrambi contemporaneamente .
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Sindromi strabiche
Atteggiamenti alfabetici (A e V)
Sindrome di Stilling­Duane­Türk
Sindrome di Brown
Sindrome di Möbius: agenesia di VI e VII n.c. che causa anche inespressività facciale
NISTAGMO
Oscillazioni dell'asse oculare:
◦ Bifasiche
◦ Lente o rapide
◦ Ritmiche (se non ritmiche: movimenti nistagmoidi)
◦ Involontarie
◦ Binoculari (raramente monoculari)
◦ Ampiezza tra i 5°­15°; orizzontale ­ verticale ­ anteroposteriore
• A scosse: una fase lenta (il movimento patologico) cui segue una fase rapida in direzione opposta (saccade correttiva). Il nistagmo si definisce come battente nella direzione della fase rapida!
• Pendolare: oscillazioni oculari circa eguali in entrambi le direzioni.
Entrambi possono presentare una posizione di sguardo in cui l'intensità delle oscillazioni oculari è minima (punto nullo).
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Nistagmo Fisiologico
Optocinetico: uno stimolo su un'area extrafoveale causa movimento saccadico per portare l'immagine dell'oggetto sulla fovea
Vestibolare
Da posizione estrema di sguardo
Nistagmo Patologico
Congenito: manifesto o latente
◦ Sensoriale: se non viene sviluppata la funzione della vista “centrale”, ovvero quando il visus bilaterale è inferiore a 2/10 dal quarto/quinto mese di vita, si instaura un nistagmo oscillante
◦ Neuro­muscolare: a scosse; viene eliminato dal paziente con il “torcicollo da nistagmo”
◦ Sindrome da nistagmo bloccato
Acquisito
Visus nel nistagmo
Ny congenito sensoriale: non più di 2 o 3/10.
Ny congenito neuro­muscolare: almeno una posizione in cui il visus in binoculare è 10/10; stereopsi presente.
Ny latente: il visus monoculare può essere eccellente; può esserci ambliopia; stereopsi assente.
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L'intervento chirurgico non cura il nistagmo, non migliora la vista, ma ottimizza il potenziale visivo del paziente, prima male utilizzato! Ruotando chirurgicamente entrambi gli occhi, si riallineerà la testa.
• Torcicollo: si trasferisce il visus migliore dalla posizione viziata alla posizione primaria
• Blocco in convergenza: si trasferisce il visus da vicino anche alla visione per lontano
LA TOSSINA BOTULINICA
La “terapia botulinica” esordì in ambito medico in oculistica, ove trova ancora molte indicazioni. La tossina viene iniettata nei muscoli allo scopo di indebolirli per trattare gli strabismi. L'iniezione viene fatta sotto controllo elettromiografico e determina una paralisi flaccida che dura circa due mesi. La terapia botulinica può essere risolutiva in lesioni nervose oculomotorie traumatiche dell'adulto ristabilendo l'equilibrio di forze muscolari. La terapia botulinica è molto utile in patologie spastiche: Exotropia (specie se intermittente)
Blefarospasmo
Strabismo paretico di insorgenza recente
Entropion spastico
Strabismo paretico da Sclerosi Multipla
Emispasmo facciale
Strabismo paralitico: supplenza + botox
Tic facciali
Sindrome di Meige
Torcicollo spasmodico idiopatico
Disfonia spastica, Disfagia spastica
Iperidrosi
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Alessandro G. - 2011/2012
PATOLOGIE OCULARI
Lampada a fessura o biomicroscopio: per la valutazione delle strutture del segmento oculare anteriore. Componenti:
• sistema illuminante
• sistema osservante
• sistema ingrandente
PATOLOGIE INFIAMMATORIE La manifestazione principale è l'arrossamento degli occhi, che può derivare da numerose cause: congiuntivite, patologie corneali (cheratiti), patologie dell'iride, alterato deflusso lacrimale, aumento della pressione oculare, patologie traumatiche, glaucoma congenito, glaucoma acuto. L'arrossamento è dovuto alla dilatazione dei vasi della congiuntiva, che è trasparente. Chiazze rosse possono essere dovute a emorragie congiuntivali traumatiche o da deficit lacrimale (xeroftalmia: in questo caso l'arrossamento si associa spesso a sbalzi di temperatura e ambienti asciutti). Queste forme sono perlopiù autolimitanti. Quando le emorragie congiuntivali sono recidivanti bisogna porre il sospetto di malattia ematologica (leucemia per esempio). CONGIUNTIVITI
Congiuntivite: infiammazione della congiuntiva. È un evento patologico molto comune, con quadro clinico simile, ma molteplici cause. Il disturbo oftalmico più frequente nella popolazione è la secchezza oculare!
1. Congiuntivite batterica
2. Congiuntivite virale
3. Congiuntivite allergica Segni generici: iperemia e chemosi congiuntivale (l'epitelio congiuntivale è rigonfio, con deposito di liquido infiammatorio sopra la sclera). L'occhio appare generalmente rosso ed irritato. Una pura congiuntivite non dà mai sintomi visivi.
• Lacrimazione
• Bruciore
• Sensazione di corpo estraneo
Sintomi specifici:
• Prurito → allergica
• Secrezione → batterica
Le congiuntiviti acute (allergica o batterica) possono cronicizzare.
1. Congiuntivite batterica
Patogeni comuni: Stafilococchi, Streptococchi, Haemophilus influenzae
Patogeni rari: Neisseria gonorrhoeae, Clamydia
Sintomi: secrezione e ciglia appiccicate al mattino, occhio rosso ed irritato, sensazione di corpo estraneo, bruciore, fotofobia.
Segni: • Iniezione congiuntivale • Papille (piccole formazioni circolari sostenute da un'asse vascolare) • Pseudomembrane o membrane (raro)
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• Non c'è linfoadenopatia preauricolare (eccetto Clamydia o Gonococco)
• Secrezione ai fornici
Prognosi: generalmente a carattere benigno (risoluzione in 1­2 settimane). Talvolta vi sono quadri molto gravi (è importante escludere un difetto dell'epitelio corneale e/o ulcerazione). Raramente è una manifestazione di una malattia sistemica.
Terapia: antibiotico topico con copertura limitata alla durata del processo infiammatorio (generalmente 5­7 giorni), ma con una durata sufficiente ad escludere possibili cronicizzazioni.
Congiuntivite gonococcica: Irite secondaria, linfoadenopatia preauricolare.
Grave e severo edema palpebrale e secrezione purulenta
Terapia: antibiotici topici: Ceftriaxone 250 mg 1 cp x 3 giorni.
2. Congiuntivite virale
Patogeni: numerosi sierotipi virali (frequente Adenovirus). È molto facilmente trasmissibile. Esordisce spesso come monolaterale ma in molti casi diventa successivamente bilaterale.
Se arriva ad interessare anche la cornea si parla di cheratocongiuntivite, che può dare precipitati, causa di alterazioni visive difficili da risolvere.
• Congiuntivite acuta follicolare: modesta irritazione e lacrimazione, spesso bilaterale asincrona (1 ­ 3 giorni)
• Febbre faringo­congiuntivale: congiuntivite virale con manifestazione virale sistemica (mal di gola, tosse, febbre, mialgie, disturbi intestinali)
• Cheratocongiuntivite epidemica: comune in autunno/inverno; spiccata lacrimazione ed irritazione, bilaterale nel 40% dei casi, asincrona (dopo 4­5 giorni)
• La congiuntivite erpetica, che se ricorrente può portare a fibrosi e neovascolarizzazione, possibile mezzo di rigetto di eventuali trapianti di cornea, può portare anche alla cheratite erpetica caratterizzata da ipo­/anestesia corneale.
Segni:
• Linfoadenopatia preauricolare
• Edema palpebrale lieve­moderato
• Iperemia, chemosi congiuntivale con secrezione sierosa • Follicoli sulla congiuntiva tarsale (con sottile rete vascolare intorno alla base)
• Coinvolgimento variabile della cornea fino alla cheratite punctata
Terapia: attualmente non ci sono farmaci antivirali efficaci. Se c'è sovrainfezione batterica o pseudomembrane: antibiotici topici a largo spettro. Risoluzione spontanea entro 8 ­ 10 settimane.
3. Congiuntivite allergica
Gli occhi appaiono arrossati, la congiuntiva è edematosa (chemosi). A volte ribaltando la palpebra si può notare il tipico aspetto di “acciottolato romano” del versante bulbare della palpebra superiore. Spesso è presente prurito. Dal momento che la cornea non è interessata non c'è fotofobia. Dopo i 20 anni di età il quadro di solito migliora. • Congiuntivite allergica acuta
Stagionale o perenne: nel 70% associate ad atopia o ad una storia familiare di atopia.
Esposizione ad allergeni ambientali: prurito e rinite allergica
Segni:
◦ Infiammazione oculare modesta 86
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◦ Eritema ed edema palpebrale
◦ Chemosi ed iperemia congiuntivale
◦ Papille ai fornici congiuntivali
• Cheratocongiuntivite primaverile
Grave forma di congiuntivite allergica cronica.
Maschi tra i 5 e i 15 anni. Storia di atopia nel 15 ­ 60% dei casi; associata ad allergopatie (asma, eczema, rinite) nel 40 % dei casi.
Segni:
◦ Papille ad acciottolato su congiuntiva tarsale superiore
◦ Noduli di Trantas ◦ Congiuntiva iperemica e chemotica
◦ Secrezione mucosa con filamenti
◦ Cheratite punctata fino alle “ulcere a scudo”
• Cheratocongiuntivite atopica
Bambini < 4 ­ 5 anni, adulti 20 ­ 50 anni. Associata a dermatite atopica, rinite ed asma.
Segni:
◦ Dermatite palpebrale
◦ Blefarite cronica
◦ Edema congiuntivale
◦ Papille più spesso nel fornice inferiore
• Congiuntivite da papille giganti (infiltrati linfocitarî)
◦ Congiuntivite papillare da lenti a contatto
Sintomi: diminuita tolleranza alle lenti, secrezione mucosa
Segni: papille giganti (Ø >1mm) Terapia: sospensione immediata delle LAC
◦ Cheratocongiuntivite limbica superiore
Donne oltre i 40 anni: concomitanza con distiroidismi nel 50% dei casi.
Bilaterale asimmetrica.
Fasi di riaccensione/remissione.
Segni:
▪ Iperemia ed ispessimento congiuntivale fino a cheratinizzazione a livello del limbus superiore
▪ Papille a livello tarsale
▪ Cheratopatia punctata superficiale con micropanno e cheratite filamentosa (infrequente)
Terapia: trattamento dell'eventuale disfunzione tiroidea concomitante, sostituti lacrimali, uso di LAC terapeutiche.
La terapia dei fenomeni allergici può avvenire con farmaci antiinfiammatori steroidei. Quelli topici (collirio), nei soggetti predisposti, possono condurre al glaucoma, dovuto ad una infiltrazione mucopolisaccaridica delle vie di deflusso dell'umore acqueo, pertanto non vanno mai utilizzati per più di 15 giorni senza controllo oculistico. Quelli sistemici possono dare una cataratta reversibile, che regredisce spontaneamente alla sospensione della terapia.
4. Congiuntivite del neonato (Ophthalmia Neonatorum) Congiuntivite da papille giganti (infiltrati linfocitarî): nei neonati con meno di 4 settimane di vita. Infezione durante il parto (infezione vaginale materna) o postnatale.
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Patogeni: Chlamydia trachomatis, Stafilococcus aureus, Neisseria gonorrhoeæ, cocchi Gram +. Attenzione: la Neisseria può causare ulcerazione corneale con perforazione!!
Segni: • Edema palpebrale
• Secrezione
• Iperemia congiuntivale
Terapia: • Neisseria: Penicillina G endovena
• Chlamydia: Eritromicina in sciroppo
Tracoma
Sostenuto da Chlamydia (immunotipi A­C). Endemico in Africa settentrionale.
Esordio: congiuntivite follicolare non purulenta. Dopo 2­3 settimane:
• Follicoli tarsali superiori e limbus superiore
• Linfoadenopatia preauricolare
• Almeno 5 follicoli tarsali superiori
• Follicoli limbari o loro sequele (Herbert's pits)
• Cicatrici congiuntivali tarsali
• Panno vascolare
Terapia: Azitromicina 1 gr per os. Eventualmente intervento chirurgico per risolvere ectropion o distichiasi.
UVEITI
Infiammazione dello strato vascolare dell'occhio. L'uvea è un apparato di origine mesenchimale e pertanto può risentire di patologie connettivali sistemiche.
Cause: • Malattie sistemiche
◦ Spondiloartropatie HLA­B27 (Spondilite anchilosante, sindrome di Reiter)
◦ Artrite idiopatica giovanile (AIJ)
◦ IBD (RCU, CD)
◦ Sarcoidosi
◦ Malattia di Behcet
• Malattie infettive
◦ Batteriche (TBC, Sifilide, malattia di Lyme, Brucellosi, Malattia da graffio di gatto)
◦ Virali (HIV, CMV, HSV e HZV, rosolia)
◦ Fungine (Candida, Criptococco)
1. Uveiti anteriori
Irite: infiammazione dell'iride; Iridociclite: infiammazione di iride e corpi ciliari
Segni:
• Iniezione pericheratica (infiammazione intorno alla cornea).
• Polvere endoteliale (dà origine ad un aspetto “sporco”, compare precocemente).
• Flare acqueo nella camera anteriore da essudazione proteica secondaria all'interruzione della barriera sangue­umor acqueo; con conseguente infiammazione dell'iride che causa miosi (provocata dallo spasmo dello sfintere ciliare sostenuto dal sistema parasimpatico). Una miosi persistente può portare a sinechie tra iride e cristallino, 88
Alessandro G. - 2011/2012
•
rendendo la pupilla irregolare, od opacizzando il critallino (cataratta complicata); inoltre esse possono ostacolare il drenaggio dell'umor acqueo (uveite ipertensiva).
Calo del visus, dolore.
Uveiti croniche: gruppi di depositi cellulari sull'endotelio corneale (precipitati cheratici ­ KP) costituiti da cellule epitelioidi, linfociti e leucociti polimorfonucleati.
Sinechie posteriori
Ipopion: in un'infiammazione intensa, le cellule si depositano nella parte inferiore della camera anteriore formando un livello orizzontale.
Complicanze Uveiti anteriori croniche in artrite idiopatica giovanile (AIJ) soprattutto pauciarticolare; sinechie posteriori; cheratopatia a bandelletta; cataratta complicata; glaucoma secondario.
Terapia
• Steroidi topici (collirio)
• Midriatici: parasimpaticolitici (atropina) o simpaticomimetici (adrenalina)
◦ Short­acting (Tropicamide, Fenilefrina, Ciclopentolato): rilasciano il muscolo ciliare: alleviano il fastidio ed il dolore; rompono le sinechie posteriori di recente formazione.
◦ Long­acting (Atropina 1%): prevengono la formazione di sinechie.
2. Uveiti intermedie
Coinvolgono prevalentemente il vitreo. Esordio insidioso; bilaterale asimmetrica.
Idiopatica (Pars planite) o associata a malattie sistemiche (SM, Sarcoidosi, Malattia di Lyme).
Segni e sintomi:
◦ Uveite anteriore ◦ Cellularità e condensazione vitreale, snow balls
◦ Periflebite periferica, Snow banking
◦ Soggetti giovani edema del disco ottico, nel 30% dei casi Edema Maculare Cistoide
Terapia: steroidi e immunosoppressori sistemici, chirurgia (Vitrectomia via Pars Plana).
3. Uveiti posteriori
Possono avere eziologia infettiva (Toxoplasma gondii, Micobacterium tubercolosis).
• Retinite: focale o multifocale, opacità biancastre a margini indistinti.
• Vasculite retinica: periflebite o periarterite, alone giallastro irregolare che circonda i vasi.
• Coroidite: focale, multifocale, geografica, lesioni nodulari giallastre rotondeggianti. Retinite da Toxoplasma gondii
La causa più frequente di retinite in soggetti immunocompetenti. Spesso riattivazioni di infezioni prenatali.
Sintomi: miodesopsie e fotofobia generalmente monolaterali.
Segni: • Uveite Anteriore
• Vitreite grave
• Aree confluenti estese di retinite (spesso area retinica cicatriziale limitrofa, 89
sede di pregressa infezione)
Nel punto dove si ha infiammazione ci può essere fibrosi e conseguenti problemi visivi, spesso se nella macula.
Terapia: antiprotozoari, steroidi.
•
•
DANNI CORNEALI
Abrasione corneale: un bendaggio di 24 ore porta alla guarigione. Il bendaggio previene il rischio di infezione dall'esterno che può portare ad ascessi.
Corpo estraneo: idem dopo l'estrazione.
CHERATOCONO
Patologia progressiva in cui la cornea assume una forma conica irregolare, secondaria all'assottigliamento stromale ed alla protrusione.
• Forme distrofiche ereditarie (congenite)
• Sfiancamento: compare tra i 15 e 20 anni. È un astigmatismo corneale. Può arrivare alla perforazione, che causa poi una cicatrice proprio all'apice della cornea.
Terapia medica: Occhiali o lenti a contatto rigide
Terapia chirurgica: Cheratoplastica perforante
CATARATTA
Opacizzazione del cristallino che riduce la capacità visiva, dovuta a cause che provocano una alterazione dell'equilibrio chimico­fisico delle proteine del cristallino stesso, che diventano insolubili e modificano la sua trasparenza.
Essa è la causa principale di cecità nei paesi poveri del mondo, ed è una patologia che potrebbe essere perfettamente risolta!
La sintomatologia è legata ad un calo graduale del visus, nell'arco di mesi o anni, distorsione delle immagini, diplopia monoculare, cecità diurna. 1. Cataratta acquisita ◦ Senile
◦ Associata a patologie sistemiche/metaboliche (Diabete mellito, Neurofibromatosi II)
La cataratta diabetica si manifesta in genere dei giovani con cattivo controllo metabolico, in entrambi gli occhi e nell'arco di breve tempo crea problemi visivi. Il meccanismo è la presenza di glucosio nell'umor acqueo in concentrazione tale da produrre la formazione di polioli (alcool zuccherini), che provocano glicosilazione e opacizzazione delle proteine del cristallino. Inoltre si verifica accumulo di sorbitolo che provoca alterazioni della permeabilità dell'epitelio capsulare, con ingresso di acqua e rigonfiamento. Il primo meccanismo provoca una cataratta nucleare irreversibile, il secondo una cataratta corticale inizialmente reversibile.
◦ Secondaria a patologie oculari (Uveite cronica anteriore, Glaucoma, Miopia elevata)
◦ Traumatica: perforazione del cristallino oltrepassata la cornea
Localizzazioni: • Corticale: fastidio alla luce
• Nucleare: il cristallino diventa più globoso, quindi una lente più potente: può dare miopizzazione in un soggetto che prima non vedeva bene da vicino.
• Sottocapsulare posteriore
2. Cataratta congenita: può compromettere lo sviluppo delle funzioni visive: va operata prima del 5° mese se bilaterale (rischio nistagmo), prima del 2° ­ 3° mese se monolaterale (rischio strabismo).
◦ Isolata
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◦ Associata a patologie sistemiche (Galattosemia, Sindrome di Down, trisomia 13 o 18); spesso ereditaria.
Localizzazioni:
• Nucleare
• Lamellare
• Polare anteriore e posteriore (possibile associazione con lenticono)
• Suturale
Stadi di evoluzione della cataratta: 1. Matura
2. Ipermatura
3. Morgagnana
Terapia chirurgica: il rischio sono le infezioni intraoculari (endoftalmite).
• Asportazione del cristallino e prescrizione di occhiali (molto spessi!) o LAC.
• Facoemulsificazione ed impianto IOL. Frammentazione ad ultrasuoni del cristallino ed aspirazione. La lente artificiale viene inserita nella capsula originale del cristallino, che è lasciata in sede, e che comunque potrà anch'essa opacizzarsi (cataratta secondaria); questa evenienza è risolta con un intervento laser che pratica un foro al centro della capsula. Inoltre la lente impiantata ha un potere fisso, non accomodante, per cui bisogna chiedere al pz. se desidera mantenere una buona visione da vicino o da lontano.
GLAUCOMA
I glaucomi sono patologie caratterizzate da aumento della pressione intraoculare (IOP), escavazione della papilla ottica con danni del nervo ottico (da compressione), alterazione del campo visivo. Il glaucoma acquisito ad angolo aperto è la patologia oculistica più frequente in Emilia Romagna tra gli ultracinquantenni.
Il termine glaucoma origina dal greco “glaucos” che significa grigio­azzurro, il colore dell'occhio allo stadio terminale della malattia o nel glaucoma congenito; il termine viene da Ippocrate. Si può considerare come una sindrome caratterizzata dalla triade di alterazioni di cui il primo momento patogenetico è la ipertensione intraoculare. La pressione oculare è la pressione che tiene disteso, normoconformato, l'occhio: deriva dall'equilibrio fra la quantità di liquido prodotto dai processi ciliari del corpo ciliato e quella eliminata all'angolo della camera anteriore. Particolarmente frequente è una alterazione della pressione che provoca una riduzione della escrezione, più che un eccesso di produzione. La pressione è considerata: • Normale: 10 ­ 18 mmHg • Sospetta: 20 ­ 25 mmHg • Patologica: > 25 mmHg L'escrezione avviene dopo che il liquido è passato alla camera anteriore tramite il forame pupillare; se questo è chiuso (come nelle iridocicliti gravi) si ha ipertensione. Per questo motivo tutti i farmaci cicloplegici e parasimpaticomimetici sono fortemente controindicati in caso di glaucoma. Da qui il liquido defluisce verso l'angolo irido­corneale che ospita una serie di trabecole (trabecolato sclero­corneale di Fontana): queste sono costituite da un reticolato di fibre mesenchimali che funziona da filtro. Il filtro è attivo secondo gradiente, quindi al di sotto di 3 mmHg di pressione nell'occhio la filtrazione dell'umor acqueo non avviene più. La griglia è a fori variabili, e permette una certa regolazione del flusso; da qui, il liquido si impegna nel canale di Schlemm, il seno venoso della sclera, e fuoriesce dall'occhio finendo nel sistema circolatorio tramite una serie di dotti venosi collettori. Una seconda via di deflusso, meno importante, è quella uveo­sclerale, per cui l'umor acqueo passa attraverso le pliche del corpo ciliare e viene riassorbito dalla coroide; essa infatti da dei vasi perforanti della sclera, che hanno al loro ingresso uno sfintere che può allargare il loro accesso, permettendo una certa trasudazione del liquido. Questo meccanismo, normalmente pochissimo importante, assume un certo significato quando siamo in presenza 91
di ipertensione oculare. Particolarmente interessata è la papilla ottica, sia per la compressione delle fibre nervose contro la rigida lamina cribrosa della sclera, sia per l'ischemia da compressione delle arterie del circolo di Zinn: essa si presenta atrofica, bianca anziché rosea.
Classificazione:
• Congenito o acquisito
• Ad angolo chiuso o ad angolo aperto
• Primario o secondario
Diagnosi:
• Tonometria: per la misurazione della IOP
◦ Tonometria a soffio: pneumotonometro (misurazione ad ultrasuoni con getto d'aria)
◦ Tonometria ad applanazione: tonometro di Goldmann (valuta la pressione necessaria ad appiattire il segmento di cornea con cui è a contatto)
◦ Tonometria ad indentazione: TonoPen, tonometro di Schioetz (bilancino che misurava attraverso pesetti)
• Oftalmoscopia: per valutare il fondo dell'occhio. Viene effettuata dopo dilatazione della pupilla tramite colliri midriatici (parasimpaticolitici); questi possono causare aumento della pressione oculare nei pz. con glaucoma ad angolo chiuso, pertanto non vanno mai somministrati a priori ma solo dopo aver valutato il caso.
◦ Diretta: tramite oftalmoscopio (sistema di lenti che neutralizza le lenti dell'occhio e attraverso la creazione di coassialità fra la sorgente di emissione, la retina e l'occhio dell'osservatore; permette di visualizzare solo la papilla ed il centro dell'occhio)
◦ Indiretta: tramite vari sistemi (illuminazione a caschetto, biomicroscopio, …) che, per questioni di ottica, danno una immagine speculare della retina.
• Campo visivo (Goldmann, Humphrey): si basa sul principio che le prime compromissioni del campo visivo si rendono evidenti attorno ai 30° di settore circolare; il paziente fissa una cupola luminosa sempre sul centro e su questa cupola si accendono delle luci di intensità e posizione randomizzate. Il paziente segnala quando le percepisce. Il risultato del campo visivo può essere espresso con una scala numerica o grafica (in cui ogni punto bianco rappresenta il massimo di sensibilità, ogni punto nero l'assenza di sensibilità, e i punti di tonalità intermedia una sensibilità via via crescente dal nero al bianco). • OCT RNFL (Tomografia a Coerenza Ottica): per valutare le tonache oculari.
1. Glaucoma (primario) ad angolo aperto, o cronico semplice
L'angolo irido­corneale è pervio e permette il normale passaggio dell'umor acqueo; il problema del glaucoma è a livello trabecolare: le vie di deflusso dell'umor acqueo sono sclerotizzate. Questo in genere non è un evento acuto perché è legato ad una modificazione metabolica che produce l'occlusione strutturale del trabecolato, lentamente nel tempo. La forma ad angolo aperto quindi viene anche detta glaucoma cronico di tipo irritativo. I sintomi soggettivi sono scarsi fino ad un certo grado di evoluzione della malattia, poiché essendo in pratica una patologia degenerativa, l'ostruzione si instaura lentamente.
Il danno provocato dalla pressione intraoculare si riflette a livello della papilla ottica, punto di emergenza delle fibre del nervo ottico sulla retina. La testa del nervo ottico viene quindi a 92
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subire uno squilibrio ematico provocato dall'alterazione del rapporto fra la P di perfusione arteriosa e la IOP. L'ipertensione arteriosa è considerata “protettiva” in quanto permette di mantenere una perfusione capace di contrastare i livelli pressori oculari innalzati.
Le fibre nervose che decorrono nello strato gangliare della retina si piegano ad angolo retto in corrispondenza della papilla andando a formare la testa del nervo ottico, e confluiscono insieme formando una papilla escavata, nella quale non sono presenti gli strati superficiali della retina, corrispondente alla macula cieca: questa escavazione è la prima zona interessata dall'aumento della IOP, e le sue alterazioni, molto precoci, provocano le anomalie del campo visivo per compromissione delle fibre del nervo ottico.
Le alterazioni del campo visivo sono presenti in fase anche precoce, ma si tratta di alterazioni perimetriche, visto che la funzione maculare è conservata fino a fasi tardive; per cui anche se il soggetto ha delle notevoli alterazioni perimetriche, ne risente soltanto quando sono compromessi almeno l'80% degli assoni del nervo ottico, e difficilmente se ne rende conto prima, specialmente se vengono interessati i due occhi contemporaneamente. I disturbi del campo centrale si manifestano soltanto quando viene compromesso il 90% delle fibre. Essendo la malattia molto lenta, lo screening della IOP dopo i 50 anni è estremamente importante: il paziente con glaucoma anche molto iniziale ha delle variazioni circadiane di pressione che non sono presenti nel paziente normale.
Terapia medica: la prima da instaurare, e da tentare fino in fondo.
• β­bloccanti: vengono somministrati in collirio e hanno l'effetto di diminuire la secrezione diminuendo la vasodilatazione arteriosa, ed aumentare il riassorbimento provocando la miosi e aumentando la superficie dell'angolo irido­corneale. Se associato ad altri bloccanti sistemici c'è il rischio di abbassare eccessivamente la pressione, pertanto se il pz. ne sta già assumendo (ad es. per patologie cardiovascolari) è necessario sospendere uno dei due.
• α2­agonisti: diminuendo l'afflusso al corpo ciliare diminuiscono la secrezione di umor acqueo.
• Analoghi delle prostaglandine: attivatori del deflusso uveo­sclerale; attivano le vie del deflusso uveo­sclerale.
• Inibitori dell'anidrasi carbonica: la secrezione attiva dell'umor acqueo richiede l'attivazione delle pompe di membrana tramite l'anidrasi carbonica, che espelle acqua dalle cellule attivamente.
• Agenti osmotici
Non bisogna somministrare più di due colliri al giorno.
È possibile associarvi la laser­trabeculoplastica.
Spesso le terapie mediche hanno poco successo a causa di una bassa compliance del paziente, che non se li somministra poiché non ha sintomi.
Terapia chirurgica: riservata ai casi in cui la terapia medica non ha successo. Crea vie alternative per il deflusso.
È sottoposta al rischio di infezioni!
• Laser­trabeculoplastica: consiste nel bersagliare il trabecolato con dei microspot all'argon­laser che formano piccole cicatrici; queste, ritraendosi, dilatano i fori trabecolari vicini. Non è mai utile da sola e va associata alla terapia medica.
• Iridotomia laser
• Trabeculectomia
• Sclerectomia profonda ed impianti drenanti (valvola collegata alla camera anteriore che permette il deflusso all'esterno dell'occhio): risorsa estrema.
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2. Glaucoma (primario) ad angolo chiuso
L'ostacolo al deflusso è pre­trabecolare: l'iride verso la cornea chiudendo l'angolo irido­
corneale. Si manifesta con midriasi ed edema corneale.
I motivi per cui questo avviene sono, nel glaucoma primario, essenzialmente di tipo congenito; esiste una predisposizione anatomica in cui la camera anteriore è più stretta, che può predisporre al manifestarsi di un glaucoma di carattere acuto perché legato all'insorgenza di condizioni scatenanti: • Midriasi (condizioni di scarsa illuminazione; farmacologica) • Ipertensione • Carico d'acqua La midriasi soprattutto è il fattore scatenante primario: negli anni la validità del riflesso pupillare diminuisce, lo spessore dell'iride aumenta per l'accumulo in periferia, e il deflusso attraverso il foro diviene sempre minore.
Questo porta ad un circolo vizioso perché l'accumulo di liquido in camera posteriore spinge sempre di più in avanti l'iride.
Glaucoma acuto
Sintomatologia caratterizzata da dolore intenso, che insorge improvvisamente in pieno benessere, si accentua in poche ore irradiandosi alla fronte e causando al paziente nausea, vomito a getto e profondo malessere. Si evidenzia una iperemia prevalentemente al limbus, e una pressione oculare enormemente aumentata (70­80 mmHg). All'inizio compaiono aloni colorati, poi il visus cala bruscamente. L'attacco acuto di glaucoma rappresenta una emergenza oculistica in quanto si associa frequentemente ad un rischio molto elevato di danno permanente: in particolare è importante la diagnosi differenziale con la iridociclite acuta. Un metodo di primo impatto è quello di toccare e palpare l'occhio: normalmente la consistenza oculare è simile a quella della cartilagine della punta del naso, mentre in caso di enormi pressioni l'occhio diventa rigido.
Manovra di ballonamento: si mettono due dita su una palpebra, con uno si preme e con l'altro si percepisce chiaramente un'onda di ritorno elastico. Nel glaucoma acuto questa manovra mostra una consistenza lapidea dell'occhio.
La causa è praticamente sempre un improvviso ostacolo al deflusso dell'umor acqueo per chiusura dell'angolo iridocorneale. Questo si verifica facilmente in soggetti predisposti, con occhi piccoli e ipermetropi, o cataratta, che rende globoso il cristallino. L'occhio può non presentare problemi per molti anni, e all'improvviso occludersi per vari motivi: • Aumento dello spessore del cristallino dopo la 4 a decade (il cristallino è il solo organo che continua a crescere indefinitamente) • Midriasi: il restringimento dell'iride va ad “affollare” l'angolo comprimendolo
• Ingestione di grandi quantità di liquidi In questi soggetti bisogna praticare terapia d'urgenza:
• Diuretico osmotico endovenoso per abbassare la IOP: il mannitolo (ma anche un superalcolico ha le stesse capacità!!) rimuove principalmente l'acqua contenuta nell'umor vitreo, e non l'umor acqueo. Se così non fosse, si causerebbe un ulteriore appiattimento della camera anteriore, che risulta già compressa eccessivamente: è meglio decomprimere posteriormente, in modo che le strutture posteriori dell'occhio retrocedano comprimendo di meno la papilla ottica. 94
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•
Collirio mitotico che restringe la pupilla (parasimpaticomimetico): pilocarpina
I primi miotici erano divisi in parasimpaticomimetici diretti (pilocarpina, che mimano l'azione dell'acetilcolina) e indiretti (inibitori della colinesterasi). Essi agiscono riducendo il diametro pupillare, stirando l'angolo irido­corneale e aumentando la superficie del trabecolato, che quindi viene disteso e aumenta la dimensione dei forellini al suo interno. •
A volte è necessario praticare un foro nell'iride: tramite un intervento di iridotomia laser o di iridectomia si crea una comunicazione ampia fra la camera posteriore e quella anteriore.
3. Glaucoma congenito o malformativo
Si tratta di una condizione rara, presente in 1/12'500 nati, ma rappresenta il 4% delle cause di cecità infantile. Sporadico o ereditario (AR); forme congenite, infantili o giovanili.
Non si riassorbe completamente il tessuto mesodermico che occupa la camera anteriore alla nascita; se rimane un residuo all'angolo irido­corneale questo ostacola il passaggio dell'umor acqueo al trabecolato, e di conseguenza si forma un ostacolo congenito che inizia già in epoca fetale. Negli ultimi mesi di gravidanza la IOP è già superiore al normale. Alla nascita sono presenti già segni di glaucoma. Il bambino nasce con alterazioni ottiche: • Buftalmo: “occhi di bue”. Il diametro anteriore è enormemente aumentato rispetto ai 17­18 mm normali. Questo avviene perché gli occhi del neonato hanno un coefficiente elastico maggiore, e hanno spazio per accrescersi sotto la spinta della IOP, che quindi non aumenta eccessivamente, aumentando piuttosto i diametri oculari.
• Assottigliamento della sclera: i vasi della coroide traspaiono e quindi il “bianco” degli occhi di questi bambini appare celeste. • Nel tempo anche la cornea va incontro ad alterazioni strutturali gravi, come aumento del diametro, opacamento, ipertono oculare. Si possono spaccare le membrane oculari permettendo l'ingresso di liquidi, rendendo la cornea biancastra ed edematosa.
È importante intervenire rapidamente e inviare il bambino al centro specialistico anche in presenza di un sospetto empirico di buftalmo (bambino con gli “occhi grandi”), perché l'intervento prima che il nervo ottico presenti delle alterazioni irreversibili può essere completamente risolutivo. La terapia consiste nell'intervento di goniotomia, ossia la perforazione con ago chirurgico dell'angolo irido­ corneale per far arrivare l'umor acqueo nelle trabecole corneali. 4. Glaucomi secondari
Conseguenti ad alcune condizioni extraoculari o sistemiche che ostacolano il deflusso dell'umor acqueo o ne aumentano la produzione. • Glaucoma neovascolare: formazione di vasi esuberanti a livello dell'angolo irido­
corneale, secondari ad ischemia retinica, come nel caso di diabete o occlusioni trombotiche. Le terapie mediche e chirurgiche sono piuttosto inutili; si può ricorrere alla fotocoagulazione dei corpi ciliari per ridurre la produzione di umor acqueo.
• Glaucoma da blocco pupillare: a causa di una voluminosa cataratta, di un trauma bulbare o di un tumore oculare la pupilla aderisce al cristallino, con formazione di sinechie che impediscono il deflusso del liquido. Può anche essere un esito di una importante infiammazione (iridociclite). • Glaucoma steroideo: formazione di un intasamento da proliferazione connettivale del trabecolato a seguito di un uso cronico di steroidi. Oltre ai pazienti con malattie autoimmunitarie e connettiviti questo fenomeno interessa anche chi prende indiscriminatamente colliri cortisonici per patologie allergiche o di altro tipo. 95
•
Glaucoma pseudoesfoliativo: dovuto allo sfaldamento della capsula anteriore del cristallino, che si disperde nella camera anteriore e intasa il trabecolato.
•
Glaucoma pigmentario: dispersione in camera anteriore del pigmento dell'iride, con intasamento del trabecolato
I glaucomi secondari vanno curati eliminando la causa, non certo limitandosi a normalizzare la IOP!
RETINOPATIE
La retina può essere soggetta a degenerazione di tipo vascolare (alterazioni nutritizie), a degenerazioni causate da malattie disendocrine (diabete); può essere danneggiata la macula o la retina periferica (che conduce al distacco della retina). La prima risposta al danno da parte della retina è l'edemizzazione, cioè l'aumento di liquidi sia intra­ che extracellulari. La situazione vascolare si può studiare con la fluorangiografia retinica: si esegue iniettando come mezzo di contrasto in una vena del braccio la fluorescina (fluorescinato di sodio), che dopo circa 15­20 secondi colora i capillari retinici mettendo in evidenza facilmente le lesioni. Le degenerazioni retiniche sono la causa principale di ipovisione nel mondo occidentale.
1. Retinopatia diabetica
Le complicanze oculari del diabete (di più e più gravi in quello insulinodipendente) riguardano la retina principalmente (30% dei diabetici, 80% di quelli con diabete da più di 20 anni), ma ogni settore dell'occhio è interessato dalla patologia. La malattia si manifesta solitamente entro 15 anni dall'insorgenza del diabete. La retinopatia costituisce una patologie di notevole rilevanza per il numero di pazienti diabetici (in Italia il 4­
5% della popolazione) e per la frequenza con cui si associa al diabete.
Prevalenza nei diabetici: 25­30% nella forma non proliferante, 7­8% nella forma proliferante. Una retinopatia proliferante è sempre indice di una cattiva gestione del paziente diabetico.
La patogenesi della retinopatia diabetica coinvolge numerosi fattori: • Aumento di glicoproteine dovuto alla glicosilazione non enzimatica e ispessimento delle membrane basali. L'indice prognostico della glicosilazione è la HbA 1C. La deposizione delle glicoproteine è favorita dalla riduzione dell'attività proteasica tipica del diabete. • Alterazioni endoteliali da accumulo di sorbitolo (ad opera della aldolo­reduttasi), ridotta efficacia di proteine di adesione e ridotta increzione di prostaciclina. • Alterazioni dei periciti per accumulo di sorbitolo. • Alterazioni coagulative: ipoaggregabilità e iperadesività delle piastrine dovute all'aumento di TxA 2 e fVW. • Alterazioni del mesangio per accumulo di glicoproteine e mucopolisaccaridi. Paradossalmente l'occhio diabetico riceve troppo sangue rispetto alle richieste, infatti una stenosi carotidea può attenuare la retinopatia diabetica. L'ipertensione arteriosa comune nei diabetici contribuisce al danno vascolare. Vengono colpite più precocemente le zone retiniche soggette al maggior metabolismo, vale a dire la retina centrale .
La retinopatia ha diversi stadi di evoluzione: 1. Background
A livello preclinico inizia una alterazione della membrana basale dei vasi, che porta ad un aumento della permeabilità capillare, a cui si associa ipercoagulabilità e disfunzione piastrinica. Si formano quindi lesioni a livello del microcircolo della retina caratterizzate dall'aumento della permeabilità e del flusso vascolare. Questo si associa ad un indebolimento strutturale della membrana, aggravato dalla diminuzione della aggregazione piastrinica che non riesce a riparare i microtraumi della parete arteriosa. Inizialmente si verificano microaneurismi ed aree di occlusione capillare. Nella retina si cominciano quindi a formare aree di non perfusione. Attraverso la parete capillare danneggiata filtrano poi emazie ed essudato.
◦ Microaneurismi
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◦ Emorragie retiniche: a fiamma (allungate e superficiali, vicino alle fibre nervose), o a punto (scure e rotondeggianti, negli spazi più profondi).
◦ Edema maculare: consegue alla permeabilità dei capillari e può portare a discromie e diminuzione del visus; spesso infatti l'edema retinico viene alla regione maculare, e quindi il suo impatto sulla visione è maggiore. ◦ Essudati duri: accumuli dovuti ad un'aumentata permeabilità dei vasi retinici, soprattutto conseguente a danni a carico dei capillari: è costituito quasi esclusivamente da colesterolo, e microglia che lo fagocita. Palline di colore bianco o giallastro, di solito posteriori, si dispongono a volte in un caratteristico anello attorno alla macula. Si accompagnano ad una fuoriuscita di materiale ematico dai vasi nel tessuto, dove i lipidi fuoriusciti tendono a sedimentarsi alla periferia della lesione.
2. Pre­proliferante
◦ Noduli cotonosi: essudati grigio biancastri (detti anche essudati molli) che rappresentano aree di infarto e sono formati da detriti assonali. La comparsa di questi essudati è indice di sofferenza ischemica e caratterizza la fase preproliferativa, nella quale inizia lo stimolo alla formazione di neovasi. ◦ Anomalie microvascolari intraretiniche
◦ Alterazioni venose ed arteriose
3. Proliferante
La progressiva occlusione dei capillari retinici finisce per provocare ischemia, che stimola la produzione di neovasi. Questi si localizzano in tutta la retina e subiscono una crescita esplosiva, specialmente intorno al nervo ottico, con il rischio di emorragie preretiniche e vitreali e distacco retinico da trazione.
◦ Neovascolarizzazione papillare
◦ Neovascolarizzazione epiretinica
Complicanze:
• Emorragie (emovitreo): i neovasi hanno pareti anomale
• Distacco di retina trazionale: il ciuffo di neovasi formati sulla retina si porta con sé una quantità di tessuto connettivale, formando dei ponti fibrosi con la retina stessa. Tutta questa struttura fibrosa forma una trazione retinica, che se è a livello maculare è una causa di calo del visus, ma se è estesa può provocare il distacco della retina.
• Rubeosi dell'iride e glaucoma neovascolare: se l'ischemia retinica è molto grave, i neovasi si formano anche sull'iride. In questo modo si forma la rubeosi dell'iride (iride completamente attraversata dai neovasi), che esita nella completa chiusura dell'angolo irido­corneale con formazione di glaucoma. Anche la miopia può causare atrofia della retina, ma le sue degenerazioni impediscono la rivascolarizzazione: pertanto la retinopatia diabetica sarà presente solo negli occhi non miopi (anche uno solo nello stesso paziente!). In base a questa considerazione è nata la teoria della fotocoagulazione: la formazione di neovasi è legata all'ischemia retinica, per cui si deve prima di tutto rimuovere questa condizione; questo si fa con la distruzione laser di tutte le aree ischemiche della retina, messe in evidenza con la fluorangiografia. Le aree ischemiche distrutte non producono più fattori angiogenetici e i neovasi regrediscono in assenza di questa stimolazione. Residuano delle cicatrici, comunque nelle aree ischemiche che erano già compromesse. 2. Malattia occlusiva della Vena Centrale Retinica
Età oltre i 65 anni, iperlipidemia, diabete mellito, aumento della pressione oculare; spesso 97
associata all'ipertensione arteriosa.
Rara in disordini mieloproliferativi, stati di ipercoagulabilità congeniti o acquisiti, malattie infiammatorie.
Si formano trombi o coaguli nei rami della vena centrale della retina, frequenti nei punti di minor resistenza della parete, dove, per incroci artero­venosi, compressioni di vario tipo, lesioni della parete, aumenta la aggregazione piastrinica e rallenta il circolo.
Causa alterazioni di tipo edematoso da stasi, ed emorragie a fiamma localizzate alla testa del nervo ottico dove la vena centrale della retina origina dalla confluenza delle branche principali. L'edema del disco ottico è imponente, con una fenomenologia emorragica che lo nasconde completamente impedendone la visione distinta.
Nella forma ischemica si può avere la produzione di fattori angiogenetici che portano alla proliferazione vascolare anche nell'iride con rischio di glaucoma neovascolare, oppure si può avere una forma edematosa, con formazione di essudati molli, che indicano la presenza di un certo grado di perfusione residua.
Si manifesta con una riduzione del campo visivo; la porzione del campo è più o meno estesa, comunque il soggetto conserva sempre una certa funzione residua. 3. Malattia occlusiva dell'Arteria Centrale Retinica
La retina è molto sensibile all'interruzione dell'apporto ematico, che causa sempre gravi quadri di natura ischemica con ripercussioni pesanti sulla funzione visiva. Mentre le patologie venose anche gravi possono essere risolte con la ricanalizzazione e si riesce in genere a recuperare una buona vascolarizzazione retinica, quelle arteriose sono molto gravi e il deficit funzionale è difficilmente recuperabile.
È spesso un evento correlato a trombosi­aterosclerosi. Rara in arterite di Horton, emboli cardiaci, periarteriti, emoglobinopatie a cellule falciformi.
La retina diventa immediatamente pallida ed edematosa, per l'ispessimento dello strato delle cellule ganglionari (la degenerazione da accumulo non avviene nei fotocettori). Spicca la macula, unica zona non ricoperta dalle cellule nervose edematose, rosso ciliegia, che inoltre rimane vascolarizzata dalla coroide sottostante. Questo avviene anche in patologie del metabolismo della famiglia delle tesaurismosi: le malattie da accumulo del SNC, che causano danni visivi nonché neurologici, coinvolgono le cellule gangliari della retina, ma non i fotocettori! Tipica è la cosiddetta idiozia amaurotica, ovvero una alterazione neurologica congenita (idiozia) con perdita della visione (amaurosi) e spesso morte in età infantile.
In fase acuta le vene possono essere dilatate, contenente sangue ipossico, rosso scuro. Il soggetto subisce una pesante menomazione del visus: il paziente spesso non riesce a cogliere il movimento di una mano davanti al viso. Questa condizione è una gravissima emergenza che deve essere trattata immediatamente, in quanto più precoce è la terapia maggiori sono le possibilità di successo. Il trattamento ideale deve essere fatto entro 12 ore, dopo 48 ore la visione è danneggiata irrimediabilmente, e possono aversi residui del visus inferiori a 1/20. Obiettivamente si osserva: • Vasi arteriosi filiformi, male individuabili perché non più vascolarizzati. • Edema maculare, che appare di colore rosso ciliegia (red cherry spot).
• Alla fluorangiografia il vaso non si inietta e rimane del tutto nero. I risultati terapeutici sono scarsi nella maggior parte dei casi perché si interviene tardivamente. Se diagnosticata entro 1 ora si deve cercare di lisare l'embolo, come primo intervento; questo viene fatto con anticoagulanti.
4. Retinopatia ipertensiva
La retina è l'unico organo in cui sono visibili direttamente i vasi sanguigni; pertanto è possibile valutare direttamente la situazione vascolare dell'ipertensione, la risoluzione, 98
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l'efficacia delle terapie.
L'aumento della pressione sistemica comporta, a livello delle arteriole retiniche, l'attivazione di meccanismi di autoregolazione, con aumento del tono arteriolare che impedisce l'aumento della pressione a valle. Questo però comporta l'irrigidimento dell'albero arterioso e della sua parete, con effetti negativi a lungo termine che culminano nell'incapacità di mantenere efficiente questo meccanismo protettivo.
Si instaura quindi una patologia che coinvolge tutta la retina, e che è strettamente legata all'ipertensione arteriosa stabile.
Si osserva un ispessimento stabile della parete delle arteriole, che assumono un riflesso particolare biancastro e vengono dette anche “arterie a fil di ferro” per la consistenza aumentata derivata dal maggior contenuto di fibre.
Si può osservare una dilatazione a carico delle vene, soprattutto a livello degli incroci artero­
venosi dove la parete arteriosa irrigidita modifica la sottile parete venosa (segno di Mark­
Drum). Questo segno indica una evidente modifica dei vasi arteriosi. I vasi alterati permettono il passaggio di lipoproteine che formano essudati duri; le alterazioni vascolari possono provocare ischemia del tessuto retinico con degenerazione delle cellule nervose, i cui assoni formano gli essudati molli o cotonosi (il tutto viene definito leakage vascolare). Infine si trovano emorragie retiniche a fiamma e zone di edema retinico. La retina assume un riflesso biancastro per l'essudazione. I vasi arteriosi sono estremamente filiformi e piccoli: il rapporto arterovenoso si modifica per la diminuzione del diametro delle arterie (alterazioni di tipo sclerotico dei vasi arteriosi).
La terapia della retinopatia ipertensiva consiste essenzialmente nel controllo della pressione arteriosa sistemica.
5. Retinopatia pigmentosa
Bilaterale e simmetrica; 1/5000 casi; si trasmette con varie modalità ereditarie: la forma recessiva è più grave e più precoce, mentre la forma dominante è tardiva e meno grave. La caratteristica è la comparsa di granuli di pigmento numerosi, sulla retina media e periferica, associata ad una degenerazione dei fotorecettori che provoca inizialmente emeralopia (cecità notturna), per il coinvolgimento iniziale dei bastoncelli, in seguito compaiono restrizioni del campo visivo (i bastoncelli sono più periferici), finché ne residua soltanto una porzione centrale (visione tubulare). I segni clinici non sono presenti prima dei 15 – 16 anni. La conclusione della malattia è la cecità verso i 50 anni.
Non si conosce una terapia efficace; è consigliata una prevenzione familiare (counseling genetico) per evitare una trasmissione filiare. MACULOPATIE
Sintomi e segni:
• Calo del visus
• Metamorfopsie: distorsione delle immagini; è tra i sintomi iniziali. Sono evidenziabili dal test di Amsler (ridisegnare un reticolo: risulterà alterato nel corrispettivo della zona coinvolta)
• Scotomi centrali
1. Degenerazione maculare senile (o legata all'età)
Si intende una patologia con riduzione della visione centrale, peggiorativa dal punto di vista qualitativo e quantitativo: la macula invecchia e si riduce la massima capacità visiva. È una 99
causa di calo del visus senza dolore.
• Forma atrofica (secca): è frequente, e non determina un grave calo del visus. C'è una lenta, progressiva, atrofia recettoriale molto difficilmente curabile. In genere il calo del visus è modesto e progressivo, non raggiunge la cecità perché rimane la capacità visiva periferica. ◦ Lesioni dell'EPR (epitelio pigmentato retinico)
◦ Lesioni della membrana di Bruch
◦ Lesioni della coriocapillare
◦ Drusen: alterazioni giallastre ◦ Anomalie pigmentarie
◦ Degenerazione dell'EPR → Atrofia geografica
È possibile usare sistemi correttivi di ingrandimento (occhiali particolari, sistemi su monitor elettronici) per sfruttare la retina residua.
• Forma essudativa (umida): meno frequente e più grave, viene spesso legata all'età (nell'80% dei pazienti che raggiungono la cecità). Presenta la formazione di neovasi di provenienza coroidale (mediati dal VEGF), che trasudano plasma causando distacco sieroso della retina o che producono emorragie. ◦ Neovascolarizzazione coroideale
◦ Emorragie sottoretiniche
◦ Distacco dell'EPR
◦ Distacco del neuroepitelio
◦ Emorragia intraretinica
◦ Cicatrice disciforme
Sono possibili la fotocoagulazione dei neovasi e la terapia fotodinamica.
2. Degenerazione maculare giovanile: distrofie maculari
Sono degenerazioni congenite, praticamente solo ereditarie; se alla nascita sono marcate, sono incompatibili con lo sviluppo visivo e causeranno nistagmo sensoriale.
3. Degenerazione maculare miopica
La degenerazione retinica è legata alla miopia.
Terapia delle degenerazioni maculari:
• Terapia fotodinamica (PDT): iniezione per via endovenosa di un colorante che si accumula solo nei vasi con pareti patologiche. Attraverso laser specifici per la sua lunghezza d'onda si distruggono quei vasi. Rimane un rischio di recidive.
• Fotocoagulazione: rischio di lasciare cicatrici residue.
• Terapia anticorpale anti­VEGF: iniezioni intravitreali ripetute; combinabile con la terapia fotodinamica.
◦ Bevacizumab (Avastin)
◦ Ranibizumab (Lucentis): enormemente più costoso del Bevacizumab ma con efficacia identica.
◦ Pegaptanib (Macugen)
4. Edema maculare cistoide
• Malattie vascolari retiniche: retinopatia diabetica, occlusione venosa retinica, retinopatia ipertensiva.
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Malattie infiammatorie intraoculari: uveite intermedia, toxoplasmosi, malattia di Behcet, retinite da CMV.
Da farmaci
Da procedure chirurgiche (sindrome di Irvine­Gass)
5. Foro maculare idiopatico
Difetto retinico a tutto spessore nell'area foveolare.
Corioretinopatia Sierosa Centrale (CSC)
È frequente in soggetti adulti, lavoratori, spesso sotto stress.
Caratterizzata da un distacco sieroso, idiopatico, del neuroepitelio al polo posteriore, prodotto dal passaggio di fluido dalla coroide nello spazio sottoretinico, attraverso un difetto (una soluzione di continuità) dell'epitelio pigmentato. Il sollevamento è progressivo e così il calo del visus, che si verifica nell'arco di alcune settimane. Si manifesta nel pz. con la necessità di occhiali per ipermetropia: l'asse oculare si è accorciato a causa dell'edema retroretinico.
Terapia:
• Fotocoagulazione selettiva: per chiudere l'accesso di acqua alla retina • Terapia anticorpale anti­VEGF
DEGENERAZIONI RETINICHE PERIFERICHE
• Retinoschisi
• Bianco con e senza pressione
Sono caratterizzate da zone biancastre, espressione dell'assottigliamento dell'epitelio. Queste sono zone predisposte a rottura ed all'infiltrazione di liquidi che possono distaccare la retina (e sommarsi alle eventuali alterazioni a causa di un distacco del vitreo).
Pertanto è consigliato monitorare la retina periferica ogni anno; per i miopi: fin dall'infanzia, per i non miopi: dopo i 30 ­ 35 anni.
Distacco di vitreo
Il vitreo è costituito da una gelatina inerte ed omogenea; con l'avanzare dell'età esso diventa disomogeneo, parzialmente in colliquazione: nei punti di contatto con la retina (esistono sempre delle aderenze fra i due tessuti) può dare trazione fino al distacco od alla lacerazione (patologie regmatogene).
Il distacco può avere anche eziologia traumatica.
C'è una predisposizione nei miopi: il vitreo viene stirato indietro per la lunghezza anomala dell'occhio e subisce fenomeni degenerativi .
Si manifesta con miodesopsie: “mosche volanti”, di varia forma, aspetto, diametro e intensità. Sono provocate dalle fibrille di collagene che collabiscono fra di loro, in misura tanto maggiore quanto importante è il distacco, variando localmente il potere rifrangente del vitreo. Se invece le alterazioni visive sono fisse, solidali con lo sguardo, significa che la alterazione è a livello retinico. Le fotopsie o fosfeni sono lampi luminosi dovuti alla stimolazione meccanica che la retina subisce, nel distacco o nella trazione da parte del vitreo, e che manifesta con sensazione visiva. Se queste trazioni sono ripetute nella stessa zona possono esitare nel distacco o nella rottura della retina.
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Degenerazioni periferiche non regmatogene
• Microcistoide
• Pavimentosa
• Reticolare
Degenerazioni periferiche regmatogene
• A lattice
• A bava di lumaca
1. Rotture della retina
Possono essere causate da trazioni del vitreo; quando sono molto estese possono dare complicazioni come infiltrazioni e conseguente distacco. Possono essere
• Completa a forma di U
• Lineare
• A forma di L
• Opercolata
• Dialisi
Le rotture nella parte superiore della retina sono le più pericolose: il liquido che entra scende verso il basso per gravità, e distacca una superficie maggiore.
Terapia:
• Fotocoagulazione laser (argon­laser a eccimeri): trattamento tutto intorno alla lesione, provocando una corioretinite termica, che cicatrizza creando aderenze cicatriziali che funzionano da sbarramento a ulteriori infiltrazioni. È importante una diagnosi precoce di lacerazione retinica, prima ancora del distacco, in quanto può essere trattata con la fotocoagulazione laser. • Crioterapia (in disuso)
provocava a livello della coroide e della retina una ustione da freddo (cicatrizza più rapidamente di quella a caldo )
2. Distacco di retina
Si intende la separazione della lamina neurosensoriale (i 9 foglietti interni) dall'epitelio pigmentato, che rimane aderente alla coroide. La retina e l'epitelio pigmentoso hanno la stessa origine embriologica , derivando da un invaginamento della vescicola ottica. I due foglietti della vescicola prendono contatto tra loro senza però che ci siano delle chiare connessione anatomiche. Il foglietto più interno diventa epitelio pigmentoso e quello più esterno dà origine al foglietto nervoso della retina. Dal momento che non esistono punti di fissità anatomici c'è un piano di clivaggio comodo tra queste due strutture. • Regmatogeno (distacco primitivo): rottura della retina attraverso la quale si verifica un passaggio di acqua dal vitreo allo spazio sottoretinico che provoca il distacco degli strati.
• Trazionale: per la formazione di tralci fibrosi fra il vitreo e la retina.
• Essudativo: formazione di un essudato fra la retina e la coroide. È frequente nella retinopatia ipertensiva di stadio avanzato.
Terapia:
• Per il distacco regmatogeno (una o più rotture retiniche nelle quali si è infiltrato liquido): prima di tutto chiudere la lacerazione, provocando una cicatrizzazione laser ai margini della lesione, ed impedire l'accesso di ulteriore liquido. Successivamente 102
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diminuire o eliminare la trazione del vitreo sulla retina stessa → Chirurgia ab externo (tradizionale)
◦ Retinopessia pneumatica
◦ Piombaggio e cerchiaggio sclerale
Piombaggio: inserimento di materiale sintetico inerte nella sclera che la schiaccia in avanti, spingendo coroide e retina. La retina si avvicina al vitreo e quindi viene trascinata meno. Cerchiaggio: stesso principio, ridurre la trazione del vitreo, ottenuto con dei cerchiaggi circonferenziali che diminuiscono il diametro trasverso dell'occhio e quindi le forze che tirano verso la periferia. Per il distacco da trazione → Chirurgia ab interno
◦ Vitrectomia via pars plana: aspirazione di tutto il vitreo (che comunque è già danneggiato e disomogeneo) e sostituzione con sostanze tamponanti (olio di silicone) per fare riattaccare la retina.
Quando si sia staccata la macula, qualsiasi terapia darà risultati scarsi per la visione.
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TUMORI ORBITARÎ ED INTRAOCULARI
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1. Neoplasie orbitarie
Emangioma capillare (amartoma): presente alla nascita; presenta lesioni superficiali cutanee presettali, riducibili, o intraorbitarie irriducibili.
Tende a risolversi spontaneamente entro i 3 ­ 7 anni. Non vanno mai operati: non sono capsulati e sono fragili.
I β­bloccanti (propranololo) favoriscono un rallentamento o una regressione, per una eventuale correzione chirurgica in età adulta. Analogamente è possibile anche l'iniezione di steroidi. È utile anche per evitare che coinvolga la palpebra coprendo la pupilla, e prevenire così una possibile ambliopia.
Emangioma cavernoso: negli adulti; causa proptosi
Gliomi e meningiomi del nervo ottico
Sarcoma embrionale
2. Tumori congiuntivali
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Benigni
◦ Nevo congiuntivale: i vasi sono regolari
◦ Papilloma
Maligni
◦ Melanoma congiuntivale: è tra i tumori più maligni; può colpire l'iride, i corpi ciliari, la coroide. Si manifesta in genere con una macchia nera nell'iride, ma ha anche la possibilità di estrinsecarsi esofiticamente anche a livello della sclera.
◦ Neoplasia congiuntivale intraepiteliale
◦ Sarcoma di Kaposi
3. Tumori dell'iride
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Nevo dell'iride
Melanoma dell'iride
4. Tumori dei corpi ciliari
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Melanoma dei corpi ciliari
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5. Tumori della coroide
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Nevo coroideale (NF1)
Melanoma coroideale: causa distacco di retina, pertanto non va confuso con una patologia primaria. Se non trattato conduce a morte.
La terapia sono l'escissione e la terapia radiante per l'atrofizzazione della lesione residua, attuata attraverso l'impianto di placche radioattive sull'occhio. Esse non ripristinano comunque la visione.
Prima di queste tecniche si faceva l'enucleazione dell'intero occhio, che non salvava il paziente dalla presenza di metastasi e di recidive .
La diagnosi differenziale si avvale dell'esame oftalmoscopico, e dell'esame ecografico, per valutare se la massa che causa il distacco retinico è solida, o sierosa (distacco primario). Altri fattori differenziali:
◦ Presenza di sintomi (visione offuscata, perdita visiva, metamorfopsie)
◦ Ø > 5 mm e spessore > 1 mm
◦ Tracce di pigmento arancio (lipofuscina)
◦ Assenza di drusen superficiali
◦ Localizzazione in prossimità del disco ottico
◦ Doppia circolazione alla FAG
6. Tumori retinici
Retinoblastoma: neoplasia dei fotorecettori retinici ad elevata malignità, originante dalle cellule embrionali retiniche. Non si manifesta alla nascita, ma nei primi 8 ­ 10 mesi di vita (anche fino ai 2 anni; raro dopo il 5° anno) in quanto necessita di questo periodo per proliferare.
Ha incidenza di 1/25'000: è il più frequente tra i tumori maligni pediatrici. Se bilaterale (30% dei casi) è ereditario legato al gene RB1 (cr. 13q14): esistono sonde genetiche per l'analisi durante la gravidanza; se sporadico invece è monolaterale.
È intraretinico; tende a espandersi rapidamente verso il vitreo (forma endofitica) oppure verso la coroide e l'uvea (forma esofitica). La prognosi è legata alla precocità della diagnosi: non metastatizza, ma diffonde per continuità seguendo il nervo ottico, fino al cervello. Nei primi 7 ­ 8 anni di vita i bambini sono predisposti ad altre neoplasie.
All'esordio spesso c'è un riflesso pupillare biancastro (leucocorìa) in uno o entrambi gli occhi; se invade la zona visiva dell'occhio comparirà strabismo.
Terapia: se è piccolo, si può ricorrere alla fotocoagulazione laser; l'enucleazione è necessaria nelle forme avanzate.
Astrocitoma: benigno, endofitico
Emangioblastoma retinico: isolato o associato a VHL, endofitico
Emangioma cavernoso/racemoso retinico
CEFALEE DI ORIGINE OFTALMICA
1. Emicrania classica con aura: macchie scure o luminose (fino alla cecità momentanea), linee a zig­zag, scotomi scintillanti, spettri di fortificazione; al tutto consegue un mal di testa finale.
2. Emicrania oftalmoplegica: causata da una paralisi transitoria di III n.c. e muscolatura oculare (con conseguente visione doppia) che inizia dopo la cefalea, 104
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durante la quale la visione è regolare. Solitamente insorge prima dei 10 anni.
Le cefalee si possono definire di origine oftalmica quando si possano mettere in rapporto con una applicazione visiva; pertanto per una diagnosi saranno necessari:
• anamnesi del dolore
◦ al risveglio: non è correlabile con un affaticamento visivo;
◦ al pomeriggio/sera; dopo lettura, ecc.
• il riscontro di motivi oculari:
◦ può essere causata dallo sforzo nel cercare di mantenere gli occhi allineati (strabismo latente): coprendo un occhio il mal di testa si allevia o scompare.
◦ può essere causata da un vizio di refrazione (astigmatismo, ipermetropia): se gli occhi sono allineati o se coprendo un occhio il male è invariato.
La terapia si avvale dei triptani.
ANISOCORIA
Differenza di almeno 0,5 mm tra il diametro delle due pupille. Con riflesso fotomotore conservato:
• Anisocoria fisiologia
• Sindrome di Claude­Bérnard Horner: denervazione della catena cervicale del simpatico con conseguente paralisi oculosimpatica monolaterale, che coinvolge la componente liscia del muscolo elevatore della palpebra superiore (modesta ptosi) ed il muscolo dilatatore della pupilla (miosi). Le cause possono essere la sindrome di Pancoast (patologie dell'apice polmonare che interessano il sistema simpatico , a livello di ganglio stellato, gangli cervicali) o lesioni cervicali: neuroblastoma (spesso nei bambini), lesioni traumatiche cervicali, esiti di chirurgica cervicale, ecc. Dissociazione luce­vicino: pupilla di Argyll­Robertson, pupilla di Adie.
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OFTALMOLOGIA PEDIATRICA
Ostruzione del Dotto Nasolacrimale
Patologia congenita dell'apparato deflussore delle lacrime. In 5 ­ 6 casi su 100 c'è una chiusura alla nascita della valvola di Hasner, per vari motivi (sinechie, stenosi duttali, più raramente stenosi della parte ossea dell'orbita). La formazione del dotto avviene nel 9° mese di gravidanza, e quindi questo è un processo che si ha anche nei prematuri. Questi neonati presentano lacrimazione (epifora) dopo la prima settimana di vita (nei primi sei giorni c'è scarsa produzione di lacrime). Il liquido lacrimale ristagna nel sacco, e così i germi saprofiti della superficie dell'occhio si moltiplicano nel sacco lacrimale: si ha allora l'infiammazione del sacco lacrimale (dacriocistite), con gonfiore nella porzione mediale dell'orbita . Spesso questi fenomeni sono transitori e si risolvono con lo sviluppo dell'occhio nelle prime settimane di vita. La diagnosi di fronte ad un bambino con lacrimazione e secrezione si fa spremendo le caruncole lacrimali e vedendo se ne fuoriesce liquido; una diagnosi differenziale si può fare con un colorante (fluorescina) iniettato nel canale lacrimale vedendo se passa nella rinofaringe. A partire dai 4 mesi si devono fare pompaggi del sacco lacrimale (spremitura con il dito: oltre a svuotare il sacco provoca una pressione nel dotto; se non c'è una atresia ossea, ma una stenosi molle, può risolversi) ed un sondaggio delle vie lacrimali con sondino di metallo. Queste manovre vanno effettuate entro gli 8 mesi altrimenti il canale si chiuderà definitivamente. A volte il dotto si può richiudere per la proliferazione fibrosa che segue al trauma del passaggio del sondino, e si dovrà ripetere la terapia di sondaggio.
Si può lasciare in situ uno stent plastico, ancorato fuori dal naso per qualche mese finché non si completa la riepitelizzazione del dotto. Un rigonfiamento del sacco lacrimale senza lacrimazione è la tipica presentazione del rabdomiosarcoma, che ingloba proprio il sacco lacrimale.
Cataratta congenita
Associata a patologie sistemiche (galattosemia, sindrome di Down, trisomia 13 o 18, infezione rubeolica) o isolata (Autosomica dominante). Si manifesta alla nascita con leucocorìa.
• Nucleare
• Lamellare
• Polare anteriore e posteriore
• Suturale
Valutare densità e morfologia, condizioni indicative di grave deficit visivo come l'assenza di fissazione centrale, il nistagmo e lo strabismo.
Diagnosi: oftalmoscopia diretta ed indiretta, PEV.
Se la cataratta interessa entrambi gli occhi, si svilupperà un nistagmo sensoriale, e deve essere operata entro il 5° mese. Se la cataratta è monolaterale provocherà lo strabismo, e viene operata al 2° ­ 3° mese. Il cristallino opaco viene tolto, ma a differenza dell'adulto, dove il cristallino viene sostituito subito, nel neonato l'impianto del cristallino non si esegue subito, perché la rifrazione dell'occhio neonatale non è ancora pienamente sviluppata. Pertanto si corregge l'assenza del cristallino con una lente a contatto la cui rifrazione può essere adattata man mano che si modifica la rifrazione dell'occhio .
Ectopia lentis: dislocazione del cristallino
Può essere congenita ma anche dovuta ad un trauma. La dislocazione può essere superiore o inferiore. Nel primo caso, l'alterazione è l'indebolimento delle fibre della zona inferiore dell'anello che sostiene il cristallino, che 106
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evitano che esso scenda secondo la forza di gravità. Nelle patologie degenerative del collagene (Marfan, Ehlers­
Dahnlos) la dislocazione è inferiore, come anche in omocisteinuria, iperlipidemia, deficit di glicosidasi, dove si altera tutto il legamento sospensore .
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Sindrome di Marfan: mutazione gene fibrillina (cr 15)
◦ Sublussazione della lente nel quadrante superotemporale
◦ Anomalie angolo
◦ Ipoplasia muscolo dilatatore della pupilla
◦ Cornea piatta
◦ Sclera blu
◦ Miopia
Omocisteinuria: accumulo sistemico di omocisteina e metionina da ridotta attività epatica dell'enzima cistationina sintetasi.
Sindrome di Weill Marchesani: ◦ Disturbo sistemico del tessuto connettivo
◦ Brachidattilia
◦ Bassa statura
◦ Microsferofachia
Coloboma dell'iride
Alterazione del tessuto dell'iride che appare come la pupilla: in quelle zone la struttura dell'iride è perforata per un difetto congenito di sviluppo. Appaiono nere come la pupilla, perché la retina essendo una superficie concava non riflette assialmente i raggi che riceve; soltanto con un oftalmoscopio si può vedere la luce riflessa dal fondo dell'occhio. La carenza strutturale dell'iride provoca una minor capacità di miosi e quindi abbagliamento alla luce intensa e minor potere convergente. Spesso associato al coloboma vi è una alterazione del resto dell'uvea, quindi del corpo ciliare o della coroide. Il coloboma è spesso localizzato nella porzione nasale inferiore dell'iride, dove avviene l'invaginazione e la chiusura della vescicola ottica embrionale. Coloboma del nervo ottico
Glaucoma congenito
Sporadico od ereditario (autosomico recessivo). Forme congenite, infantili o giovanili.
Si presenta con buftalmo (esordio entro i 3 anni), opacità corneale, rotture della membrana di Descemet (strie di Haab), aumento dell'escavazione papillare, edema congiuntivale che dà fotofobia.
L'occhio può essere molto lacrimoso, pertanto entra in d.d. con patologie delle vie lacrimali: una reazione normale alla luce fa propendere verso queste ultime, la fotofobia verso il glaucoma.
Da valutare in narcosi: IOP (tonopen, tonometro di Perkins), diametro corneale, gonioscopia.
Terapia: goniotomia, trabeculotomia, trabeculectomia.
Cheratoglobo
Retinopatia del prematuro
Si tratta di una forma legata ad una abnorme risposta proliferativa della retina in bambini nati prematuri (prima della 31a settimana), con basso peso alla nascita (< 1500 gr).
I vasi retinici si completano solo dopo 2 ­ 3 settimane dalla nascita a termine: prima, la retina ha zone senza vasi (simili a quelle colpite da occlusione arteriosa). La nascita prematura comporta una proliferazione vascolare patologica con formazione di neovasi.
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Nei casi lievi questa proliferazione è limitata alla retina periferica, che rimane separata dalla retina sana da una linea di demarcazione netta. Nei casi gravi si ha la formazione di un tessuto fibroso di sostegno ai vasi, che inizialmente si attacca alla retina, ma poi si retrae progressivamente causando un grave distacco retinico da trazione; nelle fasi terminali tutta la retina è avvolta in un tessuto fibroso che arriva ad attaccarla dietro al cristallino (fibroplasia retrolentale).
Questa patologia ha cominciato ad avere rilevanza negli anni '40, dopo l'invenzione delle incubatrici, quando si notava la crescita di bambini ciechi. Si riteneva che la patologia fosse causata dal fatto che i neonati venissero esposti, nell'incubatrice, ad un alto tenore di O 2. Pertanto si cercò di prevenirla diminuendo al massimo l'esposizione all'ossigeno in età infantile e nelle incubatrici, ma non si ottennero risultati: la causa infatti è esclusivamente la grave prematurità.
Nei neonati prematuri non è possibile guardare il fondo dell'occhio a causa di fattori come l'opacità dei mezzi, pertanto si può diagnosticare solo a partire dai 30 ­ 40 giorni, con l'esame oftalmoscopico.
Stadiazione della ROP
Stadio I (linea di demarcazione): sviluppo di una linea sottile, tortuosa, grigio­
biancastra che decorre parallela all'ora serrata, più prominente nella periferia temporale. Indice della mancanza di vascolarizzazione perferica.
• Stadio II (ridge): si sviluppa nella regione della linea di demarcazione, posteriormente ad esso si possono sviluppare ciuffi di neovasi
• Stadio III (proliferazione fibrovascolare): si estende dal ridge nel vitreo
• Stadio IV (distacco di retina subtotale): extrafoveale (IVa) o foveale (IVb)
• Stadio V: distacco di retina totale
Forma Plus: • Mancanza dilatazione pupillare • Opacità vitreali
• Dilatazione delle vene e tortuosità delle arterie in almeno 2 quadranti retinici
• Aumento delle emorragie vitreali e preretiniche
Forma Soglia plus: + 5 ore contigue, o 8 ore non contigue, di neovascolarizzazione extraretinica nella zona 1 o 2.
•
Retinopatia del prematuro cicatriziale: si manifesta nel 20% dei casi che non regrediscono spontaneamente
• Stadio I: alterazione pigmentaria periferica
• Stadio II: fibrosi temporale vitreoretinica ed ectopia della papilla e della macula
• Stadio III: fibrosi più grave, contrattura e piega falciforme retinica
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Stadio IV: parziale anello di tessuto fibrovascolare retrolentale e parziale DR
• Stadio V: anello completo di tessuto fibrovascolare retrolentale e DR totale (Fibroplasia retrolentale)
Possibile glaucoma secondario ad angolo chiuso.
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Screening: oftalmoscopia indiretta tra la quarta e la settima settimana di vita, poi controlli ogni 1 ­ 2 settimane. Tutti i nati di peso inferiore al 1,5 kg vanno sottoposti alla retinoscopia un mese dopo la nascita e monitorati attentamente. Terapia: se si riscontrano delle lesioni vascolari iniziali (neovasi) è opportuno delimitare dal resto della retina la zona colpita, in modo tale che un'eventuale retrazione non abbia effetto sulle porzioni sane. • Fotocoagulazione laser per la forma soglia (stadi I e II): permette di sviluppare una buona funzione visiva.
• Chirurgia vitreoretinica per gli stadi avanzati: questi interventi di vitrectomia sono faticosi, inutili e lasciano ugualmente cecità, pertanto sono fortemente sconsigliati.
Entro i 3 anni i bambini sviluppano miopia anche elevatissima, per cui saranno necessari occhiali per consentire un corretto sviluppo visivo.
LA DISLESSIA
La dislessia si manifesta nel bambino con la difficoltà nell'imparare a leggere. È frequente ed è dovuta ad un'incapacità congenita di elaborare significato un significato alle immagini. Sono state riscontrate delle alterazioni biochimiche a livello cerebrale nei soggetti dislessici. Il bambino impara a leggere più lentamente, e sviluppa strategie alternative per comprendere immagini complesse con significato (come le parole scritte).
In Italia la dislessia crea meno problemi rispetto ad altre lingue, dal momento che l'italiano scritto è molto simile all'italiano parlato. 109
IL CAMPO VISIVO
La retina funziona in maniera gerarchica, partendo dal centro, fino alla periferia: viene a costruirsi un diagramma della capacità visiva retinica denominato “isola della funzione visiva”.
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Perimetria
◦ Computerizzata
◦ Manuale
Test elettrofisiologici
◦ ERG
◦ EOG
◦ PEV (potenziali evocati visivi)
DIFETTI DEL CAMPO VISIVO
Una lesione di un nervo ottico (1) causerà un deficit (o scotoma) monolaterale. Qualsiasi lesione del chiasma ottico (2), dove avviene l'emidecussazione delle fibre provenienti da entrambe le emiretine nasali (che percepiscono la parte del campo esterna, o temporale), interesserà entrambi gli occhi con uno scotoma bitemporale (o lesione eteronoma). Le lesioni retrochiasmatiche saranno tutte omonime, coinvolgenti fibre che provengono da entrambe le vie ottiche, originatesi dalle emiretine che percepiscono il campo visivo opposto a quello della lesione: la lesione del tratto ottico (3) interesserà le fibre temporali dell'occhio dallo stesso lato della lesione e quelle nasali dell'altro (emianopsia nasale dallo stesso lato e temporale dall'altro); quelle più posteriori (4, 5) saranno analoghe ma meno estese, perché le fibre si allargano a raggiera per raggiungere la corteccia, e per interessare molte fibre la lesione deve essere enorme. •
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1. Patologie del nervo ottico
Neurite ottica: causa un calo visivo importante. Le cause possono essere: Alessandro G. - 2011/2012
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◦ Malattie demielinizzanti (soprattutto nei giovani)
◦ Malattie infettive, principalmente virali (soprattutto nei giovani)
◦ Malattie parainfettive
◦ Non infettive
Classificazione oftalmoscopica: le alterazioni infiammatorie del nervo ottico si distinguono in due grandi gruppi, le forme intrabulbari o papilliti (30%) e retrobulbari (70%). Nel primo caso la lesione è anteriore alla lamina cribrosa della sclera, la papilla appare iperemica, edematosa, a margini sfumati e rilevati, talvolta con qualche emorragia a fiamma e noduli cotonosi; nel secondo caso l’esame oftalmologico è negativo: il fondo oculare è normale, anche se ci sono gli stessi sintomi (calo visivo, deficit centrale del campo visivo che si estende), tanto che si dice «il paziente non vede niente, ed il medico neppure». ◦ Neurite ottica retrobulbare (SM)
◦ Papillite
◦ Neuroretinite
La diagnosi si effettua con un test con una luce oscillante tra i due occhi (al cui passaggio, in un soggetto normale, dovrebbero dilatarsi le pupille) che mostra una dilatazione paradossa della pupilla, poiché il nervo ottico alterato è in una condizione refrattaria; mentre la papillite è accompagnata da una serie di segni che confermano l’edema della papilla, le neuriti ottiche retrobulbari si possono studiare attraverso lo studio dei potenziali evocati visivi, in cui la latenza delle risposte è aumentata.
La patologia può evolvere nella restitutio ad integrum (la papilla tornerà/resterà normale) o nella atrofia della papilla ottica.
Neuropatia ottica ischemica anteriore: soprattutto negli anziani
◦ Non arteritica: difetto altitudinale del CV, papilla pallida con edema ed emorragie a fiamma
◦ Arteritica: associata ad arterite di Horton, con cefalea, claudicatio della mandibola, sensibilità al cuoio capelluto, VES altissima. Dà cecità monolaterale. La terapia si avvale di cortisone endovena per evitare il coinvolgimento dell'altro occhio (accade entro 24 ore).
Neuropatia ottica tossico­carenziale (in forti bevitori o fumatori): carenza di proteine e vitamine del gruppo B; può avvenire analogamente anche in soggetti gastroresecati.
Forme ereditarie
◦ LHON (Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber) mutazioni DNA mitocondriale materno. Inizio: microangiopatia telangectasica; poi: atrofia ottica.
◦ Atrofia ottica ereditaria Papilledema o Papilla da stasi: edema della testa del nervo ottico secondario ad ipertensione endocranica. Nelle forme da stasi vascolare e ipertensiva non ci sono alterazioni della funzione visiva e l’acuità è del tutto normale. L'ipertensione può essere determinata da una massa endocranica, che per dare questa patologia deve essere nella fossa cranica posteriore.
Dal punto di vista oftalmologico si vede un edema imponente della testa del nervo ottico che impedisce a volte anche di riconoscere le sue strutture (aspetto a fungo della papilla). Il campo visivo è normale perché la zona interessata è la macchia cieca della retina. Sintomi: cefalea mattutina, nausea e vomito a getto, deterioramento stato di coscienza. 111
Sono possibili annebbiamenti visivi transitori e diplopia orizzontale da stiramento del VI n.c. all'apice della rocca petrosa.
Pseudotumor cerebri
Ipertensione endocranica in assenza di una massa endocranica, o dilatazione ventricolare secondaria a idrocefalo, con normale composizione del liquor. Colpisce donne obese, in età fertile, spesso amenorroiche.
2. Patologie chiasmatiche
Cause: neoplasie (adenomi ipofisari, craniofaringiomi, gliomi), aneurismi
Segni: emianopsia eteronima bitemporale, desaturazione colori, atrofia ottica
3. Patologie retrochiasmatiche
Emianopsia omonima controlaterale alla lesione.
Possono interessare i tratti ottici, le radiazioni ottiche o la corteccia striata.
CALO IMPROVVISO MONOLATERALE DEL VISUS
CALO IMPROVVISO BILATERALE DEL VISUS
Trauma bulbare; Ferita corneale perforante
Trauma bulbare
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Anamnesi
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Anamnesi
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Esame obiettivo dell'occhio
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Esame obiettivo dell'occhio
Glaucoma acuto
Cataratta acuta (metabolica)
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Anamnesi
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Anamnesi (diabete mellito scompensato)
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Esame obiettivo dell'occhio •
Esame obiettivo dell'occhio (cristallino) Spasmo dell'accomodazione
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Misurazione PIO
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Gonioscopia
•
Anamnesi (chiedere se porta lenti; chiedere se ha •
CV computerizzato una volta stabilizzato
cambiato recentemente la correzione ottica e se la prescrizione si è basata sull'esame in cicloplegia)
Cataratta acuta (metabolica)
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
Anamnesi (diabete mellito scompensato)
•
Schiascopia bilaterale in cicloplegia
•
Esame obiettivo dell'occhio (cristallino)
Papilledema Sublussazione/lussazione del cristallino o della LIO
•
Anamnesi (neoplasie intracraniche; sintomi)
•
Anamnesi (trauma bulbare; sindrome di Marfan; •
Visus (senso cromatico) intervento chirurgico per cataratta)
•
Riflesso pupillare
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
Esame obiettivo dell'occhio Emovitreo
•
Fluorangiografia
•
Anamnesi (trauma bulbare; diabete mellito; pregressi •
Raccomandata RMN dell'encefalo
fenomeni ischemici retinici; malattie Aura oftalmica di emicrania
leucoproliferative)
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
Anamnesi (durata/transitorietà del sintomo visivo; •
Ecografia bulbare
presenza di altri sintomi neurologici da aura emicranica; rapporto del sintomo visivo con la Endoftalmite postoperatoria comparsa dell' emicrania)
•
Anamnesi (Intervento chirurgico per cataratta/di •
CV
chirurgia endobulbare)
Insufficienza vertebro­basilare
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
Anamnesi (storia di drop attacks; atassia; vertigini; •
Misurazione della PIO
disartria o disfasia; emiparesi o perdita monolaterale •
Ecografia bulbare
della sensibilità; durata da pochi secondi ad alcuni Occlusione arteriosa retinica (centrale o di ramo)
minuti/transitorietà del fenomeno)
•
Anamnesi (politraumatizzati; fibrillazione atriale; •
Esame obiettivo dell'occhio (fundus) ipertensione;diabete mellito)
•
Raccomandati: Valutazione della PA; ECG e Holter; •
Valutazione del visus (visus: zero) Doppler carotideo; RX della colonna cervicale •
Esame obiettivo dell'occhio
(compressione cervicale spinale da artrite del collo)
•
Fluorangiografia
Lesioni compressive del chiasma
•
Controllo della PA
•
Anamnesi (negativa)
Occlusione venosa retinica (centrale o di ramo)
•
Riflesso pupillare
•
Anamnesi (coagulopatie; malattie leucoproliferative; •
Esame obiettivo dell'occhio (negativo) insufficienza venosa; ipertensione; vasculiti; •
CV
glaucoma ad angolo aperto)
112
Alessandro G. - 2011/2012
Valutazione del visus (visus centrale spesso •
Raccomandata RMN dell'encefalo
conservato)
Cecità corticale (infarto occipitale bilaterale; metastasi •
Esame obiettivo dell'occhio
e meningiomi)
•
Misurazione della PIO
•
Anamnesi (agnosia della propria cecità; fattori di •
Fluorangiografia
rischio cardiovascolari)
•
Controllo della PA
•
Visus per vicino (possibile residuo centrale)
Sindrome oculare ischemica (malattia occlusiva della •
Esame obiettivo dell'occhio carotide)
•
CV
•
Anamnesi (età; precedenti episodi di perdita di •
Raccomandati: RMN dell'encefalo; valutazione visione monoculare transitoria; mani fredde o spasmo neurologica; valutazione cardiologica (ritmo cardiaco)
dei muscoli del braccio con l'esercizio)
Ipotensione ortostatica
•
Esame obiettivo dell'occhio (neovascolarizzazioni •
Anamnesi (storia di ipotensione ortostatica; durata di iridee, papillari o retiniche)
pochi secondi/transitorietà del fenomeno; relazione •
Fluorangiografia
del fenomeno con l'ortostatismo)
•
Raccomandata valutazione internistica con •
Esame obiettivo dell'occhio
ecocolordoppler carotideo
•
CV
CRSC
Simulatori
•
Anamnesi (Sd. Ansiosa; stress psico­fisico)
•
Anamnesi •
Visus (migliorabile con lenti positive) e griglia di •
Visus (?)
Amsler
•
Esame obiettivo dell'occhio •
Esame obiettivo dell'occhio •
Ricerca di nistagmo fisiologico ottocinetico
•
Fluorangiografia
•
Ev. FAG e ERG­PVEd
•
OCT
Emorragia maculare, Distacco siero­emorragico
•
Anamnesi (trauma bulbare contusivo; storia di NVC)
•
Esame obiettivo dell'occhio •
Fluorangiografia + ICG
•
OCT
Distacco di retina con coinvolgimento maculare
•
Anamnesi (trauma; miopia elevata)
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
Ecografia bulbare se associato ad emovitreo
Papilledema (raramente monolaterale) •
Anamnesi (neoplasie intracraniche; sintomi)
•
Visus (senso cromatico) •
Riflesso pupillare
•
Esame obiettivo dell'occhio •
Fluorangiografia
•
Raccomandata RMN dell'encefalo
Neuropatia ottica ischemica arteritica (ACG di Horton)
•
Anamnesi (età; dolore temporale; claudicatio mandibolare; polimialgia reumatica; diplopia)
•
Riflesso pupillare
•
Esame obiettivo dell'occhio •
CV
•
Raccomandati esami ematici (PCR; VES)
•
Raccomandata biopsia multisettorriale dell'arteria temporale
Neuropatia ottica ischemica anteriore non arteritica (NOIA) •
Anamnesi (età; arteriosclerosi)
•
Riflesso pupillare
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
CV
•
Raccomandati esami ematici (PCR; VES)
Neurite ottica retrobulbare
•
Anamnesi (età; dolore ai movimenti oculari; sintomi neurologici; uso/abuso di sostanze tossiche)
•
Visus (senso cromatico)
•
Riflesso pupillare (Marcus­Gunn; fenomeno di Pullfrich spontaneo)
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
113
CV
PVE
Raccomandata RMN cerebrale con m.d.c. per escludere SM
Aura oftalmica di emicrania (raramente monolaterale)
•
Anamnesi
•
(durata da 10­15 minuti/transitorietà del sintomo visivo; presenza di altri sintomi neurologici da aura emicranica; rapporto del sintomo visivo con la comparsa dell' emicrania; diplopia)
•
Esame obiettivo dell'occhio
•
CV
Ambliopia misconosciuta
•
Anamnesi (terapia occlusiva nell'infanzia; difficoltà ad afferrare gli oggetti da vicino; chiedere se ha mai provato a chiudere l'occhio adelfo) •
Misurazione delle eventuali lenti in uso
•
Visus bilaterale con ES ed EU e per vicino
•
Stereotest
•
Motilità oculare e CT
•
Valutazione della fissazione (pointing)
•
Senso cromatico
•
Schiascopia bilaterale in cicloplegia (anisometropia)
•
Esame obiettivo dell'occhio
Simulatori
•
Anamnesi •
Visus (?)
•
Visus per vicino con ciclopegia dell'altro occhio
•
Esame obiettivo dell'occhio •
Ricerca di nistagmo fisiologico ottocinetico
•
Ev. FAG e ERG­PVE
•
•
•
 Patologie oculari legate al DIABETE:
Strabismo da neuropatia del VI n.c.
Cataratta
Glaucoma neovascolare
Miopia
Retinopatia
 Terapia per la rottura della retina: laser. Terapia per il distacco di retina: chirurgia.
114
Alessandro G. - 2011/2012
ODONTOSTOMATOLOGIA
La dentizione decidua comprende 2 incisivi, 1 canino e 2 molari per ogni emiarcata dentaria. Tra i 6 e i 12 anni la dentizione è mista, con la contemporanea presenza di denti da latte e di quelli permanenti.
La dentizione permanente comprende invece 2 incisivi, 1 canini, 2 premolari e 3 molari per ogni emiarcata dentaria (32 denti nel complesso). I denti sono numerati per convenzione dall'avanti all'indietro in ogni emiarcata: ➀ Emiarcata superiore destra (11 → 18)
 Emiarcata superiore sinistra (21 → 28)
 Emiarcata inferiore sinistra (31 → 38)
 Emiarcata inferiore destra (41 → 48)
②
①
1

③
2
3
4
5
6
7
8
④

L'anatomia dentale prevede la distinzione tra la corona dentaria (la porzione visibile del dente, costituita da dentina ricoperta di smalto, che protegge dalle temperature e dagli agenti chimici la polpa, il tessuto vascolo­nervoso) e la radice (fissata nelle cavità alveolari, costituita di cemento e dentina), separate dal colletto (di dentina).
Le radici possono essere singole (incisivi, canini, premolari inferiori), doppie (premolari inferiori, molari superiori) o addirittura triple (molari superiori). In questi ultimi casi la radice mesiale (ovvero rivolta verso il dente 1) ha due canali radicolari, quella distale (verso l'8) ha un singolo canale radicolare.
I denti hanno varie facce o superfici:
• Vestibolare: verso le pareti della bocca
• Linguale (nell'arcata inferiore) o palatale (nell'arcata superiore)
• Occlusale: nei molari/premolari (va a combaciare con la corrispondente faccia del dente dell'altra arcata)
• Incisale: nei canini/incisivi (la superficie di taglio)
Inoltre tra loro i denti adiacenti vengono a contatto in una zona/superficie/area/punto detta di contatto.
Anestesia
L'anestesia può essere seguita con diverse modalità: • Anestesia di superficie: diffusione lenta in profondità, non ha impiego in odontoiatria
◦ Spray ◦ Pomate di lidocaina • Anestesia per infiltrazione:
◦ Plessica (terminale): iniezione in prossimità del nervo. È efficace solo in alcune zone, dal momento che l'iniezione si effettua nella sottomucosa ed il principio attivo deve diffondere attraverso l'osso. Pertanto è indicata in anestesia dell'arcata mascellare (dove l'osso è meno compatto) e nei soli denti frontali dell'arcata mandibolare. Dal canino all'indietro la penetrazione dell'anestetico è scarsa. ◦ Di conduzione (tronculare): si effettua sui tronchi nervosi (II o III branca del 115
trigemino) ed agisce su tutto il tronco nervoso a valle. Prima bisogna fare una manovra di aspirazione per essere sicuri di non iniettare nei vasi.
▪ Arcata mascellare: le emergenze dei tronchi nervosi per la puntura sono: • Foro infraorbitale: nervo alveolare superiore, anteriore e medio. Anestetizza gli incisivi, i canini e parte dei premolari. • Forame incisivo: nervo nasopalatino. Anestetizza la parte anteriore del palato. • 2° molare superiore: nervo palatino maggiore. Anestetizza il palato posteriore. ▪ Arcata mandibolare: • Foro mentoniero: nervi mentoniero e incisivo. Anestetizza il labbro inferiore, gli incisivi, i canini e i premolari. • Spina di Spyx (lingula della mandibola): nervo alveolare inferiore. Anestetizza tutti i denti dell'emiarcata, il labbro inferiore e la lingua. • Gow­Gates: nervo mandibolare a livello della sua emergenza dal cranio. Anestetizza tutta l'emiarcata e la gengiva linguale.
◦ Intralegamentosa: tra osso alveolare e radice. Si utilizzano siringa ed aghi particolari, infiltra la radice tramite il legamento alveolodentale: l'anestetico è applicato direttamente sul nervo del dente. Bisogna associarla ad adrenalina per vasocostringere e ridurre il sanguinamento ed aumentare l'effetto anestetico.
Imaging
•
•
Radiografie
◦ Endoorale: visualizza segmenti delle arcate
◦ Ortopantomografica o “panoramica”: esame di primo screening. Visualizza denti, seni, setto nasale, ATM
TAC volumetrica a 3 sorgenti di radiazioni: consente ricostruzioni tridimensionali
PATOLOGIE DEI DENTI
Le patologie dentarie principali sono la carie dentale, le pulpopatie, le parodontopatie e la disodontiasi del 3° molare (o dente del giudizio). Le malattie del dente hanno tutte eziologia infettiva da batteri della placca dentale. Il biofilm può essere • Sopragengivale: attaccato alla corona, composto da circa 10 strati cellulari e ospita batteri gram+, aerobi (80%) o aerobi/anaerobi facoltativi
• Sottogengivale: 100 o più strati cellulari, popolazione anaerobia (40­80% anaerobi obbligati), perlopiù gram­ (70%)
Le popolazioni diverse della placca riflettono eziologie diverse nelle patologie superficiali e quelle profonde del dente. A volte la placca per vari motivi si arricchisce di concrezioni calcificate, e diviene dura e irremovibile con lo spazzolino (tartaro). Carie Dentale Distruzione progressiva della componente inorganica del tessuto mineralizzato del dente, dovuta ad un aumento critico dell'acidità locale. Avendo inizio superficiale, la distruzione interessa dapprima lo smalto. Eziologia: per il determinarsi della carie sono necessari tre fattori concomitanti: 1. Alimentazione con saccarosio: il saccarosio è fondamentale per il metabolismo dello S. mutans (metabolizza in lattato). I fattori negativi legati all'alimentazione sono: 116
Alessandro G. - 2011/2012
◦ Elevato consumo di zucchero ◦ Elevata frequenza di assunzione ◦ Viscosità dell'alimento ◦ Clearance orale individuale 2. Contaminazione batterica ◦ Streptococcus mutans: è il batterio determinante della carie, possiede delle adesine specifiche per lo smalto e riesce a sopravvivere in ambiente acido, contribuendone al mantenimento. ◦ Lattobacilli: contribuiscono alla riduzione locale del pH. ◦ Actinomiceti: aderiscono bene alla dentina, sono di frequente riscontro nella carie radicolare. 3. Fattori dell'ospite ◦ Immunità ◦ Anatomia ◦ Flusso salivare ◦ Igiene orale Patogenesi: La riduzione del pH al di sotto di 5,2 solubilizza la struttura portante dello smalto (l'idrossiapatite) interferendo nell'equilibrio di mineralizzazione e demineralizzazione. Sedi elettive della carie: Denti malposti, a contatto con protesi, o ricostruiti con tecnica irrazionale nell’ambito dello stesso dente: zone intercuspidali, spazi interdentali, colletto, costituiscono loci minoris resistentiæ a causa del diminuito spessore smalto, o per la facilità con ci si accumula la placca. Clinica: • Macchia bianca: smalto non penetrato, asintomatico. Al di sotto della placca si produce una zona di demineralizzazione che è il primo indizio di lesione, irrilevabile clinicamente.
• Cavità non penetrante nella polpa: dolore a stimoli termici e alla masticazione. • Cavità penetrante nella polpa: pulpite con dolore continuo.
Le cavità cariose possono essere classificate in base a profondità, velocità di progressione, varietà cliniche (c. prossimale delle superfici interdentali, recidiva, secondaria, professionale), sede. Diagnosi: • E.O. odontoiatrico con ispezione con specchietto, specillazione (analogo della palpazione), prove termiche ed elettriche per escludere un’eventuale interessamento pulpare. • RX ortopanoramica Prevenzione: • Interventi sull'ospite/dente: ◦ Miglioramento dell'igiene orale ◦ Sigillatura dei solchi dentari nei bambini ◦ Applicazione locale di fluoro (riduce la solubilità dello smalto e ha proprietà antibatteriche) • Alimentazione: ◦ Riduzione della frequenza di assunzione di zuccheri ◦ Sostituzione di zucchero con mannitolo, xilitolo ◦ Fluoroprofilassi topica nei bambini. La fluoroprofilassi nel neonato deve essere 117
attuata già dal terzo trimestre di gravidanza tramite somministrazione di fluoro alla madre. • Interventi sui batteri: ◦ Dentifrici con fluoro e sostanze antibatteriche. Per salvaguardare il dente, occorre aggredire la carie almeno al 2° grado. Se ha già interessato la polpa, si procede alla devitalizzazione del dente. Pulpopatie Le pulpopatie sono complicazioni della carie penetrata nella polpa (organo complesso, poco conosciuto, che occupa lo spazio interno del dente, circondato dalla dentina). La superficie interna della cavità è tappezzata da odontoblasti i cui prolungamenti si addentrano nella dentina arrivando fino allo smalto. Gli odontoblasti nutrono lo smalto, hanno una funzione sensoriale e di difesa, in quanto capaci di ricreare la dentina e rallentare la penetrazione della carie in profondità. La pulpite (flogosi infettiva della polpa) si ha in diverse situazioni: • Carie dentale: è la causa principale • Trauma con esposizione della polpa • Esposizione iatrogena della polpa Patogenesi: L'invasione della polpa da parte dei germi provoca una reazione di difesa proporzionale alla quantità dei germi penetrati. In penetrazioni minime o esposizioni poco estese si ha una tipica reazione flogistica a cui segue una rigenerazione di dentina e guarigione entro 30 giorni. In penetrazioni massive o esposizioni estese si ha la necrosi della polpa accompagnata da un esagerato afflusso ematico, che comporta un aumento della pressione nella cavità dentaria, che comprime i vasi riducendo così l'afflusso. In questo modo le difese naturali vengono sopraffatte rendendo ragione della necrosi. In caso di carie nelle prime fasi, la penetrazione dei germi (e la diffusione delle loro tossine) è lenta e cronica, per cui compare la pulpite cronica. In fasi successive quando l'erosione della dentina diventa ampia si assiste ad una penetrazione massiva dei germi con la conseguente pulpite acuta (unico caso di flogosi cronica che precede la flogosi acuta). Clinica: La pulpite cronica può decorrere asintomatica o presentarsi con ipersensibilità termica o dolore alla masticazione.
La pulpite acuta in genere si presenta con un quadro eclatante di dolore intenso e continuo, esacerbato da stimoli pressori e termici e dal clinostatismo. Il processo infiammatorio, che si svolge all'interno di una cavità rigida, dà una sintomatologia spesso pulsante.
La necrosi pulpare in sé è asintomatica ma può rendersi clinicamente evidente con le sue complicanze. La necrosi della polpa esita nella formazione di un granuloma (parodontite apicale cronica). Granuloma Il granuloma (o parodontite apicale cronica) è una reazione fisiologica di difesa, volta a limitare la diffusione dei germi dal canale apicale del dente nei tessuti circostanti. Consiste in una reazione immunoallergica (di tutti i tipi di Gell­Coombs) che confina l'infezione. La parodontite cronica è asintomatica nella maggioranza dei casi ma talvolta si presenta con dolore alla pressione. Il processo infiammatorio può essere evidenziato tramite RX che mostra osteolisi circoscritta, a contorni netti, dell’osso periapicale. 118
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Il tentativo di limitazione dell'infezione può fallire, e provocare un ascesso: parodontite apicale acuta. La forma acuta può avere carattere sieroso o purulento.
Le complicanze del granuloma (essenzialmente ascesso, cisti odontogena e batteriemia) possono essere dovute a • Disfunzioni immunitarie • Presenza di particolari specie batteriche: ◦ Sintomatica: Prevoltella intermedia, Peptostreptococchi ◦ Asintomatica: Streptococchi, Enterobatteri
La terapia è la devitalizzazione del dente, in quanto non si ha mai la restitutio ad integrum, associata eventualmente ad analgesici in caso di impossibilità ad andare dal dentista, o antibiotici per circoscrivere l’ascesso ed evitare sepsi.
MALATTIE PARODONTALI Le malattie parodontali consistono in un gruppo di malattie infiammatorie che colpiscono il parodonto superficiale (gengivite) o profondo (parodontite).
Il parodonto è in sostanza l'apparato di sostegno del dente nella sua cavità alveolare. Mentre il parodonto superficiale comprende solo la gengiva, il parodonto profondo è composto da più strutture complesse che possono essere la sede della parodontite: • Il legamento parodontale: è composto da fibroblasti, cementoblasti e osteoblasti. Le fibre collagene del legamento ancorano il cemento all'osso alveolare. Le fibre collagene sono disposte in varie direzioni, ma sul piano clinico le più importanti sono le fibre transsettali, che separano i denti tra loro e mantengono l'integrità della gengiva. • Il cemento • L'osso alveolare Gengivite L'infiammazione della gengiva si presenta con • Ispessimento, alterazioni di colore e di forma gengivale • Sanguinamento, apprezzato soprattutto nello spazzolamento dei denti • Dolore diffuso Nella gengivite la flogosi non supera le fibre transsettali del legamento, per cui il solco gengivale rimane di profondità inalterata (circa 3 mm), mentre nella parodontite profonda il solco viene approfondito. Eziologia: • Gengivite da placca: è il tipo più comune, che deriva dall'accumulo di placca batterica sulle gengive. Tipicamente compare non spazzolando i denti per una settimana, anche in soggetti peraltro sani. • Gengivite ormonale: appannaggio quasi esclusivo delle donne gravide, ma può comparire anche in pubertà o con l'uso di contraccettivi orali. • Gengivite secondaria a malattie sistemiche: tipicamente da leucemia. • Gengivite ulcero­necrotica: associata a spirochete (frequente in Africa), è particolarmente dolorosa. • Gengivite ipertrofica: da farmaci (frequentemente da ciclosporina, dose­ indipendente), consiste in un'ipertrofia delle gengive. Parodontite È una flogosi del parodonto profondo. Colpisce più frequentemente le donne e presenta una 119
forte componente ereditaria.
La sintomatologia è analoga alla gengivite. A differenza della gengivite, nella parodontite profonda si viene a creare una tasca parodontale (> 3 mm) a partire dal solco gengivale, per la progressione del processo nel parodonto profondo.
La parodontite può comportare la perdita del dente interessato. Eziologia e patogenesi: Il fattore chiave della parodontite è l'accumulo di placca. Infatti il 10% delle gengiviti progredisce verso l'interessamento del parodonto profondo. Questo fatto è legato strettamente alle specie batteriche presenti nella placca e alla recettività individuale (fattori dell'ospite). La gengivite per contro è determinata da una placca aspecifica. Il maggior rischio di progressione in profondità è dato dalla presenza nella placca di specie microbiche capaci di penetrare nel parodonto profondo. La distruzione dell'apparato di sostegno e l'eventuale estensione della flogosi all'osso alveolare determinano prima la vacillazione e poi la perdita del dente. Le parodontiti sono classificati dall'OMS in: • Parodontite a insorgenza precoce: da Actinomyces comitans, distinta a sua volta in ◦ Prepuberale: 5 ­ 12 anni ◦ Giovanile: dell'adolescenza • Parodontite dell'adulto: associata a Paphyromonas gengivalis, insorge dopo i 18 anni ed è la forma più frequente. • Parodontite rapidamente progressiva: insorge nell'adulto (i casi pediatrici sono rari), la specie microbica è ignota. Disodontiasi del 3° Molare Anche la disodontiasi è una patologia infettiva dell'apparato di sostegno del dente. In caso del 3° molare l'infezione è facilitata dall'anatomia del dente.
La flogosi del parodonto del 3° molare ha normalmente come causa l'anatomia della mascella, che non permette il posizionamento normale del dente, pertanto è più frequente nell'arcata superiore.
In genere il follicolo del terzo molare è inclinato, alla nascita, in avanti e si dispone nella posizione giusta soltanto verso i 18 anni, per la crescita della mandibola, che lo fa scivolare indietro e piega la parte del germe non ancora calcificata che andrà a formare le radici. All’obliquità primitiva del germe, pertanto, si aggiunge quella data dall’azione della mandibola: il dente quindi per erompere deve compiere una curva di raddrizzamento. L’obliquità può essere esagerata, ed il dente eromperà in posizione anomala (mesioversione obliqua oppure versione linguale, vestibolare, orizzontale). La disto­versione è più rara e si ha quando la curva di raddrizzamento è eccessiva: la superficie occlusale in tal caso guarda indietro. Può anche rimanere parzialmente incastrato nella lamina fibromucosa gengivale; in questo caso i tessuti non scivolano lungo la corona, esponendola nella bocca, ma la ricoprono in parte, e ne risulta al di sopra del dente una specie di cavità le cui pareti sono costituite dai tessuti rimasti in sede. Su questa tasca possono facilmente provocarsi dei processi infettivi. È difficile in ogni caso separare l’influenza dei fattori anatomici da quelli embriologici. Clinica: L'infiammazione nel punto di perforazione della gengiva dal dente emergente è sostenuta dai batteri della placca, e comporta: • Dolore cronico: può essere causato anche dall'emergenza del dente • Pericoronarite, ascessi, complicanze sistemiche 120
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• Carie dentale del 2° molare (parete posteriore) • Danni parodontali del 2° molare • Riassorbimento delle radici del 2° molare • Cisti follicolari Indicazioni alla rimozione del 3° molare: • In presenza di complicanze: ascesso, carie, danni al 2° molare, cisti. • In assenza di complicanze: ◦ Problemi odontoiatrici che richiedono retrazione del 2° molare ◦ Impossibilità di eruzione del 3° molare (troppo grande, orizzontale, ecc) Nel porre l'indicazione all'estrazione va valutato il rapporto rischio/beneficio, prendendo in cosiderazione la prevenzione di complicanze a carico del 2° molare e che, nel giovane, l'estrazione è più facile tecnicamente.
Ascesso Odontogeno L'ascesso è un processo infiammatorio acuto che si presenta di solito con il gonfiore di una guancia. Anatomicamente l'ascesso può essere:
• Pulpare: pulpite → necrosi → ascesso
• Parodontale: parodontite cronica
• Pericoronale: malposizione della corona di un dente
La terapia è antibiotica, i farmaci di prima scelta sono: • Aminopenicilline (Amoxicillina, Zimox, Augmentin)
• Macrolidi (Zitromax, Rovamicina, Miocamen): solo ai pz. allergici alle penicilline e a chi stava già usando penicilline. Questi farmaci raggiungono basse concentrazioni negli ascessi, per cui sono utili solo nelle fasi iniziali.
• Cefalosporine di 2a/3a generazione
I farmaci di seconda scelta sono: • Cefalosporine di 3a generazione
• Ureidopenicilline
I farmaci di terza scelta sono:
• Cefalosporine
• β­lattamici
• Aminoglicosidi e Lincosamide: per i gram­
LESIONI DEL CAVO ORALE L'unica patologia pericolosa del cavo orale è il cancro, che nel caso del cavo orale è quasi sempre preceduto da lesioni preneoplastiche che possono rendersi utili per la diagnosi precoce. Le lesioni elementari del cavo orale sono distinte in 4 tipi: 1. Lesioni vescicolo­bollose 2. Lesioni erosivo­ulcerose: le erosioni sono distinte dalle ulcere, perché le prime non oltrepassano l'epitelio e guariscono senza lasciare cicatrice. 3. Lesioni bianche: ispessimento dell'epitelio 4. Lesioni rosse: assottigliamento dell'epitelio Lesioni Vescicolo­Bollose Le lesioni vescicolo­bollose non sono precancerose, sono lesioni a contenuto sieroso, di dimensioni variabili. Possono sovrainfettarsi con la Candida orale.
1.
121
•
•
Vescicola: ≤ 5 mm
◦ Herpes Simplex (sopratutto HSV­1): l'infezione da HSV­1 al 99% è asintomatica al primo contatto, mentre nell'1% dei casi causa una gengivostomatite erpetica primaria (in bambini e in soggetti immunocompromessi). L'infezione latente può riattivarsi in alcuni momenti della vita provocando quadri diversi anatomicamente, ma caratterizzati dalla stessa evoluzione delle lesioni: ▪ Herpes labiale ▪ Herpes intraorale ricorrente: coinvolge le gengive, il palato. La diagnosi di Herpes è prettamente clinica, in casi dubbi si può ricorrere ad un test diagnostico citologico. La terapia dell'Herpes è topica con Acyclovir (Zovirax) nelle fasi precoci. ◦ Herpes Zoster: l'infezione da VZV dà come manifestazione primaria la varicella. Le lesioni orali sono delle riattivazioni dell'infezione latente.
Rispetto alle lesioni da HSV, lo Zoster presenta lesioni a grappolo stretto, più estese, rosse, dolenti, di durata e di aggressività maggiore, interessando di solito un intero ramo trigeminale. La terapia si basa sullo Zovirax e.v. per 7­10 giorni nelle fasi precoci. Entrambe le malattie erpetiche sono comunque autolimitanti. Bolla: > 5 mm
◦ Pemfigo, pemfigoide: le lesioni del pemfigo sono caratteristicamente delle lesioni bollose (bolle intraepiteliali con frequente interessamento cutaneo). Le lesioni sono dovute ad auto­anticorpi che colpiscono zone diverse dell'epitelio. Le bolle tendono a rompersi. Nel pemfigo vulgaris l'interessamento cutaneo è la regola. Il pemfigoide ha la stessa presentazione clinica, con frequente coinvolgimento gengivale, ma l'interessamento cutaneo è raro. Le bolle sono sottoepiteliali. Ci sono casi di lesioni congiuntivali nel pemfigoide che guarendo per cicatrizzazione lasciano esiti oftalmologici da retrazione. La diagnosi è facilitata dal segno di Nikolsky: sfregando la cute o la mucosa apparentemente sana, entro pochi secondi compaiono le caratteristiche bolle (segno di elevato turnover cellulare ed infiammazione). Il segno di Nikolsky positivo pone la diagnosi di patologia bollosa, ma non discrimina tra pemfigo e pemfigoide. La diagnosi differenziale tra le due è posta solo alla biopsia, che evidenzia depositi di autoanticorpi, diffusi in tutto l'epitelio nel pemfigo, mentre nel pemfigoide si localizzano solo nello strato basale. La terapia della patologia bollosa, vista la sua origine autoimmmune, è basata su corticosteroidi; nelle forme gravi si ricorre agli immunosoppressivi. La perdita di liquidi dalle lesioni può portare alla insufficienza renale.
◦ Lichen di tipo bolloso Lesioni Erosivo­Ulcerative Le erosioni possono rappresentare la conseguenza evolutiva delle bolle o delle vescicole, oppure possono essere erosioni primarie in caso di: • Trauma (ad es. trauma cronico sotto le dentiere: rischio di evoluzione neoplastica)
• Aftosi: le erosioni aftose sono la maggioranza dei casi. Le afte sono ulcere minori di origine autoimmune, frequenti in celiachia e Chron. Spesso sono ulcere ricorrenti. Possono comparire con modalità diverse: 2.
122
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Aftosi orale minore: più propriamente sono erosioni
◦ Ulcere orali maggiori: lesioni maggiori di 1 cm che possono lasciare esiti cicatriziali. Vanno sotto il nome di malattia di Sutton. ◦ Ulcere erpetiformi: multiple, spesso disposte a grappolo ricordando le lesioni erpetiche. ◦ Sindrome di Behcet: sindrome autoimmune che consiste in ▪ Ulcere orali ▪ Ulcere genitali ricorrenti ▪ Lesioni papulo­pustolose cutanee ▪ Lesioni oculari ▪ Artralgie e artriti alle piccole articolazioni
La diagnosi è clinica. La terapia è sintomatica con FANS, cortisone locale. In forme gravi la terapia può includere corticosteroidi e immunosoppressori sistemici. • Eritema multiforme: lesioni ulcerose muco­cutanee acute e sintomatiche. L'eritema multiforme è una patologia immunoallergica ed è relativamente frequente. Può manifestarsi in modi differenti: ◦ EM orale: interessa solo il distretto della cavità orale ◦ EM minor: interessamento orale e cutaneo a zone (lesioni a bersaglio) ◦ EM major: lesioni cutanee confluenti; detto anche Sindrome di Steven­Johnson ◦ Necrolisi epidermica tossica: forma gravissima; detta anche Sindrome di Lyle Le lesioni dell'eritema multiforme sono lesioni molto dolorose, spesso Nikolsky positive, ed anche visivamente possono assomigliare alle lesioni del pemfigo. La diagnosi è clinica. L'anamnesi può rivelare un'associazione con farmaci, infezioni virali (anche herpes labiale). La conferma della diagnosi può essere bioptica. La terapia è corticosteroidea. • Lichen di tipo erosivo o erosivo­ulcerato
• Sifilide: la malattia passa attraverso 3 stadi, dall'ulcera dura indolente del sifiloma primario fino alle gomme sifilitiche terziarie, che possono presentarsi (anche se raramente) a livello orale. Le ulcere neoplastiche sono asintomatiche, lente, non reagiscono al contatto con sostanze. ◦
Lesioni Bianche e Rosse Le lesioni bianche e quelle rosse riflettono un alterato turnover dell'epitelio del cavo orale, cioé una riduzione o un aumento dello spessore epiteliale. In questa categoria di lesioni sono comprese le lesioni precancerose, anche se sono la minoranza rispetto al totale.
La leucoplachia significa letteralmente “chiazza bianca”, e non è soltanto una lesione preneoplastica, ma può essere provocata da una grande quantità di condizioni, essendo in sostanza una reazione aspecifica di difesa a stimoli di natura irritativa di vario tipo. Possono insorgere dovunque nella cavità orale, preferiscono il pavimento della bocca, la parte ventrale della lingua e il palato duro. Macroscopicamente, possono avere una vasta gamma di aspetti morfologici, con margini netti o delimitati; aspetto liscio, sopraelevato, vellutato e verrucoso; solitarie o multiple. L’eritroplachia è invece una lesione più insidiosa e più comune. Si tratta di una placca di colore rosso, vellutata, a volte erosa; di solito è piana o lievemente depressa. L’eritroplachia ha in sé una componente displastica. Infatti nelle cellule del derma si osservano atipie nucleari, e si hanno aree alternate di cheratosi e paracheratosi. Nel derma sottostante ci sono segni di 3.
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flogosi cronica. La progressione neoplastica di questo tipo di lesione è molto maggiore (valutata intorno al 50%). Tra le lesioni bianche o rosse non preneoplastiche vanno ricordate: • White sponge nevus: assolutamente benigno • Leucoplachia: dovuta ad un edema sottomucoso • Granuli di Fordyce: ghiandole sebacee ectopiche (frequenti) • Hairy leucoplachia: tipico dell'AIDS • Ipercheratosi funzionale • Ipertrofia delle papille filiformi: lingua a carta geografica La terapia viene eseguita con la rimozione degli agenti irritanti, che una volta eliminati possono portare alla regressione delle lesioni: se questo non avviene, e in ogni caso nelle eritroplachie, la lesione deve essere asportata ed esaminata dall’anatomopatologo. Candidosi
L'infezione da Candida albicans è una causa molto frequente di lesioni bianco­
rosse. Questo micete è un saprofita del cavo orale che in certe occasioni riesce a penetrare nei tessuti diventando patogeno trasformandosi da lievito a ife.
Le manifestazioni da Candida albicans sono: • Candidosi acuta: frequente in bambini e in immunocompromessi, dove ci sono le premesse per una maggiore aggressività del fungo. La lesione può essere rossa (eritematosa) o bianca (pseudomembranosa formata da ife e detriti cellulari) e va sotto il nome di mughetto. Deriva quindi da uno squilibrio tra immunità e aggressività. • Candidosi cronica: presuppone condizioni particolari di alterazioni epiteliali locali (come protesi dentarie). La lesione può essere: ◦ Rossa: da protesi ◦ Bianca: da placca ◦ Cheilite angolare: lesioni bianco­rosse a livello della commissura labiale. La diagnosi delle candidosi è clinica e può essere facilitata da un prelievo microbiologico (tampone). La terapia antimicotica è efficiente se si eliminano le cause favorenti nella candidosi cronica. Lesione ulcerosa
Lesione vescicolo-bollosa
Vescicole
Bolle
Biopsia
Segno di Nikolsky
Herpes
Pemfigo
Pemfigoide
Singola
Bolle con Papule
Dolorosa
Lichen bolloso
Trauma
Aftosi
Multipla
Non dolorosa
Sifilide
Aftosi
Eritema Multiforme
Lichen
(Herpes, Pemfigo)
NEOPLASIE DEL CAVO ORALE
Le neoplasie del cavo orale sono più frequenti di quello che si crede: rappresentano il 3­4% di 124
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tutte le neoplasie umane. La mortalità è elevata, e l'intervento chirurgico comporta in ogni caso gravi problemi estetici e funzionali.
Il carcinoma orale può essere diagnosticato in fase precoce od addirittura previsto attraverso l'identificazione delle lesioni precancerose. Dal punto di vista fisiologico bisogna tener in mente che il turnover dell'epitelio orale è controllato da tre fattori di fondamentale importanza: • Geni: si stima che occorrano 3 ­ 5 mutazioni di geni chiave nel processo dell'oncogenesi
• Fattori extracellulari • Sistema immunitario Il cancro del cavo orale è preceduto da lesioni preneoplastiche che presentano già delle lesioni geniche specifiche, ma non sufficienti per un totale perdita di controllo proliferativo: • Leucoplachia non ascrivibile a cause note • Eritroplachia non ascrivibile a cause note
• Lichen • Cheilite attinica: di pertinenza dermatologica, dovuta ad abbondanti esposizioni alla radiazione solare. I difetti epiteliali nelle lesioni preneoplastiche possono essere sostanzialmente di due tipi: • Errori quantitativi: iperplasia (prognosi più favorevole) • Errori qualitativi: displasia
Clinica: La maggior parte delle lesioni sono lesioni miste, ma la leucoplachia è molto più frequente della eritroplachia. La leucoplachia può essere omogenea o non omogenea (quella non omogenea ha correlazioni maggiori con la presenza di displasia). Anche le lesioni rosse possono essere descritte come omogenee o meno. Predittività della trasformazione maligna: • Biopsia: ◦ Displasia: è il fattore più importante ◦ Immunoistochimica: citocheratine, attività mitotica, p53, Ki­67. Anche la mappa cromosomica può avere aspetti orientativi • Clinica: aspetto delle lesioni La gestione del paziente dipende da questi parametri prognostici e può essere riassunta come: • Alterazione quantitativa: follow­up • Displasia lieve/moderata: asportazione semplice • Displasia severa: asportazione allargata Presentazione clinica: nelle fasi iniziali il carcinoma del cavo orale ha l'aspetto di una papula o di una vegetazione verruciforme, ma può altresì presentarsi ulcerato.
I fattori prognostici sfavorevoli sono: • Sede: lingua (metastasi precoci)
• Stadio • Istologia ­ grado di differenziazione • Biologia molecolare: p53, Ki­67 Fattori di rischio accertati sono: • Fumo (specie bolo di tabacco da masticare. Quello di pipa predispone al cancro del labbro inferiore) • Alcool (Fumo ed alcool hanno effetto sinergico specie con i superalcolici. Rischio relativo: 6­15)
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Radiazioni attiniche (solari) predispongono al cancro del labbro.
Lichen Oral Planus È una patologia molto diffusa di origine autoimmune (reazione lichenoide cellulo­mediata) contro le cellule dello strato basale dell'epitelio. La patologia conferisce un rischio cancerogeno aumentato. È riscontrata una associazione con l'epatite C nel'8­10% dei casi.
Patogenesi: L'alterazione antigenica delle cellule basali porta all'attivazione delle cellule T, che esita in una flogosi tissutale persistente fintanto che è presente il fattore scatenante. Morfologicamente è caratteristico l'infiltrato con predominanza di linfociti T al di sotto della membrana basale epiteliale. Clinica: Il lichen si può presentare con tutti e quattro tipi di lesioni elementari (erosione, ulcera, leucoplachia, eritroplachia). Le manifestazioni cliniche dipendono dall'aggressività della reazione lichenoide e possono essere: • Manifestazioni reticolari bianche: strie di Wickham • Manifestazioni rosse arofico­erosive: non c'è più turnover cellulare. (Va fatta diagnosi differenziale con le patologie vescicolo­bollose, che si ulcerano molto velocemente: segno di Nikolsky)
Inquadramento nosologico: In base alla prevalenza del meccanismo patogenetico si distinguono due tipi di lichen: • Lichen classico: prevalente la patogenesi autoimmune. È una forma cronica inguaribile. Il lichen classico è generalmente bilaterale e presenta quasi sempre le strie di Wickham. Istologicamente si presenta con infiltrato lichenoide a banda con interruzione della continuità della membrana basale, presenza di corpi di Civatte (corpiccioli rosa composti da epiteliociti anucleati). Il lichen classico si associa spesso a manifestazioni cutanee: papule rossastre pruriginose.
• Lesioni lichenoidi: prevalente azione dell'agente causale, queste lesioni regrediscono con la rimozione dell'agente iniziale. La reazione lichenoide si presenta di solito monolateralmente, le strie di Wickham sono rare, la membrana basale non viene interrotta, non sono presenti i corpi di Civatte e non ci sono manifestazioni cutanee. I possibili agenti causali sono:
◦ Amalgama
◦ Resine
◦ Metalli
◦ Dentifrici
◦ Collutori
◦ Farmaci: specie antiipertensivi
◦ Allergeni
La biopsia (come per qualsiasi lesione bianca) è il metodo per porre la diagnosi.
Rischio di trasformazione maligna:
Secondo alcuni autori, il rischio cancerogenetico non dipende tanto dal lichen stesso, quanto da anomalie primitive dell'epitelio e dalla presenza di infiltrato linfocitario, cioè attribuiscono i casi di lichen maligno ad errori diagnostici tra lichen e carcinoma iniziale (leucoplachia) con infiltrato linfocitario reattivo. Nonostante ciò il lichen attualmente viene considerato come malattia a rischio di carcinoma. I fattori predittivi di una trasformazione maligna sono:
• Lesioni atrofico­erosive (sembrano conferire un rischio maggiore, ma non è univoco)
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• Espressione di Ki­67 e p53
• Alterazioni grossolane del cariotipo.
Terapia: non esistono terapie valide, pertanto tende a cronicizzare
• Lichenoide: va trattato come la leucoplachia; il trattamento consiste nel cercare di rimuovere la causa scatenante, con cambio dei farmaci domiciliari, e patch test alla ricerca di eventuali allergeni.
• Lichen classico: se sintomatico si usano i cortisonici. La diagnosi di lichen classico richiede un follow­up annuale con biopsia. Se il turnover epiteliale è aumentato ogni 6 mesi o addirittura ogni 3 mesi (anche per il lichenoide). Il riscontro di displasia porta all'asportazione della lesione.
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