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ANNO 2007
La Chiesa nell’antichità: età greco - romana
2° - REAZIONE DEL PAGANESIMO CONTRO LA CHIESA
Subito dopo la sua fondazione la Chiesa cristiana dovette affrontare una duplice sfida, la prima
proveniente dal suo interno, ossia come mantenere l’unità della dottrina senza ricorrere a metodi
coercitivi; la seconda come sopravvivere all’ostilità dell’opinione pubblica tanto a livello
popolare quanto a livello governativo.
Gli Atti di Pilato
Nonostante avesse condannato a morte Gesù, gli ebrei non furono molto
grati a Pilato e a forza di proteste riuscirono a farlo richiamare a Roma per essere processato
davanti al Senato. Il processo doveva esaminare la legalità delle decisioni del procuratore,
accusato di malversazioni e di abuso di potere. Alla fine Pilato fu assolto, ma la sua carriera finì
per sempre. Inoltre una tenace tradizione afferma che la moglie, Claudia Procula, che fa una
breve comparsa nei Vangeli, quando avvisa il marito di aver molto sofferto in sogno a causa
dell’uomo che gli ebrei vogliono far condannare, afferma che fosse divenuta cristiana. Pilato si
fece portare un catino d’acqua con cui si lavò le mani per significare che era innocente del
sangue di Cristo, anche se lo fece flagellare e condannare a morte per timore di conseguenze
personali. Sembra che in seguito Pilato sia stato esiliato in Gallia e che per ordine di Nerone
abbia eseguito la condanna a morte della moglie. Gli Atti di Pilato furono sottoposti a Tiberio
per la conferma. Tiberio e il Senato si trovavano in forte opposizione tra loro, al punto che
Tiberio negli ultimi anni di vita visse a Capri per timore di venir assassinato. Poiché il Senato
aveva decretato la condanna del cristianesimo (non licet esse christianos), Tiberio in modo
assolutamente coerente al principio di governo romano divide et impera, che significava
favorire la presenza di un partito in più tra gli ebrei, che perciò avrebbero mancato di unità di
azione, stabilì come legge imperiale che i cristiani non dovevano essere molestati per il solo
fatto di essere cristiani: occorreva l’accusa ben motivata di due testimoni che li accusassero di
reati comuni. La legislazione imperiale per tre secoli giustificò le persecuzioni giocando tra
questi due termini: i cristiani non devono esistere da una parte; i cristiani tali solo per fama non
devono essere denunciati, dall’altra. Tertulliano, verso il 190, poteva fare l’ironica
considerazione che era ben strana la colpa dei cristiani perché, se negavano davanti al giudice di
essere cristiani, bruciando agli idoli qualche grano d’incenso, erano subito liberati, ma che per
legge non si sarebbe dovuto denunciarli.
La persecuzione di Nerone
La fama di Nerone è sempre stata pessima, ma non era
semplicemente pazzo, perché a modo suo mirava a difendere i ceti inferiori dal crescente potere
dei grandi poteri finanziari. Assumeva perciò le apparenze sguaiate del teppista imperiale che
cantava nel circo cercando gli applausi della folla, facendosi beffa della gravità dei senatori
scandalizzati da tanto ostentato populismo. Nel luglio del 64 un furioso incendio distrusse
quattro quinti di Roma. Sembra che Nerone abbia diretto con intelligenza le operazioni di
soccorso, tuttavia i suoi avversari lo accusarono di aver fatto appiccare il fuoco per poter
rievocare col canto l’incendio di Troia. La persecuzione di Nerone fu decisa per dare una
soddisfazione al malumore popolare che accusava i cristiani di riti cruenti (l’Eucaristia non era
semplice pane), di incesto (i cristiani si dicevano fratelli, ma si sposavano tra loro), di ateismo
(gli dèi per loro erano nulla come pure i simulacri che li rappresentavano). Le autorità erano
perfettamente informate di ciò che avveniva nelle riunioni dei cristiani, perché avevano un buon
servizio di polizia e informatori sagaci, ma politicamente era una specie di parafulmine scaricare
le tensioni politiche su un capro espiatorio che non poteva reagire. L’incendio di Roma fu
addebitato ai cristiani e in un giorno di ottobre del 64, nel circo di Gaio e Nerone, una pista per
le corse delle quadrighe che al centro aveva l’obelisco collocato ora al centro della Piazza
antistante alla basilica del Vaticano, Pietro e alcune centinaia di cristiani furono crocifissi o
bruciati dopo esser stati cosparsi di pece. Il corpo di Pietro fu inumato nel cimitero del
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Vaticano, proprio nel luogo dove in seguito sarà innalzata la basilica. Non risulta che siano stati
martirizzati ebrei nel corso di questa persecuzione e ciò significa che le autorità erano in grado
di distinguere gli ebrei cristiani come Pietro dagli ebrei non convertiti. Per di più, Svetonio
afferma che Poppea, la moglie di Nerone, era “giudaizzante”, ossia favorevole agli ebrei che
pagavano una tassa (il fiscus judaicus) che li esentava da qualunque omaggio verso le divinità
pagane.
Il martirio di Paolo Del tutto indipendente fu la condanna a morte di Paolo. Egli fu arrestato
a Gerusalemme, scampando a stento al linciaggio nell’anno 58. Rimase in carcere preventivo
due anni sotto il procuratore Felice. Il successore Festo non lo mise in libertà probabilmente per
estorcere denaro, ma Paolo si appellò al tribunale d’appello davanti all’imperatore. Arrivò a
Roma dopo il naufragio di Malta e rimase agli arresti domiciliari per circa due anni nel corso dei
quale poté avere contatti sia con ebrei sia con cristiani, profondendo i tesori della sua dottrina.
Verso l’anno 62 fu assolto e tornò libero. Forse Paolo si recò in Spagna e poi a Efeso dove fu
arrestato una seconda volta, non sappiamo secondo quali capi di imputazione. Il processo fu
celebrato a Roma e terminò con la condanna a morte, eseguita nel corso dell’anno 67 in una
località lungo la via Ostiense, certamente nei pressi dove ora sorge la basilica di San Paolo. La
Chiesa di Roma si considerò sempre sotto la protezione dei due apostoli scelti come patroni
principali, scegliendo come dies natalis per festeggiarli il 29 giugno, una data che forse ricorda
la traslazione dei loro resti.
La persecuzione di Domiziano
Al tempo dei papi Pietro, Lino, Cleto e Clemente la Chiesa
di Roma si era organizzata in piccoli gruppi omogenei che si riunivano in chiese domestiche,
ossia case private che avessero un poco di spazio. Dalla testimonianza di san Paolo veniamo a
sapere che anche nella casa di Cesare c’erano cristiani, probabilmente alcuni liberti esperti in
contabilità. Al tempo di Domiziano, un altro imperatore inviso al Senato, veniamo a sapere che
erano cristiani il cugino Tito Flavio Clemente e la moglie Domitilla. Costoro avevano sette figli
e i primi due, educati dal famoso retore Quintiliano, erano destinati a succedere all’imperatore.
Flavio Clemente era console designato per il 96. Domitilla aveva ceduto ai cristiani i terreni
dove furono scavate le catacombe che ancora recano il suo nome. Improvvisamente esplose la
persecuzione con decapitazione di Flavio Clemente e di Acilio Glabrione per accusa di ateismo
che in genere nascondeva l’accusa di cristianesimo. Domitilla fu esiliata nell’isola di Pantelleria.
Nel 96 anche Domiziano fu assassinato e il successore, il senatore Nerva, fece cessare la
persecuzione.
Il carteggio tra Plinio e Traiano Plinio il Giovane, governatore della provincia di Bitinia e
Ponto affacciata sul Mar di Marmara in Asia Minore, scrisse verso il 112 una lettera
all’imperatore Traiano per chiedere istruzioni circa il trattamento da riservare ai cristiani.
Certamente esagerando, affermò che i templi della sua provincia erano disertati e che il numero
di cristiani era elevato. Se si dovesse perseguirli d’ufficio, si dovrebbe compiere una strage. Il
rescritto inviato come risposta dalla cancelleria di Traiano conferma la legislazione precedente: i
cristiani tali solo per fama non devono essere perseguiti; nel caso di denunce di due testimoni, il
governatore dovrà procedere contro i denunciati. Se costoro accettano di ripudiare il
cristianesimo compiendo qualche atto di abiura, vanno dimessi. Se al contrario, insistono nella
loro vana religione si deve procedere col rigore della legge. Nel frattempo la percentuale dei
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cristiani provenienti dal giudaismo era molto diminuita per cui non era possibile confondere
cristiani ed ebrei. Questi ultimi, dopo il concilio, celebrato dagli ebrei nell’82 nella città di
Iamnia, nella Palestina meridionale, avevano deciso escludere gli ebrei cristiani dalla possibilità
di frequentare le sinagoghe che, come è noto, erano un centro importante per lo scambio di
informazioni molto utili sul piano commerciale.
Gli apologeti
Come è logico, accanto ai martiri ci furono anche quei cristiani che non
riuscirono ad affrontare il tormento del martirio e che una volta liberati trascorrevano la vita
nella tristezza. Dal punto di vista pastorale era estremamente importante cercare di far chiarezza
sul cristianesimo, confutando le accuse più gravi. Nel II secolo sono abbastanza numerose le
apologie scritte da intellettuali cristiani che cercavano di rispondere ai pagani. Tra le più famose
ci sono le apologie di Aristide, di Quadrato, di Giustino e soprattutto di Tertulliano. Giustino
indirizza i suoi scritti agli imperatori Antonino Pio e Marco Aurelio. Pur di farsi capire,
impiegando il termine improprio di filosofia attribuito al cristianesimo, riferisce in che cosa
consiste la vita di un cristiano e quali sono i principi che lo regolano, del tutto compatibili con le
leggi dello Stato. La legislazione imperiale tuttavia non fu modificata. Di fatto c’erano anche
lunghi periodi di tranquillità per i cristiani, ma da un momento all’altro tutto poteva precipitare.
Un imperatore filosofo come Marco Aurelio, che pure aveva ricevuto numerose prove di
lealismo politico da parte di cristiani presenti nell’esercito, nel 177 permise persecuzioni feroci
come quella che si abbatté su Potino, vescovo di Lione, e su un buon numero di cristiani di
quella comunità, accusati da un governatore
fanatico. I tempi erano tristi, lo spopolamento dell’Impero era un dato noto a tutti anche a causa
di alcune pestilenze che avevano fatto strage di vite umane. Sotto l’impero di Commodo, figlio
e successore di Marco Aurelio, si giunge all’assurdo che Marcia, favorita dell’imperatore, può
ottenere la salvezza di alcuni cristiani condannati ai lavori forzati tra cui c’è un futuro papa,
Callisto, mentre si arriva alla condanna a morte dell’influente senatore, Apollonio. Chiaramente
le persecuzioni tendono a divenire selettive, ossia colpire i capi delle comunità cristiane e le
persone di prestigio.
La dinastia dei Severi
Commodo fu ucciso alla fine del 192 e dopo una guerra civile fu
nominato imperatore Settimio Severo, un africano di Leptis Magna. La moglie era siriana, di
Emesa. Il programma di questo imperatore e dei successori era di accogliere tutte le richieste dei
soldati, ormai divenuti l’unico presidio dell’Impero, lasciando cadere l’aristocratico disprezzo
verso i cristiani, tipico degli imperatori del II secolo da Traiano a Marco Aurelio. Di fatto, fino
al 235, quando fu ucciso l’imperatore Severo Alessandro, i cristiani subirono rare persecuzioni.
Il citato imperatore aveva un larario (altare privato) che comprendeva Mosé, Cristo e Apollonio
di Tiana un famoso guaritore del I secolo che doveva competere con Cristo per i miracoli
compiuti. Ad Alessandria d’Egitto esisteva una scuola catechetica di notevole importanza posta
sotto la guida di un giovane e geniale teologo, Origene. Questi fu interpellato dalla madre
dell’imperatore che evidentemente sperava di attuare una specie di sincretismo. Tra il 244 e il
249 divenne imperatore Filippo l’Arabo, definito da alcune fonti come cristiano. Nel 247
quando fu celebrato il millenario di Roma, furono coniate monete con la leggenda Roma
aeterna, che poteva andare bene per pagani e cristiani. La persecuzione riprese, pericolosa, al
tempo dell’imperatore Decio, il successore di Filippo l’Arabo: a Roma e in qualche altro centro
importante i cittadini furono obbligati a praticare un atto di omaggio nei confronti degli dèi per
ricevere un documento che attestasse il loro paganesimo attivo (turificati, libellatici). Alcuni
cristiani erano disposti a pagare per avere un certificato falso, ma le autorità religiose esclusero
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che quel procedimento fosse lecito. La persecuzione continuò sotto l’imperatore Valeriano, ma
il figlio Gallieno la interruppe e fece restituire le proprietà confiscate. Alcuni considerano
questo atto come il primo riconoscimento imperiale all’esistenza del cristianesimo.
La persecuzione di Diocleziano Alla fine del III secolo i soldati elessero imperatore un rude
soldato illirico di Spalato che attuò alcune riforme radicali, per esempio il meccanismo per la
nomina dell’imperatore. Nei confronti dei cristiani compì lo sforzo massimo per distruggerli,
ordinando la prima persecuzione estesa su tutto l’impero nel 303: furono sequestrati i libri sacri,
furono distrutte alcune grandi chiese, furono martirizzati numerosi cristiani, fu persino decimata
e sciolta una legione composta quasi esclusivamente di cristiani. Non è facile dire il numero dei
martiri, ma da alcuni calcoli furono almeno ventimila, secondo altri molti di più. Due anni dopo
l’imperatore si ritirò a vita privata e la persecuzione fu sospesa. Da York in Inghilterra partì un
esercito guidato da Costantino che conquistò Gallia e Italia, sconfiggendo al Ponte Milvio
l’esercito di Massenzio. Secondo Eusebio di Cesarea, amico di Costantino e primo storico della
Chiesa, la notte prima del combattimento Costantino avrebbe avuto una visione che gli
assicurava la vittoria (in hoc signo vinces): sugli scudi dei soldati fu tracciato il monogramma di
Cristo. In oriente la persecuzione continuò per qualche anno ma infine anche là il cristianesimo
fu accettato come religione ammessa dalle leggi.
Editto di Milano
Costantino rimase poco tempo a Roma, una città in cui il paganesimo
aveva radici tenaci, preferendo Milano, nuova capitale della parte occidentale dell’Impero,
molto più vicina ai confini “caldi” del Reno e del Danubio. Da Milano fu diramata una lettera
che ordinava la restituzione dei beni confiscati ai cristiani. Costantino rimase fuori della Chiesa
fino a una settimana prima della morte, ma favorì in ogni modo i cristiani per averli dalla sua
parte nella difesa dell’impero. Ordinò che la giornata festiva fosse la domenica, fece edificare a
spese del fisco le grandi basiliche di Roma e di Gerusalemme, fece esentare i vescovi dal
pagamento delle tasse, ma evidentemente esigeva dalla Chiesa una controparte politica.
Il concilio di Nicea
Per esemplificare come Costantino intendesse la funzione della
Chiesa, si può citare il suo intervento nella questione dell’eresia ariana. Ad Alessandria il
presbitero Ario aveva dato inizio a una predicazione in cui si negava che Cristo fosse vero
Dio oltre che vero uomo. Quando il vescovo Alessandro riunì i vescovi dell’Egitto, costoro,
a maggioranza schiacciante, asserirono che quello non era l’insegnamento ricevuto, e perciò
scomunicarono Ario e alcuni dei suoi sostenitori. Ario trovò sostegno nei vescovi
dell’oriente, ma a questo punto intervenne Costantino nel timore che la disunione tra le
Chiese risvegliasse il nazionalismo egiziano e siriano a danno dell’unità dell’impero. Perciò
fece convocare il concilio di Nicea nel maggio del 325 perché fosse presa una decisione che
ristabilisse l’unità nella Chiesa.
Allegato I:
LA TOMBA DI PIETRO
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