alla scoperta delle aziende eccellenti

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ALLA SCOPERTA
DELLE AZIENDE ECCELLENTI
che il mondo ci invidia
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ALLA SCOPERTA
DELLE AZIENDE ECCELLENTI
che il mondo ci invidia
Articoli tratti
da Sette Corriere della Sera
Progetto grafico a cura della:
Redazione grafica di Sette
Realizzazione editoriale:
Andrea Milanesi
Finito di stampare nel mese
di Novembre 2013
Stampato in Italia
presso Errestampa srl
Via Portico, 27- 24050
Orio al Serio (BG)
Testi e immagini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Alla scoperta
delle aziende eccellenti
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o
7 - Storie di ordinaria eccellenza - di Federico Golla
11 - L’Italia che sarà: in viaggio verso il nostro futuro - di Andrea Milanesi
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LUNGO IL FILO
CHE COLLEGA
IL PASSATO AL FUTURO
35
LABORATORI
AD ALTA VOCAZIONE
TECNOLOGICA
65
IL PONTE DEI RECORD
CHE ATTRAVERSA
LO STRETTO
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ALLA GUIDA
DELLA MOBILITÀ
GREEN DEL DOMANI
49
I MILLE SEGRETI
DEL CIOCCOLATO
BUONO E PERFETTO
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STORIE
DI ORDINARIA
ECCELLENZA
Q
uale importante realtà locale di una grande multinazionale presente
in oltre 190 Paesi, sentiamo da anni, e progressivamente in modo sempre più forte, il
tema della competitività dei territori.
Posizionati stabilmente nelle top ten countries del nostro gruppo – ancora oggi per
l’esattezza in settima posizione di questo speciale ranking globale – non ci riconosciamo
nei ritratti a tinte fosche che vengono a volte dipinti all’interno e all’esterno dei nostri
confini. E tantomeno riconosciamo i ritratti di molte aziende che in molteplici campi
applicativi operano giorno per giorno al nostro fianco: veri campioni di eccellenza che
meriterebbero di veder pubblicamente riconosciuta, in modo ancor più esplicito e condiviso, la propria leadership.
Per rendere giustizia a queste eccellenze e contribuire ad accendere, o comunque a tenere ben alzati, i riflettori sui loro progetti d’avanguardia abbiamo avviato un percorso
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FEDERICO
GOLLA
Torinese,
classe 1955,
è in Siemens
dal 1981; dal
2009 ricopre
il ruolo di
amministratore
delegato di
Siemens Italia.
ambizioso, che abbiamo condiviso con RCS Corriere della Sera SETTE.
Con loro abbiamo attraversato la penisola, per raccontare storie uniche, fatte di
lunga tradizione industriale, come anche di continua innovazione tecnologica e
competenze tecniche e ingegneristiche distintive, in svariati ambiti in definitiva di risaputa primazia italiana: da quello energetico a quello manifatturiero, dall’alimentare al
bio-medicale. Ma così facendo abbiamo anche testimoniato di vicende umane, dove la
passione e l’intuito hanno in alcuni casi contribuito a superare il sottile limite tra resa
e successo a fronte di quei momenti cruciali che talvolta si presentano nella vita di una
realtà imprenditoriale o di un’esperienza manageriale. Assistendo pertanto a una perfetta combinazione tra i tre principi che da sempre segnano la rotta del nostro Gruppo:
ovvero proprio Eccellenza, Innovazione e Responsabilità.
È emerso in questo modo un quadro tanto nitido e realista, quanto per certi versi potenzialmente inatteso, contraddistinto da realtà uniche in termini di risultati dell’attuale
gestione ma anche e soprattutto in termini di lungimiranti visione e ricerca. Realtà con
i piedi ben piantati nel suolo italico, ma con la testa e con le operation diffuse anche
oltre-confine, dove clienti ed estimatori di molti continenti non fanno che rafforzare il
nostro orgoglio di essere cittadini italiani, oltre che – come Siemens – di rappresentare partner di primo piano, in grado di fornire contributi decisivi condividendo queste
esperienze di successo.
Tale orgoglio, personale e professionale, non può certamente concludersi con questa
ricognizione di casi virtuosi. Per questo l’atto in qualche modo conclusivo del nostro
percorso, questo prezioso book di realtà “che il mondo ci invidia”, contiene già in sé
i nuovi germogli per lo sviluppo futuro, con uno sguardo ai prossimi anni e a come il
nostro Paese potrebbe evolvere. Non rinnegando le sue vocazioni ma anzi valorizzandole proprio nel solco di una crescente interrelazione con altre culture ed economie che
spesso continuano a guardarci con stima e ammirazione.
Federico Golla
amministratore delegato Siemens Italia
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L’ITALIA CHE SARÀ:
IN VIAGGIO VERSO
IL NOSTRO FUTURO
Le coordinate principali lungo
le quali si delineerà lo scenario
del nostro Paese da qui a trent’anni
di Andrea Milanesi
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I
n che Paese (e in che mondo) vivranno gli italiani nel 2043? Quali saranno gli
orizzonti demografici, economici e produttivi che caratterizzeranno la vita della
nostra penisola? Trent’anni sono un arco di tempo ragionevole per prefigurare
strategie e scenari prossimi venturi, ma richiedono una certa dose di fantasia,
immaginazione e soprattutto la capacità di leggere la realtà per anticipare il futuro, addentrandosi tra le pagine della storia contemporanea e delle cronache
del passato – magari anche quelle non scritte o semplicemente abbozzate – per
ipotizzare dinamiche di mercato, innovazione di prodotti e servizi, flussi di idee
e punti di forza che, fra tradizione e cambiamento, ricerca, sviluppo e creatività,
tracceranno le linee guida per l’avvenire del nostro Paese.
In questa prospettiva si colloca la ricerca “Italia +30” effettuata da Istituto Piepoli con l’obiettivo di delineare il posizionamento dell’Italia nel mondo fra tre decenni, cioè nel 2043. Ma
anziché avvalersi di una sfera di cristallo, lo studio ha utilizzato una lente progressiva tri-focale, per mettere in rapporto tra loro tre differenti scenari, che a livello mondiale, europeo
e infine italiano permettano di tracciare le linee di tendenza di sviluppo del nostro pianeta
da qui a trent’anni.
I diversi contesti sono stati esplorati sulla base di una serie di documenti “ufficiosi” o ufficiali (a cominciare dal rapporto Istat 2012) e di un sondaggio condotto su 124 leader di
opinione – tra imprenditori, manager, professionisti, docenti universitari, giornalisti e così
via – che hanno risposto a un questionario dettagliato mirato a verificare la probabilità di
accadimento di alcuni eventi o situazioni.
UNA CRESCITA GLOBALE. Il mondo di oggi è molto più complesso di quanto le previsioni lasciassero intravedere venti o trenta anni fa e i cambiamenti nella nostra società
avvengono a una velocità sempre maggiore; basti pensare alla rivoluzione digitale che, a
partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, tra reti internet e comunicazioni mobile ha
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Il grande riequilibrio La composizione del PIL mondiale (dal 2010 al 2050: simulazione)
6%
4%
Giappone
Australia
e Nuova
Zelanda
19%
2%
Africa
27%
1%
Asia PVS
2010
4%
Centro-Est
Europa
Europa
Occidentale
4%
22%
4%
9%
Nord
America
Medio
Oriente
America
Latina
D’ARCO
Commonwealth
e Stati
Indipendenti
1%
12%
Giappone
Africa
Australia
e Nuova Zelanda
7%
Europa
Occidentale
2050
11%
49%
Asia PVS
A
Nord America
5%
Medio
Oriente
8%
America
Latina
3%
3%
C
Commonwealth
lh
e Stati Indipendenti
2%
Centro-Est
Europa
Fonte: Citigroup
radicalmente cambiato la nostra vita quotidiana.
Pur tenendo conto della severa recessione iniziata nel 2008, per il trentennio 2000-2030 è
prevista una crescita mondiale a un tasso medio annuo del 3,5%; il Pil reale a livello globale
passerebbe da 62 trilioni di dollari a 143 trilioni di dollari (per arrivare intorno ai 170 trilioni
di dollari nel 2043). In uno scenario generale di grande (ri)equilibrio verrà anche definitivamente sancito il compimento del ritorno di vecchi protagonisti della scena economica
mondiale (soprattutto sul versante asiatico, India e Cina in testa); l’aumento della ricchezza
prodotta, degli investimenti e dei consumi individuali nei Paesi oggi considerati “emergenti” potrà rappresentare il nuovo volano di crescita a livello planetario, coinvolgendo anche
le nazioni oggi identificate come “sviluppate”, ma eserciterà effetti determinanti anche sulle dinamiche demografiche, comportando l’affievolimento dei flussi di popolazione immigrata negli Stati ad alto reddito.
A livello di scenari europei, è verosimile prevedere un processo più o meno marcato di
rilocalizzazione delle attività industriali (dopo che negli ultimi decenni si è registrata una
tendenza apparentemente inarrestabile alla delocalizzazione verso Paesi terzi); è comunque lecito pensare che le filiere produttive transazionali non si spezzino ma si riducano
e che l’integrazione economica prosegua, concentrandosi però su base prevalentemente
regionale, in questo caso infraeuropea.
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SPESE IN RICERCA E SVILUPPO, % DEL PIL NOMINALE
4,5
Svezia
4
Giappone
3,5
Usa
3
2,5
Germania
2
Francia
1,5
Italia
1
Inghilterra
Spagna
0,5
0
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
9 2
2010
01
10
Fonte: Flash Economics 2012
D’ARCO
L’ipotesi di una sorta di globalizzazione “ben temperata” si collega alla convinzione che tra
trent’anni l’Unione Europea proseguirà nel processo d’integrazione economico-finanziaria,
promuovendo il mantenimento del mercato unico, la creazione dell’unione bancaria (con
diritto-dovere di sorveglianza sulle banche europee) e la creazione di un fondo di garanzia
interbancario, ma mantenendo inalterata l’autonomia politica e istituzionale a livello dei
singoli Stati.
COSE DI CASA NOSTRA. Tra crescita, nuovi equilibri e continui assestamenti, gli scenari
demografici ed economici italiani da qui al 2043 saranno verosimilmente caratterizzati da
cambiamenti rilevanti, nel segno comunque di una sostanziale continuità con i trend del
passato. Nei prossimi anni la popolazione aumenterà progressivamente fino a raggiungere il
suo picco massimo intorno al 2040 (quasi 64 milioni di persone), per poi entrare in una fase
dinamica discendente, determinata dalla concomitanza di diversi fattori, tra cui l’incremento generale del tasso di natività (oggi il più basso nell’intera Europa) e la variazione del saldo
emigrati-immigrati (sostanzialmente negativo nel 2020 e in pareggio nel lungo termine).
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Rispetto alla situazione attuale, fra trent’anni l’economia italiana vedrà una crescita consistente in termini di prodotto interno lordo; dopo il 2018 – anno in cui verrà finalmente superato il Pil del 2007 – è possibile formulare l’ipotesi di un incremento medio annuo del 2%,
arrivando a incorporare gli arretramenti temporanei legati a episodi recessivi precedenti.
Elemento trainante anche per le future insegne del marchio “Made in Italy”, secondo la
netta maggioranza (73%) degli opinion leader intervistati dalla ricerca Piepoli nei prossimi tre decenni il settore manifatturiero tricolore conquisterà nuovi ambiti e competenze.
Si tratterà di un comparto sostanzialmente rinnovato, in accordo coi nuovi paradigmi
dell’economia della trasformazione, dove l’uso di materie prime verrà affiancato, e in
parte sostituito, dalla pratica del riutilizzo e del riciclo, dove si rafforzeranno processi
produttivi orientati verso l’impiego di una tecnologia di alto profilo specialistico, che
non rappresenterà più un effetto del progresso bensì il motore dello stesso; l’affermarsi
di nanotecnologie, biotecnologie e di nuovi materiali avanzati porterà all’aumento delle
D’ARCO
PREVISIONI DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE
Anni 2015-2065, dati in migliaia
63.750
63.889
63.846
63.546
63.483
62.964
63.081
62.497
61.169
61.637
61.305
Fonte: ISTAT, Italia in cifre 2012
2015
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2020
2025
2030
2035
2040
2045
2050
2055
2060
2065
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interazioni con i distretti produttivi tradizionali e alla nascita di importanti cambiamenti
nelle stesse dinamiche produttive.
Nella “nuova manifattura” si assisterà dunque alla progressiva compenetrazione tra il comparto dell’industria e quello dei servizi, che dovrà far fronte alle richieste di un mercato
fortemente incentrato sui prodotti unici – tailor made – realizzati su ordinazione e caratterizzati da un elevato livello di personalizzazione; un ambito in cui avranno sempre minor
peso i beni “usa e getta”, mentre cresceranno i prodotti durevoli in cui la componente di
servizio (customer care, manutenzione, sostituzione parziale, adeguamento tecnologico,
smaltimento fine-vita) sarà preponderante, non avrà più caratteristiche di optional ma sarà
strutturale, e quindi integrata nell’offerta del prodotto stesso.
LA RICONFERMA DELLE ECCELLENZE TRICOLORI. È realistico ipotizzare che, nel periodo considerato, i tradizionali punti di forza del settore manifatturiero italiano manterranno una posizione di leadership nella produzione di macchine strumentali come quelle
presenti nei processi produttivi industriali, in primis le macchine utensili, ma anche quelle
realizzate per la lavorazione della gomma, della plastica e del legno, quelle destinate al
comparto tessile, dell’abbigliamento e così via.
Secondo il parere espresso dall’80% dei leader di opinione della ricerca Piepoli, fra trent’anni la nostra penisola vedrà fiorire un’agricoltura ricca e innovativa; l’agroalimentare risulta
infatti uno degli ambiti a maggiore potenziale di crescita e le tendenze di sviluppo dei prossimi decenni prevedono l’aumento delle dimensioni delle aziende insieme a una più stretta
integrazione con il comparto dell’industria di trasformazione. Dal punto di vista dell’offerta,
il settore si orienterà in modo sempre più marcato verso il fronte delle produzioni di qualità
(soprattutto nel campo del biologico), su scala ridotta ma con una forte propensione verso
l’esportazione, confermando l’evoluzione di orientamenti già in essere, dal momento che
l’Italia può vantare il maggior numero di prodotti alimentari di qualità in Europa: oltre 200
tra D.O.P. (Denominazione di Origine Protetta), I.G.P. (Indicazione Geografica Protetta) e
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Stato e sviluppo
Mobilità
Innovazione
Trasporti
Evasione
Legalità
Stato
Logistica
Ricerca
Sviluppoo
Evasione fiscale
Stato
Logistica, trasporti e mobilità
Ricerca e innovazione
Legalità e sicurezza
Formazione
Formazione
Stato
Stato
D’ARCO
S.T.G. (Specialità Tradizionale Garantita). Verrà ulteriormente riconfermata anche la positività delle performance legate a settori tradizionalmente trainanti come quelli della moda,
del lusso e soprattutto del turismo, elemento storicamente rilevante per l’economia del
nostro Paese, che nel 2010 era il primo in Europa per ricettività alberghiera (con 2,3 milioni
di posti letto, pari al 18,1% del totale della UE).
In generale il marchio “Made in Italy” continuerà dunque a godere di buona salute e non
vedrà minimamente scalfiti la sua potenza d’impatto e il suo fascino, soprattutto per quanto
riguarda quelle caratteristiche fondanti di innovazione, professionalità, know-how, forzalavoro e qualità che rappresentano il valore aggiunto con cui il nostro Paese si affaccia sulla
ribalta del mondo; e le testimonianze raccolte in questo libro ne rappresentano la voce più
viva e autentica.
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Eccellenze italiane A Scorzè, nell’entroterra veneziano
LUNGO IL FILO
CHE COLLEGA
IL PASSATO AL FUTURO
Storico laboratorio di prove di cortocircuito
Sveppi è diventato un centro di competenza
mondiale per test di scariche ad alta tensione
di Edoardo Vigna - foto di Enrico De Santis
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S
«
i. Può. Fareee!». Tralicci, enormi interruttori di alta tensione (così
si chiamano quella specie di colossali “bobine” di porcellana color
marrone), trasformatori di corrente. Sopra di loro, un cielo nero,
carico di lampi e pioggia. Non può non venire in mente il “dottor
Frankenstìn” cinematografico di Mel Brooks che invoca i fulmini
per dar vita alla sua “creatura”. Anche perché qui, alle porte di Scorzè, nella campagna
alle spalle di Mestre, vive, in effetti, un’eccellenza tecnologica della provincia italiana
profonda, che, in 60 anni, grazie alla capacità di domare le scariche ad alto voltaggio,
ha saputo trasformarsi e dar vita a nuove, sofisticate “creature” con cui puntare ai mercati globali – dall’India alla Cina –, sfruttando il fatto d’essere diventata parte di una
multinazionale (Siemens).
Sveppi, si chiama, acronimo che, per intero, più prosaico non potrebbe suonare: Stazione veneta per prove di potenza su interruttori. «Negli Anni 50 era della Sade, la
Società Adriatica di Distribuzione dell’Energia Elettrica», spiega Giuseppe Canonico,
ingegnere di 52 anni, una delle memorie storiche dell’impianto (ci lavora dal ’91) oltre
che attuale manager. «Questo fu il primo laboratorio italiano fisso di prove di corto
circuito, costruito accanto alla sottostazione (il ganglio periferico della rete, ndr) che
convogliava qui l’energia proveniente dalle centrali del Cadore, della valle del Piave (vi
arrivava anche quella dell’invaso del Vajont, ndr) e della costiera adriatica».
Il punto di partenza è che le apparecchiature elettriche vanno testate nelle diverse condizioni per verificarne le prestazioni. «Quella è la “sbarra” da cui riceviamo l’energia
dalla sottostazione di Terna qui accanto, per effettuare le prove», indica Canonico;
«quelli (indicando i cilindri marroni alti più di due metri, ndr) sono gli interruttori di
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DOMATORI DI SCARICHE
Gli ingegneri Giuseppe Canonico (manager del Laboratorio Sveppi) e Giacomo Cordioli (consulente
esterno), in un momento di controllato e sicuro relax; il Laboratorio di prova di Scorzè vanta sessant’anni
di storia e una lunga esperienza per quanto riguarda i test delle soluzioni di monitoraggio e diagnostica
per gli apparecchi negli impianti di trasmissione e distribuzione.
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PREPARAZIONE
DEL CIRCUITO
PER PROVE
Tecnico del Laboratorio
all’opera nella preparazione
di un circuito
per prove di verifica
alla sollecitazione
elettrodinamica
di un sezionatore
di alta tensione.
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alta tensione che usiamo per aprire e chiudere il circuito per il test, che dura da 100
millisecondi a 3 secondi; quella specie di “palombaro” è invece un trasformatore di
corrente; accanto c’è poi il trasformatore di tensione. Là in fondo, un divisore di tensione (una sfera metallica in cima a un palo che somiglia molto a una strobosfera, la
“palla” da discoteca Anni 70, ndr)».
Inutile entrare nel dettaglio tecnico: si tratta di tutte quelle apparecchiature che si trovano nelle sottostazioni elettriche, le cabine della rete, dagli snodi più grandi (mondo
Terna) a quelli più vicini alle case e alle aziende (per semplificare, mondo Enel). Sveppi
verifica che gli oggetti in prova funzionino sotto ogni sollecitazione. Se ne può fare una
ogni qualche minuto, a seconda della potenza (più è forte, più gli organi hanno poi
bisogno di raffreddarsi); significa che si possono accumulare una decina di prove in
un’ora, un paio di centinaia in una giornata.
Al cuore del laboratorio, tre grigi cilindri – alti un paio di metri – dall’aspetto innocuo e
un po’ datato. «Sono trasformatori monofase per prove di cortocircuito che hanno una
potenza enorme: 500 Mva l’uno», spiega Canonico, con rispetto e trasporto, come stesse parlando di un vecchio prozio. «Sono un pezzo di storia elettrotecnica italiana, furono installati alle origini di Sveppi». Funzionano ancora, nella loro assoluta semplicità:
servono per gestire l’aumento o la riduzione della tensione e sono, fatte le proporzioni,
del tutto simili ai trasformatori che muovevano i trenini – se qualcuno li ricorda, come
il sottoscritto –, un avvolgimento in rame immerso in 16mila chili d’olio minerale.
Poco è cambiato, in tal senso. Ma in questa storia, che affonda nella Storia dell’Italia,
moltissime sono state invece le metamorfosi. C’era, dapprima, un Paese uscito a pezzi
dalla Seconda guerra mondiale, tutto da rimettere in piedi, a partire dalla rete elettrica.
«Sade era proprietaria anche delle Officine Elettromeccaniche Galileo di Battaglia Terme, che dai sistemi bellici di puntamento, accanto alle apparecchiature meccaniche,
passarono a produrre anche quelle elettriche», aggiunge Canonico. Fu solo l’inizio di
un percorso. È affascinante il racconto che ne fa Giacomo Cordioli, ingegnere elettrotecnico di 62 anni, con un passato da “capo” di Sveppi (e di Canonico) e un presente da
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IMPIANTI E BANCHI
Impianti di alta tensione
del Laboratorio con
evidenza dei banchi di
condensatori.
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TEST E DIAGNOSTICA
Qui a destra, moduli
di diagnostica per
apparati
di media tensione.
Nella pagina accanto,
attrezzature di
Laboratorio
e particolare del sistema
di sincronizzazione per i
test di potenza con forti
correnti.
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REGOLAZIONE
DELLO SPINTEROMETRO
Regolazione da parte
di un tecnico
del Laboratorio del sistema
spinterometrico per le
verifiche intermedie
dell’impianto di generazione
delle fulminazioni
atmosferiche.
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consulente. «Nel ’73, dalla fusione delle Officine con l’azienda Magrini, nacque la Magrini Galileo, dove io sono entrato appena laureato, nel ’78. Nel 1984 acquisirono tutto
i francesi della Merlin Gerin; poi i laboratori finirono nell’orbita di Schneider Electric
e, nel 2001, della Va Tech (austriaca, ndr), a sua volta acquisita da Siemens».
La sfida della Casa madre. Passaggi non sempre indolori, che però il Laboratorio
Sveppi ha attraversato sempre seguendo la sua stella polare. «Nel 2007, prima che ci
acquisisse Siemens», ricordano insieme Canonico e Cordioli, «con la Magrini Galileo
di fatto non operativa, il laboratorio era chiuso. Un gruppo di persone (tra cui, ovviamente, loro due, ndr) ha fatto sì, quasi di soppiatto, che non fosse abbandonato a se
stesso e agli insulti del tempo. E dimostrasse che quelle competenze non potevano
sparire, ma, al contrario, avevano un mercato».
A cogliere il potenziale, una multinazionale tedesca: la Siemens. «La Casa madre ci ha
creduto», racconta Maurizio Messi, anche lui arrivato fin qui «passando dalla Magrini
e dalla Schneider», e ora a capo – alla sede di Milano – della Smart Grid Service Division di Siemens, che si occupa delle soluzioni intelligenti per le città, a cui il laboratorio fa riferimento. «Dal 2008 Sveppi è diventato un laboratorio di prove al servizio
di tutti i produttori di apparecchiature elettriche, ma, soprattutto, un polo che sta
sviluppando anche altre attività proprio a partire da queste competenze».
Nel cortile, sotto il cielo nero, si lavora intorno a un apparecchio a forma di arco lungo
una decina di metri appeso a due pali. Domani, a vedere il test, arriverà dalla Sicilia
il produttore, insieme con il cliente, che invece viene da Riyad. «È una “sospensione
a v”, un isolatore per linea elettrica aerea: ha una forma particolare, date le esigenze
delle reti dell’Arabia Saudita», spiega Canonico. Si simulerà quello che può avvenire
durante la caduta di un fulmine, per capire se una volta superato lo “shock” l’apparecchio tornerà a funzionare come si deve. «Somiglia a una esplosione prolungata nel
tempo».
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CORSI DI
SUCCESSO
Tecnico del
Laboratorio
equipaggiato per
il trattamento del
gas SF6 secondo
regolamento
CE 305/2008 e
DPR 43/ 2012,
oggetto di corsi
con notevole
partecipazione
presso il
Laboratorio.
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Centro di competenza mondiale. Fino a qualche anno fa, al laboratorio Sveppi
si testavano soprattutto interruttori di alta tensione (sempre quelli di porcellana
marrone). L’ingresso di Siemens l’ha portato sul mercato delle prove: così, gran
parte dei costruttori di apparecchiature elettriche – piccole e medie aziende venete, lombarde, toscane, marchigiane, siciliane – vengono a Scorzè a sottoporre a
esame i loro prodotti. «Oggi, poi, la tipologia di business che sta crescendo di più
è quella dei trasformatori di media tensione, usati per le connessioni del mondo
rinnovabile alla rete elettrica, a cominciare dal fotovoltaico», precisa Messi. «Anche se la grande novità è un’altra. Abbiamo sviluppato un prodotto che permette di
fare, in remoto, monitoraggio e diagnostica delle apparecchiature installate negli
impianti».
Semplificando, interruttori, scaricatori, trasformatori di potenza nelle cabine in
giro per l’Italia (e poi nel mondo) possono essere tenuti sotto controllo a distanza
grazie a un modulo (a vederlo sembra più che altro uno scatolotto) programmato
per valutare i dati che arrivano via internet dalle macchine: l’azienda fornitrice risparmia così di inviare squadre di tecnici per fare controlli routinari, e può evitare
gran parte dei fuori servizio non programmati, con le conseguenti penalizzazioni
economiche. Queste nuove applicazioni costano 5-10mila euro, laddove un trasformatore di potenza vale anche mezzo milione di euro. «Li stiamo proponendo in
India, alla Tata, in Australia, in Gran Bretagna. E così Sveppi è diventato centro di
competenza mondiale all’interno di Siemens, in questo campo».
È il settore in cui Sveppi punta a crescere esponenzialmente: «Nei prossimi anni,
anche 5-10 volte rispetto ai ricavi di oggi, pari a 6-700 mila euro, che sono un terzo
dell’attività di prove del laboratorio». Il coinvolgimento di partner esterni, in Liguria e in Veneto, per questi progetti, oltre alle collaborazioni avviate con varie università per studi applicativi, completano il quadro. È proprio come diceva il dottor
Frankenstìn davanti alla scarica elettrica che dava vita alla creatura: anche qui, in
uno sperduto laboratorio storico della provincia profonda, «Si. Può. Fareee!».
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LA SCARICA
Scarica elettrica tra i terminali di alta tensione di
un polo di sezionatore sulla rete di alimentazione
del Laboratorio a 230 kV.
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Eccellenze italiane A Napoli, tra le vie del Centro Direzionale
LABORATORI
AD ALTA VOCAZIONE
TECNOLOGICA
Tra prestazioni record e apparecchiature
d’avanguardia, l’Istituto Sdn è un modello
di buona sanità da esportare nel mondo
di Andrea Milanesi - foto di Enrico De Santis
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S
«
ì, è vero, molti pazienti ci dicono che sembra di essere in Svizzera,
ma noi siamo molto orgogliosi del nostro marchio “Made in Italy”,
e per di più a Napoli». Si chiude così il nostro incontro con Maria
Antonia Di Palma, direttore sanitario dell’Sdn, l’Istituto di Ricerca
Diagnostica e Nucleare che ha la sua sede principale in una zona
ai limiti del Centro Direzionale, la downtown partenopea, a cinquanta metri dalla linea
metropolitana e a pochi minuti dalla stazione ferroviaria e dall’aeroporto. E in effetti, se
da una finestra non si vedesse il Vesuvio e dall’altra la collina del Vomero con il profilo
di Castel Sant’Elmo, sarebbe difficile pensare di trovarsi nel cuore di una città che generalmente si guadagna le prime pagine dei giornali per vicende di emergenza rifiuti
e malasanità.
Ma questa è una storia diversa ed è giusto partire dagli inizi, nei primi Anni Settanta,
quando la dottoressa Di Palma era appena nata e quando il professor Marco Salvatore
avviava un piccolo studio di diagnostica nucleare che già nel 1978 si guadagnava un record nazionale: essere il primo centro a trasferire le immagini di radiologia e medicina
nucleare dal formato analogico a quello digitale, utilizzando l’unico computer compatibile con le apparecchiature dell’epoca, in commercio solo negli Stati Uniti.
«Oggi il focus della nostra attività», spiega Di Palma, «è rappresentato dalla ricerca e
dalle prestazioni di diagnostica integrata in regime ambulatoriale, che integra la diagnostica “in vitro”, cioè la medicina di laboratorio (dosaggi ematici, esami delle urine,
tamponi e così via) e la diagnostica “in vivo”, che esegue le indagini direttamente sul
corpo del paziente attraverso esami di radiodiagnostica e medicina nucleare (Tac, Risonanza magnetica, ecografie, Pet, scintigrafie) o di diagnostica multimodale (Tac/Pet e
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AUTOMAZIONE AVANTI TUTTA
Uno dei laboratori di diagnostica in vitro
dell’Istituto Sdn, dove si svolgono esami di
medicina di laboratorio (come dosaggi ematici,
esami delle urine e tamponi).
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UOMINI E MACCHINE
Un tecnico al lavoro
durante un esame
svolto con lo strumento
più sofisticato in
dotazione all’Istituto:
il tomografo ibrido
Rm-Pet di Siemens,
che permette
di effettuare
contemporaneamente
scansioni di tomografia
a emissione di positroni
(Pet) e di risonanza
magnetica (Rm).
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Rm/Pet) tramite apparecchiature ibride di ultimissima generazione».
E su questa sintesi operativa si giocano i numeri dell’Istituto: «Ogni anno registriamo
una media di 200mila prestazioni di diagnostica per immagine e due milioni di prestazioni di laboratorio. Siamo il primo servizio di medicina di laboratorio in Campania e,
come spesso accade in questi casi, l’eccellenza richiama mobilità: il 35% dei pazienti di
medicina nucleare arriva infatti da ogni parte del Paese, soprattutto dall’Italia centrale
e meridionale, ma anche dalle regioni del Nord o dall’estero e di questo, inutile dirlo,
andiamo molto fieri...».
Primati europei. Nelle grandi strutture sanitarie il concetto di “centralità dell’utente”
è solitamente un principio filosofico molto vago, più virtuale che reale, ma nella vita
quotidiana dell’Istituto Sdn è diventato un obiettivo che si cerca di ottenere attraverso
una serie molto precisa di direttive e procedure. «Siamo aperti tutti i giorni dell’anno
(tranne Pasqua, Ferragosto e Natale)», continua la dottoressa Di Palma, «dalle cinque
del mattino all’una di notte, e intendiamo garantire tempestività e facilità di accesso a
qualsiasi tipo di prestazione, al punto che i tempi di attesa non superano mai le 48/72
ore, mentre i referti degli esami possono essere consultati direttamente sul nostro sito
web, inviati via fax ed email oppure spediti gratuitamente tramite corriere. Abbiamo
anche realizzato un sistema informativo che, oltre a collegare tra loro in tempo reale le
nostre sedi, crea un network sempre aggiornato tra i nostri medici diagnosti, i professionisti di medicina generale e gli specialisti sul territorio, di modo che uno scambio
reciproco di informazioni possa fornire il maggior numero possibile di elementi per
la valutazione del paziente che viene in tal modo seguito dalla fase di prenotazione a
quella di raccolta dei dati anamnestici (provenienti dalla viva voce del paziente o dei
suoi familiari, ndr), fino all’informazione che viene utilizzata dal medico curante».
Ed è proprio sul fronte della tecnologia applicata che l’Sdn continua a investire le proprie risorse anche in relazione alla sua attività di ricerca; equipaggiato con un parco
macchine di Radiologia Diagnostica e di Medicina Nucleare unico nel panorama italia-
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DONNE E
MACCHINE
La dottoressa Maria
Antonia Di Palma,
direttore sanitario
dell’Sdn (a destra),
con la dottoressa
Maria Restituta
Zeccolella, direttore
del Dipartimento
di Medicina di
Laboratorio.
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CENTRALITÀ
DEL PAZIENTE
Uno sportello
accettazione
dell’Sdn, sinonimo di
tempestività e facilità
di accesso; il centro
è aperto tutti i giorni
dell’anno (tranne
Pasqua, Ferragosto e
Natale), dalle cinque del
mattino all’una di notte.
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no (che include anche un’unità mobile Tac/Pet in grado di effettuare prestazioni presso
ospedali e case di cura sull’intero territorio nazionale), l’Istituto è infatti la prima struttura sanitaria – in Italia e nell’Europa dell’area mediterranea, fino a Belgio e Svizzera – ad
avere installato un tomografo ibrido Rm-Pet (il Biograph mMR di Siemens), macchina
altamente sofisticata che permette di effettuare contemporaneamente scansioni di tomografia a emissione di positroni (Pet) e di Risonanza magnetica (Rm).
Due esami in uno. «È sicuramente il fiore all’occhiello della nostra dotazione tecnologica», spiega il dottor Emanuele Nicolai, direttore del Dipartimento di Medicina
Nucleare dell’Istituto Sdn, «si tratta di un’unica apparecchiatura in grado di effettuare
l’acquisizione simultanea delle due metodiche e di combinarle in una sola immagine,
integrando le informazioni ottenute dalla risonanza magnetica (a elevatissimo dettaglio anatomico) e quelle provenienti dalla Pet (sulle alterazioni dei processi metabolici
associati alla malattia) unificandole in un unico momento diagnostico».
Realizzare contemporaneamente due esami fino a oggi eseguibili in due diversi momenti comporta non solo un evidente risparmio di tempo e di denaro, ma garantisce
pure una più precisa definizione della patologia e di conseguenza la possibilità di diagnosi precoce, come anche la valutazione dell’efficacia dei trattamenti a cui il paziente
viene sottoposto.
«Gli ambiti di applicazione di questo tipo di esame», prosegue la dottoressa Di Palma,
«sono quelli oncologico, neuro-degenerativo e cardiologico. Dal punto di vista clinico
è inoltre un valido strumento per personalizzare il più possibile la terapia, monitorarne
il decorso e avere maggiore certezza sul tipo di trattamento da eseguire; nel caso di una
lesione tumorale, per esempio, l’esame Pet/Rm indica la perfetta collocazione e l’aggressività di lesioni anche inferiori al millimetro».
Quote rosa al lavoro. Attualmente l’istituto napoletano è quello che esegue più esami
Pet/Rm al mondo (una media di 5 al giorno) e i risultati delle sue indagini rappresenta-
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NUMERI DA RECORD
Il dottor Gerardo Grossi, microbiologo, con la dottoressa Luisa Bruno al microscopio
in contrasto di fase; l’Istituto Sdn registra una media di 200mila prestazioni di
diagnostica per immagine e due milioni di prestazioni di laboratorio.
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LABORATORI FISSI
E NON
A sinistra, il dottor
Emanuele Nicolai
(direttore del
Dipartimento di
Medicina Nucleare
dell’Sdn) con l’unità
mobile utilizzata
per fare esami su
tutto il territorio
nazionale; a destra,
alcuni particolari
dei laboratori di
diagnostica in vitro.
no la materia prima per l’attività scientifica della Fondazione Sdn per la Ricerca e l’Alta
Formazione in Diagnostica Nucleare, primo e unico Irccs (Istituto di Ricovero e Cura a
Carattere Scientifico) italiano per la Diagnostica Integrata.
«La nostra è una realtà molto giovane e dinamica», conclude la dottoressa Di Palma,
«con circa 150 dipendenti e 80 collaboratori, per un’età media intorno ai 35 anni; nell’ultimo decennio il trend di assunzione è sempre in crescita e non fa distinzioni di sesso;
anzi, ci tengo a dire che la presenza femminile supera il 50% rispetto a quella maschile, e
non per quote rosa imposte, ma solo per quote di merito...». Nella Napoli ai confini con
la Svizzera può succedere anche questo.
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IL SEGRETO? LO SPIRITO DI SQUADRA
La dottoressa Maria Restituta Zeccolella con una parte del suo staff:
da sinistra, il dottor Nicola Balzano (biochimico clinico), il dottor Gianfranco
Di Fiore, il dottor Gennaro Costaiola e il dottor Giuseppe Labruna (genetista).
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Eccellenze italiane A Orsenigo, nel cuore della provincia comasca
I MILLE SEGRETI
DEL CIOCCOLATO
BUONO E PERFETTO
Dalle piante di cacao al prodotto finito,
la filiera e il successo del marchio Icam
tra pura passione e completa automazione
di Andrea Milanesi - foto di Enrico De Santis
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T
utto è iniziato ormai più di sessant’anni fa, quando Silvio Agostoni,
coraggioso e geniale imprenditore, fondatore di Icam, ha caricato in
macchina le prime tavolette prodotte nel suo stabilimento di Lecco e
si è fatto il giro del Lago di Como, consegnando “porta a porta” una
scatola in ogni drogheria o negozio di alimentari che incontrava per
strada... Oggi Icam esporta il “cibo degli dei” in ogni angolo del pianeta e conosce le ricette più antiche e segrete, le alchimie di percentuali e ingredienti, tutte le sfumature di gusto e di profumo in grado di creare un cioccolato di altissima qualità. Tutto diventa ancora più evidente quando si entra nel nuovo stabilimento
costruito alle porte di Orsenigo, dove ogni dettaglio racconta di una passione senza
fine, a partire dai listelli dei gradini della scala principale, ricavati dalle diverse essenze
delle piante provenienti dalle zone equatoriali dove si coltiva il cacao.
Il cioccolato Icam è però italiano fino all’ultima goccia ed è il frutto di un’arte che si
tramanda di generazione in generazione, come ci racconta l’ingegner Plinio Agostoni,
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BONTÀ D’AUTORE
Le tavolette Icam escono dalla linea di produzione e si avviano alle fasi
di incartamento e inscatolamento (sotto).
La collezione di cioccolatini Vanini, prodotti da Icam con ingredienti altamente
selezionati dalle origini più pregiate per i palati più raffinati (pagina accanto).
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UNA FILIERA
COMPLETA
L’ingegnere
Plinio Agostoni,
figlio di Silvio
(fondatore
dell’azienda) e
vicepresidente
Icam, ritratto
nel magazzino
del nuovo
stabilimento
di Orsenigo
(Como) con
sacchi da 70
chili di cacao.
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figlio di Silvio e oggi vicepresidente di un’azienda ufficialmente nata nel 1946, al termine della Seconda guerra mondiale, quando il cacao e gli altri ingredienti fondamentali per la sua lavorazione tornavano a essere reperibili sul mercato.
«La nostra storia è indissolubilmente legata ad alcune intuizioni chiave di mio padre,
che non considerava il cioccolato come un prodotto di élite, ma un alimento nobile e
di alta qualità: buono, puro e genuino, privo di surrogati o grassi aggiunti, che doveva
essere alla portata di tutti. Per la prima volta in Italia, ha deciso di mettere in piedi una
struttura in grado di gestire in modo completo e integrato l’intera filiera della produzione, dalla lavorazione delle fave di cacao fino al prodotto finito, utilizzando procedure e
macchinari altamente innovativi».
Questo è l’imprinting, e queste sono le linee-base che hanno guidato Icam lungo i
passaggi cruciali della sua esistenza, quando da laboratorio artigianale ha iniziato a
dotarsi di una struttura commerciale, prima nazionale e poi internazionale; perché,
come spesso accade alle firme dell’eccellenza made in Italy, la storia dell’evoluzione di
un’azienda di successo nasce dalla risposta ai cambiamenti della realtà circostante.
Ridefinire gli standard. «Con la scomparsa dei piccoli negozi al dettaglio e il sopravvento dei primi supermercati», continua Agostoni, «la nostra produzione ha cominciato a decollare anche dal punto di vista quantitativo, soprattutto a partire dagli Anni
80, quando si sono andate affermando le private label, i marchi privati delle insegne
della grande distribuzione. All’inizio siamo stati incaricati da Coop di portare sui suoi
scaffali un cioccolato di alta qualità a prezzi decisamente competitivi e a ruota abbiamo
UN MARE DI CIOCCOLATO
Al termine delle prime fasi di lavorazione, il cacao si presenta
come un liquido: la pasta (o liquore) di cacao.
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PRONTI PER LE
CONFEZIONI
Le tavolette
uscite dalla linea
di produzione
vengono
confezionate
secondo le
specifiche per i
diversi brand.
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FARE BUON
CIOCCOLATO NON
È UN LAVORO
SEMPLICE
Il complesso
impianto che
realizza in sequenza
tutte le fasi della
prima lavorazione
del cacao da cui alla
fine si ottiene la
pasta di cacao.
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lavorato anche per alcuni grandi brand industriali come Côte d’Or, Sperlari e Bauli,
mentre Lindt è sempre stato un acquirente storico del nostro burro di cacao».
Verso la fine degli Anni 90 si è inaugurato un nuovo capitolo che ha portato Icam a diventare un’azienda leader a livello mondiale nella produzione del cioccolato biologico
e a entrare da protagonista nel circuito del mercato equo-solidale (con tanto di certificazione Fairtrade). «Il nostro intento», riprende Agostoni, «era innanzitutto quello
di ridefinire il concetto di “cioccolato biologico”, attraverso la realizzazione di un prodotto che non perdesse in gusto quello che poteva guadagnare a livello di profilo etico:
un cioccolato che non fosse solo “buono” per l’equilibrio ecologico del pianeta, ma
innanzitutto eccellente per il palato. Anche per questo abbiamo reso strategica la politica di rapporto diretto con il territorio, con le maggiori cooperative di contadini che
lavorano le piantagioni di cacao in America Latina e Africa – a cui garantiamo l’acquisto
totale del raccolto a condizioni per loro vantaggiose – attraverso la presenza di personale Icam (o di società controllate), che collabora, controlla e assicura la qualità di
coltivazione e prime operazioni di raccolta e conservazione. In questi Paesi continuano
a nascere storie straordinarie di riqualificazione ed elevazione umana, sociale, economica e culturale di intere comunità».
Attualmente il 50% della produzione viene venduto alle industrie e ai grandi laboratori artigianali, mentre il rimanente viene trasformato in tavolette o praline, per metà
destinate alle etichette estere (fra cui i marchi Green&Black’s e Rapunzel) e per l’altra
metà a prodotti con marchio Icam, con un alto livello di specializzazione che arriva a
includere oltre 100 ricette di copertura fondente, 80 al latte, 25 di cioccolato bianco e 11
di gianduia, con più di 3.000 articoli tra convenzionali o biologici, proposti anche nelle
varianti senza-glutine e senza-zucchero.
Con numeri come questi nulla può essere evidentemente lasciato al caso; e proprio per
questo è nato il nuovissimo stabilimento di Orsenigo. «S’è trattato di una scelta per certi versi obbligata», riprende Agostoni. «Un investimento necessario per rimanere competitivi di fronte alle richieste sempre più diversificate – e con altissimi standard quali-
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“AUTOSTRADA”
DI TUBAZIONI
Le tubazioni che
convogliano i fluidi
necessari al processo
di produzione
(vapore, acqua calda,
acqua fredda, aria
compressa...).
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tativi – del mercato internazionale. Sin dalla fase di progettazione dell’infrastruttura
siamo stati affiancati da Siemens, che è stata in grado di assicurare la supervisione
completa di tutti gli impianti e delle singole macchine, sia sul fronte della distribuzione
elettrica che per il sistema di controllo integrato, garantendo la piena automatizzazione
e la completa tracciabilità, monitorando le efficienze produttive e quelle energetiche
lungo ogni fase dell’intera filiera: dall’arrivo e dallo stoccaggio delle materie prime fino
alla programmazione, alla pianificazione e alla realizzazione dell’intero processo».
Oggi, su un’area di 50.000 metri quadrati, Icam lavora 100 tonnellate di grani di cacao e
produce 120 tonnellate di cioccolato al giorno, il tutto monitorato grammo per grammo
e bit dopo bit, ma la componente umana continua a essere sempre decisiva, e non solo
per garantire il funzionamento di macchinari estremamente sofisticati. «In tutte le fasi
della produzione», conclude Agostoni, «il momento dell’assaggio ricopre ancora un
ruolo fondamentale; perché il cioccolato Icam deve essere straordinariamente buono,
non semplicemente perfetto...».
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SUPERVISIONE
E CONTROLLO
INTEGRATO
I display con
pagine sinottiche
dell’impianto
visualizzano
il funzionamento
del processo
industriale
attraverso i sistemi
di supervisione
Siemens (nella
pagina a sinistra).
Il cioccolato liquido
viene messo
nei serbatoi
(a fianco).
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Eccellenze italiane Tra Calabria e Sicilia, lungo tutta la Penisola
IL PONTE DEI RECORD
CHE ATTRAVERSA
LO STRETTO
Con un elettrodotto lungo 105 chilometri,
Terna collega e potenzia la rete tra le province
di Reggio Calabria e Messina
di Andrea Milanesi - foto di Enrico De Santis
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N
eppure Ulisse è riuscito a domare l’ira funesta di Scilla
e Cariddi, gli orribili mostri mitologici che terrorizzavano i marinai di passaggio per lo Stretto di Messina. Di
certo non gli mancavano né il coraggio né l’astuzia, ma
forse non aveva a disposizione i rilievi geo-morfologici,
gli studi ingegneristici e le dotazioni tecnologiche che oggi hanno permesso di realizzare
una delle opere infrastrutturali più monumentali, visionarie e innovative mai concepite in
ambito energetico.
Già, perché mentre le impetuose correnti che agitano il mondo politico non sono mai
riuscite a trovare un punto di accordo per un ponte sopra lo Stretto, il Gruppo Terna – primo gestore di rete indipendente in Europa e sesto nel mondo – sta realizzando un ponte
(elettrico) sotto lo Stretto di Messina, che unirà la Sicilia e la Calabria, collegando tra loro
le province di Messina e Reggio Calabria.
In corso di realizzazione, l’elettrodotto rappresenta sicuramente uno dei fiori all’occhiello
tra i progetti intrapresi da Terna, che oggi gestisce oltre 63.000 km di linee in alta tensione
su tutto il territorio nazionale. Fondata nel 1999, nel 2004 viene quotata a Piazza Affari e
l’anno successivo, con l’unificazione tra proprietà e gestione della rete di trasmissione,
nasce Terna Rete Elettrica Nazionale SpA; da quel momento i risultati della società guidata
da Flavio Cattaneo sono sempre stati in crescita fino a raggiungere, nel 2012, la cifra record
di 1.235 milioni di euro di investimenti.
Autostrada elettrica. «Una volta ultimato, il nuovo elettrodotto raggiungerà una
lunghezza complessiva di 105 chilometri», ci racconta Maria Rosaria Guarniere, inge-
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ALL’OPERA
Operai all’interno della galleria di Favazzina, il tunnel orizzontale di 3,2 metri
di diametro per cavi ad altissima tensione tra i più lunghi del mondo; sullo
sfondo il treno adibito ai rifornimenti per la TBM (Tunnel Boring Machine).
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LUNGOMARE
DI SCILLA
Veduta
dell’antico Borgo
di Chianalea del
Comune di Scilla,
in prossimità
dell’approdo
calabrese
del cavo
sottomarino.
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DENTRO LA
MONTAGNA
Il piazzale
del cantiere
antistante
l’imbocco
della galleria
a Favazzina.
Sulla sinistra
i due silos per
lo stoccaggio
del cemento,
con a fianco la
torre serbatoio
del nastro
di trasporto
del materiale
proveniente
dallo scavo.
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gnere elettrotecnico responsabile della Funzione Realizzazione della Direzione Ingegneria
di Terna Rete Italia. È lei che sovrintende a un enorme cantiere dislocato su più sedi che,
tra terraferma, mare e antri delle montagne, impiega mediamente ogni giorno 160 addetti
e una punta massima di 90 ditte: «Si tratta di un investimento totale che supera i tre miliardi di euro e di una sfida che riguarda un’area fortemente critica per fenomeni sismici e
per dissesti idro-geologici, sottoposta anche a precisi vincoli paesaggistici e ambientali,
ma che si prefigge di raggiungere obiettivi di primaria importanza; innanzitutto rafforzare
il collegamento elettrico tra la Sicilia e il continente attraverso una doppia terna di linee
(cioè da sei cavi, mentre attualmente è garantito da un solo cavo a 380 kV, ndr), una sorta
di autostrada elettrica a tre corsie, fondamentale non solo per mettere in sicurezza l’isola
ed evitare disservizi sempre più frequenti (dovuti all’età avanzata delle strutture esistenti
e a un considerevole aumento dei consumi), ma anche per abbassare il costo dell’energia
elettrica in Sicilia, con un risparmio complessivo stimato di oltre 600 milioni di euro
all’anno destinato ad alleggerire le bollette di tutti gli italiani».
Il ponte elettrico dello Stretto di Messina riveste una rilevanza decisiva anche in relazione
alla strategica collocazione geografica della nostra penisola, che rappresenta una corsia
preferenziale per il collegamento tra le reti del Nord-Africa e quelle dell’Europa centrale.
Il cantiere “multiplo” è partito nell’estate del 2011 e la chiusura è prevista entro la fine del
2015; fra tratte aeree, terrestri e marine, intervallate dalle quattro stazioni elettriche (pre-
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SCILLA
Nella pagina a
sinistra, veduta
del tratto della
costa Viola con
la spiaggia
di Favazzina
sullo sfondo.
LAVORI
SPECIALIZZATI
A fianco, primo
piano della
tramoggia
montata a
bordo della TBM
che alimenta
il nastro di
trasporto del
materiale
proveniente
dallo scavo.
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ALTA TENSIONE
A Scilla sorge
la struttura
in tecnologia
compatta
(blindata) più
grande d’Europa
nel suo genere.
In foto, la vista
dell’area esterna
della stazione
elettrica di
Scilla con le
apparecchiature
dell’alta
tensione.
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senti a Sorgente e Villafranca in Sicilia, a Scilla e Rizziconi in Calabria), l’elettrodotto vanta
già diversi record mondiali che sono ovviamente il vanto dell’ingegner Guarniere: «Abbiamo posato il più lungo cavo sottomarino a corrente alternata al mondo (38 chilometri, che
raggiunge i 370 metri sotto il livello del mare), realizzato il più profondo pozzo verticale
per cavi ad altissima tensione (300 metri, con un diametro di 7 metri) e il più lungo tunnel
orizzontale sempre per cavi ad altissima tensione (scavato per 2,8 km sotto una montagna,
a una profondità di 600 metri e con una pendenza del 10%)».
Sicurezza e prestazioni. Con la realizzazione del nuovo elettrodotto è stato raggiunto
anche il più alto livello di tensione in Europa per una stazione elettrica a corrente alternata: 550 kV, un traguardo che ha però comportato l’adozione di soluzioni straordinarie
dal punto di vista operativo e della gestione della sicurezza. «All’interno delle stazioni
intermedie, dove arrivano e ripartono i cavi con le linee portanti dell’impianto», ci spiega
l’ingegner Massimo Rebolini, responsabile della Funzione Sviluppo Tecnologie nella Direzione Ingegneria e Sviluppo Rete di Terna Rete Italia, «si trovano i cosiddetti “blindati”
realizzati da Siemens, il cuore e il cervello dell’intero elettrodotto; qui sono alloggiati tutti
gli strumenti di governo di qualsiasi possibile anomalia dell’apparato, come gli organi
di interruzione (da attivare per esempio in caso di corto circuito), di sezionamento (per
escludere temporaneamente alcune sezioni dell’impianto), di misurazione dell’energia e
di tutti i parametri di tensione e corrente che circolano in questo ambito, il tutto gestibile
a livello centrale tramite controllo remoto. Si tratta di una soluzione studiata ad hoc, con
tecnologia allo stato dell’arte che ha portato al massimo rendimento in spazi ridotti di
quattro volte rispetto alle dimensioni standard di stazioni elettriche come queste, peraltro
progettate per resistere a un terremoto del 7° grado della Scala Richter. Come dire, tra gli
edifici più sicuri al mondo…».
Ma è sul fronte dell’impatto ambientale che Rebolini – autore anche dei rilevamenti tecnici e degli studi di fattibilità dell’intero progetto – ci tiene a sottolineare gli ulteriori sforzi
compiuti da Terna: «A fronte della realizzazione di 82 chilometri di nuovi elettrodotti,
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TUNNEL DA RECORD
Operai al lavoro all’interno del back up della TBM lungo 140 metri.
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L’ESPERIENZA
A sinistra,
gli ingegneri
Massimo Rebolini
e Maria Rosaria
Guarniere di Terna
Rete Italia. Alle loro
spalle l’impianto di
trattamento delle
acque provenienti
dalla galleria.
ECCELLENZA
ITALIANA
A destra, quello
di Scilla è il più
profondo pozzo
verticale (300 metri)
per cavi ad altissima
tensione mai
realizzato al mondo.
nelle province di Messina e Reggio Calabria verranno interrati 67 chilometri e demoliti 170
di vecchie linee elettriche, ma anche liberati dal vincolo di servitù 264 ettari di territorio
(pari a 350 campi da calcio). Il nuovo impianto consentirà inoltre di evitare emissioni di
CO2 in atmosfera per 670mila tonnellate annue e di risparmiare 10.000 metri quadri di territorio grazie all’impiego (per 20 km del tratto aereo) degli innovativi tralicci “monostelo”,
che hanno un impatto visivo ridotto e un ingombro al suolo mediamente inferiore di 15
volte rispetto a quello dei piloni tradizionali tronco-piramidali».
E chissà mai che Terna non riesca in futuro a rendere convertibile anche l’energia sprigionata dalle indomabili furie di Scilla e Cariddi…
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IL CUORE E IL CERVELLO DELL’ELETTRODOTTO
Il blindato realizzato da Siemens dove sono alloggiate le apparecchiature per il governo del flusso dell’energia tramite controllo
remoto e locale. Gli spazi ridotti, oltre all’affidabilità e sicurezza, la rendono una soluzione all’avanguardia tecnologica.
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Eccellenze italiane A Passignano, lungo le sponde umbre del Trasimeno
ALLA GUIDA
DELLA MOBILITÀ
GREEN DEL DOMANI
Nel 1945 l’azienda Rampini è partita
dal cuore verde dell’Italia e oggi i suoi autobus
elettrici viaggiano per le strade del mondo
di Andrea Milanesi - foto di Massimo Zingardi
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UN CUORE
VERDE
L’ingegnere
Stefano Rampini,
amministratore
delegato
dell’azienda umbra,
accanto al cuore
elettrico
dell’autobus Alé.
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U
na visita ai capannoni della ditta Rampini può essere considerata una gita-premio: per grandi, piccini e chiunque provi
un’attrazione fatale verso i motori e le grandi macchine. Gatti
delle nevi, veicoli militari speciali, autobus elettrici, mezzi per
il trasporto aereo, tutto viene infatti progettato e realizzato in
sede, negli 80mila metri quadri dello stabilimento di Passignano sul Trasimeno,
orgoglio e vanto dell’eccellenza manifatturiera italiana.
E qui tutto è cominciato quasi settant’anni fa, come ci racconta il vulcanico amministratore delegato dell’azienda, l’ingegnere Stefano Rampini: «C’è una data precisa,
quasi simbolica, decisiva per la storia della nostra famiglia, ma anche per quella
dell’intera nazione: il 24 aprile 1945 il nostro babbo Carlo registrava la sua officina
alla Camera di Commercio di Perugia. Si era alla vigilia di una nuova ripartenza e lui
ha messo a frutto le esperienze maturate nel campo della meccanica e dell’idraulica,
lavorando come tecnico preso la Sai (Società Aeronautica Italiana) e come collaudatore di componentistica per sommergibili nel Lago d’Iseo per la Caproni. Fabbro,
saldatore, falegname, si adattava a fare un po’ di tutto: dal recupero delle jeep e dei
residuati bellici alla riparazione e alla manutenzione di biciclette, automobili, trattori, pullman e perfino dei campanili delle chiese».
Una sorta di factotum che non si fermava di fronte a nulla e che ha trasmesso la
sua “passione per il fare” all’intera discendenza (nel consiglio di amministrazione oggi siedono i figli Stefano, Franco e Sergio, insieme con Giuseppe Lepore, il
marito della figlia Cristina). Questo è il “marchio di fabbrica” che ha caratterizzato
l’impronta vincente di un’azienda che è cresciuta passo dopo passo, per progressivi
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UN HABITAT NATURALE
Il bus elettrico di Rampini nel suo habitat d’origine,
a Passignano, sulle sponde del Lago Trasimeno,
dove la storica azienda umbra è nata nel lontano 1945.
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ampliamenti, quasi per “stratificazione”. A partire dai primi Anni Sessanta sono
infatti cominciate le fasi di progettazione e produzione di automezzi antincendio
e apparecchiature speciali, inizialmente per gli aeroporti militari e poi anche per
quelli civili, dove Rampini è presente con una serie di attrezzature di supporto logistico che vanno dalle scale passeggeri ai nastri bagagli e alle piattaforme aeree
per imbarco e sbarco. Quando nel 1992 viene acquisita la Prinoth di Ortisei, azienda
leader nella costruzione di gatti delle nevi, il parco macchine della società umbra
comprende già veicoli speciali come le cabine di regia per la Rai e gli automezzi per
la trasmissione satellitare per l’Agenzia Spaziale Italiana.
Victoria, Alé. «La mobilità, intesa nella sua accezione più vasta, è il tratto distintivo
di tutta la nostra attività», riprende l’ingegner Stefano; «nel corso dei decenni le
nostre conoscenze in campo meccanico, idraulico, elettrico ed elettronico si sono
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CURA IN OGNI DETTAGLIO
Alcuni passaggi della linea di
assemblaggio della componentistica
elettrica. Il Gruppo Rampini impiega
un centinaio di dipendenti
e nel 2012 ha registrato un fatturato
di quasi 14 milioni di euro.
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TECNOLOGIA GREEN
Dettaglio dell’inverter ELFA di Siemens
(a sinistra, in grigio), cuore elettrico che
permette ad Alé di raggiungere le sue
performance senza inquinare.
Visione d’insieme della
componentistica dei servizi principali
e ausiliari (sopra).
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ampliate notevolmente e così anche la capacità di collegarle e integrarle tra loro. In
questa prospettiva, nel 2004 abbiamo rilevato dal tribunale fallimentare la ditta Cam
(Carrozzeria Autodromo Modena) che produceva tra l’altro un autobus da 8 metri
chiamato Alé, da noi in seguito completamente rivisitato da cima a fondo; a fine
2006 era già pronta una versione totalmente elettrica, ma abbiamo lavorato ancora
per altri tre anni prima di portare a termine un prodotto finito e affidabile, in grado
di garantire un servizio prolungato e continuativo secondo le diverse necessità di
funzionamento».
Come sempre Rampini ha mantenuto ogni processo produttivo all’interno del suo
stabilimento, dalla progettazione al lavoro in officina, dove sono attivi torni, fresatrici, tagliatrici al laser, piegatrici, impianti di verniciatura per realizzare strutture,
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IN PRODUZIONE AVANZATA
Vista esterna dei capannoni Rampini
(pagina a sinistra) e linea di produzione
del veicolo Alé (sopra), già entrato
in servizio completo con dodici vetture
nel centro storico di Vienna.
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telai, ma anche sedili e arredi interni. Per trovare un motore elettrico che potesse
assicurare prestazioni elevate è invece nata la collaborazione con Siemens, che con
il gruppo umbro condivide una visione di fondo orientata verso l’innovazione continua e che nel campo della mobilità elettrica vanta una più che secolare esperienza
(la prima automobile elettrica prodotta dal marchio tedesco, la Victoria, risale al
1905). Il motore e il sistema di trazione Elfa, brevettati da Siemens già una ventina
di anni fa, rappresentano il cuore verde dei dodici autobus elettrici Alé già entrati
in servizio completo su due linee nel centro storico di Vienna: «Si tratta di una soluzione ottimale», riprende Rampini, «che assicura sempre una continua e assoluta
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LA NASCITA DELL’ALÉ
Fasi iniziali dell’assemblaggio. Il Gruppo
Rampini mantiene ogni parte
del processo produttivo all’interno
del suo stabilimento, dalla
progettazione al lavoro in officina.
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UN KNOW-HOW COMPLETO
Officina meccanica: tutti i componenti principali dei mezzi e delle
apparecchiature Rampini sono sviluppati e prodotti internamente.
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autonomia rispetto a tutte le funzioni – compresi gli impianti di riscaldamento e
condizionamento per autista e passeggeri – e le prestazioni richieste, grazie anche a
un efficace sistema di ricarica totalmente assicurato da brevi soste al capolinea. Dal
punto di vista ambientale, poi, il risparmio di emissioni nell’aria raggiunge mediamente le 65 tonnellate di CO2 ogni anno per ogni mezzo in esercizio».
Oltre a quello presente sulle strade di Nizza, due autobus sono impiegati a Piacenza,
due a Gorizia, due sono in consegna a Siena nel marzo dell’anno prossimo e, anche
se il core-business dell’azienda umbra appare maggiormente orientato verso l’Europa dell’Est, nuove prospettive sembrano aprirsi anche nel nostro Paese: «Il ministero
dell’Ambiente ha messo a disposizione per il rinnovo del trasporto locale pubblico
110 milioni di euro, ripartiti tra le varie regioni, dando disposizione di inserire nel
parco macchine anche gli autobus elettrici: una grossa innovazione che rappresenta
una dimostrazione di attenzione e sensibilità, che fa ben sperare per il futuro».
Troppo silenzio. Oggi il Gruppo Rampini impiega un centinaio di dipendenti e
nel 2012 ha registrato un fatturato di quasi 14 milioni di euro, ma guardando avanti
l’ingegnere vede una sostanziale continuità con il passato: «Se siamo arrivati a 70
anni di attività è perché correttezza, onestà e versatilità sono sempre i nostri cavalli
di battaglia. E poi abbiamo un altro evidente punto di forza; non diciamo mai di no
di fronte a qualsiasi richiesta, un po’ per abitudine e un po’ perché la nostra storia
ci ha insegnato che siamo sempre stati in grado di vincere ogni sfida che abbiamo
affrontato. Tutto è fattibile, tecnologicamente parlando, ma con il cliente ci vuole
chiarezza su tempi, costi e benefici».
Davvero mai una battuta d’arresto? «In realtà è stato riscontrato un problema proprio sui nostri autobus elettrici di Vienna: sono troppo... silenziosi e questo potrebbe creare qualche inconveniente di sicurezza pubblica. Stiamo dunque trovando la
soluzione perché le vetture facciano un po’ di rumore quando viaggiano; però, anche volendo, non potremo mai renderle inquinanti...».
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PRONTI PER OGNI SFIDA
Area test esterna per automezzi
in condizioni di pioggia, situata
all’interno degli 80.000 metri quadrati
dello stabilimento.
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