5_ST_M3_09_09 L`Italia nel XIX secolo

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L’EUROPA DELL’OTTOCENTO
1. Europa politica
1.1 Dopo Napoleone i tentativi di restaurazione
1.2 I movimenti rivoluzionari e insurrezionali nella prima metà del secolo
1.3 Austria, Russia e Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento
2. Industria, economia e finanza
2.1 Il notevole sviluppo industriale nell’Ottocento
2.2 Economia e finanza
3. Un nuovo quadro sociale
3.1 Borghesia capitalistica e proletari
3.2 Incremento demografico, sovrappopolazione, migrazione
4. Lo scenario ideologico
4.1 Il pensiero liberale e democratico
4.2 Il pensiero socialista e comunista
5. Le conquiste coloniali nel XIX secolo
1. Europa politica
1.1 Dopo Napoleone la Restaurazione
La Rivoluzione francese e le successive conquiste di Napoleone avevano stravolto il quadro politico
istituzionale dell’Europa del Settecento. Il Congresso di Vienna (1814-1815), che vide riuniti tutti i
rappresentanti delle principali potenze europee, venne convocato proprio con la funzione di restaurare la
situazione politico-istituzionale precedente la rivoluzione francese, come se questo evento non fosse mai
accaduto. Proprio la volontà di restaurare le condizioni prerivoluzionarie, ci consente di definire come
periodo di RESTAURAZIONE, gli anni successivi al Congresso.
Le diverse case regnanti europee videro riconosciuti nuovamente i loro diritti di governo nei diversi
paesi. Quindi vennero ristabiliti i confini esistenti tra gli Stati, prima delle campagne di Napoleone.
In Francia venne ricollocato sul trono Luigi XVIII (della famiglia dei Borbone) in nome dei principi di
legittimità e continuità.
1.2. I movimenti rivoluzionari e insurrezionali nella prima metà del secolo
La volontà di restaurazione delle case governanti, dell’aristocrazia, del clero si scontrò ben presto con la
realtà di un’Europa profondamente mutata nel quadro sociale, economico, ideologico.
La nascita delle società segrete
La borghesia e il popolo non erano più disposti ad accettare la parte di spettatori davanti alle decisioni
prese dai potenti. Gli ideali della rivoluzione francese, diffusi in gran parte d’Europa grazie alle conquiste di
Napoleone, non erano spariti con la fine della rivoluzione, semplicemente dovettero trovare delle forme
diverse per manifestarsi: è la nascita delle società segrete, associazioni clandestine (formate soprattutto da
intellettuali, studenti, artigiani, quadri intermedi dell’esercito) nate per promuovere dei movimenti
insurrezionali finalizzati a costringere i sovrani a riconoscere, tramite la concessione di nuove carte
costituzionali, nuovi diritti per le classi sociali intermedie (borghesia).
Alla lotta per il riconoscimento dei nuovi diritti si somma, in alcuni paesi, la lotta per l’indipendenza,
come avvenne in Italia, in Grecia e in Polonia.
Le insurrezioni del 1820-21
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Grazie alla società segrete, già dal 1820 iniziano i primi moti insurrezionali in vari paesi d’Europa:
• Spagna
• Piemonte
• Regno delle due Sicilie
• Grecia
La repressione contro queste insurrezioni fu immediata ed efficace, solo la Grecia, dopo alcuni anni di
lotta, riuscì ad ottenere, nel 1829, l’indipendenza dalla Turchia (l’indipendeza della Grecia si deve agli
interessi che avevano gli stati europei nell’indebolire la potenza turca ottomana).
Le insurrezioni del 1830
Nonostante la repressione, nel 1830 ritornano in tutta Europa dei nuovi movimenti insurrezionali. Questa
volta l’epicentro dei moti è la Francia (a Parigi il popolo in lotta costringe alla fuga Carlo X), si estende
quindi al Belgio (che riesce ad ottenere l’indipendenza dall’Olanda), alla Polonia (la Polonia non riuscì ad
ottenere l’indipendenza dalla Russia, le truppe dello Zar soffocarono nel sangue il movimento
indipendentista) e all’Italia (l’insurrezione italiana scoppia in Emilia-Romagna, grazia all’iniziativa, tra gli
altri, di Ciro Menotti, dopo un primo parziale successo il moto insurrezionale venne stroncato dalle truppe
austriache).
L’insurrezione del 1848 e la fine della Restaurazione
Il rapido sviluppo industriale e il conseguente emergere di nuovi ceti sociali assieme al diffondersi di una
più matura coscienza civile e nazionale, non potevano più conciliarsi con forme di potere arretrate e fuori dal
tempo. Così, nel 1848, quello che era un semplice contrasto arrivò ad una vera e propria esplosione, uno
stravolgimento che coinvolse quasi tutte le grandi potenze europee, una svolta che concluse, dopo 35 anni il
periodo della Restaurazione.
I moti del 1848 pur avendo quale denominatore comune il desiderio di cambiamento si manifestano con
caratteristiche diverse nei diversi paesi:
Francia
In Francia divengono movimento di popolo, di ispirazione socialista, e portano alla nascita della Seconda
Repubblica (la seconda repubblica durerà in Francia dal 1848 al 1852, quindi si ritornerà all’impero)
Stati tedeschi
In Prussia e negli altri stati tedeschi nel movimento di protesta confluiscono l’esigenza di ottenere delle
riforme costituzionali, e l’aspirazione alla nascita di un unico stato tedesco unificato. La prima richiesta
venne parzialmente accolta con l’accettazione di una costituzione, molto poco liberale in verità, da parte di
Federico Guglielmo di Prussia; la seconda aspirazione non venne invece soddisfatta, nonostante i tentativi
fatti dall’assemblea costituente di Francoforte. Per l’unificazione degli stati tedeschi in un unico impero
(secondo Reich) bisognerà attendere il 1871
Impero asburgico
Nell’impero asburgico i moti insurrezionali si caratterizzano sia per la richiesta di riforme costituzionali
(nel 1848 i movimenti di piazza di Vienna costrinsero l’imperatore Ferdinando I a fuggire ad Innsbruck), sia
e soprattutto per i moti indipendentisti che nacquero spontaneamente in tutto l’impero, da Budapest a Milano
(da ricordare l’insurrezione di Venezia guidata da Daniele Manin). Cechi, Croati, Ungheresi, Italiani
insorsero per ottenere l’indipendenza dall’Austria, dopo aspre lotte l’esercito imperiale riuscì a fatica ad
avere la meglio e a riprendere il controllo di tutto il territorio, Federico I abdica a favore del nipote
diciottenne Francesco Giuseppe che governerà dal 1848 al 1916 (con la prima guerra mondiale l’impero
asburgico verrà spazzato via dall’esito del conflitto).
1.3 Austria, Russia e Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento
L’Austria e il nuovo impero Austro-Ungarico
L’Austria dopo la disastrosa guerra che la contrappose alla Prussia (1866) sentì il bisogno di rinnovarsi.
L’imperatore Francesco Giuseppe I per frenare le spinte autonomistiche dei diversi popoli sottomessi
all’impero (Ungheresi, Slavi, Italiani, Rumeni, ecc), pensò di accordarsi con i rappresentanti della
popolazione ungherese; l’accordo del 1867 portò le seguenti conseguenze:
• l’impero non si chiamò più “austriaco”, ma “austro-ungarico”
• l’unica monarchia riconosciuta lasciò spazio a una seconda monarchia, quella ungherese, avente
una propria bandiera e un proprio parlamento
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•
solo la politica estera e l’organizzazione militare, rimasero unite in un unico ministero tale
sistema rimase in vigore fino al 1918
Le riforme in Russia dello Zar Alessandro II
Anche la Russia doppio la disastrosa guerra di Crimea (1853-55) contro Francia, Inghilterra e Italia, sentì
il bisogno di rinnovarsi operando delle radicali riforme nelle proprie istituzioni.
Nel 1861 lo Zar Alessandro II abolì la servitù della gleba dando la libertà a un milione di contadini.
Vi furono notevoli riforme anche nel campo amministrativo, giudiziario e universitario. Le riforme dello Zar
non andarono, però, oltre e le richieste di ulteriori riforme furono respinte. L’atteggiamento di sostanziale
chiusura da parte dello Zar, unito all’impressione che fece la sua reazione alla rivolta polacca del 1863-64,
finirono per allontanarlo dalle simpatie del popolo. Nel 1881 Alessandro II venne ucciso da una bomba.
Lo “splendido isolamento” inglese e il problema irlandese
L’Inghilterra grazie ad alcune ottime intuizioni di politica interna (aumento del numero degli elettori nel
1832, e abolizione del dazio sul grano 1846) e soprattutto grazie alle capacità della regina Vittoria (regnò
dal 1837 al 1901) nel sapersi circondare da abili primi ministri (come il Palmerston e il Disraeli) visse un
periodo di splendida attività economica, anche grazie ai possedimenti coloniali, interessandosi solo
marginalmente agli avvenimenti dell’Europa continentale.
Nel 1800 l’Irlanda (in prevalenza cattolica) fu forzatamente annessa alla Gran Bretagna (Atto
d’unione), gli irlandesi privati della libertà politica e religiosa iniziarono una serie di agitazioni e rivolte,
solo nel 1829 riuscirono ad ottenere il diritto di voto e 42 anni dopo nel 1871 la libertà religiosa. Le
richieste autonomistiche degli irlandesi dureranno fino ai nostri giorni.
2. Industria, economia e finanza
2.1 Il notevole sviluppo industriale nell’Ottocento
Nata in Inghilterra alla fine del XVIII secolo, la rivoluzione industriale si diffuse rapidamente su gran parte
del continente europeo, anche grazie all’enorme sviluppo delle ferrovie, le conseguenze furono enormi:
• nuova struttura urbanistica delle città
• notevole disponibilità di ricchezza per più persone
• crescita demografica
• notevole aumento dei grandi capitali
• sviluppo del mondo finanziario
• trasformazione profonda della società
• trasformazione nel rapporto tra gli uomini
• nuova immagine dell’uomo e del mondo
Per cercare di comprendere quanto la rivoluzione industriale abbia trasformato la nostra vita, basta
confrontare il nostro stile di vita con quello di persone che vivono in un mondo nel quale non vi è ancora
stata nessuna rivoluzione industriale, immaginiamo una qualche tribù africana, ci apparirà allora chiaramente
quanto l’industrializzazione abbia condizionato la nostra vita.
Ricerca scientifica, potere economico, potere politico a sostegno dell’industrializzazione
Se vogliamo poi cercare di comprendere come si spiega uno sviluppo industriale di così vasta portata in
pochi anni dobbiamo riflettere su tre fattori determinanti nel decretare il successo industriale.
Il primo fattore è legato alla ricerca scientifica, lo sviluppo della scienza dell’Ottocento va di pari passo
con lo sviluppo dell’industria. La ricerca scientifica sostiene l’industria nel fornirle idee per nuovi prodotti da
commercializzare a prezzi sempre più bassi, l’industria sostiene la ricerca perché ha bisogno delle idee che
solo la ricerca scientifica può offrirle. Dai fertilizzanti, alla lampadina, al telefono, tutti questi prodotti sono
la conseguenza dello stretto legame venutosi a creare nel XIX secolo tra ricerca scientifica e industria.
Un secondo fattore che ha contribuito allo sviluppo dell’industria è legato alle enormi possibilità di
ricchezza che sono collegate alla produzione industriale, con le industrie, si arricchiscono tutti, i grandi
capitalisti che ottengono degli ottimi guadagni dalla vendita dei loro prodotti, ma anche gli operai che
ricevono uno stipendio sicuro ogni mese (si pensi all’incertezza della rendita con il lavoro agricolo, vi è
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sempre il rischio di una siccità, di malattie delle piante o degli animali, ecc. la precarietà e strettamente legata
all’agricoltura, mentre il lavoro in fabbrica è più sicuro).
Il terzo fattore è legato alla consapevolezza, da parte della classe politica al governo, dello stretto legame
esistente tra ricchezza del paese e industrializzazione. Questa consapevolezza porta ad emanare delle leggi
finalizzate a favorire l’industrializzazione e a proteggere la propria industria.
Il processo di diffusione non omogeneo dell’Industrializzazione nei diversi paesi europei
Noi oggi vediamo come i principali paesi europei sono all’incirca allo stesso livello di sviluppo
industriale, eppure non è sempre stato così, il momento del decollo industriale si colloca, infatti, in momenti
anche piuttosto lontani per i diversi paesi:
• Inghilterra (1782-1802)
• Francia (1830-1860)
• Germania (1850-1875)
• Italia (1896-1907)
Quasi sempre dietro ai ritardi si nasconde la particolare situazione politico-istituzionale del paese, si pensi al
caso Italia.
2.2 Economia e finanza
Economia
Dello stretto legame tra industria ed economia abbiamo già in parte visto sopra. Merita qui sottolineare
l’enorme impatto economico che ebbe l’industrializzazione, i capitali investiti decuplicarono in poco tempo,
la ricchezza disponibile aumentò notevolmente sia per i grandi gruppi capitalistici che allora si andavano
formando, sia per i cittadini europei coinvolti nel processo di industrializzazione.
La grande produzione industriale spingeva poi per il libero scambio di prodotti tra paesi diversi, tuttavia
questo non sempre era conveniente e di volta in volta i vari governi decidevano come comportarsi, consentire
un totale libero scambio o intervenire con delle forme di protezionismo. Il libero scambio poteva, infatti,
danneggiare la produzione industriale del proprio paese, da qui le decisioni, nei momenti di crisi, di porre un
limite allo scambio delle merci tra paesi diversi.
Finanza
Per quanto riguarda la finanza bisogna dire che nell’Ottocento le banche assunsero un ruolo
fondamentale nella gestione del potere economico, le industrie hanno bisogno delle banche per avere i
finanziamenti necessari al loro mantenimento. L’industria di un paese può vivere e svilupparsi solo grazie ad
un sistema bancario efficiente.
Anche in questo caso il potere politico intervenne per poter avere una qualche forma di controllo sulle
banche. Si comprese ben presto che l’industria poteva funzionare solo se le banche erano in grado di
finanziare gli investimenti. Ogni nazione si munì quindi di una banca centrale con il potere di decidere sul
costo del denaro e altro.
Altro fenomeno finanziario di grande importanza nato nell’Ottocento è l’investimento per azioni, un
sistema che consente ad ogni cittadino di partecipare ai guadagni, o alle perdite, di un’azienda. La banca, in
questo caso, funge da mediazione tra industria e azionista.
3. Un nuovo quadro sociale
3.1 Borghesia capitalistica e proletari
Borghesia capitalistica e proletari sono i nuovi protagonisti
Come abbiamo avuto modo di anticipare, il processo di industrializzazione ebbe enormi conseguenze
anche sulla società. La società che troviamo a fine Ottocento è molto cambiata rispetto a quella d’inizio
secolo. Nella società d’inizio Ottocento il potere della proprietà nobiliare terriera è ancora molto elevato,
l’aristocrazia ha ancora un ruolo importante. Man mano che il secolo trascorre,però, il centro del potere non
è più legato alla terra, ma alla fabbrica, certo rimarranno ancora i proprietari terrieri e i contadini poveri
sottomessi, ma non è più attorno alla terra che si gioca il futuro. La parte più viva della società, quella
protagonista dei mutamenti, diviene quella rappresentata dai capitalisti, proprietari delle fabbriche e dagli
operai. I nuovi protagonisti saranno la borghesia capitalistica e i proletari.
Il mutare del rapporto tra capitalisti e proletari
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L’Ottocento industriale è centrato sul rapporto tra capitalisti e proletari. Nati come un prodotto della
rivoluzione industriale i primi proletari vivevano in condizioni di estrema precarietà e miseria:
• dalle 12 alle 14 ore di lavoro al giorno, anche per donne e bambini
• ambiente di lavoro malsano
• stipendio al limite della sopravvivenza
• nessuna forma di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
• nessuna forma di riconoscimento della malattia
• nessuna pensione
• nessuna sicurezza del posto di lavoro
Questa situazione di grave disagio non poteva durare. D’altra parte le particolari di condizione del lavoro
in fabbrica danno luogo a dei gruppi molto numerosi di persone che hanno interessi, e che sono disposte a
lottare assieme per migliorare le condizioni di vita e di lavoro. La classe borghese comprese da subito quale
grave questione sociale, potenzialmente esplosiva, si fosse venuta a creare con il formarsi della classe
proletaria, comprese quindi come non si potesse mantenere per molto una totale chiusura nei confronti delle
richieste operaie, vi era il rischio una rivolta. Ecco quindi che gradualmente nel corso del secolo,
naturalmente in momenti diversi nei diversi paesi (come per la nascita dell’industria, così anche per il
riconoscimento dei diritti degli operai l’Inghilterra fu all’avanguardia), gli operai si videro riconosciuti alcuni
fondamentali diritti:
• nascono le prime forme organizzative (società di mutuo soccorso)
• nascono i primi sindacati (le Trade Unions inglesi tennero la loro prima conferenza nel 1830)
• aumentano i salari
• diminuiscono le ore di lavoro
• viene riconosciuto il diritto di sciopero
• migliorano gli ambienti di lavoro
• vengono riconosciuti gli infortuni sul lavoro, le malattie, la maternità
• vengono introdotte le prime forme pensionistiche
E’ necessario ricordare come nel nostro paese il riconoscimento di molti di questi diritti sia arrivato
molto più tardi rispetto ad altri paesi industrializzati. Dobbiamo arrivare alla fine dell’Ottocento, inizio del
Novecento, per veder riconosciuti in Italia molti dei diritti visti sopra.
3.2 Incremento demografico, sovrappopolazione, migrazione
Incremento demografico e sovrappopolazione
Il fenomeno dell’industrializzazione ebbe quale conseguenza un notevole innalzamento delle condizioni
di benessere e ciò porto ad un notevole incremento demografico. La popolazione europea raddoppiò in cento
anni: si passo dai quasi 200 milioni di abitanti d’inizio secolo, ai 400 milioni di fine secolo. Un così notevole
aumento della popolazione non poteva che incrementare la produzione industriale, e questa portava a nuovi
posti di lavoro e quindi nuova spinta per un incremento demografico, in una specie di sistema circolare di
sostentamento reciproco. In questo sistema bisogna però sottolineare come non sempre le cose siano andate
bene, vi sono stati dei periodi, infatti, (una grave crisi di sovrapproduzione si ebbe verso la fine del secolo)
nei quali la produzione industriale subì, per motivi diversi, dei rallentamenti, in questi casi si venne a creare
una vera e propria crisi di sovrappopolazione con fenomeni di miseria diffusa e di migrazione di massa. Solo
la ripresa produttiva consentì di risolvere il problema della sovrappopolazione.
Le grandi migrazioni dell’Ottocento
I notevoli mutamenti dell’Ottocento ebbero quale conseguenza dei consistenti movimenti migratori.
Milioni di persone che si spostano alla ricerca di migliori condizioni di vita, alla ricerca di possibilità che
mancano nel luogo dove vivono.
I fenomeni migratori sono sostanzialmente di tre tipi:
• migrazione dalla campagna alla città
• migrazione all’interno dell’Europa
• migrazione verso paesi extraeuropei
Un primo notevole fenomeno migratorio si ha dalle campagne alla città, le fabbriche si trovano in città.
Se è difficile quantificare il numero di persone che si sono spostate nell’Ottocento dalla campagna alla città,
per comprendere l’imponenza del fenomeno basta osservare le periferie delle grandi città industriali. Le
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grandi periferie urbane sono strettamente legate alla industrializzazione, non vi sarebbero senza di questa,
sono nate e cresciute con questa. Per avere un’idea del fenomeno basti pensare che si stima come agli inizi
dell’Ottocento solo il 12% degli europei vivesse in città, cento anni dopo saranno il 41%.
Un secondo notevole fenomeno migratorio si ebbe all’interno dell’Europa. Lavoratori che si spostavano
da un paese ad un altro alla ricerca di lavoro. Di questo fenomeno l’Italia rappresenta un tipico caso, il suo
ritardo nello sviluppo industriale spinse milioni di persone nel cercare lavoro in altri paesi europei. Si calcola
che solo tra il 1875 e il 1916 ben 6 milioni di italiani siano emigrati in altri paesi europei (in particolare
Svizzera, Germania, Belgio, Francia) alla ricerca di un lavoro.
Le difficoltà vissute dall’Europa nell’Ottocento spinse milioni di europei nel cercare un lavoro in paesi
extraeuropei, in particolare negli Stati Uniti. Si calcola che in 100 anni (1815-1915) 48 milioni di europei
abbiano abbandonato i loro paesi per trovare lavoro fuori. Australia, Sudafrica, ma soprattutto le Americhe
divennero il sogno di molti europei e tra questi moltissimi italiani (tra il 1881 e il 1915 sono 8 milioni gli
Italiani a cercare fortuna oltreoceano): “Mamma dammi cento lire che in America voglio andar”, così recita
una famosa canzone italiana d’allora.
4. Lo scenario ideologico
4.1 Il pensiero liberale e democratico
Il pensiero liberale
Il pensiero liberale avrà un ruolo dominante nel corso del XIX secolo. Secondo la concezione liberale,
elemento centrale nella vita della società e dello Stato è l’individuo. Solo nelle condizioni di massima libertà
la persona può esprimersi al meglio, ogni intervento esterno volto a limitare la libera iniziativa non può che
danneggiare gli individui e di conseguenza l’intera società. In questa visione del mondo l’intervento dello
Stato deve essere assolutamente limitato: deve solo garantire che tutti gli individui abbiano le medesime
possibilità.
La forma di governo più consona al pensiero liberale è la monarchia costituzionale a suffragio elettorale
censitario. Non tutti i cittadini avevano diritto di voto, ma solo quelli che possedevano particolari requisiti di
reddito e cultura. E’ chiaro quindi che quando si affermava che lo Stato doveva garantire a tutti i cittadini le
medesime possibilità, con quel “tutti” si intendeva solo una parte della popolazione.
Il pensiero democratico
Il pensiero democratico si avvicina al pensiero liberale nel considerare quale elemento centrale della
società e dello stato l’individuo, si avvicina anche nel riconoscimento del diritto alla libera iniziativa che
deve essere garantita a tutte le persone. Ciò che invece distingue nettamente il pensiero democratico da
quello liberale è la convinzione che lo Stato deve avere un maggior peso nei rapporti tra gli individui. Ecco
quindi che lo stato non può limitarsi a garantire la libera iniziativa a tutti, ma deve in qualche modo attivarsi
per aiutare anche quanti, per nascita, per capacità, per sfortuna si trovano in condizioni svantaggiate.
Uno stato democratico si preoccupa perciò di offrire una scuola pubblica che sia gratuita e di qualità, una
sanità pubblica a disposizione di tutti, il diritto allo studio e alla salute vengono riconosci come diritti di tutti,
indipendentemente dalla capacità e dal reddito della persona.
4.2 Il pensiero socialista e comunista
Il pensiero socialista
Secondo il pensiero socialista il pensiero liberale nasconde, dietro una rivendicazione del diritto alla
libertà dell’individuo, la volontà di sfruttamento delle classi più povere da parte della classe borghese. Si
nasconde la volontà di mantenere una situazione di ingiustizia sociale nella quale pochi privilegiati godono
di una quantità notevole di beni, mentre la maggior parte delle persone vive in miseria.
La giustizia sociale diventa il valore di riferimento per il pensiero socialista, non è sufficiente una
uguaglianza nei diritti civili e politici, se poi manca un’uguaglianza sostanziale, ossia un’uguaglianza nelle
condizioni di vita e nelle opportunità offerte ad ogni uomo.
Il pensiero comunista
Per comprendere i principi del comunismo vediamo quali sono gli elementi essenziali del pensiero di
Marx. Il filosofo tedesco viene inviato, in qualità di giornalista, a fare un’inchiesta sulle condizioni di lavoro
degli operai londinesi. Venendo a contato con questa realtà Marx rimane particolarmente colpito dalle
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condizioni di miseria e di sfruttamento alle quali sono sottoposti gli operai stessi (chiamati anche proletari,
dato che l’unico bene da loro posseduto sono i figli, la prole appunto).
In particolare il filosofo nota come i proletari subiscano un vero e proprio “furto” del prodotto del loro
lavoro da parte del capitalista. Il prodotto industriale è infatti un bene prodotto dall’operaio, ma è il
capitalista che tiene per sé, in modo ingiusto e ingiustificato, la maggior parte dei guadagni provenienti dalla
vendita di quel prodotto. L’operaio viene in questo modo “alienato” del prodotto del proprio lavoro, la
proprietà privata, accumulata dal capitalista, viene quindi vista come un vero e proprio “furto” ai danni
dell’operaio.
Di fronte a questa situazione la cosa più importante da fare è far conoscere a tutti gli operai la loro
situazione di sfruttamento. Secondo Marx è fondamentale la presa di coscienza della propria condizione di
sfruttati.
Il momento successivo è rappresentato dalla lotta di classe considerata quale esito necessario delle
contraddizioni del sistema capitalistico di produzione. Proletari e capitalisti arriveranno perciò ad un vero e
proprio scontro armato, con esito favorevole per il proletariato.
L’esito favorevole dello scontro di classe consentirà ai proletari di divenire proprietari dei mezzi di
produzione. Non vi saranno perciò più classi, in tal modo finirà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Marx aveva previsto che lo scontro di classe (o rivoluzione) dovesse avvenire nei paesi più
industrializzati (Inghilterra, Germania, Francia) in realtà le due grandi rivoluzioni comuniste, ispirate al
pensiero di Marx sono avvenute in paesi prevalentemente agricoli: Russia e Cina.
Nei paesi industrializzati alla rivoluzione non si è mai arrivati perché una delle previsioni del filosofo
tedesco non si è avverata, ossia la convinzione che la classe borghese capitalistica non avrebbe mai ceduto
nel riconoscere ai proletari migliori condizioni di vita e maggiori guadagni. In realtà la classe borghese,
anche grazie alla mediazione dai sindacati, ha riconosciuto, negli anni i diritti dei lavoratori, senza arrivare a
nessuno scontro armato.
5. Le conquiste coloniali nel XIX secolo
Alla vigilia del primo conflitto mondiale quasi tutto il “Vecchio mondo” (Africa, Asia) è sotto il
controllo delle potenze coloniali europee (nel 1914 più del 95% del territorio africano è controllato
dalle potenze europee)
Il formarsi degli imperi coloniali può essere diviso, per l’Ottocento, in due fasi:
• una prima fase (che va dal Congresso di Vienna al 1880) caratterizzata dalla asistematicità e dalla
mancanza di progetti specifici elaborati dalle nazioni occupanti.
• una seconda fase (dal 1880 al alla prima guerra mondiale) in cui si assiste ad una vera e propria
corsa per accaparrarsi territori d’oltremare, in un clima di rivalità politica ed economica tra i
diversi Stati; tanto da richiedere una notevole opera diplomatica che consenta una equa spartizione
dei territori e delle sfere d’influenza.
Fenomeno caratteristico del secolo XIX, l’espansione coloniale interessa tutti i maggiori Stati europei.
Principali cause dell’espansione sono:
• lo sviluppo demografico, per cui si ritenne necessaria la conquista di vasti territori, capaci di
assorbire la crescente emigrazione.
• lo sviluppo industriale, per cui si ritenne necessaria la disponibilità, a basso prezzo, di prodotti
presenti nei territori che verranno perciò colonizzati, e nel contempo si vede nelle proprie colonie un
enorme mercato in cui vendere a prezzi vantaggiosi quanto prodotto nella madre patria.
I continenti su cui si esercitò l’attività coloniale degli europei furono soprattutto l’Africa e l’Asia,
specialmente in seguito all’apertura del canale di Suez (1859-69).
Delle conquiste coloniali di fine Ottocento tratteremo in modo più dettagliato nel modulo dedicato alle
grandi potenze europee tra Ottocento e Novecento.
L’ITALIA NEL XIX SECOLO
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PARTE PRIMA
L’ITALIA DALLA RESTAURAZIONE ALL’UNITÁ
1. La Restaurazione in Italia
1.1 L’Italia dopo il congresso di Vienna
1.2 L’egemonia austriaca sul territorio della penisola
2. I moti insurrezionali del 1820-21 e del 1830
2.1 Le insurrezioni del 1820-21
2.2 I moti insurrezionali del 1830-31
3. Il ’48 in Italia e la prima guerra d’indipendenza
3.1 Le premesse
3.2 Il ’48 in Italia, la prima guerra d’indipendenza, i moti insurrezionali di Milano, Venezia, Roma
4. I diversi ideali unitari
4.1 L’ideale democratico di Mazzini
4.2 Le proposte moderate di Gioberti, Balbo e Cattaneo
4.3 La via diplomatica di Cavour
5. La seconda guerra d’indipendenza e la conquista dell’Unità
5.1 La seconda guerra d’indipendenza
5.2 Annessione delle regioni dell’Italia centrale
5.3 La spedizione dei Mille e la liberazione delle regioni del Mezzogiorno
5.4 La proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1961
PARTE SECONDA
L’ITALIA DALL’UNITÁ ALLA FINE DELL’OTTOCENTO
6. La fase di consolidamento dello Stato unitario
6.1 “Fatta l’Italia bisogna ora fare gli italiani”
6.2 Innanzitutto accentramento amministrativo
7. Il governo della Destra affronta i primi gravi problemi dell’Italia unita (1861-1876)
7.1 Il governo della Destra
7.2 Il problema del bilancio da risanare
7.3 Il brigantaggio nel Meridione
7.4 Il compimento dell’Unità
8. La Sinistra al potere (1876-1900)
8.1 Le riforme della Sinistra
8.2 Una politica economica “protezionistica”
8.3 La politica estera italiana negli anni del governo della Sinistra
9. Nascita dei movimenti di massa alla fine del XIX secolo
9.1 Nascita del movimento operaio in Italia (le società di mutuo soccorso)
9.2 Il partito socialista italiano
9.3 Il movimento cattolico
10. L’Italia del governo Crispi
10.1 I governi di Francesco Crispi (1887-’91 / 1893-‘96)
PARTE PRIMA
L’ITALIA DALLA RESTAURAZIONE ALL’UNITÁ
1. La Restaurazione in Italia
8
1.1 L’Italia dopo il congresso di Vienna
La restituzione dei territori alle legittime dinastie, così come previsto dal congresso di Vienna, ebbe
conseguenze negative per il nostro Paese; si ritornò, infatti, alla frantumazione politica del territorio
precedente l’età napoleonica (vedi immagine). In questa condizione di notevole suddivisone, l’Austria
mantenne un ruolo egemone, estendendo il suo controllo diretto sul Lombardo-Veneto e indiretto su gran
parte del territorio. Vediamo nel dettaglio come venne suddiviso il territorio della penisola:
Regno Lombardo-Veneto
Su questo territorio si attuò un diretto controllo della
potenza austriaca, tramite il governo del vicerè:
l’arciduca Ranieri. Sul territorio del lombardo-veneto
si mantenne il codice napoleonico, il sistema
amministrativo di gestione del territorio, applicato
dagli austriaci, consentì un discreto sviluppo
economico e sociale.
Regno di Sardegna
Nel 1814 il regno di Sardegna venne restituito a
Vittorio Emanuele I, questi, nel 1815, ottenne anche la
Liguria e tutta la Savoia. Nonostante gli stretti vincoli
di parentela con gli Asburgo d’Austria, i Savoia
mostrarono, da subito, la volontà di mantenersi
autonomi rispetto all’Austria. Nel regno di Sardegna si
cercò di applicare un rigido sistema assolutistico senza
nessuna concessione costituzionale.
Ducato di Parma e Granducato di Toscana
In questi territori, nonostante gli stretti rapporti dinastici dei governanti con l’imperatore austriaco, si vive
una discreta apertura verso le riforme costituzionali.
Stato pontificio
Anche lo stato pontificio visse, con Pio VII, un periodo di rigido assolutismo e totale chiusura nei confronti
di qualsiasi riforma costituzionale.
Regno delle due Sicilie
Dopo la cacciata di Murat, attuata dagli austriaci, il regno delle due Sicilie venne riassegnato a Ferdinando I
di Borbone. Come per lo Stato pontificio e per il Regno di Sardegna, anche questo territorio vide una totale
chiusura nei confronti delle riforme costituzionali. Oltre all’assolutismo politico si vive in questo territorio
una grave arretratezza economica, amministrativa, sociale.
1.2 L’egemonia austriaca sul territorio della penisola
L’indiretto controllo dell’Austria sul territorio italiano si manifesta sia attraverso rapporti dinastici, sia
grazie alla presenza dell’esercito austriaco sul territorio. Per i rapporti dinastici basta ricordare che il ducato
di Parma venne assegnato a Maria Luisa d’Austria (figlia dell’imperatore austriaco Francesco I) e il
Granducato di Toscana a Ferdinando d’Asburgo (fratello di Francesco I). La presenza di guarnigioni
austriache armate si ha, poi, nel territorio dello Stato pontificio, ma anche a Napoli, all’interno del territorio
appartenente al Regno delle due Sicilie.
2. I moti insurrezionali del 1820-21 e del 1830
2.1 Le insurrezioni del 1820-21
Partita dalla Spagna, si estese, nel 1820, un forte movimento insurrezionale nel Regno delle due Sicilie
che costrinse Ferdinando I alla concessione di una Costituzione. Tuttavia gli insorti, guidati da Guglielmo
Pepe, vennero ben presto sconfitti, anche grazie all’aiuto dell’esercito austriaco, e si ritornò al precedente
regime assolutistico.
Nel 1821 anche in Piemonte si manifestano dei moti insurrezionali finalizzati ad ottenere una
costituzione. Di fronte alla protesta popolare Vittorio Emanuele I abdica e la reggenza passa al fratello Carlo
Felice; essendo però questi assente il nipote, Carlo Alberto, che ne assumeva la temporanea reggenza, firmò
la nuova costituzione. Tornato Carlo Felice l’operato di Carlo Alberto viene sconfessato e la costituzione
annullata.
2.2 I moti insurrezionali del 1830-31
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Nel 1830 i moti insurrezionali partirono dalla Francia. Parigi venne coinvolta in una aspra lotta contro il
potere assolutistico di Carlo X. Ben presto la protesta si estese ad altri paesi europei, Belgio, Polonia (questo
paese cercò di ribellarsi all’occupazione russa, ma nulla potè contro le truppe dello Zar, senza nessun aiuto
internazionale), Italia. Nel nostro paese i moti scoppiarono in Emilia Romagna, nel gran ducato di Modena e
nel granducato di Parma, guidata da Ciro Menotti, questa protesta fu facilmente sedata dall’intervento
dell’esercito austriaco.
3. Il ‘48 in Italia e la prima guerra d’indipendenza
3.1 Le premesse
Negli anni che precedono i gravi contrasti del ’48 vanno acuendosi tre diverse tipologie di conflitti:
• Tra aristocrazia e borghesia;
• Tra borghesia capitalistica e classe operaia;
• Per l’indipendenza tra popoli soggetti e dominatori.
Rispetto ai moti insurrezionali del 1820 e del 1830, i moti del ‘48 ebbero una maggiore estensione
territoriale (solo l’Inghilterra, la Russia e la Spagna non furono coinvolte), una maggiore radicalità e
violenza.
Gli scontri del 1848 arrivano dopo un biennio (1846-47) di grave crisi economica per l’Europa intera.
Una crisi nata dall’agricoltura che ben presto si estese a tutta l’economia, una crisi che ebbe quale
conseguenze carestie, miseria, disoccupazione, un diffuso malessere che trovò uno sfogo negli scontri del
1848.
3.2 Il ’48 in Italia, la prima guerra d’indipendenza, i moti insurrezionali di Milano, Venezia,
Roma
Già dai primi giorni del 1848 diverse regioni italiane vivono un notevole fermento, obiettivo comune è la
concessione di carte costituzionali che prevedano un sistema rappresentativo parlamentare.
Il 12 gennaio 1848 una sollevazione popolare a Palermo costringe Ferdinando II a concedere la
costituzione al Regno delle due Sicilie. Spinti dalla pressione del movimento popolare anche Carlo Alberto
di Savoia, Leopoldo II di Toscana e Pio IX per lo Stato pontificio concedono la costituzione di carattere
moderato. Di particolare rilevanza è la concessione dello Statuto da parte di Carlo Alberto di Savoia, sarà
questa legge a divenire la prima costituzione del Regno d’Italia, dopo l’Unità.
Nei giorni immediatamente successivi all’insurrezione di Vienna, la popolazione di Venezia e Milano si
sollevò contro l’occupazione austriaca. Il 23 marzo 1848 Daniele Manin proclama, a Venezia, la costituzione
della Repubblica veneta. A Milano l’insurrezione inizia il 18 marzo e si protrae, con feroci scontri nelle
strade, per cinque giorni, le truppe austriache preferiscono abbandonare la città (anche in previsione
dell’eventuale intervento armato dei Savoia). I moti insurrezionali nel Lombardo-Veneto vennero visti dal
Piemonte come l’occasione giusta per attaccare e sconfiggere l’Austria, condizione indispensabile per poter
sperare in un possibile processo unitario. Così Carlo Alberto, dopo alcune esitazioni, risponde alla richiesta
d’aiuto inviata dagli insorti di Milano e dichiara guerra all’Austria (24 marzo 1848). Molti volontari
giungono da tutta Italia per unirsi all’esercito piemontese, Stato pontificio, Granducato di Toscana e Regno
delle due Sicilie, garantiscono il loro appoggio. Dopo i primi entusiasmi Leopoldo di Toscana, Ferdinando II
e il papa ritirano le loro truppe, per l’esercito piemontese lasciato solo la sconfitta è inevitabile, così avvenne,
infatti a Custoza, in questo modo si conclude la Prima guerra d’indipendenza.
Il fallimento del tentativo unitario piemontese spinse i democratici, guidati da Mazzini, nel cercare
d’ottenere mediante movimento di popolo ciò che non si era riusciti ad ottenere con l’esercito reale. I
movimenti interessano diversi centri italiani: Roma, dove il papa è costretto alla fuga e dove viene
proclamata la Repubblica romana; la Toscana dove Leopoldo viene cacciato; Venezia che continua a
resistere contro l’Austria; in Sicilia con i separatisti. Di fronte a questi tentativi democratici Carlo Alberto
decide di riaprire le ostilità con l’Austria, viene nuovamente sconfitto (Novara) e quindi decide di abdicare in
favore del figlio Vittorio Emanuele II. Dopo la sconfitta di Carlo Alberto gli austriaci riuscirono a riportare
l’ordine in tutta la penisola. Il papa chiese l’aiuto dei francesi per essere ristabilito sul trono dello Stato
pontificio, e così avvenne. Nonostante la strenua difesa i repubblicani romani, guidati da Garibaldi, dovettero
arrendersi, lo stesso Garibaldi con alcuni volontari scappò da Roma per recarsi a Venezia, in un vano
tentativo di raggiungere l’ultima città che continuava a resistere.
4. I diversi ideali unitari
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Nei movimenti insurrezionali italiani degli anni 1820 e 1830 era praticamente assente qualsiasi ideale
unitario. I movimenti di lotta rivendicavano, innanzi tutto, delle costituzioni, ma sempre nell’ambito
regionale. Solo negli anni successivi s’iniziò a considerare la possibilità di raggiungere l’obiettivo d’unità
nazionale (un obiettivo che trova i suoi presupposti nella lingua comune e nella particolare struttura
territoriale dell’Italia: una penisola).
Se l’obiettivo è comune, diverse sono le proposte per raggiungere tale obiettivo. In particolare troviamo
tre proposte che troveranno applicazione nei decenni successivi e che, con modalità e pesi differenti,
consentiranno all’Italia il raggiungimento dell’Unità:
• La proposta democratico-popolare di Mazzini
• La proposta moderata di tipo federalista
• La via diplomatica del Piemonte di Cavour
4.1 L’ideale democratico di Mazzini
Il programma politico di Mazzini era chiarissimo: l’Italia avrebbe dovuto innanzitutto rendersi
indipendente dalle potenze straniere e, quindi, una volta raggiunta l’unità si sarebbe data una forma di
governo repubblicano. L’unica via per il raggiungimento di questo obiettivo era l’insurrezione popolare,
di tutto il popolo, senza distinzione di classi. In questa prospettiva si collocano i movimenti che tra 1830 e il
1848 cercheranno inutilmente di far sollevare il popolo in moti insurrezionali (strumento di propaganda
diventa l’organizzazione la Giovane Italia). I moti mazziniani saranno destinati al fallimento, ne è un
esempio la spedizione dei fratelli Bandiera in Calabria (1844), arrivati per sollevare il popolo contro
l’oppressore, fu lo stesso popolo a farli arrestare considerandoli dei briganti.
Gli insuccessi dei tentativi mazziniani (Mazzini è costretto a vivere in esilio in questi anni, prima in
Francia e quindi in Inghilterra) spingeranno verso la ricerca di soluzioni alternative a quella insurrezionale
per ottenere l’unità del nostro Paese.
L’ideale democratico di Mazzini, la sua idea di insurrezione armata di popolo contro l’invasore troverà
nella spedizione di Garibaldi in Sicilia (ostacolata da Cavour) la sua piena realizzazione.
4.2 Le proposte moderate di Gioberti, Balbo e Cattaneo
Accanto al radicalismo repubblicano di Mazzini si hanno in Italia, nel corso degli anni ’40 delle proposte
politiche accomunate dal loro orientamento moderato. Gioberti (nel suo libro Del primato morale e civile
degli italiani) e Balbo (autore de Le speranze degli italiani) riconoscono l’impossibilità di un’unità politica
del nostro paese e quindi propongono, quale soluzione per l’Italia, un sistema federale di stati aventi quale
guida morale il Papa (per questo detta proposta neoguelfa).
Anche Cattaneo si unisce a Gioberti e Balbo nel riconoscere nel federalismo l’unico possibile modello
di stare assieme per le diverse regioni d’Italia, si distingue, però dai due per l’impronta repubblicana del suo
pensiero. La confederazione immaginata da Cattaneo avrebbe dovuto essere del tutto laica e indipendente
dalla Chiesa di Roma, sul modello degli Stati Uniti d’America. Secondo Cattaneo la confederazione italiana
poteva essere il primo passo verso la costituzione degli Stati Uniti d’Europa.
4.3 La via diplomatica di Cavour
I moti insurrezionali del ’48 e la prima guerra d’indipendenza ebbero quale conseguenza un’ulteriore
restrizione delle libertà in quasi tutto il territorio italiano. Non così nel regno di Sardegna (protagonista
della prima guerra d’indipendenza), qui, infatti, non solo Vittorio Emanuele II mantenne la carta
costituzionale concessa da Carlo Alberto (Statuto albertino del 1848), ma avviò una politica di profonde
riforme e modernizzazione che consentì al Piemonte di raggiungere, in pochi anni, livelli sociali ed
economici simili a quelli dei paesi europei più avanzati.
Protagonista della politica di riforme e modernizzazione attuata nel regno di Sardegna nel decennio
1850-1860 fu Camillo Benso conte di Cavour. Sostenitore di un liberalismo moderato, Cavour comprese
ben presto come fosse impossibile per l’esercito sabaudo sconfiggere l’Austria senza l’appoggio di una
potenza straniera. Ecco perciò che cerca in tutti i modi di avvicinarsi alla Francia di Napoleone III (nel
1848 Luigi Napoleone viene nominato presidente della Repubblica francese, grazie ad un plebiscito viene
istituito il nuovo impero, nel 1852, Luigi Napoleone viene nominato quindi imperatore con il nome di
Napoleone III), l’occasione arriva nel 1858, dopo che Felice Orsini, un seguace di Mazzini, attenta alla vita
dell’imperatore francese lanciando tre bombe contro la sua carrozza.
Cavour a questo punto propone all’imperatore un’alleanza franco-piemontese avente la funzione di
contrasto al movimento repubblicano e, nello stesso tempo, in grado anche di limitare l’egemonia austriaca
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in Italia. I due statisti firmano quindi, in segreto, nella cittadina francese di Plombières degli accordi che
prevedevano, tra l’altro, l’intervento della Francia a fianco del Piemonte, nel caso che questo venisse
attaccato dall’Austria. È questa la via diplomatica scelta dall’astuto primo ministro piemontese per cercare
d’unire il territorio italiano sotto il controllo della monarchia sabauda. I risultati non tarderanno ad arrivare.
5. La seconda guerra d’indipendenza e la conquista dell’Unità
5.1 La seconda guerra d’indipendenza
Dopo gli accordi di Plombières, nel 1859, il Piemonte fece di tutto (ad esempio manovre militari al
confine) per provocare l’Austria al conflitto. Il governo di Vienna cadde con facilità nella trappola, dopo
aver inviato un ultimatum al governo piemontese e non avendo ricevuto risposta, dichiara guerra al
Piemonte. Inizia in questo modo la seconda guerra d’indipendenza: le truppe franco-piemontesi hanno la
meglio in diverse battaglie (Magenta, Solferino, San Martino). A questo punto gli austriaci firmano con i
francesi l’armistizio (a Villafranca presso Verona) con il quale l’Austria cede la Lombardia alla Francia
(che quindi la passa al Piemonte).
5.2 Annessione delle regioni dell’Italia centrale
Con la seconda guerra d’indipendenza iniziano dei moti insurrezionali in diverse regioni dell’Italia
centrale. In questo caso, però, rispetto ai moti del 1848 è il movimento dei moderati che insorge a formare
dei governi provvisori, che si pronunceranno per l’annessione al Piemonte. Così, nei primi mesi del 1860,
Emilia, Romagna e Toscana decideranno, mediante Plebiscito, l’annessione al Piemonte.
5.3 La spedizione dei Mille e la liberazione delle regioni del Mezzogiorno
Se la via diplomatica di Cavour risultò vincente per il Nord e il centro Italia, ben poco poteva fare per le
regioni del Sud d’Italia governate dai Borboni (Francesco II di Borbone sale al trono nel 1859), ed è proprio
nelle regioni del Sud che i movimenti insurrezionali di ispirazione repubblicana troveranno modo di
rivalersi delle delusioni vissute fino ad allora.
Nell’aprile del 1860 scoppiano a Palermo dei moti insurrezionali di carattere popolare che
spingono Garibaldi nell’organizzare la spedizione dei Mille per aiutare gli insorti. Cavour e Vittorio
Emanuele II, pur essendo nettamente contrari all’impresa, nulla fanno in concreto per bloccarla.
Garibaldi è quindi libero di partire dal porto di Quarto, presso Genova, nella notte tra il 5 e i 6 maggio
1860, con poco più di mille uomini. Alcuni giorni dopo arrivano a Marsala e qui vengono accolti come dei
liberatori dalla popolazione, che si unisce a loro nel combattere contro l’esercito borbonico. In pochi mesi la
Sicilia è liberata dai Borbone. Superato lo stretto di Messina, Garibaldi e i suoi uomini passano quindi in
Calabria e da qui verso Napoli dove giungono in settembre, Francesco II è costretto a fuggire.
Dopo Napoli, Garibaldi era intenzionato ad occupare anche il Lazio per puntare alla liberazione di Roma
dal potere del papa, a questo punto, però, Cavour, anche per gli accordi presi con Napoleone III, non può più
lasciar agire indisturbato l’eroe dei due mondi e così invia l’esercito sabaudo nel centro Italia per fermare lo
stesso Garibaldi. Fortunatamente non fu necessario arrivare allo scontro armato, Garibaldi cede a Vittorio
Emanuele II i territori liberati.
5.4 La proclamazione del Regno d’Italia, il 17 marzo 1961
Tra ottobre e novembre del 1860 tutte le regioni del Mezzogiorno, più Marche ed Umbria decidono,
mediante plebiscito, l’annessione.
Il 17 marzo 1861 il nuovo parlamento italiano proclama Vittorio Emanuele II re d’Italia, la capitale è
Torino.
Veneto, parte del Lazio e Roma non sono però ancora italiane. Bisognerà attendere ancora dieci anni
(1870) per l’annessione di Roma, città simbolo della ritrovata unità di un Paese che era diviso da più di
mille anni.
PARTE SECONDA
L’ITALIA DALL’UNITÁ ALLA FINE DELL’OTTOCENTO
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6. La fase di consolidamento dello Stato unitario
6.1 “Fatta l’Italia bisogna ora fare gli italiani”
"Fatta l’Italia bisogna fare gli Italiani", questa frase di Massimo D’Azeglio coglie efficacemente il più serio
problema che si pose alla classe dirigente del nuovo Stato italiano. Alcuni dati ci mostrano chiaramente quale
fosse la situazione dell’Italia unita:
• 8 italiani su 10 sono analfabeti
• solo il 3% parla la lingua italiana
Proprio l’estrema varietà e disuguaglianza della società italiana, assieme ad altre considerazioni
condizionano le scelte relative alla forma più idonea di stato nazionale scegliendo per il regno d’Italia un
assetto fortemente accentrato.
Un forte potere centrale si rese perciò necessario per:
• neutralizzare la spinta delle forze democratiche e popolari che avevano contribuito a crearlo
• fronteggiare il forte potere ostile della Chiesa Cattolica (che esercitava una capillare influenza
specie su i contadini)
• controllare un paese particolarmente diviso e privo, specie nel Mezzogiorno, di una classe
dirigente borghese ampia e ramificata
6.2 Innanzitutto accentramento amministrativo
Dopo la prematura morte di Cavour nel 1861, la guida del governo passa al toscano Bettino Ricasoli,
che affossa i cauti progetti di decentramento amministrativo, elaborati in quel tempo, ed estende a tutta
l’Italia la legge Rattazzi del 1859, che generalizza il centralismo degli ordinamenti comunali e provinciali
piemontesi.
Viene istituita la figura del Prefetto attorno alla quale ruoterà l’intera impalcatura dello Stato
accentrato. Il prefetto è un alto funzionario non elettivo ma nominato dal ministero degli interni, che deve
controllare non soltanto l’ordine pubblico, attraverso l’azione delle questure a lui subordinate, ma l’intera
vita associata delle 59 province del Regno, dirigendo l’attività delle giunte e dei consigli elettivi, emanando
decreti e regolamenti, esercitando una costante e pesante ingerenza sugli enti locali.
Questa tendenza uniformatrice e accentratrice viene confermata nel 1865 dalle leggi di unificazione
legislativa e amministrativa, il sindaco non è elettivo ma di nomina regia. Accentrato è anche il sistema
scolastico, retto da una legge del 1859 del ministro Gabrio Casati, che istituisce la scuola elementare
obbligatoria (per due anni) e gratuita.
Lo Statuto albertino, che diviene la legge fondamentale del nuovo regno, assegna ampi poteri alla
monarchia sabauda, e così i ministri non rispondono del loro operato al parlamento ma al re, che si
riserva sempre la scelta dei ministri della Guerra e della Marina. Al re spettano anche le decisioni in
materia di politica estera e la condotta della guerra, oltre al diretto controllo delle forze armate per
mantenere l’ordine interno. Di nomina regia sono i membri del Senato nominati dal sovrano.
Si deve inoltre sottolineare come l’elettorato ha in questi anni un peso molto limitato, solo il 2%
della popolazione ha diritto al voto.
7. Il governo della Destra affronta i primi gravi problemi dell’Italia unita (18611876)
7.1 Il governo della Destra
Dal 1861 al 1876 l’Italia è governata da una parte della classe dirigente che viene chiamata Destra con
riferimento alla sua collocazione nell’aula del parlamento. La Destra e composta da personaggi come
Quintino Sella e Giovanni Lanza (piemontesi), Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi (toscani), Minghetti
(emiliano), Stefano Jacini ed Emilio Visconti Venosta (lombardi). Questi uomini sono soprattutto
proprietari terrieri, spesso personalità di alta cultura, concepiscono la gestione dello stato quasi come una
amministrazione di beni privati
I problemi principali con cui la Destra si dovrà confrontare sono diversi e tutti molto gravi:
• la necessità di risanare un bilancio in rosso
• brigantaggio nel meridione
• l’unificazione da completare (nel 1861 non sono ancora annessi al regno italiano il Veneto e il
Lazio, oltre a Trento e Trieste)
• difficili rapporti con la Chiesa cattolica
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7.2 Il problema del bilancio da risanare
Le diverse guerre risorgimentali per l’Unità erano costate molto al bilancio del Piemonte, per tale motivo
il bilancio dello Stato italiano dei primi anni è nettamente negativo.
Il governo della Destra, con al ministero delle finanze Quintino Sella (in carica dal 1862 al 1865 e dal
1869 al 1873), si pose così, tra i primi e più importanti traguardi da raggiungere, il pareggio del bilancio. Per
ottenere tale obiettivo decise di muoversi in tre direzioni:
• contenimento delle spese
• aumento delle entrate (aumento delle tasse)
• vendita di beni demaniali1 dello Stato e degli enti ecclesiastici (soppressi nel 1866-67)
Se i provvedimenti per il contenimento della spesa non suscitarono grandi proteste, l’aumento delle
tasse (anche perché si aumentarono più le tasse sui consumi che quelle sui beni) provocò notevoli proteste,
in particolare nel meridione dove il pagamento delle tasse prima dell’Unità era molto ridotto, dato che i
regnati borbonici non facevano nulla per migliorare le strutture pubbliche e la qualità della vita in genere.
Anche la vendita dei beni degli enti ecclesiastici provocò notevoli proteste da parte della Chiesa.
Gli sforzi messi in atto diedero i loro risultati, nel 1875 si riuscì ad ottenere il pareggio del bilancio. Il
liberismo2 economico favorì le imprese del Nord Italia, già abituate ad una economia di mercato, e sfavorì le
imprese del Mezzogiorno cresciute in un regime protezionistico mantenuto dal regime borbonico, inizia in tal
modo in questi anni quella che successivamente verrà definita “questione meridionale”.
7.3 Il brigantaggio nel Meridione
Agli occhi dei contadini del Meridione (e ricordo che nel Meridione praticamente mancava una classe
borghese intermedia, vi erano solo contadini e grandi proprietari terrieri) il nuovo Stato non solo non aveva
migliorato le condizioni di vita ma le aveva peggiorate, in particolare introducendo nuove e più pesanti
tasse (la più odiosa la tassa sul macinato del 1868) e rendendo obbligatorio il servizio militare per tutti.
La sperata e tanto attesa distribuzione ai contadini delle terre espropriate agli enti ecclesiastici non arrivò
mai, tali terre furono, infatti, acquistate dai grandi proprietari, i quali in tal modo, rafforzarono il loro potere.
E’ in tale contesto che si sviluppa un movimento di protesta e rivolta nei confronti dell’ordine costituito, e
che trova la sua espressione più cruenta nel brigantaggio.
Tale movimento, derivante dalla protesta popolare, trovò due grandi forze sostenitrici:
• gli agenti borbonici, dispersi tra il popolo, mandati dagli ex regnanti in esilio a Roma
• una parte considerevole del clero, che continuava a vedere nello Stato unitario un avversario
da combattere
E’ così che bande di fuorilegge riescono a controllare intere zone dell’interno, attaccando spesso città e
villaggi per saccheggiarli.
La lotta contro il brigantaggio dura fino al 1865-66, impegna nelle regioni del Mezzogiorno un corpo
di spedizione di circa 120 mila uomini, pari a metà dell’intero esercito regolare, richiede la proclamazione
dello stato d’assedio e il passaggio dei poteri ai tribunali militari che hanno la facoltà di fucilazione
immediata nei confronti di chiunque opponga resistenza armata. Una durissima repressione militare
segna così, fin dall’inizio, il rapporto fra il nuovo Stato e le popolazioni meridionali.
7.4 Il compimento dell’Unità
a. L’annessione del Veneto
L’occasione per l’annessione del Veneto viene offerta dall’iniziativa di Bismarck. Questi, con l’assenso
dell’imperatore francese, coinvolge l’Italia nella guerra del 1866 contro l’Austria. La vittoria prussiana
consentì al Veneto di riunirsi all’Italia. Tuttavia se il giovane regno può annettersi il Veneto deve ringraziare
la schiacciante vittoria delle armate prussiane e non l’apporto militare italiano. L’esercito sabaudo, infatti,
viene sconfitto sia in terra (a Custoza), sia in mare (a Lissa). Non è perciò senza motivo che alla conclusione
delle ostilità l’Austria cede il Veneto non direttamente all’Italia, bensì alla Francia che, a sua volta, lo "gira"
all’Italia.
b. L’annessione del Lazio e la “questione romana”
1
Sono considerati beni demaniali tutti quei beni che sono di proprietà dello Stato.
Pur essendo piuttosto complesso il concetto di liberismo, possiamo accontentarci di definirlo come una scelta politica
che privilegia, in campo economico, il libero mercato, rispetto all’intervento statale.
2
14
Solo Roma capitale poteva realmente ricongiungere il giovane Stato al suo passato prestigioso. Tuttavia
l’ostilità del Papa, la cui ira poteva trasmettersi alla massa dei fedeli, e la protezione che la Francia (con
Napoleone III) assicurava alla Santa Sede avevano un effetto di blocco.
I moderati della Destra al governo subito dopo l’Unità si trovano stretti fra i vincoli imposti dalla
Francia, che esclude l’annessione di Roma all’Italia, e i democratici, che puntano a una sorta di riedizione
dell’iniziativa garibaldina e godono dell’appoggio di ampi settori della Sinistra. I vari tentativi di conquistare
Roma falliscono tutti finché la Prussia non ci viene ancora in aiuto, indirettamente questa volta, la vittoriosa
guerra franco-prussiana nell’estate del 1870 provoca la caduta dell’imperatore francese Napoleone III, e con
esso il maggiore ostacolo che si oppone al completamento dell’unità nazionale.
Il 20 settembre 1870 i bersaglieri italiani vengono inviati a prendere Roma: con una breccia aperta nelle
mura romane all’altezza di Porta Pia, il Regno d’Italia sancisce la conquista militare della sua capitale.
Le vicende conclusesi con l’abbattimento del potere temporale del papato non esauriscono la questione
romana, che condizionerà a lungo i rapporti fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica.
Il tentativo di Cavour di risolvere il problema seguendo una linea separatista sintetizzata dalla formula
"libera Chiesa in libero Stato" si scontra con l’intransigenza di Pio IX. Nel 1871 con una legge detta "delle
guarentigie", l’Italia riconosce il papa come sovrano su un residuo lembo di territorio romano denominato
Città del Vaticano, gli assegna una dotazione finanziaria annua, garantisce al clero ampie libertà e lo esime
dal controllo delle autorità civili. Tale legge non viene però riconosciuta da Pio IX che si rifiuta di
riconoscere lo Stato italiano proclamandosene implicitamente prigioniero politico. Nel 1870 il Concilio
Vaticano I proclama il dogma dell’infallibilità del pontefice e nel 1874 un decreto della Santa Sede (il
cosiddetto non expedit, "non è opportuno" in latino) vieta ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche
e amministrative. Il nuovo stato italiano nasce così con l’opposizione manifesta del potere che ben più a
lungo di ogni altro ha regnato sulla penisola: quello religioso e culturale della Chiesa cattolica.
8. La Sinistra al potere (1876-1900)
8.1 Le riforme della Sinistra
Alcune riforme che la Sinistra al governo riesce ad attuare sono sicuramente degne di nota:
• allargamento della base elettorale
• frequenza obbligatoria dell’istruzione di base (legge Coppino)
• avvio di una prima legislazione in campo sociale
• revisione del sistema delle tasse, con l’eliminazione della tassa sul macinato
a. Allargamento della base elettorale
Con la riforma elettorale del 1882 il governo della Sinistra riduce i limiti di censo (da 40 a 19 lire), e di
età (da 25 a 21 anni), in tal modo avranno accesso al voto altri due milioni di cittadini maschi (nel corpo
elettorale vi sarà, in tal modo, la prevalenza del ceto borghese), l’elettorato attivo passerà dal 2 al 7%
della popolazione.
b. Frequenza obbligatoria dell’istruzione di base
Nel 1877 la legge Coppino introduce l’obbligo di frequenza (dai sei ai nove anni) nelle scuole
elementari (fino alla classe terza), dando una prima risposta al grave problema dell’analfabetismo, anche se
con risultati limitati e molto differenziati. Nel 1901 gli analfabeti scenderanno nei capoluoghi di provincia al
32%, rimanendo però al 52% nelle campagne.
c. Avvio di una prima legislazione in campo sociale
Tra il 1880 e il 1890 il parlamento italiano (anche sull’esempio di quello tedesco) avvia delle prime
iniziative di legislazione sociale, riconoscendo, ad esempio, le società di mutuo soccorso (1886), e fissando
a 9 anni e otto ore giornaliere i limiti del lavoro infantile (1886). Prevede, inoltre, la possibilità facoltativa
di assicurarsi contro gli infortuni sul lavoro presso una Cassa nazionale di assicurazioni, solo nel 1898 il
parlamento italiano emanerà una legge per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro
e getterà le prime basi di un sistema pensionistico volontario.
d. Eliminazione della tassa sul macinato
In campo tributario nel 1884 viene abolita l’odiata tassa sul macinato.
8.2 Una politica economica “protezionistica”
L’elemento caratterizzante la politica economica del governo della sinistra è l’abbandono del liberismo
del governo precedente e l’adozione di una politica di tipo protezionistico. Una tale scelta è condizionata sia
dall’avvio della “grande depressione” economica che caratterizzerà gli ultimi decenni del XIX secolo, sia
dalla crescente concorrenza tra le diverse economie nazionali. Lo Stato italiano imporrà quindi, anche su
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sollecitazione di un grande fronte di forze economiche e sociali, nel 1887 una nuova tariffa doganale (che
rimarrà in vigore fino al 1921) per proteggere soprattutto la produzione granaria e i settori industriali
tessile e siderurgico, mentre lascia bassi i dazi sui prodotti stranieri dell’industria meccanica e chimica.
8.3 La politica estera italiana negli anni del governo della Sinistra
I rapporti di collaborazione con la Prussia iniziano nel 1866 a spese dell’Austria e sono finalizzati a
completare l’Unita del Paese mediante l’acquisizione del Veneto. La paura di rimanere isolata in ambito
internazionale (nel congresso di Berlino del 1878 l’Italia ha avuto ben poco peso, ma soprattutto ha
l’impressione di essere isolata) la spinge ad aderire alla Triplice alleanza, con Austria-Ungheria e
Germania, nel 1882.
Primi tentativi di espansione coloniale in Africa
La Triplice è la cornice entro la quale prendono corpo, per la prima volta, dei timidi tentativi di politica
coloniale da parte dell’Italia. Nel 1882 viene occupata una striscia di territorio sulla costa meridionale del
Mar Rosso. Con il governo di Crispi, del 1887, i possedimenti coloniali italiani vengono riorganizzati e
ampliati e prendevano il nome di Colonia Eritrea (1890), allargatisi, poi, con il controllo della vicina
Somalia. L’espansione coloniale italiana urtava però la sensibilità del vicino impero etiopico; fu così che
Crispi cercò di ottenere una forma di accordo-protettorato sull’impero di Etiopia (o Abissinia), nel 1889
firma con l’imperatore (negus) d’Etiopia, Menelik, un trattato (trattato di Uccialli). Tale accordo venne però
inteso diversamente dalle due parti, gli italiani, infatti iniziarono delle forme di penetrazione nei territori
etiopici che furono decisamente respinti dagli etiopici. Questi contrasti culminarono con lo scontro
disastroso di Adua (1896), sedicimila soldati italiani vengono praticamente annientati dalle forze
abissine. La sconfitta costrinse Crispi alle dimissioni.
9. Nascita dei movimenti di massa alla fine del XIX secolo
9.1 Nascita del movimento operaio in Italia (le società di mutuo soccorso)
Le prime organizzazioni che si affermano nel mondo del lavoro sono società di mutuo soccorso (nel
1885 il loro numero è di quasi cinquemila). Tali società si incaricano di raccogliere fondi per gli aiuti ai soci
malati o invalidi. Spesso a capo di queste società vi sono esponenti dell’aristocrazia che danno a tale attività
un carattere filantropico e paternalistico.
9.2 Il partito socialista italiano
Negli anni successivi all’Unità, si diffondono in Italia idee insurrezionali di stampo anarchico sul
modello di quelle professate da Bakunin; ben presto, però, il completo fallimento derivante dalla messa in
pratica di tale idee e il diffondersi del pensiero marxista, spinge alcuni appartenenti ai gruppi anarchici ad
abbandonare la pratiche insurrezionali, per fondare un partito che partecipasse alla vita amministrativa e
politica del Paese. Tra i principali rappresentanti di una tale tendenza vi è Andrea Costa3 (1851-1910), che
alle elezioni del 1882 viene eletto deputato, il primo deputato socialista eletto al parlamento italiano.
In questo periodo vi sono numerosi movimenti di protesta tra i braccianti agricoli (danneggiati anche
dalla crisi economica e produttiva a livello mondiale); il movimento di protesta che si attua nel Polesine
viene chiamato “la boje” (dal modo di dire dialettale usato dai braccianti in lotta “la boje, la boje e do boto la
va de fora”), le lotte dei braccianti riescono ad ottenere dei miglioramenti salariali.
Nonostante gli interventi repressivi si va diffondendo sul territorio nazionale una vasta rete di
organizzazioni (dalle leghe bracciantili alle cooperative e ai sindacati urbani) che si battono per gli interessi e
i diritti della classe lavoratrice.
Le diverse componenti del movimento socialista della penisola confluiscono verso la fine del secolo in
un nuovo partito (soprattutto per iniziativa di Filippo Turati e del filosofo Antonio Labriola), che nel 1895
prenderà il nome Partito socialista italiano.
Nato come federazione di associazioni sindacali e politiche, mutualistiche, cooperative e culturali, nel
giro di pochi anni il partito socialista italiano assume la fisionomia di un moderno partito politico fondato sul
principio dell’adesione individuale.
9.3 Il movimento cattolico
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Andrea Costa conosce a Parigi la socialista russa Anna Kuliscioff e, anche grazie al suo influsso, si convince della
necessità di dar vita ad un partito che partecipasse alla vita politica del paese, è così che nel 1881 fonda il Partito
socialista rivoluzionario di Romagna.
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a. L’Opera dei congressi
Fedeli alle direttive di Pio IX (ricordo il suo non expedit del 1874) e perciò ostili a ogni tentativo di
conciliazione con lo stato italiano, i cattolici più "intransigenti" fondano l’Opera dei congressi, una
organizzazione, saldamente controllata dal clero, che si propone quale fine l’impegno nel sociale.
Proponendosi in opposizione e alternativa alle organizzazioni socialiste e allo Stato laico.
b. L’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII
Solo con l’avvento al soglio pontificio di Leone XIII (1878), la Chiesa mostra qualche segno di apertura
nei confronti dello Stato italiano; durante il pontificato di Leone XIII aumento l’impegno dei cattolici nel
sociale, si rafforzano così, soprattutto nella Lombardia e nel Veneto società di mutuo soccorso, cooperative
agricole e artigiane ispirate alla nuova dottrina sociale cattolica. La nuova posizione della Chiesa nei
confronti dei problemi sociali si concretizza, da un punto di vista dottrinale, nell’enciclica Rerum novarum
pubblicata del pontefice Leone XIII nel 1891.
Nell’enciclica, tra gli altri, sono sottolineati i seguenti punti:
• necessità di una conciliazione fra lavoratori e imprenditori
• condanna dello sfruttamento capitalistico
• condanna del socialismo e della lotta di classe
• sostegno allo sviluppo dell’associazionismo popolare e operaio dei cattolici
Si sviluppa, in tal modo, un diffuso movimento che si pone in alternanza e in concorrenza con i socialisti.
10. L’Italia dei governi Crispi e Giolitti
10.1 I governi di Francesco Crispi (1887-’91 / 1893-‘96)
Nell’ultimo decennio del XIX secolo la figura di spicco nella scena politica italiana è Francesco Crispi;
questi ricopre la carica di Primo ministro negli anni 1887-’91 e 1893-’96. Gli anni del governo Crispi si
caratterizzano per due aspetti:
• in politica estera per le iniziative coloniali (probabilmente anche per emulazione delle altre
grandi potenze europee e della Germania in particolare, Crispi nutriva una grande ammirazione
per Bismarck)
• in politica interna per le iniziative repressive, finalizzate a mantenere l’ordine pubblico
Delle iniziative e degli esiti in campo coloniale abbiamo già parlato nelle pagine precedenti. Per quanto
attiene le attività repressive attuate negli anni di fine secolo, è necessario studiare il fenomeno con
attenzione.
Verso la fine del XIX secolo, lo sviluppo industriale in Italia, pur essendo in ritardo rispetto a quello di
altri paesi, raggiunse delle discrete dimensioni. Contadini e operai cominciarono in quegli anni a prendere
coscienza della loro condizione (anche per il diffondersi delle idee socialiste), e ad organizzarsi in
associazioni finalizzate ad ottenere delle migliori condizioni di vita anche attraverso forme di lotta estreme.
In questi anni si svilupparono diversi focolai di protesta (in particolare in Sicilia nel 1894 e nella
Lunigiana).
Il governo come risposta a queste forme di protesta proclama lo stato d’assedio in Sicilia e, nello stesso
tempo, fa approvare dal parlamento (1894) un insieme di leggi che si pongono quale obiettivo il ristabilirsi
dell’ordine pubblico; per raggiungere una tale meta si decide di limitare la libertà di d’espressione, in
particolare vengono limitate:
• la libertà di stampa
• la libertà di associazione
• la libertà di riunione
Nell’ottobre del 1894 si dichiara fuorilegge il Partito socialista.
Il sistema repressivo messo in atto dal governo Crispi, non solo non riesce a smantellare la rete
organizzativa legata al Partito socialista, ma fa si che diversi intellettuali democratici si avvicinino con
simpatia al partito dichiarato “fuorilegge”.
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