Investire nella crescita: idee per rilanciare l`Italia

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Investire nella crescita:
idee per rilanciare l’Italia
Vittorio Terzi
Roberta Marracino
Chiara Spreafico
Arianna Turconi
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
Indice
Investimenti privati: una risorsa per la crescita
La caduta degli investimenti privati
La sfida del rilancio degli investimenti privati
Le leve per riattivare gli investimenti
5
5
10
16
Sbloccare i settori industriali
17
Ricostruire la fiducia nel “fare impresa” in Italia
19
Ritrovare l’appetito per il rischio Italia
23
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 3
Investire nella crescita:
idee per rilanciare l’Italia
La crescita rimane una priorità assoluta per gran parte dei paesi occidentali,
ed europei in particolare. Il dibattito tecnico-economico degli ultimi anni si è
concentrato su questo tema elaborando proposte di varia natura, spesso orientate
al recupero del potere di acquisto delle famiglie come leva per riattivare i consumi.
In realtà, non è possibile ipotizzare il rilancio della crescita senza una ripresa
robusta degli investimenti privati: non è un’opzione tra diverse altre disponibili, è
la strada prioritaria da seguire per uscire dalla crisi in Italia e in Europa.
La ricerca pubblicata dal McKinsey Global Institute nel gennaio 2013, Investing
in growth: Europe’s next challenge, lo conferma: la causa principale della
profonda stagnazione che sta vivendo il continente europeo è la debolezza degli
investimenti, fattore determinante della diminuzione del prodotto interno
lordo negli ultimi anni. Tra il 2007 e il 2012, nell’Europa a 27 gli investimenti
sono crollati di 475 miliardi di euro, un importo pari a dieci volte la riduzione dei
consumi avvenuta nello stesso periodo e a cinque volte la riduzione complessiva
del PIL. Le aziende detengono un ammontare significativo di liquidità – bloccata
in azienda o investita in strumenti finanziari a breve termine – che potrebbe essere
investita in progetti di crescita, laddove venissero a cadere almeno una parte delle
attuali incertezze e cause di instabilità. L’excess cash delle aziende europee quotate
è stata stimata intorno ai 750 miliardi di euro alla fine del 2011, circa 70 dei quali
riferibili ad aziende italiane. In Italia queste risorse rimangono liquide, oltre che
per sfiducia nelle prospettive economiche, anche per la difficoltà di “fare impresa”
e per le numerose barriere che non favoriscono l’iniziativa privata.
4 McKinsey & Company
Per ridare vigore alla crescita e all’occupazione, è necessario che il Governo agisca
sui fattori che inibiscono gli investimenti in ogni settore dell’economia e migliori
l’ambiente economico in cui operano le imprese locali e gli investitori esteri.
Nelle pagine che seguono approfondiamo questi temi, suggerendo una strategia
di rilancio basata sul metodo dell’attivismo microeconomico, che prevede il
concorso delle migliori energie pubbliche e private per far ripartire il Paese.
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 5
Investimenti privati:
una risorsa per la crescita
La caduta degli investimenti privati
Fra le cause principali della lunga fase di crisi e di mancata crescita dell’Europa vi è
la caduta degli investimenti. Tra il 2007 e il 2012 il calo è stato pari a 475 miliardi di
euro (figura 1), rappresentando la componente di maggior rilievo nella riduzione
complessiva del PIL continentale.
Il fenomeno è stato trasversale a tante economie europee, anche alle maggiori. Se
si escludono Germania, Norvegia e Svezia, in molti paesi europei si è registrato
un calo consistente degli investimenti negli ultimi cinque anni. In particolare,
nel Regno Unito si sono ridotti nella misura del 3% del PIL 2007, mentre in
Danimarca e in Spagna il calo è stato più rilevante (rispettivamente pari al 5,1%
e all’11,1% del PIL). Forti riduzioni si sono osservate anche nei paesi del Nord
Europa che non soffrono di vincoli “endemici” allo sviluppo (figura 2).
6 McKinsey & Company
L’intensità e la profondità della crisi per l’economia italiana si evince dalle cifre
impietose: tra il 2007 e il 2012 l’Italia ha perso l’1,42% del PIL all’anno, un dato
negativo che non ha trovato riscontro in nessun altro grande paese europeo
(figura 3).
Anche nel nostro Paese gli investimenti rappresentano la componente che ha
maggiormente pesato nella dinamica negativa del PIL: 90 miliardi di euro in
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 7
meno dal 2007 al 2012, di cui oltre il 90% fanno capo a imprese e circa il 10% a
investimenti pubblici – un ammontare circa doppio rispetto al corrispondente calo
dei consumi nello stesso periodo e circa dieci volte superiore al corrispondente
calo dei consumi nel periodo 2007-2011 (figura 4).
Dopo un trend positivo durato quasi 15 anni (dal 1993 al 2007), gli attuali valori
degli investimenti sono tornati al di sotto dei livelli registrati nel 1990 (figura 5).
8 McKinsey & Company
La criticità della situazione è confermata dai dati che evidenziano la diminuzione
dell’interesse degli investitori esteri nei confronti dell’Italia. Se si esclude una
serie limitata di operazioni importanti (Bulgari-LVMH, Parmalat-Lactalis, WindVimpelCom, GE-Avio), si rileva che gli investimenti diretti esteri nel nostro Paese
sono in continua discesa: da un flusso medio in entrata di circa 21 miliardi di euro
nel periodo 2002-2006 a un flusso medio di soli 13,4 miliardi di euro nel periodo
2007-2011 (figura 6).
È difficile pensare a un rilancio dell’economia senza porre un’attenzione primaria
e nuovo vigore sulle strategie e le politiche di stimolo agli investimenti privati.
La maggior parte delle discussioni programmatiche – e del confronto politico
– continua a vertere su richieste di intervento diretto dello Stato nell’economia,
attraverso investimenti pubblici (ad esempio per lo sviluppo di infrastrutture) e
il rilancio dei consumi. Purtroppo, il potenziale di queste due leve è limitato e non
migliorerà in tempi brevi.
! Gli investimenti pubblici, con un peso pari a circa il 10% del totale degli
investimenti (dato medio nel periodo 2000-2012), per compensare la caduta
degli investimenti privati registrata dal 2007 a oggi, dovrebbero più che
triplicare (ipotizzando costanti tutte le altre variabili). Se consideriamo i
vincoli di bilancio posti dal Patto di stabilità europeo e la dimensione del debito
pubblico italiano, un’espansione della spesa pubblica per investimenti di queste
proporzioni appare irrealizzabile.
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McKinsey & Company 9
! I consumi privati potrebbero costituire il motore della crescita economica,
ma la prospettiva di una loro imminente ripresa appare del tutto ipotetica. La
stagnazione economica, la crescita della disoccupazione e la contrazione dei
redditi contribuiscono infatti a mantenere un clima di pessimismo, che spinge
le famiglie alla cautela e scoraggia i consumi. Anche laddove le prospettive
economiche migliorassero nel prossimo futuro, l’esperienza dimostra che i
tempi per una ripresa sostenuta dei consumi si misurerebbero nell’arco di anni e
non di mesi.
Peraltro, l’aumento recente delle esportazioni, sostegno utilissimo per l’economia,
ha purtroppo compensato solo in parte la riduzione del PIL e presenta un
potenziale di crescita ulteriore che va a saturazione. Il 66% delle esportazioni
italiane è infatti diretto verso economie sviluppate1, in cui la domanda rimane
debole come in Italia e in cui l’aumento delle quote di mercato richiederebbe
un miglioramento della competitività dei prodotti italiani, che di fatto non
è realizzabile nell’immediato. Anche il dirottamento di quote consistenti di
export verso paesi a maggiore crescita interna richiede lo sviluppo di strategie di
posizionamento e di entrata in questi mercati, i cui effetti si renderebbero visibili
in tempi lunghi.
Rilanciare gli investimenti nel Paese, sia di imprese nazionali sia di
investitori stranieri, è quindi fondamentale per ridare vigore alla crescita
economica e creare nuovi posti di lavoro. In particolare, se si realizzassero
politiche in grado di recuperare in tre anni i 90 miliardi di euro di investimenti
persi nel periodo 2007-2012 (mantenendo inalterate le altre componenti del PIL),
l’effetto sul PIL reale nel primo anno sarebbe di oltre 2 punti percentuali2.
Anche l’effetto sull’occupazione sarebbe notevole. Le analisi condotte sui dati
raccolti dal 1993 al 2012 evidenziano una stretta correlazione tra investimenti
e occupazione: sulla base di questa serie storica, a ogni milione di euro investito
in attività produttive corrispondono circa 20 nuovi occupati (figura 7). Se
ipotizzassimo per il futuro un impatto analogo a quello prodotto in passato,
recuperare il gap di investimenti persi negli ultimi cinque anni consentirebbe di
creare oltre 1,6 milioni di nuovi posti di lavoro.
1 Include Unione Europea, America Settentrionale, Oceania, Giappone e Israele (calcolato nell’anno 2011).
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esclusi gli effetti moltiplicativi dell’aumento degli investimenti privati sulle altre componenti del PIL (consumi
delle famiglie, consumi delle amministrazioni pubbliche e commercio estero). Analisi prospettica basata su
stime Prometeia (aprile 2013).
10 McKinsey & Company
La sfida del rilancio degli investimenti privati
Dare priorità al rilancio degli investimenti privati è importante non solo perché
questa è la componente del PIL manovrabile con maggiori gradi di libertà, ma
anche perché le imprese non finanziarie italiane ed europee dispongono delle
risorse necessarie.
Secondo le stime della citata ricerca del McKinsey Global Institute, nel 2011 le
società quotate europee disponevano di un surplus di cassa3 pari a circa 750
miliardi di euro, di cui circa 70 riconducibili a società quotate italiane. Gran parte
di queste risorse sono gestite come liquidità aziendale e non vengono impiegate
in nuovi progetti di sviluppo. Le cause sono molteplici e spesso interrelate. Il
fattore più importante è rappresentato dal rallentamento dell’economia provocato
dall’indebolimento della domanda e accompagnato da una riduzione nell’utilizzo
di capacità produttiva. Domanda debole e capacità produttiva sottoutilizzata
scoraggiano le imprese dal lanciare nuovi investimenti, soprattutto nei settori
a più alta intensità di capitale, e inducono a rinviare i progetti in attesa di un
chiarimento dello scenario economico. Dalle analisi condotte dal McKinsey Global
Institute in Europa, si rileva che gli investimenti fissi nei settori caratterizzati da
alta intensità di capitale sono diminuiti di 14 punti percentuali nel 2009, a fronte di
una caduta del resto dell’economia di 8 punti percentuali.
3 L’eccesso di cassa è calcolato come il totale delle disponibilità liquide al di sopra del 2% del valore del
fatturato delle imprese.
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McKinsey & Company 11
Alcuni settori, come quello delle costruzioni, hanno risentito in modo molto severo
di questo rallentamento, al punto di bloccare qualsiasi nuova progettualità in
attesa di un ritorno a condizioni di normalità.
Un’altra causa che disincentiva gli investimenti privati, peculiare del nostro Paese,
è rappresentata dalla diffidenza diffusa circa la possibilità di “fare impresa” con
successo in presenza di fattori di sistema – come fiscalità, burocrazia, giustizia
civile, mercato del lavoro – che penalizzano la piena realizzazione del potenziale
economico sottostante. Una diffidenza accentuata dalla crisi, fino al punto di
scoraggiare il lancio di nuovi progetti.
Questo tipo di barriera non blocca solo le aziende straniere, ma anche le imprese
italiane. Queste ultime, infatti, non hanno smesso del tutto di investire e hanno
puntato sempre di più sull’estero – e in modo crescente sui mercati emergenti
– cambiando la destinazione geografica dei loro investimenti. Gli investimenti
diretti esteri di origine italiana sono passati da un flusso medio netto di 18,4
miliardi di euro nel periodo 2002-2006 a un flusso medio netto di quasi 38
miliardi di euro nel periodo 2007-2011, con un picco di oltre 70 miliardi netti
nel 2007 (figura 8). Quest’ultimo valore, da solo, copre per ben oltre due terzi la
riduzione di 90 miliardi di euro di investimenti registrata in Italia nel periodo
2007-2012.
12 McKinsey & Company
Le più importanti classifiche di competitività attestano con messaggi univoci
il ritardo italiano su gran parte delle leve che spingono un’azienda a scegliere il
Paese per investimenti produttivi e commerciali. Nella classifica annuale “Doing
Business 2012” della World Bank, pur guadagnando 14 posizioni rispetto al 2011,
l’Italia si colloca ancora alla 73a posizione su 185 paesi analizzati, a circa 30 posti di
distanza dalla Spagna, e molto lontana dagli altri grandi paesi europei: la Francia è
alla 34a, la Germania alla 20a e il Regno Unito alla 7a (figure 9 e 10).
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 13
Un ritardo così marcato sulle leve del “fare impresa” può avere un impatto ancora
più dannoso se si guarda al futuro. In tutto il mondo, infatti, dopo un periodo in
cui è aumentata la propensione a investire al di fuori dei confini nazionali (la quota
di investimenti diretti esteri sul totale del PIL mondiale è passata da poco meno
dell’1% nel 1990 a oltre il 4,34% nel 2000), si registra una stasi e in alcuni casi un
aumento degli indicatori di segno contrario (figura 11).
Sono numerosi gli esempi di società che stanno pianificando un ritorno delle
proprie attività produttive dai paesi emergenti ai paesi di origine. Un vero
fenomeno di delocalizzazione al contrario. Tra gli esempi recenti figurano Sleek
Audio e Chesapeake Bay Candle, società americane rientrate dalla Cina, oppure
Ford Motor Company, Otis Elevator e General Electric, che hanno traslocato dal
Messico. I motivi che spingono queste aziende al reshoring sono molteplici, e
tra questi citiamo la crescente automazione dei processi produttivi, che riduce
l’incidenza relativa del costo del lavoro domestico, e l’aumento del costo del lavoro
nei paesi emergenti. In Cina, ad esempio, quest’ultimo cresce del 20% l’anno,
molto più di quanto cresca la produttività del lavoro.
Le autorità americane hanno reagito con prontezza a questa inversione di
tendenza, adottando provvedimenti normativi per facilitare il reshoring e ridare
impulso alla crescita interna – un esempio e una rapidità di reazione da emulare
(box 1).
14 McKinsey & Company
Box 1: Gli Stati Uniti e il sostegno al reshoring
Nel 2011, l’amministrazione Obama ha lanciato il programma “Select USA”, un piano
per promuovere e facilitare gli investimenti in America, rivolto anche alle imprese
americane interessate a reinvestire nel loro paese. Nel 2012, la Casa Bianca ha
promosso l’evento “Insourcing American Jobs Forum”, un momento di discussione
cui sono seguite numerose iniziative legislative per la promozione degli investimenti
sul territorio americano e la creazione di posti di lavoro in loco. Tra queste rientrano:
la possibilità di dedurre immediatamente il 100% dei costi dei nuovi investimenti in
impianti (stabilimenti e macchinari) aperti sul territorio nazionale; gli incentivi per le
aziende manifatturiere che decidono di produrre localmente tecnologie innovative
in campo energetico; il lancio della “National Export Initiative”; le numerose azioni a
supporto della formazione del personale locale; l’avvio del “Recovery Act”, un piano di
investimenti di oltre 50 miliardi di dollari da destinare a infrastrutture di trasporto e di
7 miliardi a infrastrutture di telecomunicazioni e banda larga. In parallelo alle iniziative
governative, le associazioni di settore contribuiscono a promuovere l’insourcing
attraverso molteplici programmi: la “Reshoring Initiative”, sostenuta da numerose
imprese manifatturiere, “Make it in America”, lanciata dal National Institute of Standards
and Technology, “Growth”, promossa dal Manufacturing Institute.
Continuo è il dibattito su un’altra possibile causa di rallentamento degli
investimenti privati, da attribuire alla crescente difficoltà di accesso al credito per
le imprese.
Pur riconoscendo la dipendenza delle imprese dal credito bancario per la
copertura dei propri fabbisogni finanziari (soprattutto delle imprese di medie e
piccole dimensioni tipiche del tessuto economico italiano), è difficile dimostrare
che le limitazioni nell’accesso al credito siano dovute a un sovrappeso del rischio
nelle decisioni di concessione del credito delle banche. I dati confermano che le
restrizioni di credito non sono andate oltre le soglie compatibili con la sottostante
evoluzione del rischio. È difficile quindi considerare la restrizione del credito come
la causa del rallentamento di progetti di investimento che superano i test di merito
creditizio. In un contesto in cui il rapporto tra sofferenze lorde e impieghi delle
società non finanziarie è molto peggiorato (passando dal 5,8% del 2010 al 9,5% del
2012), i volumi di prestiti alle imprese sono rimasti pressoché stabili. Grazie anche
alle politiche di contenimento dei tassi della Banca Centrale Europea degli ultimi
anni, i tassi di interesse medi sui prestiti alle imprese sono scesi (dal 5,6% del 2007
al 3,8% del 2012), pur a fronte di un aumento dello spread medio applicato dalle
banche a parziale copertura del maggior rischio creditizio.
È verosimile pensare che le imprese abbiano deciso di ridurre gli investimenti in
capacità produttiva a prescindere dalle disponibilità di risorse finanziarie. È anche
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vero che se, per effetto del deleveraging, il credito bancario totale disponibile
dovesse attestarsi su un livello più basso rispetto ai picchi raggiunti nell’ultimo
decennio, diventando più selettivo, la velocità e l’intensità della ripresa degli
investimenti delle imprese – e quindi la ripresa della crescita economica e
dell’occupazione – ne potrebbero risentire in misura sensibile.
16 McKinsey & Company
Le leve per riattivare gli
investimenti
Gli appelli al rilancio della crescita economica in Italia e in Europa sono numerosi
e continui, le azioni intraprese e i risultati ancora deludenti. Lo Stato, con il suo
elevato debito pubblico, non dispone delle risorse necessarie per dare un nuovo
impulso alla crescita economica attraverso investimenti diretti. I consumi
privati, un importante fattore tradizionale di impulso allo sviluppo economico,
rimangono deboli per la combinazione degli effetti della crisi in corso (crescente
disoccupazione, contrazione dei redditi reali, riduzione della propensione ai
consumi) e di una demografia sfavorevole.
Agli investimenti privati va quindi assegnato un ruolo centrale. Le risorse che sono
venute a mancare alla crescita, e che devono ritornare ad alimentare il processo
di generazione di ricchezza e posti di lavoro, vanno ricercate presso gli investitori
privati italiani ed esteri. Mobilitare queste risorse richiede tempo: l’analisi storica
evidenzia che far tornare gli investimenti privati ai livelli pre-crisi richiede non
meno di cinque anni. Se in alcune nazioni europee come Svezia, Norvegia, Austria,
Germania, Regno Unito e Danimarca è già stata recuperata una parte degli
investimenti “perduti” dal 2007, in Italia questo processo non sembra ancora
iniziato.
Lo Stato svolge un ruolo fondamentale nel mobilitare queste risorse, ma negli
ultimi mesi l’attenzione e le energie del Governo sono state prevalentemente
concentrate sull’obiettivo di riequilibrio della finanza pubblica.
Il recupero di disciplina finanziaria, seppure necessario, non basta a ridare
slancio all’economia. Adesso che l’emergenza della finanza pubblica sembra
superata è necessario un nuovo visibile scatto in avanti da parte dello Stato e
delle imprese. Allo Stato non è richiesto – come spesso è accaduto in passato, con
deludenti risultati – di dimostrare generosità con robusti programmi di sussidio
o con investimenti diretti nell’economia. La finanza pubblica non lo consente. Lo
Stato può tuttavia esercitare la propria influenza attraverso un’azione normativa
incisiva e mirata per stimolare gli investimenti privati nel Paese.
In particolare, è necessario che il Governo e il Parlamento intervengano con
maggiore incisività agendo su due leve. Da un lato, sbloccando i settori industriali,
rimuovendo con sistematicità gli ostacoli alla crescita mediante l’adozione di
una politica industriale basata sul metodo dell’attivismo microeconomico;
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McKinsey & Company 17
dall’altro, aumentando la competitività del Paese e ricostruendo la fiducia nel
“fare impresa” necessaria per sbloccare l’iniziativa privata e le relative risorse.
È inoltre necessario che le imprese, oltre a portare un contributo diretto alle
iniziative di attivismo microeconomico dello Stato, ritrovino l’appetito per il rischio
Italia. In particolare, dovrebbero rivalutare le opportunità di investimento in Italia,
assicurando che le loro decisioni siano prive di percezioni distorte sull’effettiva
attrattività dei progetti e sul reale rischio d’impresa nel Paese (dovute alla cautela
indotta dalla crisi prolungata).
Sbloccare i settori industriali
A testimonianza di quanto nel dibattito pubblico degli ultimi anni abbiano prevalso
i temi di politica fiscale e di stabilità finanziaria, rispetto a quelli attinenti alle
riforme di politica industriale, basti citare il fatto che la copertura mediatica dei
primi è stata quattro volte superiore a quella dei secondi. In particolare, in tema di
rilancio della crescita economica, si è assistito e si continua ad assistere alla ricerca
di soluzioni basate su pochi provvedimenti trasversali (costo del lavoro, fiscalità,
semplificazioni), “che facciano davvero la differenza”. Il risultato – deludente – è
sotto gli occhi di tutti.
La verità è che ogni settore dell’economia è frenato da moltissimi ostacoli di natura
microeconomica. Ed è a questo livello che occorre intervenire in maniera incisiva.
Nel commercio non si cresce perché una regolamentazione restrittiva ostacola
lo sviluppo di formati distributivi a più alta produttività. Nelle costruzioni non si
cresce a causa di innumerevoli ostacoli autorizzativi e della mancanza di standard
costruttivi che aumentino l’efficienza e riducano il costo dei progetti immobiliari.
Il settore dei trasporti soffre per l’elevata frammentazione delle imprese coinvolte,
oltre che per l’assenza di una regolamentazione e di meccanismi di sistema che
promuovano i benefici di una maggiore cooperazione. Ogni settore presenta ostacoli
specifici che frenano gli investimenti privati. Le riforme che prescindono dagli
aspetti microeconomici di ciascun settore finiscono con avere un’efficacia limitata. È
necessario conoscere a fondo la situazione in cui si trova ogni comparto economico,
per comprenderne l’effettivo potenziale di sviluppo e le principali barriere che
inibiscono la crescita, secondo il metodo dell’attivismo microeconomico.
I paesi che hanno adottato questo metodo hanno conseguito significativi aumenti di
produttività, accelerazione degli investimenti e crescita economica.
Una corretta applicazione dell’attivismo microeconomico richiede l’attenzione del
Governo su tre punti:
1. Dare priorità ai settori che consentono un rilancio degli investimenti su una
scala dimensionale rilevante, con un impatto significativo e in tempi brevi sulla
18 McKinsey & Company
crescita e sull’occupazione. Intervenire con azioni specifiche su settori come
quelli del commercio, delle costruzioni, dell’horeca (hotel, ristoranti, catering),
dei trasporti e delle attività professionali (che rappresentano oltre il 56% degli
investimenti persi negli ultimi anni, quasi il 50% dell’occupazione e del valore
aggiunto nazionale) può avere un impatto rilevante e immediato per l’economia
(figura 12). Il manifatturiero, la metallurgia e la produzione di macchinari
e apparecchiature di qualità sono altrettanto importanti, rappresentando
il 5,7% in termini di occupazione e circa il 5% in termini di valore aggiunto.
Sono settori che fanno leva su un patrimonio di competenze e tecnologie
avanzate non replicabili in paesi a basso costo. Le eccellenze del made in Italy
(enogastronomia, moda, design e mobili), che contano il 6,8% in termini di
occupazione e il 5,2% in termini di valore aggiunto, sono anch’essi comparti
in cui investire, puntando su un forte aumento di produttività e quindi di
competitività della produzione.
Ragioni di equità politica spesso suggeriscono iniziative comuni a più settori
o relative a comparti economici marginali. È difficile immaginare che tale
approccio possa avere un impatto significativo sulla crescita e sulla creazione di
nuovi posti di lavoro nel Paese in tempi brevi.
2. Assicurare la cooperazione pubblico-privato, per comprendere a fondo
gli ostacoli sistemici che bloccano gli investimenti privati nei singoli settori.
Questo approfondimento è possibile attivando tavoli di lavoro dell’Esecutivo
specializzati per settore e costituiti da un’ampia rappresentanza delle imprese,
anche attraverso la loro partecipazione e il loro contributo diretti. La voce di chi
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è sul mercato tutti i giorni è fondamentale per comprendere i vincoli effettivi
allo sviluppo del settore, per misurare con rigore i costi e i benefici di una loro
rimozione e per individuare, testare e mettere a punto i provvedimenti che
consentono di rilanciare la crescita. Non si possono trovare soluzioni di piena
efficacia senza il confronto con le imprese, che sono le prime ad avere un diretto
interesse nel rilancio della crescita.
3. Assicurare le necessarie competenze ed esperienza nella gestione
di questo processo. Di solito, lo Stato affida l’elaborazione delle riforme di
politica industriale a personale con formazione ed esperienza giuridicoamministrativa. Questa esperienza è utile e necessaria (vista la complessità
della macchina legislativa dello Stato), ma non è sufficiente. Il settore pubblico
ha bisogno di dotarsi di figure dirigenziali con conoscenze ed esperienze in ogni
settore soggetto a riforma, di professionalità che dovrebbero integrare quelle
dei funzionari addetti allo sviluppo di politiche industriali nell’organico della
Pubblica Amministrazione italiana. Senza la presenza di risorse che parlano lo
stesso linguaggio delle imprese, la comprensione delle problematiche di ogni
settore da parte degli organismi dello Stato non sarà mai completa.
I paesi che hanno adottato il metodo dell’attivismo microeconomico hanno
sbloccato i settori industriali, rimuovendo con sistematicità le barriere
microeconomiche alla crescita di ognuno, e hanno conseguito aumenti di
produttività e competitività dell’economia che hanno dato un forte impulso alla
ripresa degli investimenti privati. Ne hanno ad esempio beneficiato i paesi del
Nord Europa, nell’intensa stagione di riforme economiche degli anni Novanta,
e Singapore, che con questa impostazione negli ultimi anni ha conseguito un
impressionante sviluppo della propria economia.
Ricostruire la fiducia nel “fare impresa” in Italia
In parallelo alla rimozione delle barriere alla crescita nei settori rilevanti per
l’economia, è necessario che lo Stato ripristini condizioni che favoriscano un
ritorno della fiducia per sbloccare l’iniziativa privata e stimolare una ripresa degli
investimenti.
La correlazione tra propensione a investire e semplicità di “fare impresa” in
un paese non è dimostrata, ma è convinzione diffusa che rendere più semplice
l’attività d’impresa sia un prerequisito necessario per promuovere la ripresa degli
investimenti nazionali e internazionali.
Come abbiamo già osservato, il gap italiano ha origine in quattro aree, che
incidono in termini di inefficienza e onerosità sulle imprese che operano nel Paese:
20 McKinsey & Company
1. La “burocrazia trasversale”, in cui risiedono ampi spazi di miglioramento,
a tutti i livelli.
2. La giustizia civile, un’area in cui il Paese registra un forte ritardo; si pensi,
ad esempio, ai tempi di risoluzione delle dispute commerciali e alla tutela dei
creditori.
3. L’elevata imposizione fiscale, che ha raggiunto livelli superiori al 50% del
PIL.
4. La rigidità del mercato del lavoro, che incide in modo marcato in termini di
costo per l’attività d’impresa.
L’agenda del precedente Governo ha posto le basi per recuperare parte degli
svantaggi accumulati negli scorsi decenni, attraverso numerosi provvedimenti
e tavoli di lavoro volti a semplificare l’attività d’impresa e ridare impulso
all’economia. Tali iniziative rappresentano un primo passo incoraggiante, ma non
sono ancora sufficienti per rilanciare la crescita del Paese e renderla duratura negli
anni a venire. In alcuni casi, richiedono un ampio ripensamento (come nel caso
di alcune norme sul lavoro, che nella fase di crisi aumentano la rigidità anziché
ridurla) o sono ancora in attesa dei regolamenti attuativi necessari a renderle
operative.
L’agenda del nuovo Governo dovrà riprendere l’obiettivo di recupero di
competitività, attuando con pienezza le misure deliberate, ma anche prevedendo
miglioramenti in tutte quelle aree – moltissime – che non sono ancora state
oggetto di riforma. Una recentissima indagine condotta su un campione di aziende
straniere segnala quattro aree d’intervento prioritarie:
! In termini di regolamentazione del mercato del lavoro, la cosiddetta
“riforma Fornero” ha prodotto risultati controversi (in particolare sulla
flessibilità in entrata e in uscita), incompleti (soprattutto in materia di
agevolazioni alla creazione di nuovi posti di lavoro) e ancora non misurabili
(per esempio nell’applicazione del nuovo contratto di apprendistato). Tali effetti
necessitano di una correzione.
! La fiscalità è una leva importante per il rilancio degli investimenti privati. Il
livello del cuneo fiscale e contributivo è il secondo più elevato tra i 34 paesi Ocse:
il 53,5% del costo del lavoro se si considerano anche Irap, Tfr e trattenute Inail,
contro una media Ocse del 35,4% e dell’Unione Europea a 15 del 41,9%.
Nel 2012, il total tax rate ha toccato il 68,3% dei profitti, 22 punti percentuali
sopra Stati Uniti e Germania, quasi 30 rispetto a Spagna e 33 rispetto al Regno
Unito. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, le possibilità di ripresa
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 21
dell’Italia passano attraverso la combinazione di più misure, dalla riforma fiscale
al taglio delle tasse su lavoro e imprese. Il mix di interventi, unito all’ampliamento
dell’imponibile per la tassazione indiretta e allo spostamento della spesa pubblica
su investimenti mirati, imprimerebbe una spinta alla crescita di oltre 8 punti
percentuali in cinque anni e di circa 22 punti percentuali nel lungo periodo.
! La giustizia civile è un’altra area in cui è richiesto un forte recupero di
efficienza del sistema (anche facendo leva su tecnologie e metodologie di
e-government). Gli interventi di semplificazione introdotti negli ultimi anni
(tribunali delle imprese, riorganizzazione della geografia giudiziaria, filtro
per il ricorso in appello, liberalizzazione delle tariffe professionali), vanno
nella giusta direzione ma molto di più è richiesto. Occorre agire nel campo
fallimentare, riducendo il costo complessivo della procedura; ottimizzare tempi,
costi e procedure sul fronte del recupero crediti per via giudiziale; rendere più
immediata e semplice l’esigibilità delle garanzie, incrementando il livello di
trasparenza circa il relativo stato e valore, ad esempio attraverso un archivio
centrale consultabile dal pubblico.
! Il potenziale di semplificazioni e liberalizzazioni è ancora molto ampio.
Nonostante le molteplici misure adottate in diversi settori (commercio al
dettaglio, farmacie, notai, servizi di trasporto locale, servizi idrici e del gas,
concessioni aereoportuali e autostradali, contratti di esclusiva, disciplina
anticoncorrenziale, rifornimenti porti, ecc.), le resistenze all’avanzamento dei
provvedimenti rimangono forti e si rischia di non produrre risultati tangibili.
Esistono inoltre ampi spazi per ulteriori interventi di semplificazione.
A un Governo d’emergenza, che aveva l’obiettivo primario di rimettere sotto
controllo la finanza pubblica, non si poteva chiedere molto di più per rilanciare
la crescita. È tuttavia imperativo che il nuovo Esecutivo riprenda questi temi e li
sviluppi con maggiore incisività, sposando la logica dell’emergenza. Per fare
un esempio, attraverso una normativa speciale, una “Legge per gli Investimenti”, si
potrebbe prevedere che i progetti rispondenti a precisi criteri di ammissibilità (per
esempio nei settori ad alto potenziale per l’economia, capaci di creare un numero
significativo di nuovi posti di lavoro) possano beneficiare di alcuni vantaggi quali:
! Un percorso fast track per le autorizzazioni, trasferite a un organo centrale
qualora le autorità locali non dovessero pronunciarsi dopo un periodo
prestabilito.
! Un sistema di incentivi alla realizzazione dell’investimento in condizioni di
comprovata neutralità fiscale per lo Stato.
22 McKinsey & Company
! Facilitazione all’accesso alle risorse finanziarie necessarie per
i progetti, rese disponibili da fondi dedicati allo sviluppo costituiti con le
partecipazioni di diverse tipologie di investitori.
A tale proposito, è fondamentale che la Finanza per la crescita economica
venga riconosciuta come una delle massime priorità nell’agenda del Governo.
Come abbiamo osservato, la riduzione di credito bancario conseguente al
deleveraging potrebbe rallentare la velocità di ripresa degli investimenti e
limitarne l’estensione ai diversi settori dell’economia. È importante quindi che
le banche e le imprese si adoperino per una transizione verso un nuovo sistema
finanziario basato sul principio “meno banca, più mercato”. Le nostre
analisi e indagini di mercato indicano una presenza crescente a livello mondiale
di investitori istituzionali (assicurazioni, fondi pensione, fondi sovrani, ecc.) alla
ricerca di nuove opportunità di investimento con un profilo di rischio/ritorno
alternativo ai titoli governativi e con un maggiore contenuto di rischio creditizio.
Si stima che nei prossimi cinque anni la domanda annuale di investimenti in
strumenti di finanza strutturata e credito si attesti in un intervallo tra i 400 e i 700
miliardi di dollari. Le banche possono aiutare le imprese a cogliere l’opportunità di
questo enorme mercato cambiando il loro tradizionale approccio alla gestione del
credito. In particolare, le banche dovrebbero passare da una logica di erogazione
di impieghi da iscrivere sui loro bilanci – con conseguente impegno di capitale
proprio – a una logica in cui le facilitazioni creditizie alle imprese sono costruite
secondo criteri che ne consentono l’inserimento in strumenti mobiliari collocabili
presso gli investitori istituzionali. Un rilancio della securitization del credito
secondo criteri di maggiore semplicità, trasparenza e liquidità degli investimenti –
evitando le distorsioni del passato – può contribuire ad allargare le opportunità di
finanziamento per le imprese in misura consistente nei prossimi anni.
La transizione verso un sistema basato sul principio “meno banca, più mercato”,
richiederà anche un potenziamento dell’infrastruttura normativa, regolamentare
e societaria per allargare l’accesso al mercato dei capitali a un insieme molto più
ampio di imprese, in particolare alle medie imprese tipiche del tessuto economico
italiano ed europeo. Vanno in questa direzione i recenti provvedimenti normativi
(i cosiddetti “Decreto Sviluppo” D.L. 22 giugno 2012 n° 83 e D.L. 18 ottobre
2012 n° 179), che hanno reso disponibili nuovi strumenti di finanziamento per le
imprese. Anche alle società non quotate sono stati estesi i vantaggi legali e fiscali
per l’emissione di obbligazioni e cambiali finanziarie, e sono state introdotte le
obbligazioni subordinate e partecipative, strumenti finanziari di solito destinati a
investitori istituzionali per il finanziamento di attività aziendali.
Nei primi sei mesi di avvio di queste nuove opportunità di finanziamento, aziende
di media e piccola dimensione hanno raccolto circa 2 miliardi di euro. Inoltre,
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 23
alcune banche stanno promuovendo strumenti alternativi al credito, come bond
territoriali a vantaggio di imprese con sede nella zona in cui avviene la raccolta o
strumenti di finanziamento dedicati all’espansione di aziende operanti in specifici
settori del made in Italy (come il vitivinicolo e la moda).
In parallelo, lo Stato dovrebbe intervenire promuovendo lo sviluppo di nuovi
strumenti finanziari (sta avvenendo con la Cassa Depositi e Prestiti nel segmento
delle infrastrutture, nel finanziamento e nella partecipazione al capitale per
progetti di investimento) e di nuovi meccanismi di finanziamento (fondi per
l’innovazione, programmi di finanza per le piccole e medie imprese, piattaforme di
credito a partecipazione pubblica e privata, ecc.), che ampliano la disponibilità per
i settori e le imprese sottoservite.
È necessario infine che il Governo si adoperi per realizzare una maggiore apertura
del nostro sistema finanziario, per ampliare lo scambio e l’afflusso di risorse a
livello internazionale. Questa apertura potrebbe essere conseguita, per esempio,
promuovendo l’evoluzione verso l’Unione Bancaria Europea, un assetto che può
contribuire a ripristinare il mercato interbancario, oggi congelato dall’impatto dei
rischi sovrani e della crisi economica sui bilanci bancari, e a riportare in condizioni
di normalità la liquidità di sistema per le diverse scadenze.
Ritrovare l’appetito per il rischio Italia
Se si intende rilanciare gli investimenti, anche le imprese e gli operatori privati
sono chiamati a un cambio di atteggiamento, in particolare nella valutazione delle
opportunità esistenti e delle opzioni di allocazione produttiva del capitale.
Gli esempi virtuosi non mancano. Molte imprese italiane hanno continuato a
credere nell’investimento domestico, trovando nuove vie per crescere.
Alcune hanno effettuato con coraggio un cambio di rotta nell’allocazione delle
risorse, per cavalcare nuovi trend di mercato o per utilizzare le risorse generate
da guadagni di produttività in nuovi progetti industriali. Altre hanno investito in
ricerca e nuove tecnologie, fattori abilitanti della crescita e dello sviluppo futuro.
Altre ancora hanno scandagliato il mercato in cui operano, anche se maturo, per
cogliere nuove opportunità in nicchie specifiche. Nonostante la congiuntura
attuale, ogni settore presenta possibili – e nuove – aree di crescita (box 2-5).
24 McKinsey & Company
Box 2: Settore delle tecnologie verdi e della sostenibilità ambientale
Mossi & Ghisolfi
Azienda piemontese operante in un mercato maturo – il poliestere (PET) – di cui è uno
dei maggiori produttori mondiali, con oltre 2 miliardi di euro di fatturato.
Facendo leva su una specifica tecnologia (PROESA) già sviluppata per il core business,
l’impresa è riuscita ad allargarne lo spettro delle applicazioni dal poliestere al bioetanolo di seconda generazione, derivato da scarti agricoli o da colture non destinate
alla produzione alimentare. Un prodotto completamente nuovo. La tecnologia è
competitiva sia rispetto ai processi di prima generazione, basati su mais e altre colture a
uso alimentare, sia rispetto al petrolio, anche qualora il prezzo del greggio si attestasse
a 60-70 dollari al barile. Inoltre, non utilizza materie prime destinate all’alimentazione
umana o animale e ha un bilancio ambientale positivo, riducendo in modo significativo
il fabbisogno di suoli agricoli.
La società ha da poco lanciato la prima bio-raffineria al mondo per produrre bioetanolo di seconda generazione, creando di fatto un nuovo mercato basato sulla
produzione sostenibile di biocarburanti innovativi, estremamente attrattivo dal punto
di vista economico.
Box 3: Settore manifatturiero e delle utilities
GranitiFiandre
Azienda emiliana di medie dimensioni, leader nella produzione e commercializzazione
di lastre in gres porcellanato. È stata la prima azienda del settore a credere nel gres
porcellanato e nel formato 20x20 cm già dagli anni Sessanta, perfezionando un
prodotto allora destinato solo ai pavimenti industriali esposti ad alte sollecitazioni.
Negli ultimi anni ha investito su una ceramica di nuova generazione, con caratteristiche
battericide e antinquinanti e su un nuovo formato, il più grande mai realizzato finora
(300x150 cm). Sottopone inoltre i propri prodotti al sistema di valutazione della
qualità energetico-ambientale emanato dal Green Building Council e finalizzato alla
realizzazione di edifici “verdi” ad alte prestazioni nel rispetto della natura. Oggi sono
oltre 250 i materiali dell’azienda che hanno ottenuto questo attestato, garanzia di una
filiera produttiva verde.
Tra il 2010 e il 2011 l’azienda ha incrementato il suo fatturato del 41%, rispetto a una
media di settore che non ha raggiunto il 2%.
Brembo
Azienda manifatturiera bergamasca di eccellenza, attiva nella produzione di sistemi
frenanti per l’industria automobilistica e ciclistica.
Investe costantemente in ricerca e nuove tecnologie e serve clienti di caratura mondiale
in tre continenti (Europa, America e Asia), mentre solo il 15% del fatturato è realizzato in
Italia. Nell’ultimo anno le vendite del gruppo sono cresciute di quasi l’11%, negli ultimi
tre anni il tasso di crescita annuo si è attestato intorno al 20%. Una sfida non scontata
in anni di forte crisi per il settore automobilistico di gran parte dei paesi avanzati.
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 25
Midac Batteries
L’azienda veneta produttrice di batterie per uso industriale ha come principio cardine la
continua innovazione tecnologica mirata al migliore utilizzo dell’energia.
Fortemente sensibile alle tematiche ambientali (utilizza l’energia pulita prodotta dal
proprio impianto fotovoltaico per la produzione di batterie e accumulatori, evitando
l’emissione di 945 tonnellate di CO2 ogni anno), applica il concetto di innovazione
anche ai processi e alle attività aziendali nell’ottica del conseguimento di una maggiore
produttività. Ha infatti riorganizzato e semplificato i processi aziendali mediante
l’applicazione delle tecniche di lean production e l’implementazione di un sistema
informativo ERP, che consente il monitoraggio delle performance aziendali tramite
strumenti strutturati e puntuali – un esempio di applicazione di tecniche da “grandi
aziende” a imprese di medio-piccole dimensioni.
È presente in cinque paesi, con un fatturato in crescita del 19% nell’ultimo anno. Nel
2013 è stata inserita da Borsa Italiana nell’elenco delle migliori 100 PMI per la crescita.
Etra
Multiutility veneta che serve 50 comuni, fornendo il servizio idrico integrato, la gestione
dei rifiuti ed energia da fonti rinnovabili.
La società ha realizzato una rete cloud privata con il duplice obiettivo di razionalizzare
la propria struttura di server e di migliorare l’affidabilità dei servizi informatici. Grazie
alla nuova infrastruttura, ha ottenuto una migliore continuità nell’erogazione dei servizi
informatici e una riduzione del 30% dei costi di energia elettrica.
A fronte di un fatturato in crescita del 9% in due anni, l’utile netto è raddoppiato.
Box 4: Settore alimentare
Eataly
Azienda piemontese fondata da Oscar Farinetti, imprenditore attivo nell’elettronica di
consumo (Unieuro) e alimentare.
Al centro della filosofia del nuovo operatore della distribuzione alimentare, sta la
certezza del ritorno sull’investimento nell’eccellenza eno-gastronomica italiana.
Attraverso un rapporto diretto tra il produttore e il distributore finale (saltando quindi i
vari anelli intermedi della catena), l’azienda offre prodotti artigianali di elevata qualità
(certificati da Slow Food) a prezzi accessibili.
Affianca, inoltre, un percorso di “consumo consapevole” del prodotto di qualità,
attraverso corsi di cucina, degustazioni, corsi sulla conservazione corretta dei cibi,
didattica per bambini.
Recentemente la catena ha esteso i propri confini fino a comprendere anche la
ristorazione, aprendo tre fast food “di qualità” (nella scelta delle materie prime, degli
abbinamenti e della presentazione) e posizionando in modo innovativo prodotti in
genere standardizzati quali gli hamburger o i panini.
L’azienda gestisce punti vendita nelle principali città italiane, negli Stati Uniti e in
Giappone ed è cresciuta a un tasso medio annuo del 23% dal 2007 al 2011, superando i
60 milioni di euro di fatturato. Negli stessi anni, il settore alimentare italiano ha registrato
invece una lieve flessione.
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Grom
Azienda piemontese fondata nel 2003 da due giovani trentenni (Federico Grom e
Guido Martinetti), con un capitale di poche migliaia di euro, specializzata nella gelateria
di alta qualità.
A distanza di 10 anni, conta quasi 60 punti vendita in tutto il mondo e ha saputo
distinguersi nel mercato della vendita di gelati puntando su materie prime di alta
qualità, selezionate direttamente dai fondatori. Nel 2011, il fatturato ha raggiunto i 30
milioni di euro.
Per rilanciare la crescita occorre che le imprese siano le prime a crederci,
modificando in positivo la loro attitudine verso il “mercato Italia”, riacquistando
fiducia verso le opportunità e gli innumerevoli punti di forza presenti nel Paese
– in primis la qualità delle competenze e del lavoro disponibili. Per riprendere a
crescere in Italia, le imprese si devono fare carico di una riallocazione produttiva
del capitale secondo tre priorità:
1. Riconsiderare il premio per il rischio richiesto, a integrazione del
costo del capitale, per progetti di investimento in Italia. Dopo anni di crisi e
alla luce delle permanenti incertezze di scenario, l’avversione al rischio può
orientare le decisioni in senso negativo anche su progetti promettenti. Ma è
un atteggiamento da modificare. Un’analisi condotta tra le principali società
quotate mostra che il premio per il rischio è sceso dal 12,1% di metà 2010
all’8,4% del marzo 2013. Pur rimanendo ancora superiore di 3 punti percentuali
rispetto al periodo pre-crisi (all’inizio del 2007), è evidente che cominciano a
sussistere le condizioni per valutare le decisioni di investimento con attitudine
nuova.
Anche il cambiamento di prospettiva sull’Italia – legato all’evoluzione della
situazione politica – permette di correggere il premio per il rischio da eventuali
fattori di sopravvalutazione, rendendo accettabili nuove opportunità di
investimento che altrimenti andrebbero perse.
2. Scandagliare i sotto-segmenti del mercato. È difficile individuare nuove
opportunità di crescita a livello di macrosettore. Solo un esame granulare
che guardi ai sotto-segmenti consente di individuare i trend, le evoluzioni
strutturali e i tassi di crescita favorevoli per nuovi investimenti.
Un’analisi condotta da McKinsey su circa 230 imprese europee nel periodo 19992009 dimostra che circa il 70% della loro crescita deriva dalla scelta dei sottosegmenti giusti in cui investire e competere (mentre solo il 30% è attribuibile
alle mosse competitive intraprese). Scandagliare i sotto-segmenti consente di
individuare opportunità non visibili a chi guarda il settore nel suo complesso.
Investire nella crescita: idee per rilanciare l’Italia
McKinsey & Company 27
Box 5: Scandagliare i sotto-segmenti del mercato
Il settore della sanità italiana è stato uno dei più colpiti dalla recente crisi economica
e dai tagli di spesa, essendo una delle principali componenti del bilancio pubblico.
Tuttavia, nuove e profittevoli aree di business possono essere identificate anche in un
settore colpito da riduzioni della spesa e dei finanziamenti.
Servizi sanitari destinati ad anziani e disabili
Il problema del progressivo invecchiamento della popolazione è di attualità in tutti
i paesi sviluppati. In Italia, si prevede che i cittadini over 65 superino il 30% della
popolazione totale nel 2030 e, ad oggi, si registra un gap significativo tra il fabbisogno
di assistenza adeguata agli anziani e le strutture disponibili (pari a 30-40 posti letto
per 1000 anziani, secondo gli standard internazionali). Il settore è da sempre presidio
degli operatori privati, che detengono una quota del 70% dei posti letto, ma l’insorgere
della crisi economica ha reso le rette proibitive per molti ospiti. In questo contesto,
alcuni operatori hanno colto l’opportunità di offrire soluzioni più flessibili per i bisogni
di cura dei pazienti anziani, disabili o con necessità di assistenza. Come per esempio
Italiassistenza, che con il marchio PrivatAssistenza conta oggi un network di oltre 130
centri operativi (che offrono servizi di assistenza domiciliare di media e alta intensità),
di cui quasi 69 sono stati aperti fra il 2011 e il 2012.
Servizi sanitari low cost
Un altro comparto in crescita nel settore della sanità è quello dei servizi ambulatoriali
a tariffe accessibili, mediamente più basse di quelle praticate dagli operatori privati
e talvolta anche più vantaggiose delle prestazioni pubbliche (in particolare dopo
l’adeguamento dei ticket avvenuto negli ultimi anni). Per fare qualche esempio, il
fatturato del Centro Medico Sant’Agostino è passato dai 500 mila euro del 2009 agli
oltre 2 milioni di euro del 2011, e Revita, un operatore nato all’inizio del 2012 nella realtà
modenese, è in rapida espansione.
Anche gli operatori della grande distribuzione organizzata stanno guardando al mondo
della salute low cost. In particolare Coop, che, dopo l’apertura delle parafarmacie con
l’insegna Coop Salute, nel febbraio 2013 ha esteso la gamma dei servizi per i propri
clienti offrendo polizze di assistenza sanitaria integrativa (in collaborazione con Unipol).
Coop prevede inoltre di utilizzare alcuni spazi all’interno dei propri punti vendita per
erogare prestazioni dentistiche (il primo ambulatorio sarà aperto presso l’ipermercato
Leonardo di Imola), con prezzi calmierati, sconti per i soci Coop e la possibilità di farsi
curare in orari in linea con quelli di apertura dell’ipermercato.
Numerose sono poi le catene di assistenza dentale low cost nate negli ultimi anni,
come Vitaldent, Vacupan, Apollonia, Caredent e il network AmicoDentista, solo per
citarne alcune.
Un altro canale in crescita negli ultimi anni è quello del couponing online. Secondo il
Rapporto Censis del 2012, “Il Sistema Sanitario in controluce”, un milione di italiani ha
acquistato prestazioni sanitarie su Internet: 600 mila persone lo hanno fatto una sola
volta, 280 mila tra le due e le quattro volte, 120 mila più di cinque volte. In Italia sono
diversi gli operatori che offrono queste possibilità, tra cui Groupon, Glamoo, Poinx e
Groupalia.
28 McKinsey & Company
3. Aumentare la produttività del capitale investito. L’adozione di
metodologie che aumentano la produttività del capitale investito in nuovi
progetti contribuisce a migliorare il rendimento e la sostenibilità degli
investimenti e mitiga il rischio di insuccesso. Si tratta di metodologie che
massimizzano il valore economico durante il ciclo di vita del progetto, attraverso
l’implementazione di tecniche che ottimizzano l’efficacia delle attività
progettuali (design-to-cost, strategie di contracting, ottimizzazione degli
acquisti, lean construction, ecc.) e mediante il coinvolgimento di un team dotato
di competenze appropriate rispetto agli investimenti da effettuare.
I dati confermano che le imprese che adottano queste metodologie di aumento
della produttività riescono a risparmiare fino al 30% delle risorse necessarie per
l’investimento a parità di output.
L’importanza degli investimenti privati per il rilancio della crescita e
dell’occupazione in Italia è sottovalutata. I vincoli di finanza pubblica, la
stagnazione dei consumi e la saturazione del potenziale delle esportazioni non
assicurano un contributo di rilievo da queste leve per il rilancio dell’economia. La
ripresa degli investimenti privati rappresenta l’unica strada possibile per uscire
dalla crisi.
Il Governo può fare molto per rimuovere le barriere che frenano gli investimenti,
anche nel breve periodo e nel difficile contesto economico attuale. Ma è
fondamentale muoversi con la logica dell’emergenza in quei settori con il
potenziale più elevato di sviluppo e in cui è più realistico ottenere un impatto
rilevante in tempi brevi.
Le imprese devono ritrovare fiducia nel futuro, correggere la loro percezione del
rischio e delle opportunità e potenziare le loro capacità di impiego produttivo del
capitale.
La ripresa della crescita economica è possibile per il nostro Paese: è arrivato il
momento di superare la stanchezza provocata da una crisi prolungata e ritrovare la
volontà collettiva di tornare, con pazienza, a ricostruire.
Contatti
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Maggio 2013
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