Il rapporto dell`uomo con la natura nella concezione biblica e

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FOCUS
IL RAPPORTO DELL’UOMO
CON LA NATURA NELLA CONCEZIONE
BIBLICA E FILOSOFICA
di Donato Monaco *
D
The relation between man and nature
so as it has developed through the most
significant moments in the historical and
prehistorically path of human life is at
first only briefly exemplified.
Subsequently, the same itinerary has
been retraced to explain the relation
between men and the environment under
an ecological viewpoint. Both the paths
(better, the same path seen under different
perspectives) bring to the same conclusion,
which is the actual condition of our
planet. The state of the earth and the
position of men in it ask for a different
perspective. Society has to become again
part of nature and nature must be again
part of our society.
all’analisi dell’esamerone viene fuori un rapporto uomonatura, armonico ed equilibrato. Dio, nel VI giorno della
Sua opera di Creazione, «orna la regione della terraferma
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* Vice Questore Aggiunto Forestale
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Il rapporto dell’uomo con la natura,
così come si è determinato lungo i tratti
più significativi dell’itinerario preistorico e
storico dell’uomo, è inizialmente illustrato
ed evidenziato con brevi accenni.
Successivamente, il medesimo itinerario è
ripercorso per interpretare la relazione
degli uomini col mondo naturale in chiave
ecologica o dal punto di vista ecologico.
Ambedue i percorsi (o, meglio, il percorso
visto in chiavi di lettura diverse) portano
allo stesso punto di arrivo: la condizione
attuale nel nostro Pianeta. Lo stato della
Terra e la posizione dell’uomo che l’abita
richiedono una nuova prospettiva: la società deve rientrare a far parte della natura
e la natura deve rientrare a far parte della
società.
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con gli animali terrestri e con l’uomo» (Gen. 1, 24-31). La Genesi dice
che le singole opere erano “buone” e che l’insieme di tutto ciò che Dio
aveva fatto era “molto buono”.
Al giudizio di “molto buono”, gli esegeti attribuiscono il significato
di una valutazione rivolta alla meravigliosa armonia e conformità al fine
piuttosto che alla bellezza di tutto il cosmo. In altre parole, la Bibbia
esprime un giudizio non tanto di etica e di estetica, ma di conformità
delle singole cose create con il fine e l’ordine della Creazione.
L’uomo, creato per ultimo, è messo nel “giardino”, con il mandato
di coltivarlo e di custodirlo, continuando così l’opera del Creatore per
portarla a compimento (Gen. 2, 15).
Questo rapporto (biblico) uomo-natura è di armonica colleganza in
un piano di stretta dipendenza da Dio creatore di tutte le cose.
Secondo il mandato divino, l’uomo deve governare ogni cosa con
bontà, deve esercitare il suo dominio sul mondo creato, con dolcezza e
con amore (senza fargli violenza), in modo che ciascuna creatura possa
raggiungere il proprio fine, che e quello di cantare la gloria di Dio e di
rivelarne l’esistenza. In merito, il Concilio Vaticano II ricorda: «Dio, il
quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo, offre agli
uomini nelle cose create una perenne testimonianza di Sé». Quindi il
rapporto dell’uomo con la natura deve essere di rispetto, per non turbare l’equilibrio e l’armonia voluta da Dio nella creazione. Il “giardino”
è di Dio: l’uomo, Suo mandatario, deve farlo fruttificare ed impedirne
il deterioramento, rispettandone la natura e le finalità. Il rapporto
uomo-natura si substanzia nel mandato che ha ricevuto l’uomo di “coltivare” e “custodire” il mondo creato. Poiché non si può fare una vera
coltivazione senza la custodia, l’uomo deve realizzare in modo inscindibile le due azioni (del coltivare e del custodire). Questi sono i principi ed i valori che devono essere alla base di una vera educazione verso
la natura. La violazione dell’Alleanza porta modificazione nell’uomo e
nel suo rapporto con la natura, nel senso che l’umanità arrogante è
esposta a progressiva degradazione morale e la natura sarà assoggettata a caducità e fragilità. Con la vocazione di Abramo, Dio, che non ha
mai abbandonato l’uomo, diede inizio alla storia della Salvezza.
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Il rapporto uomo-natura nella preistoria
L’uomo della preistoria non ha il concetto del rapporto tra sé e la
natura: egli si ciba dei frutti che trova nell’ambiente in cui vive e precisamente vive di caccia. È elemento che si differenzia dalla natura anche
se ne fa parte.
Il rapporto uomo-natura è caratterizzato dalla inconsapevolezza;
l’uomo non ha cognizione del rapporto tra sé e natura.
Nel neolitico, l’uomo, da cacciatore si trasforma in coltivatore ed in
allevatore; dalla condizione di nomade passa a quella di stazionario.
Siamo intorno a 7.000 anni a.C. e l’uomo organizza le prime strutturazioni sociali nelle regioni dove, unitamente alla caccia, poteva praticare
soddisfacentemente l’agricoltura, che richiedeva favorevoli condizioni
climatiche e pedologiche, nonché fertilità dei terreni.
Non si trattava di scelta definitiva di luoghi di insediamento, ma
comunque di una organizzazione sociale più o meno duratura sul territorio, fino a quando le risorse della zona (fertilità naturale del terreno,
clima, ecc.) consentivano raccolti in agricoltura ed erba per la pastorizia.
La scelta dell’insediamento e la permanenza dell’uomo erano condizionati dall’ambiente naturale. Il rapporto dell’uomo con la natura era
di subalternità.
Successivamente, l’uomo, nelle fasi progressive di evoluzione, ha
scoperto strumenti e criteri per una migliore e più produttiva attività di
coltivazione della terra e di allevamento del bestiame, creando in tal
modo le condizioni di una residenzialità più stabile in un determinato
ambiente.
In tal modo il rapporto uomo-natura, pur restando condizionato
sostanzialmente dal mondo naturale, vedeva l’uomo attenuare la subalternità con azioni dirette sull’ambiente per aumentarne la fertilità, la
produttività. Comunque, l’uomo agricoltore vive dell’ambiente e nell’ambiente e man mano che si evolve acquista maggiore consapevolezza del suo rapporto diretto con la natura, che sente ostile e temibile per
la sua sopravvivenza.
L’uomo vittima della natura.
Di fronte alle inafferrabili manifestazioni della natura (che compromettono la sua sopravvivenza), l’uomo risolve gli interrogativi della sua
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esistenza con la fantasia, creando le divinità con le quali popola cielo,
terra e mari.
Si sviluppano espressioni di sentimento e di fantasia, per motivazioni più o meno identiche, riconducibili alla esigenza di protezione contro le ostilità e nel contempo di ingraziarsi gli elementi naturali, anche
se si manifestano in forme diverse a seconda delle condizioni in cui si
sviluppano.
Nasce e si sviluppa, quindi, la Mitologia, il mito, che nella forma
autentica (mito arcaico), si fonda su quattro elementi essenziali o
meglio su un mix di quattro elementi: la storia di alcuni fatti veri della
vita degli uomini (storia vera), il collegamento di questa storia con le
origini, l’intreccio col trascendente e col riferimento ai supremi, l’integrazione dell’uomo in tutto questo.
Il mito presenta una visione totale o globale dell’universo, in quanto esso è sorgente ed espressione di tutta una civiltà.
In Grecia, la ricchissima mitologia, fondata sul politeismo antropomorfico, dà una visione dell’universo, in cui è posto l’Olimpo, concepito come mondo perfetto d’ordine e armonia. In un processo di evoluzione e di unificazione della tradizione mitologica, si originano le teogonie e cosmogonie che fanno risalire ad un unico principio l’origine
del cosmo.
Ulteriori concezioni più mature fissano sui quattro elementi (terra,
acqua, aria, fuoco) il fondamento di ogni concezione cosmologica.
Quindi il rapporto uomo-natura è sempre improntato ad un timoroso
rispetto della natura: ad essa l’uomo si rivolge con la mediazione del
mito.
Il rapporto uomo-natura nella civiltà ellenica
L’uomo della civiltà ellenica si pone in rapporto con la natura e con
tutta la realtà che lo circonda mediante l’indagine filosofica: uomonatura con mediazione filosofica.
La nascita della filosofia greca (metà del VI sec. a.C.) rappresenta
uno dei fatti più singolari nella storia della civiltà umana.
Mentre molti popoli continuano ad interpretare la natura in modo
poetico ed immaginifico, perché ancora irretiti da miti e leggende, l’uo-
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Il rapporto uomo-natura nel medioevo
Nel periodo medioevale, il rapporto uomo-natura è caratterizzato
dalla immersione del primo nel mondo naturale che viene accettato
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mo delle isole greche dell’Asia Minore e della Magna Grecia, introduce la ricerca come mezzo per trasformare la semplice osservazione
delle cose sensibili in riflessione filosofica.
Con la filosofia, l’uomo si considera “soggetto” che si chiede: «che
cos’è il mondo?» ed indaga su di esso “oggetto”, per scoprire o tentare di scoprire una risposta.
L’uomo, nel rapporto con la natura, supera le posizioni precedenti
di indifferente, subalterno o vittima, e si pone nella condizione di intelligente ed indagatore.
Nell’evoluzione del pensiero filosofico, passando attraverso il rapporto “soggetto senziente ed oggetto sentito” di Democrito, per cui
l’uomo può arrivare alla conoscenza delle varie realtà per mezzo delle
sensazioni provocate da urti di atomi, si arriva ad Aristotele che introduce il “concetto”, come mediazione nella conoscenza della natura.
Si passa dalla conoscenza sensibile (sensazione, senso comune,
memoria) “dell’oggetto” ad una conoscenza intellettiva “dell’oggetto”.
Poiché nella concezione aristotelica tutto già esiste ed il processo conoscitivo consiste nell’acquisizione del concetto di ogni oggetto, si può
dedurre che il rapporto tra uomo e natura non è tanto improntato alla
dominanza del primo quanto piuttosto alla prevalenza del secondo che
si pone come “oggetto” (già esistente), alla esigenza della conoscenza
dell’uomo.
In altre parole, “l’oggetto” già esiste ma manca l’acquisizione del
“concetto” da parte dell’uomo: il rapporto soggetto-oggetto ha come
mediazione il concetto.
Quindi c’è una dignità dell’Uomo e una dignità delle cose.
In sintesi, il pensiero filosofico si pone come problemi fondamentali: la esistenzialità, la consistenza, la intellegibilità dell’oggetto, arrivando alla soluzione che gli oggetti già esistono, che essi hanno ciascuno
una specifica e diversa consistenza ed infine che tutti gli oggetti si possono capire.
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nella sua realtà come verità e cioè già creato: la mediazione è la Fede
religiosa. In sostanza l’uomo è dominato dalla natura, subisce la natura. Nel Medioevo la classe dominante costituiva il 5 - 10% della popolazione, viveva molto agiatamente, possedeva la quasi totalità delle
risorse; il resto della popolazione viveva in condizioni di bisogno e
sopravviveva grazie ad una forte interiorità religiosa.
La vita media dell’uomo era molto bassa, per molteplici ragioni di
ordine economico e sociale (forte mortalità naturale, guerre, pestilenze, malaria ecc.).
Infatti, vastissime estensioni di terreni non erano coltivate e quindi
si verificavano situazioni di fame molto diffuse; altrettanto vaste erano
le zone paludose che davano solo contributo negativo di insalubrità e
di malattia, non meno estese erano le zone boscate che costituivano
riserve di caccia del dominus.
Questa condizione umana così grave sotto il profilo socio-economico poteva sussistere e perdurare perché l’uomo per la sua profonda religiosità e per una sentita concezione trascendentale del Creato, era rassegnato ad una vita terrena di privazione: guardava all’Aldilà e poco si
curava della condizione terrena.
In ogni suo intervento nei confronti della natura, l’uomo si trova
sempre di fronte ad un problema teologico, che deve risolvere rispetto
alla compatibilità del suo ruolo ritenuto di esclusivo conservatore del
Creato.
Il rapporto uomo-natura nell’età moderna
L’uomo dell’età moderna cambia radicalmente rapporto con la natura: non la vede più come un organismo vivente, ma come un insieme
governato da precise leggi matematiche e fisiche.
L’era moderna è introdotta dalla “rivoluzione scientifica”, la quale
costituisce uno dei fenomeni innovatori che più ha inciso nella costituzione del mondo contemporaneo.
I protagonisti di questo fenomeno culturale sono filosofi (Bacone,
Cartesio) e scienziati (Copernico, Galileo, Keplero, Newton), che
hanno rifondato i criteri di verità della conoscenza umana e naturale.
Il rapporto uomo-natura ha come mediazione la scienza.
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Se prima l’uomo era considerato parte integrante della natura, ora
esso (pensiero) è separato dal mondo che non ha più una sua personalità.
Mentre prima c’era un mondo con tante sostanze, con tante cose,
con Cartesio si hanno solo due realtà qualitativamente differenti: il pensiero o “res cogitans” e tutto il resto “res extensa” (natura animale, vegetale, corpo dell’uomo, ecc.).
Queste due realtà sono autonome fra loro: il pensiero è pura soggettività, inteso come pura autoevidenza del soggetto umano, inesteso,
spirituale, libero; la “res extensa” è materia, estensione priva di qualità e
totalmente sottomessa a meccanismi.
Quindi gli animali sono automi e la vita è “funzionamento” di un
meccanismo: la reazione di un animale ferito è semplicemente di tipo
meccanico. L’uomo non ha rapporto diretto con il mondo, ma la possibilità del dominio razionale e tecnico dell’uomo è senza limiti.
Nel Medioevo, tutta la realtà era ritenuta compiuta e già esistente,
con Cartesio l’uomo deve dubitare di tutto e cioè dell’esistenza di qualsiasi cosa. Quale soggetto pensante, in quanto pensa, l’uomo esiste:
autoevidenza del soggetto pensante.
Per tutto il resto, con l’autonomia della ragione si ha la piena capacità di giungere al vero.
Nel XV secolo, con la rivoluzione scientifica si ha anche la rivoluzione astronomica che modifica radicalmente la visione cosmologica
precedente che si basava sulla centralità e sulla immobilità della Terra
(geocentrismo) e sul moto circolare uniforme dei corpi celesti intorno
ad essa. Fino al XV secolo il cosmo era visto come una realtà in cui
Terra e Cielo rappresentavano i poli fondamentali, ai quali gli astri ed i
pianeti facevano da sfondo.
La nuova concezione astronomica di Copernico mette il Sole al centro dell’universo (eliocentrismo) ed attribuisce alla Terra un movimento di rotazione.
L’uomo ha sentito l’esigenza di rivalutare la propria posizione nel
nuovo schema cosmico e questo può anche motivare la svolta del pensiero filosofico verso il razionalismo.
La filosofia (del metodo) ed il razionalismo nascono quando l’uomo
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constata di avere perso la sua centralità, in quanto la sua dimora terrestre non è più il centro del cosmo e non era più l’unico centro focale
della creazione divina.
Con la nuova filosofia, l’uomo, essere pensante, acquista la possibilità, con l’autonomia della ragione, di stabilire la sua supremazia, intesa
come possibilità di dominio razionale e tecnico sulla realtà. Keplero
condivide il sistema copernicano, sforzandosi di approfondirlo, perché
coincide con la sua visione filosofica, secondo la quale il cosmo è opera
di un Dio matematico. L’universo si presenta con strutture armoniche
e lo scienziato deve scoprire le leggi matematiche e geometriche che
sono alla base di questa serie di armonie.
Keplero parte dalla convinzione metafisica della struttura matematica del cosmo per ricercare leggi matematiche semplici e capaci di spiegare i fenomeni di sintonia e di armonia che regnano nell’universo. Egli
ritiene che l’armonia che regna nel cosmo può essere percepita e compresa dalla mente umana, perché l’uomo ha una sintonia naturale con
l’armonia del cosmo e ritiene che l’armonia non sta tanto nelle singole
cose quanto nelle loro relazioni che si evidenziano nell’atto conoscitivo.
Quindi, per Keplero, l’uomo è elemento integrativo della realtà e
non semplice osservatore; è esso stesso realtà che vive e che deve scoprire l’armonia della realtà.
La visione di Keplero è naturalistica e quindi il rapporto uomo-natura è sussistente ed ha come mediazione l’atto conoscitivo e cioè sempre la scienza. Galileo è il padre della scienza moderna che ha alla base
il metodo sperimentale.
Si accentua la visione meccanicistica della natura ed il distacco dell’uomo da essa: non è l’uomo che “inventa” le leggi della natura, la
quale, poiché già esiste, ha leggi ben definite.
Secondo Galileo, Dio ci ha dotati di sensi e della ragione e quindi la
Scienza può essere autonoma. Essa, grazie al metodo sperimentale,
può raggiungere risultati di certezza assoluta.
Comunque, sulla verità scientifica, un ampio ed approfondito dibattito che ha visto protagonista Einstein ha poi dimostrato che la verità
scientifica non è assoluta ma sempre relativa. Secondo Maritain, solo la
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verità metafisica è assoluta.
Si sviluppa il meccanicismo ed il razionalismo e con Hoffer anche lo
spirito umano è corporeo.
La scienza, ed in particolare quella matematica, occupa lo spazio
della filosofia nel processo conoscitivo: «ciò che è esteso è materiale e
conoscibile».
La totalità della natura è dunque un insieme ordinato da corpi, di cui
non si coglie l’essenza e la finalità ultima.
La scienza consiste proprio nello stabilire i rapporti fra le cose osservabili e poi ordinarli in un sistema.
L’evoluzione o l’involuzione dell’indirizzo filosofico è caratterizzata
in generale dalla negazione della verità assoluta e dalla tendenza a verificare ogni “fatto” (empirismo moderno).
Il ruolo della ragione non viene negato, ma viene ridimensionato alle
reali possibilità della conoscenza umana: «la ragione può solo elaborare il materiale fornito dall’esperienza».
Con Newton continua l’affermazione della scienza che influenza il
pensiero degli Illuministi e di Kant e rafforza il suo tentativo di spiegare la complessità del reale, in base a pochi principi.
Partendo dalla legge di gravitazione che ha fornito la spiegazione dei
moti dei corpi celesti e del movimento di rivoluzione della Terra,
Newton riteneva che «la base fondamentale della sua meccanica sarebbe giunta con il tempo a fornire la chiave per la comprensione di tutti
i fenomeni» (A. Einstein).
Con Newton il rapporto uomo-natura cambia, perché la natura è
autonoma con le sue leggi e l’uomo ha il dovere di osservarla e scoprirne i meccanismi che la regolano.
Il periodo illuministico è contrassegnato dall’interesse per le scienze naturali e per la filosofia naturalistica fondata sulla fisica newtoniana. Kant, partendo da una posizione di privilegio che gli consente di
vedere un parziale fallimento della filosofia razionalistica e dall’altra
parte di constatare che gli empirismi non erano riusciti nel loro fine di
scoprire i principi universali e necessari attenendosi ai dati dell’esperienza particolare e contingente, ritiene che il problema è quello di
giungere ad una scienza universale necessaria, ma anche concreta e
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progressiva. In altre parole per Kant, i procedimenti analitico-matematici e quelli puramente sperimentali non erano adeguati a conseguire la conoscenza universale.
È necessario il “soggetto razionale”; per mezzo di esso la nostra
esperienza, ordinata ed unificata, si costituisce ad “oggetto”.
La visione meccanicistica è insufficiente a spiegare l’esistenza della
vita degli organismi.
L’uomo assume una posizione centrale: è legislatore della natura.
Il rapporto uomo-natura vede il predominio dell’uomo e risussiste
in forma organica.
La scienza non dialoga con la natura, ma con l’uomo che impone il
linguaggio alla natura.
Con Hegel «ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale»:
quindi il reale intanto è reale in quanto è espressione perfetta di razionalità e viceversa la razionalità è principio e fondamento della realtà.
L’idea (tesi), mediante il processo di alienazione, si esteriorizza nella
natura (antitesi).
Il rapporto uomo-natura è caratterizzato dall’assoluto dominio dell’uomo. Il pensiero filosofico contemporaneo avverte già con Husserl
gli effetti negativi che produrrà lo sviluppo delle scienze e la prevalenza della scienza sulla filosofia.
Ci troviamo nell’800, all’epoca della rivoluzione industriale: i pensatori più profondi vedono in prospettiva che il progresso della scienza è
progresso e sviluppo di tecnologia; diventerà aggressione della natura
da parte dell’uomo.
Per Husserl, la natura è una regione di cui la fisica, la botanica, la
zoologia ed altre discipline rappresentano campi regionali.
La scienza, analizzando “campi regionali”, distrugge l’unità organica e la visione di insieme del mondo oggettivo e quindi della natura, in
quanto le diverse discipline in cui essa si articola sono specializzate nel
proprio campo ed imprigionate entro i confini di esso.
Col passare degli anni, l’uomo, a causa della tecnologia figlia della
scienza, rompe sempre più decisamente le relazioni organiche con la
natura ed assume il ruolo di sfruttatore di essa.
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Situazione attuale e strade da seguire
Si arriva ad una situazione che negli anni ’70 viene definita apocalittica: «il mondo è un Titanic che si trova al momento della collisione,
occorre cambiare strada per evitare la collisione».
La strada è quella segnata dai dieci punti elaborati a Montevideo,
anche sulla base di una coscienza ecologica (e di un pensiero ecologico) che aveva ormai coinvolto fortunatamente non solo scienziati, ma
anche buona parte della società.
Essi sono in linea di massima i seguenti:
1) scoprire e rispettare tutto l’universo, facendo giustizia alla natura e
a tutti gli esseri che ci sono in essa;
2) considerare le cose della natura come appartenenti a tutti gli uomini, in modo che così si può fare giustizia a favore degli uomini più
deboli;
3) unire tutti gli sforzi per creare una pace universale con tutti gli
uomini, con tutti gli esseri, con tutte le cose naturali (solo una simpatia disinteressata potrà cambiare i rapporti tecnici di oggi in rapporti personali di domani);
4) umanizzare la natura, sostituendo le tecniche distruttrici con altre
più umanizzanti;
5) proclamare una carta dei diritti della natura per le sue relazioni con
la realtà vivente;
6) opporsi con tutti i mezzi possibili (culturali, tecnici, economici,
politici, etici, religiosi) a qualsiasi forma di distruzione di parti o di
zone del nostro Pianeta (e di distruzione di fauna, flora, ecc);
7) sanare gli ambienti pericolosamente contaminati (foreste, mari,
fiumi, oceani) e rivitalizzare tutte le zone dissestate;
8) promuovere una pedagogia ecologica che insegni agli uomini l’arte
di trattare con i propri simili con le cose e con gli animali, in modo
che i rapporti tra gli uomini e la natura siano umanizzati;
9) lavorare per creare una alternativa all’attuale progetto di progresso
quantitativo con un progetto di progresso qualitativo;
10) passare da tutti gli utilitarismi alla promozione di una cultura ecologica basata sull’amore e sul rispetto della giustizia, in modo da
fare di questo mondo la nostra dimora accogliente ove vivere.
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