9 -L`apparato oculo visivo e lavoro

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Problematiche
lavorative
dell’apparato
oculo-visivo
correlate
ad
attività
Dott Marco D’orso
Prima di intraprendere la discussione sulle problematiche dell’apparato oculo-visivo connesse
all’attività lavorativo, è opportuna una breve premessa in merito alle alterazioni visive più comuni:
- miopia: difficoltà a vedere per lontano. Il bulbo oculare è anatomicamente allungato
antero-posteriormente, la messa a fuoco per lontano avviene davanti alla retina.
- ipermetropia: difficoltà a vedere per vicino. Il bulbo oculare è allungato nel parametro
verticale ma corto antero-posteriormente, la messa a fuoco per vicino avviene dietro alla
retina.
- astigmatismo: è presente un problema di vista a qualunque distanza. Una serie di rette
parallele vengono viste ondulate. Dipende da una non perfetta sfericità della cornea.
- presbiopia: perdita della capacità di accomodazione del cristallino, fisiologica dopo i 40
anni, tale capacità è necessaria per vedere per vicino. Il cristallino si irrigidisce. Mentre
vedere per lontano è una funzione passiva, “riposante” per l’occhio, vedere per vicino è
una funzione attiva, richiede impegno oculare per la convergenza e l’accomodazione.
Un soggetto miope dopo i 40 anni incorre in un miglioramento della sua vista per vicino, mentre un
ipermetrope peggiora decisamente perché al suo difetto precedente si somma la presbiopia.
Negli ultimi anni sono avvenuti progressivi mutamenti nel mondo del lavoro con ricadute
sull’apparato oculo visivo. C’è stato un aumento complessivo dell’impegno a carico dell’apparato
oculo-visivo. Con la meccanizzazione dei compiti lavorativi si riduce infatti l’utilizzo lavorativo
dell’apparato osteomuscolare ed aumenta quello dell’apparato oculo-visivo, impegnato spesso in
compiti di controllo. Nell’ambito dell’impegno visivo è aumentato particolarmente l’impegno per
vicino (comportante messa a fuoco di punti a distanza inferiore ad un metro). Tale processo si è
accelerato in seguito all’espandersi delle tecnologie informatiche. Infine è aumenta l’importanza di
una ottimale capacità visiva complessiva (anatomica e funzionale), anche in funzione della
maggiore rilevanza che possibili minime alterazioni funzionali possono avere nella genesi di
incidenti od infortuni di massa (controllo radar, centrali operative di grandi impianti energetici o
chimici…). In ragione di quanto sopra-riportato, c’è stato un conseguente spostamento progressivo
dell’interesse della Medicina del Lavoro dalla valutazione di eventuali situazioni patologiche
oculari alla definizione della variabilità del bilanciamento e del compenso della funzione visiva.
L’apparato oculo-visivo può essere interessato in diverse tipologie di infortunio. In caso di lesione
da corpo estraneo corpuscolato sarà necessario attivare il servizio di Primo Soccorso aziendale.
Ad oggi è presente in ogni azienda un servizio di medicina del lavoro, con un medico che fa il
medico del lavoro e con una squadra di primo soccorso composta da dipendenti dell’azienda,
formati dal medico stesso, con una qualifica che la legge prevede ai sensi del D.M. 388 del 2003.
C’è una struttura di primo soccorso aziendale in ogni azienda, piccola o grande che sia. È
opportuno, dal punto di vista medico legale, che un qualsiasi medico che si trovi a visitare un
lavoratore dipendente che abbia subito una lesione sul lavoro, comunichi l’accaduto per scritto al
collega del servizio medico dell’azienda di competenza, perché costui potrebbe non esserne
informato. Non si dovrà, invece, mai rimuovere il corpo estraneo, a meno che sia mobile e collocato
presso il canto interno. I corpi estranei fissi, infatti, nella loro asportazione possono provocare un
danno peggiore di quello presente. Il corpo estraneo corpuscolato nell’occhio, soprattutto se non è
mobile, non va estratto, se non da specialisti in strutture adeguatamente attrezzate. Il medico dovrà
detergere l’occhio per immersione in acqua a temperatura ambiente, impedire al lavoratore di
strofinare l’occhio, occludendo entrambi gli occhi (anche il controlaterale) per evitare i movimenti
riflessi bilaterali. Il lavoratore dovrà essere celermente ospedalizzato tramite il Servizio di
Emergenza territoriale 118. Qualsiasi lesione che avvenga nell’ambito della medicina del lavoro ha
la necessità di passare attraverso una struttura del SSN. Se ci si trova in un ambulatorio privato a
visitare un lavoratore portatore di lesione avvenuta durante le ore di lavoro, è quindi necessario
allertare il servizio di emergenza 118, in modo da indirizzare il paziente al più vicino ospedale.
Per questo tipo di lesione, i settori produttivi a maggior rischio sono rappresentati dal settore
metalmeccanico (molatura e fresatura), dalla falegnameria e dall’edilizia. Una lesione di questo tipo
può provocare un danno a carico di cornea/congiuntiva. Si hanno frequentemente
cheratocongiuntiviti post-traumatiche con esiti permanenti. Rientrano quindi nelle lesioni gravi
come reato perseguibile d’ufficio per indebolimento di organo o funzione.
Un quadro di lesione oculare da agenti chimici, se avviene sul lavoro, è considerato sempre un
reato, perché è, teoricamente, sempre prevenibile: è sufficiente indossare correttamente gli occhiali
protettivi. Se la lesione è avvenuta i motivi possono essere molteplici: mancanza di informazione,
mancata dotazione, utilizzo improprio o non utilizzo. Anche in questo caso sarà necessario attivare
il servizio di Primo Soccorso aziendale, detergere l’occhio, impedire lo strofinamento, occludere
l’occhio o gli occhi interessati all’esposizione e procedere ad una celere ospedalizzazione tramite il
Servizio di Emergenza territoriale 118. Per questo tipo di lesione, i settori produttivi a maggior
rischio sono rappresentati dal settore metalmeccanico (verniciatura, lavorazioni a caldo) e quello
chimico. Una lesione di questo tipo può provocare, anche in questo caso, un danno a carico di
cornea/congiuntiva con cheratocongiuntiviti post traumatiche con esiti permanenti.
Accanto alle lesioni correlate agli infortuni, l’apparato oculo-visivo è interessato anche in altri
processi patologici. La cataratta è una lesione del cristallino provocata da una proliferazione
parziale o totale delle cellule dei suoi diversi strati con conseguente opacamento strutturale.
Anatomicamente il cristallino ricorda un “bulbo di cipolla”, è a strati concentrici, ma è trasparente.
Se avviene proliferazione disomogenea dei singoli strati, viene alterato il passaggio uniforme della
luce, il cristallino si opacizza, la vista viene offuscata. La cataratta è in realtà un gruppo di patologie
molto eterogenee, dovute a cause molto diverse. È tipica della senescenza. In un giovane è su base
malformativa congenita, oppure indotta dall’esposizione probabilmente professionale ad alcuni
fattori di rischio tipici, soprattutto le radiazioni elettromagnetiche.
Radiazioni elettromagnetiche con diverse caratteristiche possono ugualmente essere causa di casi
clinici di questo tipo a genesi professionale. Le radiazioni più dannose sono gli ultravioletti. I
meccanismi patogenetici alla base di questo processo sono tra loro differenti. Ci può essere
contemporaneamente diretta cessione di calore alle cellule del cristallino, induzione di correnti
elettriche (a loro volta fonte di calore a livello dell’organo) associati a danno diretto tessutale. Le
radiazioni potenzialmente causa di tali quadri sono oltre agli ultravioletti, sono gli infrarossi, le
microonde e le radiazioni ionizzanti. Il cristallino è l’organo bersaglio elettivo delle radiazioni
elettromagnetiche per la sua peculiare struttura anatomica. Assorbe l’energia trasportata dalle
radiazioni nei suoi strati, con conseguente surriscaldamento e attivazione della proliferazione
cellulare. La lavorazione che maggiormente espone agli U.V. è la saldatura. Tutte le tipologie
esistenti di saldatura producono in misura diversa U.V. e infrarossi. Occorre proteggersi mediante
l’uso di occhiali specifici. Contano il fattore tempo e intensità dell’esposizione. Sono necessari
alcuni anni di esposizione per arrivare ad un tale quadro patologico. Può venire non solo al
saldatore, ma anche a chi lavora nei paraggi, probabilmente senza protezioni. Le radiazioni
elettromagnetiche, infatti, si diffondono nello spazio a 360°.
La branca dell’oftalmologia che studia, analizza e valuta le di lavoro semplici o complesse per
quanto concerne il rapporto tra lavoro e capacità visiva viene definita ergoftalmologia.
L’ergoftalmologia utilizza conoscenze acquisite derivanti dalla medicina del lavoro, dall’igiene
industriale, dall’oftalmologia, dall’ingegneria, dalla fisica, dall’architettura e da alcune discipline
sociali (psicologia, sociologia). È quindi un’area scientifica interdisciplinare. Gli scopi
dell’ergoftalmologia sono principalmente la prevenzione ed il trattamento dei disturbi e delle
patologie oculo visive, professionali o correlate con il lavoro, al fine di ottenere il massimo
dell’efficienza della funzione visiva nel lavoro organizzato. Non si occupa delle lesioni anatomiche
vere e proprie, trattate finora. Si occupa dell’ambito fisiologico-disfunzionale. Più discipline
vengono integrate per fare una diagnosi e definire una terapia in una situazione di impegno visivo
durante un’attività lavorativa.
Tra i disturbi di cui l’ergoftalmologia si occupa vi è, infatti, l’astenopia occupazionale
(letteralmente “fatica oculare”). È un’entità clinica o sindrome definibile come insieme di segni e
sintomi a carico dell’apparato oculo-visivo che insorge in relazione all’attività lavorativa qualora
l’apparato cerchi di conseguire, mediante artifici stressanti, risultati funzionali eccedenti le proprie
capacità. L’occhio viene sforzato più di quanto possa tollerare. Ognuno ha un proprio livello di
tollerabilità, oltre il quale si va nella fatica. Vale per qualunque organo. I sintomi riferiti, originati
da un sovraccarico di alcuni meccanismi fisiologici oculari (accomodazione, convergenza,
secrezione lacrimale…), vengono complessivamente definiti con il termine di astenopia. I sintomi
astenopici vengono suddivisi in oculari, visivi e generali.
Sono sintomi molto comuni per chi dedica parecchie ore ad un lavoro che abbia un discreto
impegno visivo. Sono in buona parte aspecifici. Alcuni possono essere lamentati anche da persone
che non lavorano. Rossore bruciore lacrimazione ad esempio sono segni-sintomi oculari di
un’allergia stagionale ai pollini delle graminacee. Occorre, perciò, discriminare ciò che è
occupazionale da ciò che non lo è. Per fare diagnosi di astenopia occupazionale, bisogna valutare in
ambulatorio qual è l’impegno visivo sul lavoro attraverso l’anamnesi lavorativa. Esistono cause e
concause ambientali ed individuali della astenopia occupazionale. Tra le caratteristiche individuali
si possono riconoscere, oltre ai deficit della motilità oculare e alle alterazioni degli annessi oculari,
la presenza di un difetto rifrattivo non idoneamente corretto. Se si impegnano gli occhi in attività di
controllo, lettura, per svariate ore al giorno, non avere correzione idonea diventa determinante per
l’insorgenza dell’astenopia occupazionale. Accanto alle variabili individuali, bisognerà tenere conto
anche delle caratteristiche intrinseche alla mansione svolta. La fatica oculare, ad esempio, è in
proporzione alle ore di impegno visivo. Un altro aspetto importante è rappresentato dalla distanza
tra l’occhio e il punto di osservazione (ad esempio, lo schermo). Più si guarda per vicino, più fatica
fanno gli occhi. L’impegno visivo rispetto alla distanza di osservazione varia in modo esponenziale.
L’ideale è avere lo schermo almeno a 60 cm dal naso, per limitare l’impegno visivo. Per legge le
tastiere sono state staccate dallo schermo. Per legge, art. 6 D.L. 626/94, il “videoterminalista” è
colui che lavora al computer per 20 ore medie settimanali. Questo lavoratore ha diritto ad un
ambiente di lavoro strutturato in maniera particolare: tavolo e sedia regolabili ad esempio. Oltre
alle variabili connesse direttamente al lavoro, sarà importante valutare il microclima e le condizioni
di illuminazione. L’occhio può essere affaticato da parametri non adeguati di umidità relativa,
ventilazione, temperatura. L’umidità relativa non deve essere inferiore al 40% perché questo
provoca secchezza congiuntivale, che attiva ipersuscettibilità, favorendo le congiuntiviti.
Lo schermo di per sé emette luce, quanta ce ne sia bisogno in aggiunta dipende dal tipo di lavoro
che si svolge. La segretaria che deve leggere documenti e batterli al computer, guardando raramente
il video, necessita di ottima illuminazione ambientale. Il programmatore che guarda il video di
continuo, può, al contrario, lavorare al buio, perché ogni fonte di luce aggiuntiva potrebbe dar
fastidio. Nello spazio fissato durante il proprio lavoro, detto “campo visivo professionale”, la
radiazione luminosa deve essere più omogenea possibile. Ogni punto dello spazio emette verso il
mio occhio una quantità di luce diversa . L’unità di misura della radiazione luminosa è la candela su
metro quadro (cd/m2). Rispetto alla finestra il computer non deve essere davanti: il mio sguardo
rischia di spostarsi frequentemente dallo schermo al panorama e viceversa, fissando fonti di luce
molto diverse come intensità, con conseguente affaticamento. Se la finestra è dietro posso avere
riflessi sul video. Ottimale è sistemare il computer ortogonale alla fonte di luce. La legge comunque
prevede che ogni fonte di luce sia schermabile, anche se nei posti di lavoro le tende, seppur presenti,
non vengono utilizzate e rimangono nella stessa posizione a qualunque orario.
Guardare lontano per un po’ di tempo è comunque benefico, rilassa i meccanismi attivi di
convergenza e accomodazione. La luce naturale è percepita più gradevole rispetto a quella
artificiale, ma per l’occhio ciò che conta è che la quantità di luce sia sufficiente.
Dovranno essere considerati anche gli agenti chimici. Sono molte le sostanze chimiche presenti e
che si possono disperdere in un ufficio. Per esempio l’inchiostro del toner; la colla sotto il linoleum,
le vernici sulle pareti le colle delle tappezzerie, l’urea e la formaldeide nei laminati plastici, molto
diffusi nei mobili , scaffali, tavoli da ufficio. La formaldeide è la sostanza, in assoluto, più irritante
per la superficie oculare.
Infine bisognerà prendere in considerazione anche gli agenti microbici. Le tastiere e gli schermi dei
videoterminali sono ricettacolo di polvere e di molteplici microrganismi, anche di origine fecale,
per la scarsa igiene in bagno.
L’astenopia occupazionale può essere dovuta, caso per caso, paziente per paziente, ad uno o più di
tutti questi fattori di rischio sopraindicati. Occorre indagare a fondo tutti questi aspetti o si rischia di
fare una valutazione parziale e di non risolvere il problema nel tempo. La difficoltà nella
valutazione della astenopia occupazionale è proprio legata al fatto che le potenziali cause sono
molteplici e diverse in ogni caso.
Per valutare il problema della luminosità, per esempio, si usa uno strumento specifico: il
luminanzometro. Questo strumento valuta il campo visivo professionale, l’insieme dei punti nello
spazio che il lavoratore fissa durante la sua attività. Ad esempio una segretaria guarda soprattutto il
testo, ogni tanto la tastiera, raramente lo schermo come verifica. L’insieme di queste aree fissate
determina il campo visivo professionale. Attraverso la “fotometria ambientale” valuterò quante
candele al metro quadro arrivano agli occhi della segretaria dal campo visivo professionale. In
pratica con lo strumento citato misuro quanta luce arriva agli occhi dalle varie fonti di impegno
oculare, perchè non deve essere squilibrata, disomogenea. Ma soprattutto non ci deve essere
squilibrio tra la quantità di luce che arriva da queste fonti e quella che arriva dalla fonte di
illuminazione ambientale (es. lampada): il massimo rapporto consigliato tra fonti di luce diverse è
1:20. Se così non fosse, si interviene come prevenzione schermando la fonte di luce o riducendone
l’intensità. Logicamente servono conoscenze interdisciplinari mediche, ingegneristiche per arrivare
ad una soluzione ottimale.
La visita ergoftalmologica deve essere effettuata a tutti quei lavoratori che utilizzino il
videoterminale per più di 20 ore medie a settimana (“videoterminalista”). Deve essere effettuata una
prima volta all’inizio dell’attività lavorativa e successivamente con periodicità variabile:
- ogni 24 mesi per i lavoratori con età maggiore di 50 anni o precedentemente resi idonei
con una prescrizione
- ogni 60 mesi per altri lavoratori esposti
- con eventuale altra periodicità definita dal medico del lavoro
La valutazione della definizione della idoneità lavorativa deve prevedere un esame delle funzioni
visive particolarmente impegnate nel lavoro protratto e statico, tra le quali:
convergenza/accomodazione e più in generale la motilità oculare e refrazione.
Può capitare che alcuni soggetti siano perfetti dal punto di vista anatomo-fisiologico oculare, ma
che sotto sforzo prolungato possano manifestare certe disfunzioni. In tal caso occorre ripetere i test
e le prove più volte per un tempo protratto.
Tale esame può essere effettuato in prima battuta anche dal Medico del Lavoro che potrà/dovrà
comunque inviare allo specialista oftalmologo per una più approfondita valutazione quei pazienti
che tramite screening di base siano stati definiti come portatori di rilevanti alterazioni delle funzioni
visive valutate. L’idoneità specifica è comunque sempre decisa dal Medico del Lavoro che in tale
giudizio dovrà anche considerare parametri non inerenti il quadro oftalmologico come ad esempio
la situazione anatomica e funzionale del rachide.
In definitiva la visita ergoftalmologica prevede:
- valutazione della eventuale sintomatologia astenopica
- studio della refrazione oculare
- studio della motilità oculare
- valutazione degli annessi oculari
- valutazione del fundus oculi
Per gli utilizzatori di VDT/PC (per più di 20 ore medie settimanali) prevede inoltre la valutazione
della situazione clinico funzionale del rachide, dell’arto superiore e più in generale dell’apparato
osteomuscolare. Questo viene richiesto per ottenere la prevenzione, la diagnosi e la terapia delle
rachialgie cervicali/lombari, nonché delle patologie da sovraccarico dell’arto superiore.
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