Etiche ambientali e sostenibilità

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Progetto Etica e Politiche Ambientali – Fondazione Lanza
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Training Module D – Etica dello sviluppo sostenibile
(Training Unit D-2)
Etiche ambientali e sostenibilità*
Matteo Mascia e Simone Morandini
1. Introduzione
La capacità di orientare il futuro della vita umana e non umana sul nostro pianeta ha
assunto negli ultimi 50/60 anni dimensioni inedite, conferendo all'umanità un potere
ed una responsabilità senza precedenti. Le potenzialità offerte dalla rivoluzione
industriale, infatti, hanno reso la specie umana ecologicamente dominante,
dotandola della possibilità di plasmare il destino proprio e di buona parte
dell'ecosistema terrestre. La scala delle conseguenze delle scelte umane si è
ampliata fino a dimensione planetaria, aprendo nuovi livelli di responsabilità, fino a
pochi decenni fa assolutamente impensabili: inquinamento, estinzione delle specie,
esaurimento delle risorse sono entrati ormai nell'ambito dell'etica.
Nella questione ambientale sono coinvolti gravi problemi di equità
intragenerazionale, relativi cioè alla suddivisione internazionale - certamente non
equilibrata - delle responsabilità, dei costi e delle conseguenze dei danni ambientali.
Né meno seri sono gli interrogativi circa la qualità e la vivibilità del pianeta che le
prossime generazioni si troveranno ad abitare. Ma nel linguaggio dell'etica
ambientale trovano spazio anche questioni più radicali, evocate da nozioni quali
"valore intrinseco" dei non umani, "diritti della natura", "diritti degli animali", che
orientano ad un inedito ampliamento della riflessione morale.
Di seguito verranno presentate le principali posizioni di rilievo all'interno del dibattito
in etica ambientale1, a partire dalle quali verranno delineati i contorni di un’etica della
sostenibilità insieme ad alcuni principi generali e criteri guida per affrontare le difficili
e complesse scelte poste dai problemi ambientali.
2. Etica ambientale e antropocentrismo
Un punto che accomuna gran parte delle posizioni in etica ambientale, al di là delle
loro diverse impostazioni, è la critica di un approccio che fa della natura un semplice
*
Testo predisposto nell’ambito del Progetto europeo Leonardo da Vinci “Environment et Work: Local
Agenda21”, 2003
1
Per una rassegna critica delle diverse posizioni in materia: S.Bartolommei, Etica e ambiente. Il
rapporto uomo-natura nella filosofia morale contemporanea di lingua inglese, Guerini e associati,
Milano 1989; Id., Etica e natura, Laterza, Bari 1995; S.Dellavalle, "L'umano e il naturale", in Id. (a
cura), Per un agire ecologico. Percorso di lettura attraverso le proposte dell'etica ambientalista, Baldini
e Castoldi, Milano 1998, pp. 11-56; J.Baird Callicott, “Modelli di bioetica ambientale”, in G.Russo (a
cura), Bioetica ambientale, pp.32-61. Una discussione breve, ma puntuale degli approcci fondamentali
anche in Comitato Nazionale per la Bioetica, Bioetica e ambiente, pp.23-40
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insieme di risorse, utilizzabili liberamente da parte del soggetto umano in vista del
proprio benessere. In quest'ottica solo l'uomo sarebbe fonte e soggetto di valore,
mentre il mondo e gli altri viventi sarebbero di per sé indifferenti. E' un'impostazione
che spesso viene definita "antropocentrica", ma che è opportuno qualificare con
l'aggiunta dell'aggettivo "forte", a distinguerla da altre, cosiddette moderate su cui ci
si soffermerà più avanti. L'antropocentrismo, nella sua versione forte, viene indicato
come la radice dell'atteggiamento insensibile e privo di criteri nei confronti dei viventi
non umani e del mondo naturale, cioè, in ultima analisi, della situazione di crisi
ecologica che investe il nostro pianeta.
E' facile cogliere il manifestarsi di tale orientamento all'interno della traiettoria della
modernità, in particolare nella contrapposizione cartesiana di res extensa e res
cogitans, caratterizzata da un'accentuazione così forte della soggettività pensante
dell'uomo, da farne l'unico luogo di valore nel mondo. In quest'ottica gli stessi animali
possono ormai essere considerati meri automata, macchine prive di tutte quelle
facoltà tipicamente umane che sono la parola, la capacità di provare sensazioni e
persino di percepire il dolore ed il piacere2. Una considerazione equilibrata dovrà
comunque evidenziare anche la portata rivoluzionaria dell'impostazione cartesiana,
che eliminava dallo studio del vivente la necessità del ricorso a cause
nonimmateriali, ponendo le condizioni per il costituirsi della biologia come scienza.
La ricerca scientifica risentirà per lungo tempo dell'influenza di tale modello
riduzionista, in cui anche il mondo della vita viene interpretato in termini
meccanicistici; in quest'ottica, inoltre, lo stesso studio della natura poteva essere
interpretato come un interrogatorio - quasi violento - cui essa era sottoposta da parte
dello sperimentatore3. La scienza post-galileiana viene spesso considerata come un
fattore direttamente rilevante per il sorgere della crisi ambientale in quanto rompe il
diretto rapporto con la natura tipico delle società pre-moderne, sostituendo
l'esperimento all'esperienza immediata e sovrapponendo ad essa un linguaggio
matematizzante, che cancella l'autenticità del reale. Con essa si avvia una radicale
desacralizzazione del mondo, progressivamente ridotto a semplice oggetto,
totalmente disponibile alla prassi indagatrice e trasformatrice del soggetto umano4.
Non a caso, la logica baconiana dell'identificazione di sapere e potere si realizzerà in
Occidente nell'evoluzione tecnologica, quasi traduzione dell'istanza di dominio della
natura in prassi efficace ed azione economica strutturata.
2
R.Descartes, "Discorso sul metodo", in Id., Opere, vol.II, Laterza, Bari 1965, pp.129-182, in
particolare pp.168-171. Una dura critica dell'argomentazione di Cartesio in T.Regan, I diritti animali,
Garzanti, Milano 1990.
3
Secondo Bacone, non è significativo lo studio della "natura libera e sciolta, quella cioè che segue il
suo corso e opera spontaneamente", ma piuttosto quello "della natura costretta e sviata dalla volontà
umana, quando cioè la natura è obbligata dall’arte ad uscire fuori dal suo stato originario”, F.Bacone,
“La grande instaurazione”, in Id., Opere filosofiche, a cura di E.De Mas, Laterza, Bari 1965, pp.211245, qui pp.241-242. Si tratta, certo, di un'esposizione illuminante della fondamentale distinzione tra
esperimento - tipico della scienza moderna - ed esperienza immediata, ma le metafore utilizzate sono
anche rivelatrici di un atteggiamento ben preciso nei confronti del mondo naturale.
4
Anche se - ricorda P.Rossi - “per Bacone e per Boyle, come per Galilei, Cartesio, Keplero, Leibniz e
Newton la volontà umana e il desiderio di dominio non costituiscono il principio più alto. La natura è
contemporaneamente oggetto di dominio e di reverenza. Essa va ‘torturata’ e piegata a servizio
dell’uomo, ma essa è anche ‘il libro di Dio’ che va letto in spirito di umiltà”, P.Rossi, La nascita della
scienza moderna in Europa, Laterza, Bari 1997, pp.53-54.
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La critica ambientalista si estende progressivamente alle strutture fondanti della
civiltà occidentale, che viene descritta come profondamente segnata da una forma di
pensiero orientata al possesso ed al dominio della natura e quasi inevitabilmente
portata a tradursi in un atteggiamento vorace e sfruttatore nei suoi confronti. Ad essa
viene volentieri contrapposto l'attento rispetto di molte culture indigene, come quella
degli indiani d'America. L'ideale di un inserimento "leggero" nel mirabile equilibrio
della natura trova qui una facile contrapposizione all'ideologia del progresso ad ogni
costo, che fa del mondo un semplice insieme di risorse, da sfruttare in modo più o
meno oculato.
La critica all'antropocentrismo giunge a coinvolgere anche la fede cristiana, che
viene spesso descritta come determinante per il suo costituirsi. Ancora nei primi anni
'70, lo storico americano L. White collocava nella lettura cristiana dei racconti di
creazione di Gen.1-2 la vera origine del processo di sdivinizzazione della natura, che
ne avrebbe legittimato un uso senza criteri5.
Pochi anni più tardi J. Passmore sosterrà il carattere greco-cristiano (o, più
specificamente, stoico-cristiano) di questa tradizione interpretativa, evidenziando
così la distanza introdotta dall'ellenizzazione rispetto al pensiero ed alla pratica
dell'ebraismo, profondamente legati alla terra6. Negli anni ‘90, un pensatore come S.
Natoli coglierà piuttosto nella secolarizzazione moderna dell'idea di creazione - nel
segno dell'autoaffermazione dell'io e dell'immanentizzazione di Dio - le radici di un
antropocentrismo incapace di dar senso alla finitezza del mondo. D'altra parte, in
un’era che appare ormai irreversibilmente post-moderna e post-cristiana, l'unica via
possibile sarebbe la riscoperta delle ragioni del neopaganesimo, unica possibilità
reale di autentica fedeltà alla terra7. Giova peraltro evidenziare che il rapporto tra
antropocentrismo e cristianesimo si presenta complesso: pur non essendo possibile
identificarli in modo così lineare, tuttavia è evidente la presenza nella testimonianza
biblica di una attenzione specifica per gli esseri umani.
Di seguito verranno presentate le posizioni, numerose e assai differenziate, che
tendono ad un superamento dell'antropocentrismo forte della modernità, a
sottolineare l'insufficienza di un criterio puramente negativo - l'opposizione all'etica
dello sfruttamento ambientale - per individuare valori da promuovere ed obiettivi da
perseguire.
3. Etica ambientale e biocentrismo
Numerosi autori ritengono che il superamento della crisi ecologica non possa
realizzarsi in assenza di un completo abbandono della prospettiva antropocentrica:
5
L.White, "Le radici storico-culturali della nostra crisi", Il Mulino 27 (1973), 251-263. Il testo di White,
pubblicato per la prima volta nel 1967, ha dato origine ad un dibattito che ha avuto ampia risonanza
nella riflessione americana, mettendo in luce però anche la sua scarsa attenzione al ruolo dei fattori
socio-economici nella crisi ambientale (L.W.Moncrief, "The Cultural Basis of Our Environmental
Crisis", in L.P.Pojman, Environmental Ethics, pp.15-19, pubblicato nel 1970) come pure la parzialità
della sua lettura biblica (P.Dobel, "The Judeo-Christian Stewardship Attitude Toward Nature, ivi,
pp.20-24, pubblicato nel 1977).
6
J.Passmore , La nostra responsabilità per la natura, Feltrinelli, Milano 1986 (ed.or.1974).
7
S.Natoli, I nuovi pagani. Neopaganesimo: una nuova etica per forzare le inerzie del tempo,
Saggiatore, Milano 1995.
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solo andando al di là di una visione che focalizza sull'uomo l'attenzione etica è
possibile far riemergere effettivamente la percezione del valore ambiente. Certo, la
prospettiva assunta risulta assai differenziata a seconda del "luogo" su cui si
concentra l'attenzione etica; in alcuni autori l'accento cade sulla terra ed i suoi
ecosistemi, mentre in altri esso è più specificamente rivolto ai viventi.
3.1 Etiche della terra
Un riferimento importante per quanti si occupano di etica ambientale è la riflessione
dell'ambientalista americano A. Leopold (1887-1947). A partire dalla propria
esperienza di forestale e di osservatore attento della natura Leopold delinea alcuni
spunti per un'etica della terra8 che nel rifiutare di intendere la natura come un
semplice possesso degli esseri umani la considera come una casa comune che deve
essere amata e rispettata. La proposta inclusa nel pensiero di Leopold delinea
un'estensione della comunità di coloro che sono tutelati dall'etica, "per includervi
suolo, acqua, piante ed animali o, in una parola sola, la terra"9. Certo, i beni naturali
sono anche un insieme di risorse, che è possibile trattare dal semplice punto di vista
dell'utilizzatore; l'etica della terra, però, "afferma il diritto che esse continuino ad
esistere e, almeno in certi luoghi particolari, possano conservare il loro stato
naturale"10. Occorre dunque "smettere di pensare che un uso conveniente della terra
sia un problema semplicemente economico", per giungere invece ad un radicale
ripensamento dei criteri morali: "è giusto ciò che tende a mantenere l'integrità, la
stabilità e la bellezza della comunità biotica; è sbagliato ciò che ha una tendenza
diversa". Non solo l'uomo, dunque, ma anche le diverse componenti della comunità
stessa sono caratterizzate da un valore intrinseco. La proposta di Leopold sembra
orientata soprattutto ad introdurre elementi correttivi all'interno di una visione della
natura troppo centrata sull'interesse individuale, favorendo invece una forte empatia
nei confronti del mondo vivente.
Un'interpretazione radicalmente olistica del pensiero di Leopold è presente nella
riflessione dell'ecologia profonda, discusso movimento che prende le mosse dal
pensiero del filosofo norvegese A. Naess. Egli sembra ritenere ecologicamente
superficiale l'idea stessa di assumere una differenziazione rilevante tra il valore dei
diversi enti: solo "individui che si sentono parte del tutto"11 possono agire in modo da
realizzare effettivamente il Sè -"il Sè profondo, vasto ed ecologico"12. Solo
"identificandoci con unità più vaste, prendiamo parte alla loro creazione e pertanto
alla loro preservazione e pertanto condividiamo la loro grandezza"13; occorre, quindi,
promuovere un'esperienza della natura libera, capace di suscitare risonanze
8
A.Leopold, "Introduzione" a Id., Almanacco di un mondo semplice, RED, Como 1997 (ed.or. 1949),
pp.17-19, qui p.18. Sul pensiero e la vita di Leopold: J.Baird.Callicott, “L’etica della terra”, in G.Russo
(a cura), Bioetica ambientale, pp.66-72; Id., "The Conceptual Foundations of the Land Ethic", in
L.P.Pojman, Environmental Ethics, pp.92-102; S.Bartolommei, "Etica filosofica e coscienza ecologica.
Introduzione a Leopold", Critica marxista 25 (1987), n.21, 91-111; D.Worster, Storia delle idee
ecologiche, 349-355.
9
A.Leopold, "L'etica della terra", in Id., Almanacco di un mondo semplice, pp.163-185, qui p.165
10
Ibidem.
11
A.Naess, Ecososfia, p.106.
12
Ivi, p.223.
13
A.Naess, Ecososfia, p.221.
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empatiche nei suoi confronti. Devall e Sessions, che dall'opera di Naess traggono
ispirazione, ritengono, che coltivare una coscienza ecologica significhi soprattutto
acquisire "una crescente consapevolezza della realtà delle rocce, dei lupi, degli alberi
e dei fiumi - coltivare l'intima intuizione della connessione del tutto, imparare ad
apprezzare il silenzio, la solitudine e la disponibilità all'ascolto"14. Occorre anzi che "si
faccia amicizia con un'altra specie, con un fiume o una montagna"; l'azione ecologica
nasce allora come espressione de "la responsabilità di questo atto, del carico di
testimoniare per l'individualità dell'altro, per il suo essere Sè"15.
Si tratta di una posizione radicalmente biocentrica, attenta alla realizzazione delle
potenzialità di tutti gli esseri, come condizione necessaria per la crescita del Sè.
Certo, l'affermazione di principio del diritto di ognuno alla realizzazione delle proprie
potenzialità non si traduce immediatamente in norma pratica, nè impone "una
condotta identica nei confronti di tutte le forme di vita. Piuttosto suggerisce come
criterio guida, di limitare l'uccisione di altri esseri, e più in generale di eliminare gli
ostacoli alla loro realizzazione"16. E' chiaro comunque che l'idea di un impegno attivo
per la realizzazione di tutti gli esseri pone l'ecologia profonda in posizione
radicalmente critica nei confronti delle forme in cui si è realizzata la presenza umana
sul pianeta, fino a giungere all'auspicio di una sua netta riduzione quantitativa17.
L'accento posto sulla natura come espressione del grande Sè coinvolgente si
traduce dunque in una lettura limitante dell'humanum, quasi fosse un elemento di
disturbo all'interno di un cosmo altrimenti armonico. Le posizioni dell'ecologia
profonda propongono un ritorno alla natura, interpretata come biosfera, ma anche
un'interpretazione tutta negativa dell'operare umano, incapace di comprenderne e
valorizzarne la specificità di essere culturale. E' un dato che sembra legato ad
un'accentuazione unilaterale della totalità, che riduce drasticamente la
considerazione per il singolo e per il suo contributo, talvolta prezioso, alla comunità
biotica. L'approccio biocentrico presente in numerosi pensatori ambientalisti viene qui
portato alle sue estreme conseguenze, fino a superare i confini dell'etica e tradursi in
un approccio onnicomprensivo e privo di ogni istanza dialettica.
Alcune prospettive in qualche modo analoghe sono presenti anche nell'approccio
ecofemminista18, con la sua accentuazione della femminilità della Natura come
grande madre della vita. Certo, l'ecofemminismo è solo in parte inquadrabile
all'interno di una prospettiva fisiocentrica: la sua attenzione alla natura è fondata
sulla volontà di ritrovare una relazione più equilibrata tra donne e uomini, ma alcune
prospettive, risultano assai vicine a quelle dell'ecologia profonda. La radicale critica
dell'antropocentrismo presente nell'ecologia profonda si qualifica qui come critica del
patriarcato, inteso come fonte dell'oppressione della natura e delle donne assieme.
14
B.Deval, G.Sessions, Ecologia profonda. Vivere come se la natura fosse importante, Grupp Abele,
Torino 1989, p.25.
15
Ivi, p.188.
16
A.Naess, Ecososfia, p.213.
17
Uno dei principi elaborati da Muir, Sessions e Naess recita: "La prosperità della vita e delle culture
umane è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione umana: la prosperità della
vita non umana esige tale diminuzione", B.Deval, G.Sessions, Ecologia profonda, p.78.
18
C.Merchant, La morte della natura. Le donne, l'ecologia e la rivoluzione scientifica, Garzanti, Milano
1988; K.J.Warren, "L'ecofemminismo", in G.Russo, Bioetica ambientale, pp.73-81. Una ripresa
teologica in R.Radford Ruether, Gaia e Dio. Una teologia ecofemminista per la guarigione della terra,
Queriniana, Brescia 1995.
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L'identificazione del femminile con la corporeità - intesa come polo negativo da
numerose ideologie dualiste - stimolano inoltre ad una forte accentuazione unitaria,
spesso diffidente verso la trascendenza. Come per l'ecologia profonda, però, questa
linea di riflessione sembra più attenta all'istanza di una critica globale della cultura
occidentale che capace di tradurla in una positiva elaborazione per la cura
dell'ambiente.
Una articolazione ben maggiore è rappresentata dalla proposta di H. Rolston III, un
altro autore che si colloca nella tradizione di Leopold19. Egli, infatti, si propone
esplicitamente di articolare i valori culturali nei quali si esprime la specificità umana
con quelli esperiti ai diversi livelli della realtà naturale. La considerazione della
complessità dei viventi, della biodiversità, dell’integrità degli ecosistemi, della
biosfera nella sua complessità rivela, infatti, la presenza di una pluralità di valori.
L'approccio di Rolston può anche essere definito naturalista, per la sua esplicita
presa di distanza rispetto alla pretesa di collocare il valore esclusivamente "nella
creatività del soggetto valutante", rendendolo quindi "sempre estrinseco rispetto alla
natura e mai intrinseco ad essa"20. Occorre invece riconoscere che, anche rispetto al
soggetto umano, i valori ambientali hanno una loro autonomia, che si radica in una
"meravigliosa storia naturale che ha un suo valore oggettivo"21. Se, infatti, non esiste
valore senza un valutatore, non c'è però motivo per assegnare tale funzione
esclusivamente all'uomo, giacché "un'etica ambientale comprensiva rialloca il valore
attraverso l'intero continuum"22 evidenziando una funzione valutativa nel processo
vitale, nei viventi, negli stessi ecosistemi. La storia evolutiva della vita sulla terra nella quale anche l'uomo è coinvolto - i processi attraverso i quali essa si realizza e
le forme in cui essa si struttura costituiscono dunque veri e propri valori intrinseci,
meritevoli di attenta considerazione morale.
Giova peraltro segnalare che in Rolston è pure presente un esplicito riconoscimento
della specificità e del grande valore dell'ambito della cultura, quella prassi di attiva
trasformazione della natura ad opera dell'uomo che può essere espressa
iconicamente dal paesaggio urbano. Resta però anche il rifiuto di fondare in essa i
valori naturali, quale si esprimono nei paesaggi di natura selvaggia cari alla
tradizione americana. Dal punto di vista epistemologico, la sua posizione si colloca
decisamente in una visione non-antropocentrica - in riferimento alla presenza in
natura di valori intrinseci, indipendenti dal soggetto umano che li percepisce, ma
nello stesso tempo non si qualifica come anti-antropocentrica, a causa dell’esplicito
riconoscimento della specificità e del valore dei processi culturali, di cui l’uomo
stesso costituisce la sorgente. Lo stesso rapporto tra leggi naturali e leggi morali
viene interpretato in modo complesso ed articolato, affermando certo la loro
connessione, ma senza mai cadere in facili identificazioni di tipo fondamentalista.
19
H.Rolston III, Conserving Natural Value, Columbia University Press, New York 1994; Id.,
"Environmental Ethics: Values in and Duties to the Natural Wold", in F.H.Bormann, S.R.Keller,
Ecology, Economy, Ethics. The Broken Circle, Yale University Press, New Haven - London 1991,
pp.73-96; Id., “Sopravvivenza delle specie in pericolo e biodiversità”, in G.Russo (a cura), Bioetica
ambientale, pp.154-165; Id., "Possiamo e dobbiamo seguire la natura?", in S.Dellavalle (a cura), Per
un agire ecologico, pp.127-161.
20
Id., "Environmental Ethics: Values in and Duties to the Natural Wold", p.94.
21
Id., "Sopravvivenza delle specie in pericolo e biodiversità", p.157.
22
Id., "Environmental Ethics: Values in and Duties to the Natural Wold", p.94.
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Da questa breve rassegna si evidenzia che la riflessione biocentrica presenta una
pluralità di interpretazioni, che pur accomunate dall'accentuazione olistica e nonantropocentrica, sono tra loro assai differenziate. Se per certi aspetti la sottolineatura
del valore della comunità biotica nel suo insieme è sempre esposto al rischio di
perdere di vista la specificità dei singoli viventi ed in particolare dell'uomo, la
presenza di impostazioni non assolutistiche della natura offrono spunti significativi e
propositivi nel dibattito sui fondamenti dell’etica ambientale.
3.2 Etiche della vita
Una diversa linea di riflessione è quella che accentua la reverenza per la vita; qui un
punto di riferimento importante anche per la ricerca più recente23 è il pensiero di A.
Schweitzer, caratterizzato da una marcata coloritura religiosa. La sua riflessione
nasce dalla scoperta che "io sono vita che vuol vivere, in mezzo ad altra vita che vuol
vivere" e dalla percezione del dovere di "rispettare ogni volontà di vita che è intorno a
me, cosi come rispetto la mia"; solo così possiamo porre la nostra particolarità finita
al servizio della volontà universale presente in ogni vivente ed unirci ad essa. Questa
riflessione, più che un'elaborazione di tipo morale, si propone come una spiritualità,
una mistica della vita, ricca di forza e di ispirazione, ma difficilmente capace di offrire
puntuali indicazioni di tipo etico, contribuendo a delineare soluzioni per le situazioni
conflittuali che la tutela di ogni vivente inevitabilmente genererebbe.
Decisamente meno carica di risonanze religiose la proposta di P. Taylor, che
preferisce parlare di rispetto per la natura, secondo una prospettiva radicalmente
biocentrica24. Qui ad ogni essere vivente viene associato un "valore inerente", che lo
rende titolare di diritti ed impone correlativamente doveri agli agenti morali. Ogni
organismo, infatti, appare come un "centro teleologico di vita che persegue il proprio
bene", sia pure in modo non necessariamente cosciente; esso inoltre è collocato
all'interno di una "complessa rete di elementi collegati tra loro e il perfetto
funzionamento biologico di ogni essere dipende dal perfetto funzionamento biologico
degli altri"25. Gli esseri umani appaiono allora semplicemente "membri della comunità
di vita della terra" ed ogni affermazione di superiorità nei confronti dei non umani
"deve essere respinta come niente più di un pregiudizio a nostro favore"26. L'azione
dell'umanità nel mondo naturale deve allora sottostare alle tre rigorose regole di nonmaleficenza (non danneggiare i viventi), non-interferenza (non interferire con la loro
libertà) e fedeltà (non venir meno alla attese che un animale ripone in noi); laddove
23
A Schweitzer si riferisce ampiamente la riflessione presentata in L.K.Daly, "Ecofeminism,
Reverence for the life and Feminist Theological Ethics", in Ch.Birch, W.Eakin, J.B.McDaniel (a cura),
Liberating Life. Contemprary Approaches to Ecological Theology, Orbis Books, Maryknoll, 1990,
pp.98-108, come pure la ricerca - alquanto più articolata - presentata in J.B.McDaniel, Of God and
Pelicans. A Theology of Reverence for Life, Orbis Book, Maryknoll, 1989.
24
P.W.Taylor, "L'etica del rispetto per la natura", in S.Dellavalle, Per un agire ecologico, pp.164-195.
P.W.Taylor, Respect for Nature: a Theory of Environmental Ethics, Princeton University Press,
Princeton 1986, L.Gruen, D.Jamieson (a cura), Reflecting on nature. Readings in Environmental
Philosophy, Oxford University Press, Oxford 1994, pp.85-97.
25
P.W.Taylor, "L'etica del rispetto per la natura", p.177.
26
Ivi, pp.177-178.
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esse vengano violate, l'equilibrio tra umanità e natura deve essere ristabilito sulla
base di una rigorosa giustizia restitutiva27.
Più elaborata si presenta, invece, la posizione che viene generalmente definita
animalista, dove si possono trovare numerosi autori, di appartenenze culturali anche
abbastanza differenziate, ma accomunati dall'istanza dichiarata di garantire un
trattamento più umano agli animali28. In realtà l'attenzione cade soprattutto su quegli
animali nei quali è possibile riconoscere ed evidenziare in forma diretta una certa
capacità di sentire, apprendere, comunicare, ma soprattutto di percepire sofferenza e
piacere. E' in particolare quest'ultimo dato a costituire il fondamento per affermare un
loro "valore inerente", che fonda il rifiuto di numerose pratiche oggi assai diffuse. "La
conoscenza ravvicinata della ricchezza e della complessità presenti nella vita
animale" ha infatti "messo in luce l'insostenibilità di ogni assimilazione degli animali a
oggetti, a meri automata, ingenerando seri dubbi sull'accettabilità di ogni trattamento
che li riduca a cose e ne oscuri la realtà di creature senzienti"29. Il riferimento è ad
esempio all'uso di animali nell'industria - in particolare quella cosmetica - ai danni
spesso mortali loro inflitti per la sperimentazione scientifica, allo stesso allevamento
ed uso come cibo da parte di esseri umani.
Si tratta di linee di riflessione elaborate in modo abbastanza differenziato, ma
accomunate da un certo tono enfatico e dall'uso di argomentazioni basate su una
quasi-equiparazione di alcuni animali rispetto agli esseri umani, secondo modalità
spesso assai discutibili30. Essi inoltre interessano in quanto individui bisognosi di
tutela, non in quanto membri di una specie minacciata o tantomeno di un
ecosistema. E' stato pure rilevato come la posizione di Regan e Singer non riconosca
alcuna rilevanza etica alle piante, all’atmosfera, agli oceani, alle specie e agli
ecosistemi, e neppure agli animali inferiori31. L'istanza olistica presente in altre
posizioni ambientaliste qui non viene criticata o dialettizzata, ma semplicemente
negata, in nome dei diritti di alcuni singoli animali - appartenenti a specie scelte in
modo relativamente arbitrario tra quelle più vicine all'uomo.
Questa veloce rassegna delle principali posizioni non-antropocentriche ha fatto
emergere in modo nitido la forza delle istanze presentate, ma anche le forti
differenze tra gli autori esaminati. Soprattutto si è cercato di evidenziare come il
27
P.W.Taylor, Respect for Nature, in L.Gruen, D.Jamieson (a cura), Reflecting on Nature, pp.87-97
Per una rassegna: L.Battaglia, Etica e diritti degli animali Laterza, Bari 1997; inoltre: A.Bondolfi,
L'Homme et l'Animal. Dimensions ethiques de leur relations, Editions Universitaires Fribourg Suisse,
Friburgo 1995; Id., "Rapporto uomo-animale. Storia del pensiero filosofico e teologico", Rivista di
teologia morale 21 (1989), n.2, 57-77; Id., "Bibliografia scelta sulla discussione attorno ai 'diritti degli
animali", ivi, 107-123; P.Cavalieri, "Salvaguardare i diritti degli animali?", in S.Privitera (a cura), Per
un'etica dell'ambiente, Armando, Roma 1995, pp.137-155.
29
L.Battaglia, Etica e diritti degli animali, p.29.
30
L'introduzione di una distinzione tra gli animali e questi umani sarebbe, secondo Singer,
necessariamente "specista" e potrebbe essere giustificata solo sula base di "una preferenza morale
indifendibile per membri della nostra specie", P.Singer, Etica pratica, p.60. Più articolata la posizione
di Regan: pur sostenendo che alcuni umani non possono essere considerati "soggetti-di-una-vita", la
sua teoria dei diritti sostiene la necessità di "considerarli come se fossero soggetti di una vita, come se
avessero dei diritti morali fondamentali", T.Regan, I diritti animali, p.430. La sua esposizione, inoltre, è
esplicita nel valutare la maggior gravità del danno fatto ad un umano rispetto ad uno analogo patito da
un animale, ivi , pp.435-439.
31
J.Baird Callicott, "Animal Liberation: a Triangular Affair", in L.P.Pojman, Environmental Ethics,
pp.52-63.
28
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problema della fondazione di un'etica ambientale sia ben lungi dal trovare in
quest'ambito una soluzione soddisfacente. La forza della polemica contro
l'antropocentrismo, infatti, si accompagna solo di rado ad un'altrettanto consistente
elaborazione positiva - sul piano della fondazione come su quello
dell'argomentazione. Un approccio tutto centrato sui singoli individui appartenenti alle
specie animali superiori - solo in parte rilevante per un'etica ambientale - va
confrontato con altri radicalmente olistici, in cui è solo l'appartenenza ad un tutto - la
natura, la vita... - a conferire valore ai viventi ed all'uomo. Pare opportuno
sottolineare che è proprio la volontà di negare ogni forma di specificità all’uomo a
rendere molto difficile l'elaborazione di una prospettiva capace di pensare assieme le
singolarità e le differenze che caratterizzano le diverse forme di vita - non solo quella
umana - ed il loro inserimento all'interno delle comunità ecosistemiche.
Va però soprattutto sottolineato come le inadeguatezze delle etiche nonantropocentriche non comportino necessariamente una ricaduta dell'etica sulle vie
dell'antropocentrismo violento della modernità, quasi fosse l'unica alternativa
disponibile: altri percorsi sono stati proposti, all'interno di un dibattito ricco di
articolazioni.
4. Diversi antropocentrismi
Diversi autori ritengono che l'accento posto sulla centralità dell'uomo come principale
fonte di valore - se opportunamente modulato - non conduca necessariamente a
quell'antropocentrismo forte che ha caratterizzato lo sviluppo della modernità
occidentale, ma possa invece costituire la base per un'efficace fondazione dell'etica
ambientale. Di seguito si presentano le principali prospettive emerse, rilevandone gli
spunti più promettenti ed alcuni limiti.
4.1 Responsabilità per le prossime generazioni
Una prima linea di ricerca è quella che colloca nella responsabilità per le generazioni
future il nocciolo di un'etica ambientale. G.L. Brena, ad esempio, rilegge la teoria
neo-contrattualistica della giustizia di Rawls, estendendola in una prospettiva
intergenerazionale ed interculturale. In quest'orizzonte l'istanza fondamentale
dell'equità si traduce necessariamente nel dovere di garantire a tutti l'accesso alle
risorse fondamentali - naturali e non. Si tratta di un dovere che include l'umanità
presente, nelle sue diverse componenti, culturali e politiche, ma anche le prossime
generazioni, e che proibisce, quindi, tutti quei comportamenti che riducano la
disponibilità futura di beni ambientali32.
Più ampia la riflessione di G. Pontara33, che muove da una discussione analitica dei
vari approcci filosofici che fondano nella responsabilità per le condizioni vitali delle
prossime generazioni il dovere di cura dell'ambiente planetario (contrattualismo,
teoria dei diritti, utilitarismo - ognuna modulata in diverse direzioni). Fondandosi su
una posizione di tipo utilitaristico - tesa cioè alla massimizzazione del piacere e
32
G.L.Brena, "Ecologia e giustizia in condizioni di pluralismo", Rassegna di teologia 39 (1998), 165189.
33
G.Pontara, Etica e generazioni future, Laterza, Bari 1995; Id., "Responsabilità per le generazioni
future?", in S.Castignone, Etica e ambiente, pp.161-180.
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soprattutto alla minimizzazione della sofferenza - egli giunge poi a formulare alcune
norme di morale intergenerazionale:
1) "Non fare scelte che abbiano effetti irreversibili, o comunque la cui reversibilità sia
molto difficile ed estremamente costosa.
2) Massimizzare il tenore di vita sostenibile.
3) Salvaguardare la biodiversità.
4) Salvaguardare il patrimonio artistico, scientifico, culturale"34.
L'accento utilitaristico sulla massimizzazione del benessere fonda dunque i doveri "di
salvaguardia" - del mondo della cultura come di quello naturale - ma anche l'istanza
di promozione dello sviluppo. Esso, però, deve necessariamente realizzarsi nel
segno della sostenibilità, ad evitare un baratto tra il benessere della generazione
presente e quello delle future.
Queste posizioni lasciano ancora l'impressione di vedere nel mondo vivente
soprattutto un insieme di risorse, evidenziando il limite di un approccio all'etica
ambientale legato ad una prospettiva strettamente antropocentrica. L'istanza di
gestione sostenibile dell'ambiente, infatti, trova una fondazione consistente nei doveri
nei confronti delle prossime generazioni dell'umanità, ma restano del tutto inevase le
questioni circa l'eventuale presenza di valori intrinseci negli altri viventi, come pure gli
interrogativi circa le modalità di comportamento nei loro confronti.
4.2. Il valore dell'essere
Un approccio diverso è quello che tende a mostrare come l'istanza di protezione
della realtà naturale si imponga al soggetto umano, in virtù di qualche valore
presente in essa ed assolutamente rilevante per l'uomo stesso. E' il caso di
Hargrove, che, pur ritenendo rilevanti anche argomentazioni non antropocentriche,
dedica un'attenzione particolare alla fondazione di un'etica ambientale sulla base del
valore estetico della natura - una realtà intrinseca alla natura stessa, ma il cui
significato si manifesta solo al soggetto umano. La sua argomentazione può essere
così schematizzata:
1. l'uomo ha il dovere di promuovere e di preservare l'esistenza del bene nel mondo,
2. il bello, sia artistico, sia naturale, fa parte di tale bene,
3. il bello naturale (...) è nella maggior parte dei casi, altrettanto meritevole di quello
artistico di venir promosso e preservato per ragioni non esistenziali,
4. il bello naturale dipende dall'esistenza fisica
5. l'esigenza di promuovere e preservare l'esistenza del bello naturale è quindi anche
più forte di quella - comunemente condivisa - di tutelare il bello artistico35.
34
Ivi, p.160.
E.C.Hargrove, Fondamenti di etica ambientale, pp.266-267. Una posizione simile sembra essere
quella presentata in S.Castignone, "Utilitarismo, estetica ed ambiente",in Id.(a cura), Etica
dell'ambiente, pp.213-230.
35
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La portata delle considerazioni proposte può apparire abbastanza limitata, capace al
più di promuovere la preservazione di specifiche zone di "bellezza selvaggia" - così
care alla tradizione americana - ma non di fondare il confronto con le istanze, spesso
urgenti e concrete dello sviluppo. L'estetica non sembra offrire una base adeguata ad
un'etica che deve fare i conti con l'economia e con le sue argomentazioni fin troppo
cogenti. E' interessante però osservare come Hargrove definisca la propria linea di
ragionamento un "argomento ontologico", ad evidenziare come l'istanza di trovare un
fondamento per un'etica della protezione ambientale si traduca nella ricerca di una
qualche forma di valore dell'essere di cui il soggetto umano è chiamato a farsi carico.
Solo qui, infatti, può radicarsi la responsabilità del soggetto umano nei confronti
dell'esistenza e della vita, minacciate dalla morte e dal non-essere.
E' interessante, allora, affiancarvi la ricerca di H. Jonas - autore, certo, di ben altra
consistenza - tesa a fondare "un'etica per la civiltà tecnologica", che sia all'altezza
della scala radicalmente nuova su cui si pongono le minacce al futuro della vita. Alla
base del "principio responsabilità", sta un'"euristica della paura, "la sola adeguata in
una situazione segnata dal potere e dal pericolo". Qui infatti non si tratta "soltanto di
sopravvivenza fisica, ma anche di integrità dell'essere: l'etica che ha la funzione di
salvaguardarle entrambe dev'essere, al di là della dimensione della prudenza, quella
del rispetto"36.
Il percorso, esplicitamente metafisico, ha il suo cardine nella dimostrazione che, nella
sua capacità di agire in vista di scopi, l'essere - ma qui si parla soprattutto dell'essere
del vivente - si afferma enfaticamente come migliore rispetto al nulla. D'altra parte lo
stato di necessità - quel bisogno di conservazione sempre attuale che caratterizza
l'essere stesso - impone all'uomo di "far sua nella propria volontà questa
affermazione e imporre alle proprie facoltà la negazione del non-essere"37. C'è
dunque una pretesa dell'essere (o meglio della vita), che sempre si impone al
soggetto morale e lo chiama ad una cura responsabile. Per l'uomo tecnologico soggetto libero e dotato oggi di un potere senza precedenti - ciò significa, però,
l'emergenza di un dover essere di portata inedita, come risposta all'emergere di una
minaccia altrettanto inedita.
Per il pensatore tedesco il primo oggetto dell'istanza morale è in realtà la
conservazione dell'essere dell'uomo: poiché in lui il principio teleologico della
responsabilità ha raggiunto il culmine, "l'uomo stesso diventa (...) l'oggetto primo del
dover essere"38. Proprio questo primo dovere assoluto, però, "include ora quello
verso la natura in quanto condizione della propria sopravvivenza e in quanto
elemento della propria integrità esistenziale"39. Antropocentrismo, dunque, ma un
antropocentrismo che si autocomprende all'interno di una "solidarietà di interesse
con il mondo organico": "la pienezza vitale della terra, prodottasi nel corso di un
lungo processo creativo della natura e adesso affidata a noi, avrebbe di per se
stessa diritto alla nostra tutela"40.
36
H.Jonas, Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990,
p.XXVIII. Una presentazione in M.Ostinelli, "L'etica del futuro di Hans Jonas", in S.Castignone (a
cura), Etica dell'ambiente, Guida, Napoli 1994, pp.101-130.
37
H.Jonas, Il principio responsabilità, p.105.
38
Ibidem.
39
Ivi, p.176.
40
Ibidem.
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Appare dunque di notevole interesse il livello a cui Jonas colloca il proprio percorso:
la fondazione della responsabilità per l'essere futuro viene cercata in
un'argomentazione ontologica, che evidenzia il darsi di un bene assoluto, che si
impone come appello per la volontà del soggetto. E' un antropocentrismo tensionale,
in cui il soggetto si fa carico dello spessore vitale di una realtà, all'interno della quale
egli stesso è profondamente inserito e di cui si trova costituito responsabile, di fronte
alla minaccia incombente.
4.3 L'estensione della comunità di comunicazione
Di grande interesse si presenta l'emergere di prospettive rilevanti per l'etica
ambientale in autori che muovono da orizzonti filosofici esplicitamente radicati
nell'antropocentrismo della modernità. Il riferimento è ad autori come Apel e
Habermas, che collegano strutturalmente l'etica e la fondazione di diritti ad una
comunità di comunicazione, cioè ad una realtà che potrebbe apparire
intrinsecamente linguistica e quindi esclusivamente umana41. J. Habermas, però,
rileva come anche gli animali - o almeno alcuni di essi - vengano coinvolti, benché in
modo asimmetrico, nelle nostre interazioni sociali, portandoci quindi a comunicare
con essi ed a fare un'esperienza di responsabilità "moral-analogica" nei loro
confronti42. Certo si tratta di una comunicazione che si svolge con modalità non
verbali - tra l'altro anche attraverso "le ferite che l'uomo può infliggere all'animale"43 ma essa è sufficiente a rivelarci una responsabilità ed a fondare alcuni doveri nei loro
confronti, pur non consentendo di costituirli come titolari di diritti.
Ancor più in là si spinge K. Apel, con l'osservazione che nel ricostruire l'"evoluzione
naturale come preistoria della storia umana (...) noi non trattiamo la natura come un
puro oggetto", ma poniamo in essere un'"euristica quasi ermeneutica della ricerca"44.
Ciò significa, dunque, cogliere negli esseri naturali "qualcosa di simile o di analogo ai
co-soggetti umani della comunicazione"45 ed istituire così una prospettiva normativa
che investe le nostre interazioni con essi. Certo, questo non può condurre ad una
"reciprocità generalizzata di diritti e doveri": innalzare tutti i viventi allo stato di cosoggetti appare "vietato dagli obblighi che abbiamo nei confronti degli uomini"46.
L'estensione della prospettiva antropocentrica è però ampia, paragonabile a quella di
Jonas; Apel coglie, infatti, "i sistemi interrelati della biosfera planetaria come
condizioni preliminari della nostra ecosfera naturale"47, e quindi come condizioni di
possibilità dello stesso agire comunicativo. In quest'ottica l'etica ambientale, pur non
41
Come osserva lo stesso Apel, "un'etica fondata sull'apriori fondamentale della comunità
comunicativa" potrebbe apparire condannata a "vedere in tutti gli esseri non umani semplicemente
delle cose", "dei possibili oggetti dell'Uomo, unico soggetto del pensiero e dell'azione responsabile",
K.O.Apel, "La crisi ecologica quale problema dell'etica del discorso", in S.Dellavalle (a cura), Per un
agire ecologico, pp.339-380, qui p.369.
42
J.Habermas, "La sfida dell'etica ecologica alla concezione contemporanea", ivi, pp.383-390, qui
p.388.
43
Ivi, p.389.
44
K.O.Apel, "La crisi ecologica quale problema dell'etica del discorso", p.372.
45
Ibidem.
46
Ivi, p.373.
47
Ibidem. Un'elaborazione più ampia, ma anche meno rigorosa, di questa prospettiva in J.Dryzek,
"Green Reason: Communicative Ethics for the Biosphere", in L.Gruen, D.Jamieson, Reflecting on
Nature, pp.159-174.
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pretendendo certo di ribaltare in norme morali i dati fattuali dell'ecologia, esigerà però
l'esibizione di solide ragioni giustificative per ogni intervento trasformativo nei
confronti degli ecosistemi.
In Apel, dunque, il riconoscimento senza riserve del valore della naturalità nelle sue
dinamiche vitali non comporta alcuna riduzione dell'istanza antropocentrica, ma anzi
viene a radicarsi in essa, costituendone un'estensione. La cura per il futuro del
pianeta, d'altra parte, non si traduce in un rifiuto del progresso tecnico, nè in una
negazione del valore del dibattito democratico. Al contrario, proprio la ricerca attenta,
che attraversa le istituzioni dell'umanità, come il variegato mondo della cultura,
costituisce quella comunità di discorso ad ampio raggio che sola può farsi carico di
una responsabilità planetaria.
Gli autori presi in considerazione, pur accomunati da un punto di partenza attento
alla centralità dell'humanum elaborano prospettive assai differenziate e spesso
promettenti. Preme qui sottolineare come l'assunzione di un approccio
antropocentrico non comporta affatto un atteggiamento oggettivante e sfruttatore nei
confronti dei viventi e della natura. Al contrario, l'accentuazione del legame tra la
specie umana ed il pianeta Terra può condurre alla formulazione di un'etica
ambientale articolata, ma anche forte e rigorosa, capace di coniugare le istanze di
giustizia intragenerazionale con quelle intergenerazionali, senza dimenticare il valore
della vita e degli ecosistemi.
5. Antropocentrismo, scienza, tecnologia
In quest'orizzonte può, anzi, trovare spazio anche una valutazione più articolata nei
confronti della traiettoria della modernità occidentale, ed in particolare
dell'elaborazione scientifica degli ultimi secoli. Senza negare il profondo e spesso
problematico influsso del meccanicismo sulla ricerca post-newtoniana, si fa strada,
infatti, la coscienza dell'irriducibilità a tale orizzonte filosofico dei risultati ottenuti dalla
scienza e dalla tecnologia - sia in termini di conoscenza che di capacità operative. Il
nostro secolo, poi, ha visto emergere esplicitamente un nuovo orizzonte di
comprensione, caratterizzato da una maggior attenzione alla complessità dei sistemi
fisici e biologici, alla temporalità, al radicamento del soggetto umano nella realtà di
un cosmo in evoluzione48. Le ricerche del premio Nobel per la chimica I. Prigogine,
ad esempio, fanno emergere una scienza che "non è più la scienza classica"; "essa
è ormai capace di comprendere e descrivere, almeno parzialmente, i complessi
processi che costituiscono il mondo più familiare, il mondo in cui si evolvono gli
esseri viventi e le loro società"49. Anche l'ambito della cosmologia - apparentemente
remoto dagli interessi delle scienze biologiche - si trova a riflettere su un "principio
antropico", forse problematico nella sua interpretazione, ma certamente indice di una
scienza che riscopre ed esplicita il proprio radicamento nel mondo della vita50.
48
Sulla rilevanza di tale nuovo orizzonte per la teologia cf. ad esempio: C.Borasi, Scienza e teologia.
Ragioni di un dialogo, EDB, Bologna 1993; S.Morandini, "Ordine e caso nella scienza moderna: sfide
per un pensare teologico", Servitium 29 (1995), n.99-100, 71-77.
49
I Prigogine, I Stengers, La nuova alleanza, pp.34-35.
50
Una discussione critica in: S.Morandini, "Sull'uso teologico del principio antropico. Il cosmo, il senso,
l'intelligenza", Il Futuro dell'uomo, 24 (1997), n.1, 37-58
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Come, insomma, un orizzonte ecologicamente avvertito non deve necessariamente
collocarsi in opposizione radicale nei confronti della specificità umana, neppure dovrà
caratterizzarsi per la presa di distanza rispetto all'elaborazione culturale e tecnicoscientifica con la quale l'uomo ha dato forma alla propria posizione nel mondo.
Un'istanza critica, certamente necessaria, non potrà realizzarsi in termini di facili
giudizi globali, ma dovrà piuttosto farsi articolata, evidenziando talvolta le
contraddizioni di una cultura, di una scienza e di una teologia, senza mancare però di
valorizzarne anche le grandi potenzialità di crescita per l'humanum e di sostenibilità
per la natura.
6. L’etica dello sviluppo sostenibile
Pare opportuno a questo punto provare a specificare e delineare i contorni di un’etica
della sostenibilità che tenga conto delle diverse posizioni presentate nelle pagine
precedenti, come dei contenuti della riflessione sullo sviluppo sostenibile illustrati
nella prima unità didattica di questo modulo.
L’approccio dello sviluppo sostenibile rifiuta la tradizionale posizione di
antropocentrismo assoluto, secondo cui è solo l’essere umano ad avere un valore
intrinseco, mentre tutte le altre forme di vita (appunto nonumane) hanno solamente
un valore strumentale, hanno valore cioè in quanto servono al miglioramento e allo
sviluppo della persona e delle società umane. Contemporaneamente rifiuta la
speculare ed opposta visione biocentrica che pone al centro dell’agire il primato
morale della natura (biosfera) intesa come organismo vivente. Nella riflessione
biocentrica vi è la negazione di qualsiasi tipo di gerarchia tra le varie specie viventi e
si assumono le conoscenze dell’ecologia non solo come informazioni importanti per
le scelte in materia ambientale, ma anche come il fondamento delle norme eticosociali nel campo delle attività umane che hanno conseguenze rilevanti per la
biosfera.
Il rifiuto di tali posizioni estreme si è accompagnato con la ricerca di un approccio
non univoco, ma pluralista volto ad integrare e valorizzare la ricchezza e l'autenticità
dei diversi valori e delle diverse posizioni in etica ambientale. Il punto fermo della
proposta etica dello sviluppo sostenibile rimane la centralità della persona umana
quale soggetto morale, poiché solo l’uomo ha sviluppato l’idea del trascendente e la
capacità di giudizio etico ed è l’unico essere capace di formulare e realizzare una
finalità della natura nei suoi confronti51.
Questa diversità sostanziale non deve far dimenticare, come dimostra la recente
ricerca scientifica sull’evoluzione biologica, la naturalità della persona umana.
L’uomo, infatti, racchiude in sé tanto la dimensione culturale, quanto quella naturale.
Per dirla con le parole di Edgar Morin “l’uomo è 100% cultura e 100% natura” e
queste
due
dimensioni
sono
nella
persona
umana
in
continua
comunicazione/interazione tra loro attraverso flussi di informazioni e di energia che
impongono di sviluppare una riflessione/visione del mondo in grado di saper cogliere
e valorizzare ogni forma di vita sul pianeta. In altre parole, l’approccio etico insito
nella riflessione sullo sviluppo sostenibile è quello di un antropocentrismo
51
V. C. Poli, P. Timmerman (a cura di), L’etica nelle politiche ambientali, Fondazione Lanza –
Gragoriana Libreria Editrice, Padova, 1991.
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responsabile secondo cui il mondo è la casa dell’uomo, che è chiamato ad
amministrarla con il dovuto rispetto e con la cura nei confronti di un qualcosa che
dipende da lui riconoscendo, nello stesso tempo, il "valore intrinseco" che è presente
nelle realtà viventi nonumane52.
Ed è solo all’interno di un siffatto approccio che riconosce la diversità della specie
umana, pur nella sua dimostrata naturalità, che è possibile attribuire all’uomo la
responsabilità per le altre specie e per la natura nel suo insieme. L’obiettivo ultimo di
un’etica dello sviluppo sostenibile, è dunque rivolto ad evidenziare “come proprio
l’umanità dell’uomo, focus di ogni considerazione morale, esiga una dinamica di
estensione dell’attenzione morale, che si allarghi, sia pur con modalità differenziate,
anche al di là dell’uomo e della specie umana”53 per comprendere gli essere
nonumani, ma anche gli ecosistemi con la loro rete di relazioni che consentono la
continua evoluzione della vita della biosfera.
In questa prospettiva la centralità dell’humanum ben lungi dall’essere il presupposto
per annullare la rilevanza etica degli altri viventi, rappresenta piuttosto il fondamento
morale che costringe la persona umana a farsi carico di un agire attento nel segno di
una sostenibilità prudente e responsabile nei confronti della natura, della sua
bellezza e fragilità.
Si evince da queste affermazioni che lo sviluppo sostenibile nel declinare la
riflessione di etica ambientale avendo come focus il principio di responsabilità,
chiama ciascuna persona, singolarmente e come membro di una comunità, ad
assumersi la responsabilità delle proprie azioni, decisioni e scelte. La questione della
responsabilità verso la natura e verso le generazioni future, nell’attuale contesto di
forte disuguaglianza sociale, richiede una profonda trasformazione dei codici
culturali, che sono alla base dell’atteggiamento umano verso l’ambiente naturale e le
sue forme di vita.
Una cultura dello sviluppo sostenibile presuppone nuovi modi di pensare il mondo e
nuovi modi di stare nel mondo, c’è bisogno cioè di modificare comportamenti e stili di
vita, sui terreni dell’economia, della scienza, della tecnologia, della politica affinchè
l’azione che in essi viene posta in opera sia frutto di scelte ed espressione di un
sistema di valori che rispetti e promuova la vita nella sua totalità.
Un’etica della sostenibilità dovrà, quindi, privilegiare un approccio interdisciplinare ed
esprimersi attraverso la ricerca di norme che tengano presente la realtà della
biosfera planetaria in tutta la sua complessità senza limitarsi a fornire indicazioni per
le situazioni nelle quali sono a rischio gli interessi di esseri umani.
7. Il passaggio alle norme concrete per l’etica della sostenibilità
Nel presente testo si è proposta una rassegna, sommaria e non esaustiva per la
necessaria brevità che lo strumento dell’unità didattica richiede, delle principali
posizioni in etica ambientale dalle quali si è fatta discendere e brevemente
argomentata una proposta che definisce i contorni di un’etica della sostenibiltà. Il
52
V. in argomento S. Morandini, Nel tempo dell’ecologia. Etica teologica e questione ambientale,
EDB, Bologna, 1999.
53
Cfr. S. Morandini, cit..
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fondamento di tale etica è indicato nella centralità dell’uomo come soggetto morale,
ampliata, secondo il principio di responsabilità, alla considerazione delle generazioni
future e di tutte gli altri esseri della natura.
Data la complessità dei fattori in gioco all’interno della riflessione sullo sviluppo
sostenibile in un mondo globalizzato, è evidentemente difficile poter tradurre la
riflessione etica in specifiche norme concrete. E’ possibile, però, proporre alcuni
principi generali e alcuni criteri guida che consentano di delimitare e di guidare
l’azione umana nella definizione di politiche, normative e comportamenti che
promuovano lo sviluppo delle società verso una migliore qualità della vita, nel rispetto
dei delicati e complessi equilibri naturali.
L’importanza di questi “principi” e “criteri” che dovrebbero orientare l’azione umana è
particolarmente significativa nell’attuale fase storica che può essere definita di
transizione, da un modello di sviluppo insostenibile in una prospettiva spaziotemporale di lungo periodo, ad un modello sostenibile che sa integrare in modo
positivo e creativo i tre poli della sostenibiltà: società, economia e ambiente. In una
società del rischio e dell’incertezza, qual è quella attuale, la definizione di alcuni
“paletti” accettati e condivisi rappresenta un valido sostegno per ri-orientare le
politiche di sviluppo a tutti i livelli di governo, ma anche per ri-significare modi di
pensare, comportamenti, stili di vita, individuali e collettivi, nella direzione di una
nuova e più attenta responsabilità.
I principi di seguito presentati sono quelli richiamati dalla Dichiarazione di Rio de
Janeiro adottata a conclusione della Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo
del 1992 e confermati nei documenti finali del recente Vertice delle Nazioni Unite
sullo Sviluppo Sostenibile di Johannesburg 2002. Alcuni di questi principi, nel
decennio intercorso tra questi due importanti appuntamenti internazionali, sono stati
statuiti in apposite Convenzioni internazionali in materia ambientale (Convenzione
sul cambiamento climatico, Convenzione sulla biodiversità, Convenzione
sull’accesso all’informazione, sulla partecipazione pubblica nel processo decisionale
e sull’accesso alla giustizia in materia di ambiente) e nei Trattati istitutivi dell’Unione
europea (Maastrich e Amsterdam) passando dunque, da semplici impegni eticopolitici, a norme giuridiche vincolanti per gli stati parte.
Il principio di precauzione riconosce che le persone e l’ambiente naturale devono
essere protette con adeguate misure anche in assenza di conclusioni scientifiche
certe sui rischi derivanti da un fenomeno, un prodotto o un procedimento che
impattano negativamente sull’ambiente naturale. Strettamente collegato a questo
principio vi è anche quello di prevenzione secondo cui è sempre meglio agire per
evitare un danno piuttosto che ripararlo, soprattutto quando i danni sono di lungo
termine o irreversibili. Dichiarazione di Rio, Principio 15: Al fine di tutelare l’ambiente,
gli Stati adotteranno ampliamente un approccio cautelativo in conformità alle proprie
capacità. Qualora sussistano minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di
una completa certezza scientifica non potrà essere addotta come motivo per
rimandare iniziative costose in grado di prevenire il degrado ambientale.
Il principio di responsabilità secondo cui chi agisce deve tenere sempre presente le
conseguenze di ciò che farà e gli effetti della propria azione. Inteso anche nella
prospettiva della responsabilità comune, ma differenziata secondo cui le diverse
parti pur riconoscendo la comune responsabilità nei confronti dell’ambiente, tuttavia
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sono tenute ad affrontare le problematiche esistenti in maniera differenziata le una
dalle altre, a seconda dei propri mezzi e della propria “colpevolezza”. Dichiarazione
di Rio, Principio 7: Gli Stati devono cooperare in uno spirito di collaborazione globale
per conservare, tutelare e ripristinare l’integrità e la salute dell’ecosistema della
Terra. Nel quadro dei diversi contributi al degrado ambientale globale, gli Stati
avranno responsabilità comuni, ma differenziate. I Paesi sviluppati prendono atto
della propria responsabilità nel perseguimento internazionale dello sviluppo
sostenibile, considerando le pressioni che le loro società esercitano sull’ambiente
globale e le tecnologie e delle risorse finanziarie che essi controllano.
Il principio di partecipazione riconosce che le questioni legate all’ambiente e allo
sviluppo possono essere affrontate nel migliore dei modi attraverso il coinvolgimento
dei cittadini ai diversi livelli e che per garantire un’effettiva partecipazione del
pubblico le informazioni devono essere disponibili e accessibili. Dichiarazione di Rio,
Principio 10: I problemi ambientali vengono affrontati al meglio con la partecipazione
di tutti i cittadini interessati, ciascuno a seconda del proprio livello. A livello nazionale
ogni individuo dovrà avere idoneo accesso alle informazioni riguardanti l’ambiente in
possesso delle autorità pubbliche, comprese le informazioni su materiali e attività
pericolose nelle loro comunità, e dovrà avere la possibilità di partecipare ai processi
decisionali. Gli Stati dovranno facilitare e incoraggiare la consapevolezza e la
partecipazione dei cittadini rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Dovrà
essere garantito un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari e amministrativi,
comprese le iniziative di riparazione e di rimedio.
Il principio di cooperazione secondo cui tutti devono collaborare in un’ottica di
reciproca assistenza per la ricerca delle migliori soluzioni ai problemi dell’ambiente e
dello sviluppo a livello internazionali, nazionale e locale. Dichiarazione di Rio,
Principio 9: Gli Stati devono collaborare per rafforzare la formazione endogena di
competenze per lo sviluppo sostenibile, promuovendo il sapere scientifico attraverso
scambi di conoscenze scientifiche e tecniche e favorendo lo sviluppo, l’adattamento,
la diffusione e il trasferimento di tecnologie, incluse quelle nuove e innovative.
Il principio chi inquina paga secondo cui chiunque intervenendo sull'ambiente
provoca o possa provocare danni, è chiamato a sostenere le spese per evitare,
ridurre ed eliminare i danni stessi. Dichiarazione di Rio, Principio 16: Le autorità
nazionali dovranno cercare di promuovere l’internazionalizzazione dei costi
ambientali e l’uso di strumenti economici, tenendo presente il principio che chi
inquina deve fondamentalmente sostenere il costo dell’inquinamento, con la dovuta
considerazione dell’interesse pubblico e senza distorsioni del commercio e degli
investimenti internazionali.
Alla luce dei principi generali, sopra richiamati, pare opportuno formulare alcuni
criteri guida per accompagnare la ricerca di soluzioni alle singole situazioni di
conflitto, nei principali campi nei quali si pongono problemi ambientali, sulla base di
una scala di priorità nei confronti delle quali è possibile trovare un consenso
generale. I criteri di seguito presentati riprendono e ampliano quelli proposti da Karl
Golser nell’ambito di una serie di seminari promossi dalla Fondazione Lanza sul
tema dell’argomentazione in etica ambientale54.
54
Lorenzo Biagi (a cura di), L’argomentazione nell’etica ambientale, Fondazione Lanza-Gregoriana
Libreria Editrice, Padova, 2002
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1) Il criterio della sostenibilità: le risorse naturali possono essere utilizzate soltanto
in misura tale, che esse possano essere a disposizione anche per le generazioni
future.
2) Il criterio della fondazione: quelle realtà che sono fondanti, che costituiscono il
fondamento delle altre, sono da tutelare più di quelle che si basano su di esse.
3) Il criterio dell’urgenza: certi interessi urgenti ed esistenziali (la sopravvivenza
stessa dei poveri e anche delle future generazioni) hanno la preferenza su interessi
meno urgenti che possiamo avere oggi.
4) Il criterio dell’integrazione: siccome viviamo in un sistema integrato, in caso di
conflitto meritano maggior tutela quelle esigenze che derivano da questo sistema
integrato (rapporto uomo, animali, piante, terra stessa) che quelle che derivano dal
sistema sociale umano. In poche parole: l’ecologia (salvaguardia dell’intero oikos) ha
generalmente la preminenza sull’economia (la cura che in questa casa ci si trovi
bene).
5) Il criterio della reversibilità: nel caso si prevedano danni, dovranno avere la
priorità interventi che causano danni reversibili rispetto a quelli che causano danni
irreversibili (es. lo smaltimento dei rifiuti nucleari).
6) Il criterio del riciclo: in caso si preveda la produzione di rifiuti, si deve tenere conto
della possibilità di reintrodurli nel ciclo biologico naturale.
7) Il criterio della rigenerabilità: le fonti di energia rigenerabili devono avere
generalmente la preminenza riguardo all’energia non rinnovabile (con conseguente
orientamento delle ricerche).
8) Il criterio dell’eco-efficienza: il risparmio di energia e di materiali ha la preminenza
su tutte le altre misure. La ricerca e gli investimenti nel campo dell’energia
rinnovabile sono prioritari rispetto a misure relative ad altre fonti energetiche.
9) Il criterio dell’eco-sufficienza: si propone l’obiettivo di ricercare una migliore
qualità della vita riducendo l’attuale consumo di beni e servizi, ponendo maggiore
attenzione alla qualità delle relazioni e dei beni posseduti rispetto alla quantità.
Privilegia un consumo intelligente (responsabile) e sobrio, che riconosce valore alla
durevolezza, alla manutenzione e alla riparazione dei beni invece dell’usa e getta
attuale.
10) Il criterio della sofferenza: se per legittimi interessi umani sono necessari
interventi sugli animali (allevamento di massa, trasporti, esperimenti per fini di ricerca
medica e farmaceutica), si deve cercare di evitare nella misura possibile ogni
sofferenza recata agli animali.
11) Il criterio della conservazione delle specie: anche se in considerazione
dell’evoluzione stessa non sembra che si possa pronunciarsi per un divieto assoluto,
la eliminazione delle specie della vita richiede però la giustificazione in base a valori
umani rilevanti che non possono essere altrimenti salvaguardati.
Altri criteri guida potrebbero essere formulati per settori specifici, quali quelli dei
trasporti (es. preferenza per il trasporto collettivo, rispetto a quello individuale,
preferenza per il trasporto su rotaia, riguardo a quello su gomma), dell’agricoltura
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(es. il problema dei fertilizzanti e degli anticrittogamici), della produzione industriale,
della gestione dell’acqua, ….
Attuare concretamente principi e criteri di un’etica della sostenibilità presuppone,
allora, una forte azione di informazione e di comunicazione della cittadinanza, un
confronto scientifico aperto e franco, la definizione di politiche integrate, procedure di
decisione quanto più possibili trasparenti, la ricerca e la sperimentazione di
metodologie di partecipazione attive. Tutto questo richiede però di investire di più
nell’educazione, a tutti i livelli, per favorire la formazione di una cittadinanza attiva e
responsabile fondamento di una società che voglia progettare e costruire un futuro
sostenibile per la vita sul pianeta.
8. Bibliografia
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contemporanea di lingua inglese, Guerini e associati, Milano, 1989
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Lanza – Gragoriana Libreria Editrice, Padova, 1991.
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L. Biagi (a cura di), L’argomentazione nell’etica ambientale, Fondazione LanzaGregoriana Libreria Editrice, Padova, 2002
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