STORIA DI MILANO

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STORIA DI MILANO
Gino Toller Melzi
Il nome di Milano compare ufficialmente in un
libro di storia del secondo secolo a.C. e vi si
iscrive fregiandosi del titolo di capitale. Polibio
infatti narra che sotto l’incalzare dei Romani “i
Galli si ritirarono a Milano, capitale degli Insubri”: era il 222 a. C.
Sul nome di Milano si sono formulate diverse
ipotesi: la più corrente lo fa derivare dalla sua
posizione centrale nella pianura (in celtico lann).
In effetti Milano è al centro di un quadrilatero
avente come vertice i punti nei quali il Ticino
e l’Adda escono rispettivamente dal Lago Maggiore e dal lago di Lecco e quelli nei quali vanno
a gettarsi nel Po.
Sant Ambrogio allude invece a una scrofa “mezza lanuta” (che si può vedere effigiata sul Palazzo della Ragione) trovata dal gallo Belloveso
nel luogo dove poi sarebbe sorta Milano. Va tenuto presente che a quei tempi la scrofa aveva
un carattere sacrale: ad Enea viene predetto che
avrebbe fondato una città (Albalonga) sul luogo
dove avesse trovato una scrofa bianca intenta ad
allattare i suoi porcellini; la tradizione irlandese
(e quindi celtica) dice che nei Campi Elisi sorgono alberi meravigliosi che nutrono grandi greggi
di porci; Plinio dal canto suo attesta che l’allevamento dei maiali era diffusissimo presso i Galli
della Padania.
Chi poi volesse fare una passeggiata nei pressi
di Miglielia (Canton Ticino) potrebbe vedere un
piccolo allevamento dove esistono delle scrofe e
dei verri lanuti salvati dalla estinzione.
La pianura Padana era già abitata da stirpi preistoriche, negli scavi eseguiti presso la demolita
chiesa da San Giovanni in Conca e presso Crescenzago si trovarono arnesi di pietra risalenti al
4500 a. C.
Nelle età del bronzo e del ferro sul suolo lombardo si incontrarono e si sovrapposero Liguri,
Umbri, Veneti, Etruschi e infine Celti.
Una prima migrazione di Celti si era avuta già
nel VI secolo se non prima (civiltà di Golasecca); secondo Tito Livio fra il 400 e il 500 si verificò una massiccia invasione di Galli Biturigi,
guidati dai fratelli Belloveso e Segoveso. Mentre
quest’ultimo si dirigeva verso la attuale Germania, Belloveso, entrato in Italia per la valle della
Dora, sconfisse gli Etruschi e fondò Milano.
In realtà i Celti erano un complesso di stirpi che
si estendevano dai Balcani alla Francia; così abbiamo i Galli Senoni (quelli che nonostante tutte le fanfaluche raccontateci su Furio Camillo e
sulle oche del Campidoglio presero Roma e la
tennero per dei mesi), i Boi, gli Insubri, i Lingoni, i Libui, i Cenomani. I loro dialetti sopravvivono nel gallese, nello scozzese, nel gaelico
di Irlanda. Milano (o Mediolanum) era probabilmente un centro religioso federale (c’erano anche Mediolanum Santorum, la attuale Santes e
Mediolanum Aulercolorum, la attuale Evreux).
La eredità andava al primogenito: i cadetti non
avevano altra risorsa che offrirsi come soldati in
cambio di terre.
Diodoro Siculo li descrive come forti bevitori,
minacciosi, esaltati, eccessivi ma di ingegno
acuto: hanno poeti, musici, filosofi e teologi
chiamati Druidi; fanno sacrifici umani e traggono oroscopi dal sangue delle vittime.
Oltre Milano i Celti fondarono Vercelli, Novara,
Brescia, Bergamo, Verona, Vicenza e Trento.
Sentivano molto lo spirito di tribù e vi eran quindi guerre interminabili. Combattevano a corpo
nudo con piccoli scudi e lunghe spade, ma lavoravano la terra con impegno, bonificavano paludi, allevavano bovini e suini.
Grande era la differenza sociale fra la aristocrazia dei sacerdoti (i Druidi) e dei guerrieri e il popolo. Si adoravano numerose divinità: a Milano
vi era il santuario di una dea simile a Minerva.
Quando i romani vennero in contatto con loro
li trovarono già parecchio civilizzati grazie all’influsso esercitato dagli Etruschi: nel 225 a.
C. Milano e la Padania suscitano la cupidigia di
Roma che muove alla conquista; in effetti, dice
Polibio, “descrivere la sua fertilità non è facile.
Vi si trova grano in così grande abbondanza... il
miglio e il panìco vi crescono con una profusione
veramente straordinaria; sulla quantità di ghiande prodotte dalle foreste di querce della pianura
ci si farà un’idea da questo fatto: sulla massa dei
suini abbattuti in Italia per il consumo domestico
e per il vettovagliamento delle truppe la contribuzione più alta viene da questa pianura”.
Nel 222 a. C. i consoli Claudio Marcello e Cornelio Scipione conquistano Milano dopo un duro
assedio e fanno strage dei notabili. Ma la conquista durò poco: non appena (219) Annibale ebbe
varcato le Alpi i Galli della Padania si unirono a
lui. Alla battaglia del Trasimeno fu un milanese,
Ducario, a uccidere il console Flaminio.
Annibale è sconfitto a Zama (202 a. C.) e Roma
muove alla riconquista. Sono lunghi anni di guerra e guerriglia; infine nel 197 Milano si arrende.
Fra i prigionieri condotti a Roma come schiavi
vi è il poeta e commediografo Cecilio Stazio, autore di una quarantina di opere, purtroppo quasi
interamente andate perdute.
Nel 113 a. C. Teutoni, Ambroni, Cimbri e Tigurini varcano i confini e battono ripetutamente i Romani. Questa volta Milano è al fianco di
Roma e con la sua resistenza permette a Caio
Mario di riorganizzare l’esercito e di sbaragliare
gli invasori ad Aquae Sexstiae (Aix) e ai Campi
Catalauni (presso Vercelli: 101 a. C.).
Quando fra il 91 e l’89 si combatte la seconda
guerra sociale Milano resta fedele a Roma e
viene dichiarata “colonia latina” primo segno
di riconoscimento di una certa maturità civile e
politica. Poi Silla si impadronisce del potere e
unifica l’Italia, ma la valle padana rimane sotto
un governatore romano ed è ordinata a provincia
con il nome di Gallia citeriore. La cosa non va a
genio ai Cisalpini che alla morte di Silla appoggiano la reazione del partito popolare guidata in
Italia da Lepido, in Spagna da Sartorio. Pompeo
è incaricato della repressione e nel 77 a Milano
si ha una nuova strage di notabili.
Pompeo è l’ultimo leader del partito aristocratico; con l’avvento di Cesare (aristocratico di nobilissima stirpe passato a guidare il partito popolare) si ha la affermazione di quanti sostenevano
la opportunità di far coincidere la romanità con
l’Italia.
Con la conquista della Gallia Cesare dà modo a
Milano di assurgere a una posizione eminente:
difatti negli anni di tale conquista (58-50 a. C.)
Cesare fece della Gallia cisalpina una operosa
retrovia della quale Milano era il centro e ne stimolò lo sviluppo civile ed economico. In seguito
ricompensò Milano concedendole la cittadinanza romana: i milanesi furono iscritti alla tribù
ufentina (49 a.C.).
La parità con Roma fu raggiunta sotto Augusto
(42 a. C.) che portò i confini d’Italia alle Alpi:
Milano passò da “colonia” a “municipio” ed
ebbe così un proprio senato e magistrati eletti
dai cittadini e poté disporre in modo autonomo
delle proprie finanze.
Milano era già allora un centro di cultura: Virgilio adolescente vi si trattenne per motivi di
studio. Vi era poi una solerte attività mercantile
e artigiana e tendevano a formarsi le prime corporazioni.
Nella età imperiale Milano crebbe rapidamente di importanza militare, economica, politica
e culturale al punto di superare la stessa Roma.
Plinio accenna ai buoni maestri che si trovano a
Milano, mentre mancano nella sua Como.
Si dice che nel secondo secolo Traiano vi abbia
fatto costruire un palazzo; Settimio Severo ne
fece una base di operazioni contro Didio Giuliano; a Milano la imperatrice Giulia Domna diede
alla luce Geta, collega di impero e poi vittima
del fratello Caracalla che lo uccise sotto gli occhi della madre; Aureliano costituì una provincia
che comprendeva Lombardia, Piemonte, Liguria
ed Emilia ed aveva Milano come capoluogo;
infine nel 286 Diocleziano elevò Milano a sede
imperiale.
Per fronteggiare invasioni e usurpazioni Diocleziano escogitò la divisione della potestà imperiale: un imperatore per l’oriente, uno per
l’occidente. Egli tenne per sé l’oriente con capitale Nicomedia e assegnò l’occidente al collega
Massimiano con capitale Milano.
Milano rimase capitale dell’impero di occidente
fino al 402, quando la capitale fu portata a Ravenna.
In questo periodo Milano si estese, si abbellì, si
arricchì.
Massimiano le diede una nuova cerchia di mura
con (dicesi) trecento torri; la via che arrivava da
Roma era larga più di nove metri. All’incrocio
di via Lamarmora e via Vigentina vi era un arco
trionfale, presso Porta Ticinese vi era la arena,
verso Porta Vercellina il circo e l’ippodromo.
La residenza imperiale si trovava tra le vie Torino, Piatti, Olmetto e Santa Maria in Valle; presso
piazza Missori vi erano le terme, presso piazza
degli Affari un grande teatro. Vi erano templi di
tutti gli dei: quello di Giove presso l’attuale Arcivescovado, quello di Ercole a Porta Ticinese.
Mercurio non solo aveva il suo tempio, ma anche
numerose erme lungo le strade. Si veneravano
inoltre le vecchie divinità galliche (le Matrone)
e le nuove orientali (Cibele, Iside, Mitra).
Fiorivano le industrie artigiane, soprattutto quelle della lana, del cuoio, dei metalli.
Ed eccoci a una svolta decisiva. Secondo la leggenda il fondatore della Chiesa milanese sarebbe stato San Barnaba che negli antichi elenchi
medievali figura come primo vescovo della città,
ma in realtà Milano fu cristiana e sede vescovile
già sul finire del primo secolo. Molti sono i martiri milanesi: Vitale, Valeria, Gervaso, Protasio,
Felice, Nabore, Calimero.
Nel 313 Costantino e il suo collega Licinio
emanano da Milano un editto che riconosce ai
cristiani la libertà di culto. In realtà quello di
Costantino non è un editto, ma un rescritto, un
documento cioè che dà disposizioni ai magistrati
per la giusta applicazione di una legge: infatti vi
era stato nel 311 l’editto di Galerio il quale, dopo
avere ferocemente perseguitato i cristiani si era
rassegnato a concedere libertà di culto.
Purtroppo scoppiarono poco evangeliche lotte
fra cattolici e ariani (i seguaci di Ario che negava la divinità di Cristo), lotte che si esacerbarono sotto i successori di Costantino (Costanzo era
ariano, Giuliano voleva addirittura ripristinare il
culto degli dei), finché nel 380 Teodosio stabilì che la religione ufficiale dell’impero fosse la
cattolica. L’arianesimo si spense così nell’impero, ma si diffuse oltre i confini tra i popoli barbari ancora pagani.
Precedentemente però e precisamente nel 355
l’imperatore Costanzo aveva riunito a Milano un
concilio che sotto la sua pressione si era pronunciato per l’arianesimo.
Il vescovo cattolico Dionisio fu mandato in esilio
e al suo posto fu fatto eleggere l’ariano Aussenzio che vescovo rimase fino alla morte nel 374.
Secondo l’uso di quei tempi il vescovo doveva
essere eletto dal popolo che era diviso fra il partito ariano e quello cattolico. La situazione era
diventata esplosiva e veniva seguita con preoccupazione dal giovane governatore Ambrogio,
nato a Treviri ma di famiglia romana, stimato da
tutti per la cultura e la rettitudine. Non appena si
presentò sulla soglia della basilica per imporre la
calma, per quanto non fosse ancora battezzato,
fu proclamato vescovo. In pochi giorni ricevette
il battesimo e la ordinazione e il 7 dicembre 374
fu consacrato vescovo.
L’episcopato di Ambrogio è una pagina fondamentale nella storia di Milano: rinunciando alle
ricchezze della sua famiglia distribuì ai poveri il
suo oro, assegnò le sue terre alla Chiesa, organizzò la Chiesa milanese e la difese contro ogni
ingerenza politica, si oppose a ogni ingiustizia.
È noto l’episodio che pose Teodosio di fronte ad
Ambrogio: per rappresaglia in seguito alla uccisione di un ufficiale romano Teodosio aveva
fatto massacrare 7000 cittadini di Tessalonica.
Ambrogio gli vietò pubblicamente l’ingresso in
chiesa e gli impose di fare pubblica penitenza.
Teodosio ubbidì.
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