Diffrazione e potere risolutivo degli strumenti ottici

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Laboratorio di Didattica della Fisica
Prof.ssa Tuccio
DIFFRAZIONE E POTERE RISOLUTIVO DEGLI STRUMENTI OTTICI
Dividiamo l’argomento in tre unità didattiche da affrontare in modo
consequenziale, divisibili tra la seconda e la terza media o da proporre in classe
tutte durante la terza, visti i requisiti di base richiesti. Nel caso l’insegnante
decida di dividere le unità didattiche su due anni, pensiamo che sia affrontare le
prime due unità didattica alla fine della seconda media e la terza unità didattica
durante l’ultimo anno, sia sviluppare la prima unità didattica durante la seconda
media e le altre due in terza, possano essere soluzioni realizzabili. Starà
all’insegnante, in base alla classe, decidere quale “strategia” scegliere.
Tematica dell’unità didattica 1: LA DIFFRAZIONE
Classe: II/III MEDIA
Contenuti:
1) Le onde: tipologia e parametri caratterizzanti
2) La luce
3) Il principio di Huygens
4) La riflessione
5) La rifrazione
6) L’interferenza
7) La diffrazione
Obiettivi specifici:
1) Saper riconoscere i diversi tipi di onde e le loro grandezze fondamentali
2) Conoscere il principio di Huygens
3) Essere in grado di riconoscere raggio incidente, riflesso e rifratto
4) Riconoscere fenomeni di interferenza e loro conseguenze
5) Essere in grado di distinguere immagini di diffrazione da foro circolare e da
fenditura
6) Essere in grado di scegliere lo strumento adatto per la raccolta dei dati
7) Stimolare la formulazione di ipotesi raccogliendo e analizzando dati
Obiettivi trasversali:
1) Stimolare la verifica delle ipotesi attraverso il confronto in classe (aumento
delle capacità di verbalizzazione e sintesi)
2) Stimolare il lavoro di gruppo
3) Elaborare contributi personali (relazioni oggettive e soggettive)
4) Guidare a compiere collegamenti interdisciplinari (inglese, arte…)
5) Sviluppare le capacità manuali
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Requisiti di base:
1) Tematiche relative all’ottica geometrica
2) Rappresentazione di punti sul piano cartesiano
3) Proporzionalità diretta ed inversa
4) Sistemi di misura, unità di misura con multipli e sottomultipli
5) Concetto di velocità e sua relazione con spazio e tempo
6) Concetto di energia
LE ONDE
Un’onda è una perturbazione che si propaga con trasporto di energia, ma non di
materia e perturba il mezzo nel quale si propaga. Ad esempio nelle onde del mare
non sono le masse d’acqua che si spostano, ma ciò che si trasmette è
l’oscillazione e l’energia collegata (si potrebbe provare l’esperimento con il
galleggiante).
A seconda della direzione di oscillazione, le onde si distinguono in due tipi diversi:
- TRASVERSALI: la direzione di oscillazione è ortogonale a quella di
propagazione. Esempi di onde trasversali sono quelle che si propagano lungo
una corda tesa o quelle elettromagnetiche. Nella figura 1, a sinistra, l’esempio
vibrazione
propagazione
Figura 1. Onde trasversali
della corda, mentre a destra una schematizzazione
- LONGITUDINALI: la direzione di oscillazione è parallela a quella di
propagazione. Un’ onda longitudinale può essere solo meccanica; le onde
sonore (in figura 2), propagandosi per successive compressioni e rarefazioni
dell’aria, ne costituiscono un importante esempio (vedi anche appendice 2).
Esempi piuttosto familiari sono la molla, che osserviamo oscillare nella stessa
direzione del moto ondulatorio, e le onde di percussione in un tamburo.
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vibrazione
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propagazione
Figura 2. Onde longitudinali
Le onde longitudinali vengono solitamente schematizzate come nella figura 3.
Le grandezze fondamentali delle onde sono
•
•
•
•
•
PERIODO (T): è il più piccolo intervallo di tempo
(quello di un’oscillazione completa) dopo il quale
il moto riassume le stesse caratteristiche in ogni
punto del mezzo in cui si propaga l'onda.
FREQUENZA (f): rappresenta il numero di
vibrazioni complete che avvengono nell’unità di
tempo. E’ uguale all’inverso del periodo. E’
importante sottolineare che l’ENERGIA associata
all’onda è proporzionale alla frequenza dell’onda Figura 3. Schematizzazione di un’onda
stessa.
LUNGHEZZA D’ONDA (?): è la distanza tra due compressioni successive per le
onde longitudinali, quella tra due creste successive per quelle trasversali.
AMPIEZZA: rappresenta il massimo spostamento della posizione di equilibrio
ed è uguale sia per gli spostamenti positivi che per quelli negativi. L’intensità di
un’onda è invece proporzionale al quadrato dell’ampiezza.
λ
VELOCITA’ (v) di propagazione delle onde: v = = λ ⋅ f
T
Esistono due tipi di onde:
- MECCANICHE O ELASTICHE: perturbazioni che si propagano con oscillazione
di materia in cui l’energia ha bisogno di un supporto meccanico (mezzo) per
essere trasmessa. Nella figura 4, qualche esempio, tra quelli già visti, di onde
meccaniche.
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suono
mare
corda che vibra
molla
Figura 4. Esempi di onde meccaniche
-
ELETTROMAGNETICHE: variazioni periodiche dell’intensità del campo magnetico
ed elettrico che sussiste anche nello spazio vuoto. Esempi di notevole importanza
di onde elettromagnetiche sono: le onde radio (utilizzate per le telecomunicazioni),
le microonde con le quali scaldiamo i cibi, la luce visibile (intervallo di frequenze
cui è sensibile l’occhio umano), i raggi ultravioletti (responsabili della nostra
‘tintarella’), i raggi X, che hanno una frequenza talmente elevata che consente
loro di ‘passare’ maggiormente attraverso la pelle umana, che non completamente
attraverso le ossa (chiunque di noi conosce le zone più chiare e più scure delle
lastre mediche) e i raggi Gamma, che ci arrivano dall’universo. La tabella 1
illustra le categorie in cui è suddivisa la radiazione elettromagnetica a seconda
delle frequenze considerate (lo spettro è l’insieme di tutte le frequenze che
compongono la radiazione elettromagnetica)
Regione dello spettro
Lunghezza d'onda
(10 -10 m)
Frequenza
(Hz)
Radio
> 109
< 3 x 109
Microonde
109 - 106
3 x 109 - 3 x 1012
Infrarosso
106 - 7000
3 x 1012 - 4.3 x 1014
Visibile
7000 - 4000
4.3 x 1014 - 7.5 x 1014
Ultravioletto
4000 - 10
7.5 x 1014 - 3 x 1017
Raggi X
10 - 0.1
3 x 1017 - 3 x 1019
Raggi Gamma
< 0.1
> 3 x 1019
Tabella 1
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La LUCE è quindi un’onda elettromagnetica. La sua lunghezza d’onda varia tra i
400 e i 700 nm circa. L’occhio umano è sensibile solo a tali radiazioni come
mostra la curva di visibilità relativa riportata nella figura 5. Si può notare che si
ha un picco di sensibilità dell’occhio in corrispondenza del giallo.
Figura 5. Curva di visibilità dell’occhio umano.
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DEFINIZIONI GENERALI SUL MOTO ONDULATORIO
IL PRINCIP IO DI HUYGENS
Figura 6. Schematizzazione
del principio di Huygens.
Si consideri un’onda circolare, come quelle che si formano
gettando un sasso nell’acqua, generata da una sorgente
puntiforme o posta in un mezzo omogeneo.
Supponiamo che la perturbazione si propaghi con velocità
v, dopo un generico tempo t l’onda raggiunge i punti
situati sulla circonferenza S di raggio r = vt . Secondo il
principio di Huygens ogni qual volta una perturbazione
investe i punti di S, ognuno dei punti di S si può
considerare una sorgente di onde secondarie aventi la
stessa frequenza dell’onda primitiva che si propagano a
loro volta (vedi figura 6). Il principio di Huygens è valido
qualunque sia la natura delle onde.
LA RIFLESSIONE
Consideriamo un’onda che incida su una superficie. In questo caso si può
approssimare l’onda stessa con un raggio, come visualizzato in figura 7.
Definiamo la perpendicolare alla superficie nel
punto di incidenza. Il fenomeno di riflessione
dell’onda è regolato da due leggi:
1 -
Il raggio incidente, quello riflesso e la
perpendicolare giacciono sullo stesso piano;
2 -
l’angolo di incidenza è uguale a quello di
riflessione
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Figura 7. Riflessione di un raggio.
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LA RIFRAZIONE
E’ un fenomeno che si verifica quando un’onda passa da una sostanza a un’altra
di natura diversa. L’INDICE DI RIFRAZIONE n caratterizza la natura di materiali
diversi. Esso è infatti definito come il rapporto tra la velocità di propagazione della
luce nel vuoto c (che vale circa 300000 km/s) e la velocità di propagazione della
luce nel materiale. Quando la luce (o qualunque altra onda) attraversa la
superficie di separazione fra due sostanze diverse, cambia direzione; tale
cambiamento dipende dalle sostanze a contatto e dall’angolo tra il raggio
luminoso e la linea perpendicolare alla superficie di separazione delle sostanze
attraversate dalla luce (vedi figura 8). Quando l’onda passa da un materiale con
un indice di rifrazione minore a un materiale con indice di rifrazione maggiore si
avvicina alla perpendicolare, mentre nel processo inverso, si allontana da essa.
La rifrazione segue le seguenti due leggi:
1- Il raggio incidente, la perpendicolare alla
superficie di separazione dei due mezzi e il
raggio rifratto giacciono nello stesso piano
2- Si può sempre ricavare l’angolo di
rifrazione conoscendo l’angolo di incidenza e
l’ indice di rifrazione dei due mezzi.
Figura 8. Riflessione e rifrazione di un raggio.
Abbiamo visto che la velocità di propagazione di un’onda di lunghezza d’onda ?
λ
di periodo T viene espressa dal rapporto: v = = λ ⋅ f .
T
Quando un’onda passa da un mezzo con indice di rifrazione n1 ad un mezzo con
indice di rifrazione n2 > n1, la velocità di propagazione dell’onda diminuisce,
v
n
n
n
c
c
infatti si ha v1 = , v2 =
, n 2 > n1 ⇒ v2 < v1 poiché 1 = 2 e v 2 = v1 ⋅ 1 ⇒ λ 2 = λ1 ⋅ 1
v2 n1
n2
n2
n1
n2
Quindi si può dire che anche la lunghezza d’onda diminuisce passando da un
mezzo meno denso a uno più denso. (Qua si deve ricordare che la frequenza, a
meno di costanti, rappresenta l’energia trasportata dall’onda e quindi “non può
cambiare” passando da una sostanza ad un’altra).
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L’INTERFERENZA
Quando due onde s’incontrano in un punto, l’ampiezza delle vibrazioni in quel
punto sarà la somma algebrica dell’ampiezza delle due onde; dunque se
l’oscillazione avviene nello stesso senso per entrambe le onde, si otterrà un
rafforzamento (interferenza costruttiva), se gli spostamenti sono in direzioni
opposte, si avrà un indebolimento (interferenza distruttiva).
Quando le due onde interferenti si trovano come nell'esempio di sinistra di figura
9, ossia coi picchi coincidenti, si dicono in concordanza di fase e si sommano con
un’ampiezza doppia; se invece a coincidere sono le creste e le valli il loro effetto si
annulla a vicenda e pertanto si dice che le onde sono in opposizione di fase.
LA DIFFRAZIONE
Fenomeno caratteristico della propagazione delle onde, che si manifesta quando
queste incontrano ostacoli o fessure che ne limitano l'estensione e la
propagazione non è più rettilinea (ossia l’onda non si può più schematizzare come
un ‘raggio’). Per il principio di Huygens, al di là dell’ostacolo i fronti d’onda
interferiscono e producono una distribuzione di intensità.
Se consideriamo onde luminose, quando le onde secondarie interferiscono si
avranno frange luminose (interferenza costruttiva) alternate a frange scure
(interferenza distruttiva). Bisogna sottolineare che una sorgente luminosa, per
quanto possa essere piccola, non emette raggi, ma onde e queste subiscono
fenomeni d'interferenza quando passano attraverso una fenditura, un foro o
anche quando si limitano a lambire un ostacolo. Il fenomeno della diffrazione,
come avremo modo di capire meglio dopo, si può trascurare qualora gli ostacoli
abbiano dimensione molto maggiore della lunghezza d’onda delle radiazioni (e in
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questo caso valgono le approssimazioni di propagazione rettilinea e di raggio),
mentre diventa assolutamente
non
trascurabile
quando la dimensione degli
ostacoli o delle fenditure è
Figura 10. In alto, diffrazione da doppia fenditura, in basso da singola.
confrontabile o minore della
lunghezza d’onda della radiazione che investe. Nella figura 10, riportiamo le
distribuzioni di intensità delle immagini di diffrazione da doppia e da singola
fenditura con una sorgente luminosa.
Nella figura 11, l’immagine della diffrazione da foro
circolare. È immediato notare che la figura di
diffrazione mantiene la simmetria del foro.
Figura 11. Diffrazione da foro
circolare
La figura 12 è costituita da
una serie di immagini che
λ << d
λ<d
mostrano un’onda piana
(registrata
tramite
un
ondoscopio)
che
passa
attraverso una fenditura di
dimensione d nei diversi
casi in cui la lunghezza
d’onda
dell’onda
sia
maggiore, confrontabile o
minore di d. Si può notare
λ∼d
λ>d
l’ordine
crescente
del
Figura 12. Diffrazione di un’onda piana attraverso una fenditura di
fenomeno di diffrazione.
dimensione d al variare della lunghezza d’onda
Di seguito descriviamo un’esperienza, eventualmente da proporre in classe, in cui
misuriamo la lunghezza d’onda di due laser di colore diverso utilizzando il
fenomeno di diffrazione da foro circolare e mettiamo in evidenza come la
diffrazione dipenda dalla lunghezza d’onda della sorgente e dal diametro del foro
utilizzati.
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ESPERIENZA DI LABORATORIO
MATERIALE UTILIZZATO:
• 2 laser: uno a luce blu, uno a luce rossa
• 3 fori di diametri diversi (d1= 0,12 cm, d2= 0,24 cm d3= 0,48 cm, forniti dal
costruttore)
• 2 fogli di carta millimetrata
• 3 metri estensibili
DECRIZIONE DELL’ESPERIENZA
Bisogna premettere che nella diffrazione da foro circolare, riferendosi alla figura
λ
13, risulta che ϑ = 1,22 dove λ è la lunghezza d’onda della sorgente utilizzata e θ
d
e d sono quelli indicati in figura. D è la distanza tra il foro e lo schermo dove si
osserva la figura di diffrazione.
D
d = diametro foro
θ
R
Figura 13. Figura di diffrazione di un laser che passa attraverso il foro di diametro d.
Si
ha
che
per
piccoli
moltiplicando per 2, diventa:
angoli
λ=
ϑ,
ϑ=
R
λ
R ⋅d
⇒ R = 1, 22D ⋅ ⇒ λ =
D
d
1,22 ⋅ D
che,
2R ⋅ d
2, 44 ⋅ D
2R è chiaramente il diametro del disco-immagine. L’equazione precedente può
λ ⋅ 2,44 ⋅ D
anche essere scritta come 2 ⋅ R =
. Se grafichiamo l’equazione ottenuta
d
mettendo sull’asse delle ascisse i valori di 1/d e sull’asse delle ordinate i
corrispondenti valori di 2 . R, otteniamo una retta il cui coefficiente angolare m
non è altro che il valore 2,44D . λ. Dal grafico possiamo quindi ricavare il
coefficiente angolare di tale retta e ricavare λ.
Nella nostra esperienza, abbiamo a disposizione un laser rosso e un laser blu, e
tre fenditure di diametro differente, che svolgono la funzione di ‘sorgenti
secondarie’. Raccogliamo l’immagine delle fenditure su uno schermo (la parete
della stanza) su cui è stato posto un foglio di carta millimetrata.
Consideriamo inizialmente il laser a luce blu. Misuriamo la distanza Db
dell’immagine sullo schermo dal foro dell’apparecchiatura. Essa è pari a (485 ± 5)
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cm. Abbiamo considerato un errore così grosso perché abbiamo dovuto unire tre
metri, e le condizioni in cui abbiamo operato non erano ottimali, a causa degli
ostacoli presenti nella stanza.
Abbiamo a disposizione tre fori di diametri di diversi tra loro:
d1 = 0.12 cm, d2 = 0.24 cm, d3 = 0.48 cm
Misuriamo il diametro dell’immagine ottenuta (2R, nella nostra notazione) ed
effettuiamo più misure per ogni foro, ottenendo i risultati riportati in tabella 2.
LASER A LUCE BLU
diametro foro
d1 (cm)
d2 (cm)
d3 (cm)
misurazione 1
4.9
2.3
1.4
misurazione 2
4.5
2.5
1.4
misurazione 3
4.8
2.4
1.3
misurazione 4
4.5
2.5
1.4
misurazione 5
4.7
2.5
1.3
misurazione 6
5.0
2.6
1.4
media
4.73
2.47
1.37
errore
0.25
0.15
0.05
Tabella 2. Dati relativi la l aser di colore blu.
L’errore è stato calcolato come
vmax − v min
dove vmax e vmin sono i valori massimo e
2
minimo trovati.
Successivamente consideriamo il laser a luce rossa. In questo caso la distanza Dr
dell’immagine sullo schermo dal foro è (500 ± 5) cm.
Abbiamo a disposizione nuovamente tre fori di diametri di, i = 1, 2, 3 uguali ai
precedenti. Facciamo diverse misure del diametro dell’immagine corrispondente
ad ogni foro, ottenendo i seguenti risultati:
LASER A LUCE ROSSA
diametro foro
d1(cm)
d2(cm)
d3(cm)
misurazione 1
6.3
3.2
1.6
misurazione 2
6.6
3.1
1.5
misurazione 3
6.4
3.1
1.7
misurazione 4
6.5
2.9
1.5
misurazione 5
6.4
3.1
1.6
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misurazione 6
6.4
3.0
1.6
media
6.43
3.07
1.58
errore
0.15
0.10
0.10
Tabella 3. Dati relativi al laser di colore rosso.
Si può notare dall’equazione introdotta a inizio esperienza, che dalla teoria il
grado di diffrazione dipende dalla lunghezza d’onda dell’onda e dalle dimensioni
della fenditura. Più la lunghezza d’onda è grande rispetto alle dimensioni della
fenditura, più l’onda viene diffratta, cioè il diametro 2. R del disco-immagine è
maggiore. Quindi questo è quello che abbiamo cercato di verificare in questa
esperienza.
2R(cm)
Il grafico riportato in figura 14, che riporta 2R in funzione del diametro
dell’apertura,
mostra
come
effettivamente si abbia minore
7
diffrazione aumentando il diametro
del foro ed inoltre mostra che per la
6
luce rossa
(che una lunghezza
Laser
blu
d’onda maggiore rispetto a quella
5
Laser
della luce blu), per qualsiasi
rosso
dimensione del foro, il diametro
dell’immagine sullo schermo ha
4
valori maggiori rispetto a quelli
corrispondenti formati con il laser a
3
luce blu.
Dal grafico si può anche osservare
2
come d e 2. R variano in modo
inversamente proporzionale, infatti i
dati riportati per ciascun laser
1
stanno chiaramente su un ramo di
0
0,2
0,4
0,6
d (cm)
Figura 14. Andamento dei dati raccolti in funzione del
diametro dell’apertura
iperbole.
Se riportiamo le medie dei dati rilevati su un piano cartesiano con asse delle
ascisse 1/d e delle ordinate 2. R, otteniamo il grafico di figura 15 dove sono
rappresentate due rette il cui coefficiente angolare è proporzionale alla lunghezza
d’onda dei laser; si può notare come i valori del laser a luce blu sono sempre
inferiori a quelli relativi al laser a luce rossa.
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A
questo
punto
consideriamo
separatamente i dati relativi ai laser
blu e rosso e stimiamo per entrambi il
miglior valore della lunghezza d’onda
utilizzando il metodo delle rette di
massima e minima pendenza. Una
volta ottenuti i coefficienti angolari di
tali rette, si fa una media per ottenere
il coefficiente della retta che meglio
approssima i dati (e da tale valore si
ricava il miglior valore per λ) mentre si
fa una semidifferenza per ottenere
l’errore su tale coefficiente angolare.
Di seguito riportiamo il grafico relativo
al laser di luce blu (figura 16) con le
rette di massima e minima pendenza e
i valori dei coefficienti angolari stimati
7
6
5
2R(cm)
4
3
2
1
0
2
-1
4 1/d (cm6
)
8
10
Figura 15. Andamento dei dati sperimentali in
funzione di 1/d.
Laser luce blu
6
5
4,73
Massima Pendenza:
m = 0,58 cm2
2R (cm)
4
3
Minima Pendenza:
2,47
m = 0,50 cm2
2
1,37
1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
1/d (cm-1 )
per esse.
Figura 16. Rette di minima e massima pendenza relative ai dati del laser di colore blu.
Dai valori riportati nel grafico segue che il coefficiente angolare per la miglior retta
0.58 + 0.50
0.58 − 0.50
vale m =
= 0.54cm 2 mentre l’errore vale ∆m =
= 0.04cm 2 . Da qui
2
2
m
0.54
ricaviamo il valore di λ =
=
cm ≈ 4.56 ⋅10 −6 m con errore ∆λ dato da
2.44 D
2.44 ⋅ 485
∆λ ∆m ∆D
=
+
= 0.084 da cui segue la miglior stima della lunghezza d’onda del
λ
m
D
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laser blu λ = ( 4.6 ± 0.4) ⋅ 10 −6 m .
Nel grafico di figura 17 riportiamo invece i dati relativi al laser rosso e i
coefficienti delle rette di massima e minima pendenza.
Laser luce rossa
8
7
6,43
2R (cm)
6
Massima Pendenza:
2
m = 0,80 cm
5
Minima Pendenza:
2
m = 0,75 cm
4
3,07
3
2
1,58
1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
-1
1/d (cm )
Figura 17. Rette di minima e massima pendenza relative ai dati del laser di colore rosso.
In questo caso il valore di m risulta m = (0.78 ± 0.03)cm 2 e il relativo valore della
lunghezza d’onda è λ =
vale
m
0.78
=
cm ≈ 6.36 ⋅10 − 6 m , mentre l’errore relativo
2.44 D 2.44 ⋅ 500
∆λ ∆m ∆D
=
+
= 0.05 , da cui la miglior stima per la lunghezza d’onda del laser
λ
m
D
rosso è λ = (6.4 ± 0.4) ⋅ 10 −6 m .
Quello che è importante sottolineare, in questa esperienza, è che, per i fenomeni
di diffrazione sopra descritti, l’immagine di un ‘punto luminoso’ (foro) non è più
un punto ma diventa un ‘disco’ le cui dimensioni aumentano proporzionalmente
alla lunghezza d’onda della sorgente e in modo inversamente proporzionale alla
dimensione del foro. A questo punto ci si può domandare: se io ho 2 sorgenti
luminose ‘abbastanza vicine’, sapendo che l’immagine di entrambe attraverso un
foro è un disco, quand’è che tali dischi immagine sono separati, e quando invece
si sovrappongono? Esiste un criterio per capire quando le sorgenti creano
immagini distinte (Si dice quando le sorgenti possono essere ‘risolte’)? Questo
criterio dipenderà solo dalla distanza tra le sorgenti?
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Tematica dell’unità didattica: IL POTERE RISOLUTIVO
Classe: II/III MEDIA
Contenuti:
1) Potere risolutivo di uno strumento ottico
2) Potere risolutivo dell’occhio umano, dei telescopi, dei microscopi
3) Diversi tipi di microscopio
Obiettivi specifici:
1) Comprendere il significato di ‘risolvibile’
2) Prendere coscienza di come la diffrazione e il potere risolutivo dipendano dalla
lunghezza d’onda e dal diametro dello strumento ottico
3) Definizione di potere risolutivo di uno strumento ottico
4) Essere in grado di proporre esempi di strumenti ottici con poteri risolutivi
diversi
5) Essere in grado di elencare le proprietà di diversi tipi di microscopio/telescopio
Obiettivi trasversali:
1) Stimolare la verifica delle ipotesi attraverso il confronto in classe (aumento
delle capacità di verbalizzazione e sintesi)
2) Stimolare il lavoro di gruppo
3) Elaborare contributi personali (relazioni oggettive e soggettive)
4) Guidare a compiere collegamenti interdisciplinari
5) Sviluppare le capacità manuali
Requisiti di base:
1) Tematiche relative all’ottica geometrica
2) Proprietà della luce
3) Diffrazione da foro circolare
4) Proporzionalità diretta ed inversa
5) Sistemi di misura, unità di misura con multipli e sottomultipli
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POTERE RISOLUTIVO
Abbiamo appena visto che la diffrazione della luce pone un limite alla nostra
capacità di vedere come distinti oggetti vicini tra loro. Consideriamo due sorgenti
puntiformi, ad esempio due stelle, situate lontano nel cielo. A causa della
diffrazione, l’immagine delle stelle che percepiamo noi è costituita da dischi
luminosi e se le stelle sono ‘abbastanza vicine tra loro’ potremmo non essere in
grado di distinguerle (Avete mai pensato a cosa si intende con ‘stelle doppie’?).
Quando ciò avviene, le due immagini non possono essere viste come due
immagini separate, o, come anche si dice, non sono risolvibili. Affinché le due
immagini possano essere viste come due
immagini separate, esse “non devono
sovrapporsi troppo”.
Pensiamo anche ai fari di una macchina
(figura 18): per piccole distanze li vediamo
separati, ma avete mai provato a guardare i
Figura 18. I fari di una macchina costituiscono
due sorgentila
che,
se siamodi
troppo
distanti, non
fari in un’automobile che stia per esempio percorrendo
collina
fronte?
Quello che possiamo pensare, a questo proposito, è che se le due sorgenti
puntiformi sono ‘troppo vicine tra loro’ o comunque ‘troppo lontano’ da chi le
osserva, le loro figure di diffrazione si sovrappongono generando una figura
complessa in cui potrebbe essere difficile riconoscere le immagini delle due
sorgenti.
Nella figura 19 sono mostrate le immagine di diffrazione di due sorgenti
puntiformi prodotte da una fenditura circolare. Nel pannello a) le sorgenti sono
poste a distanza sufficiente
affinché
le
figure
di
diffrazione
siano
ben
separate; le immagini delle
sorgenti appaiono quindi
ben
distinguibili.
Nel
pannello b) le sorgente sono
state avvicinate, i dischi
immagine si sovrappongono,
e
un
osservatore
riconoscerebbe
a
stento
nell’immagine due oggetti
distinti.
Figura 19. Figura di diffrazione di due sorgenti separate (a) e non
completamente separate (b)
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Il percepire le due sorgenti separate è un fatto
soggettivo ed è stato introdotto da Rayleigh una
condizione di risolvibilità , ossia un criterio per
considerare risolte le due sorgenti; senza entrare nei
dettagli, tale criterio afferma che per la separazione
angolare (θ nella figura 20) delle due sorgenti deve
λ
valere ϑ ≥ 1,22 dove d è il diametro del foro nel caso
d
λ
di fori circolari, e ϑ ≥
nel caso di fenditure
d
rettangolari (d è la dimensione della fenditura).
Figura 20. Due sorgenti con distanza
angolare θ.
A questo punto possiamo definire la risoluzione di uno strumento ottico come
la capacità di produrre immagini distinte di due oggetti molto vicini tra loro e
λ
comprendere che questa capacità è tanto migliore quanto più è piccolo.
d
Ogni strumento ottico (compreso l’occhio) è assimilabile ad una apertura, in
genere circolare, per cui la sua risoluzione è limitata dagli effetti della diffrazione.
Per ridurre gli effetti della diffrazione, risulta allora chiaro che è necessario
ridurre la lunghezza d’onda λ (e qui ci ricordiamo che la lunghezza d’onda
diminuisce passando da un mezzo più denso a uno meno denso…) oppure
aumentare la dimensione d della fenditura.
Alcune applicazioni
A questo punto, siamo in grado di calcolare il potere risolutivo dell’occhio umano
(vedi appendice 3), sapendo che la lunghezza d’onda del visibile va da 400 nm a
700 nm circa e che l’indice di rifrazione vale 1,33. La lunghezza d’onda nel mezzo
500
varrà quindi
≈ 376nm , avendo scelto per il visibile un valore di lunghezza
1,33
d’onda ‘intermedio’ pari a 500 nm. Otteniamo quindi un potere risolutivo pari a
λ
1
ϑ = 1,22 = 1,22 ⋅ 376 ⋅ 10 −7 ⋅
= 0,0131° avendo considerato come diametro della
d
2 ⋅10 − 3
pupilla un valore di 2mm. Convertendo i gradi in radianti e sapendo che la
distanza minima di messa a fuoco per l’occhio vale 25 cm, si ottiene che la
minima
dimensione
che
l’occhio
umano
riesce
a
risolvere
vale
−4
−3
25 ⋅ 2,19 ⋅10 rad = 5,73 ⋅10 cm , ossia circa le dimensioni di un capello!
Pellistri, Rosato
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È allora immediato capire come mai Superman, dotato di
vista a raggi x (che, lo ricordiamo, hanno una lunghezza
d’onda quasi 3 ordini di grandezza inferiore rispetto al
visibile), fosse in grado, a grandissime distanze, di
distinguere oggetti anche vicinissimi tra loro….
Anche per un TELESCOPIO due
sorgenti
puntiformi
sono
considerate risolte se la loro
λ
distanza angolare è: ϑ ≥ 1,22 .
d Figura 22. Telescopi
Per questo motivo si realizzano telescopi con obiettivi
di elevate dimensioni. Non si può infatti, in questo caso, ridurre λ, essendo le
stelle (di cui di certo non possiamo variare le caratteristiche) a costituire la
sorgente luminosa!!!
Sempre per ridurre i limiti di visione dati dalla diffrazione i rapaci
hanno grandi occhi, che consentono loro di avvistare le prede ‘da
lontano’.
Figura 23. L’aquila reale
Nel caso del MICROSCOPIO ottico,
si possono utilizzare invece parecchi accorgimenti per
ridurre λ. Il primo è di utilizzare obiettivi ad immersione ad
olio (l’olio ha indice di rifrazione maggiore di quello
dell’aria) piuttosto che ad aria, in quanto in questo modo
aumenta il potere risolutivo del microscopio stesso (in
genere intorno a 0,2 µm). Ricordiamo infatti che, nell’olio,
v
c
λ
Figura 24. Microscopio ottico
si ha λn = =
=
f
f ⋅n n
Il microscopio a ultravioletti (vedi figura 25) utilizza una
radiazione con lunghezza d’onda minore della luce
visibile, vale a dire, luce ultravioletta. Questo produce
un aumento del potere di risoluzione, ma impone
alcune modifiche: poiché il vetro non è trasparente agli
ultravioletti, gli elementi ottici devono essere realizzati
con altri materiali, quali quarzo, fluorite o specchi
alluminizzati. Essendo gli ultravioletti invisibili
all’occhio umano, inoltre, per essere visualizzata,
l'immagine deve essere resa per fosforescenza o per
scansione elettronica.
Figura 25. Microscopio a ultravioletti
Pellistri, Rosato
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E arriviamo infine al microscopio elettronico, il cui schema è analogo a quello di
un microscopio ottico: una sorgente produce la radiazione che incide sul
campione e, passando attraverso specifici sistemi che fungono da lenti, va a
comporre l’immagine ingrandita. La radiazione è costituita da un fascio di
elettroni accelerati nel vuoto; le lenti convergenti, quindi, non sono di tipo ottico,
ma “elettromagnetico”: sono costituite da campi elettrici e magnetici che sono in
grado di modificare la traiettoria delle particelle cariche. Il tutto è protetto da un
contenitore, all’interno del quale è praticato il vuoto. L’immagine viene composta
su uno schermo fluorescente o, in alternativa, mediante sistemi fotografici o
televisivi.
L’uso di elettroni in luogo di luce visibile porta
notevoli vantaggi ai fini delle prestazioni dello
strumento. La lunghezza d'onda minima della luce
visibile, infatti, è di circa 400 nm (400 milionesimi di
millimetro), mentre la lunghezza d'onda associata
h
all'elettrone λ =
in questi strumenti può essere di
me v
soli 0,05 nm (h è la costante di Planck, me la massa
dell’elettrone e v la sua velocità). Il potere di
risoluzione del microscopio elettronico è pertanto
notevolmente maggiore di quello dei microscopi ottici:
si arrivano a percepire dettagli di qualche decimo di
nm.
Figura 26. Un microscopio elettronico
Nella pagina seguente, giusto per dare un’idea della ‘potenza’ del microscopio
elettronico, è riportata (figura 27) una sezione di cellula vista con questo tipo di
microscopio. Sono visibili i molti mitocondri (organelli cellulari che producono
energia) e le membrane interne.
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Figura 27. Sezione di cellula vista con microscopio elettronico
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Tematica dell’unità didattica: I TELESCOPI
Classe: III MEDIA
Contenuti:
1) Strumenti adatti all’osservazione del cielo
2) Risoluzione degli strumenti
3) Le aberrazioni ottiche
4) I telescopi a lenti e a specchi
5) Interferometria
6) Le stelle
Obiettivi specifici:
1) Saper scegliere lo strumento adatto per l’osservazione di fenomeni
astronomici
2) Essere in grado di definire cos’è un telescopio
3) Distinguere i diversi tipi di telescopio
4) Essere in grado di definire cos’è un’aberrazione ottica
5) Principio e vantaggi dell’interferometria
6) Essere in grado di analizzare un ammasso stellare in una figura
interferometrica
7) Essere in grado di spiegare come nasce una stella e quali evoluzioni può
avere
8) Saper distinguere i vari tipi di stelle
9) Stimolare la formulazione di ipotesi raccogliendo e analizzando dati
Obiettivi trasversali:
· Stimolare la verifica delle ipotesi attraverso il confronto in classe (aumento delle
capacità di verbalizzazione e sintesi)
· Stimolare il lavoro di gruppo
· Elaborare contributi personali (relazioni oggettive e soggettive)
· Guidare a compiere collegamenti interdisciplinari (inglese nelle ricerche e per la
consultazione su web)
· Sviluppare le capacità manuali
Requisiti di base:
•
Tematiche relative all’ottica geometrica e agli strumenti ottici
•
Proprietà della luce
•
Diffrazione da foro circolare
•
Potere risolutivo
•
Struttura e funzionamento dell’occhio umano
•
Proprietà della circonferenze e del cerchio
•
Sistemi di misura, unità di misura con multipli e sottomultipli
•
Concetti di calore e temperatura
•
Stati di aggregazione
•
Concetti di massa, peso, volume, densità, forza, pressione, energia
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QUALI STRUMENTI?
Dopo una prima e indispensabile rassegna del cielo notturno ad occhio nudo,
emerge il desiderio legittimo di osservarlo attraverso uno strumento. Ma quale
strumento? Il primo, che in ogni caso è consigliabile possedere, è il binocolo.
Esistono varie versioni di binocoli; si va dai modesti galileiani da teatro agli
impegnativi e assai costosi modelli progettati per l'indagine astronomica.
Quelli più comuni, che si usano per sport, escursionismo ed osservazione di
uccelli, sono adatti anche per il cielo.
Tra le varie sigle che contraddistinguono i binocoli, la più importante è quella
formata da due numeri uniti da una "x". Ad esempio 7x35, 8x30, 7x50, 10x50. Il
primo numero indica gli ingrandimenti, il secondo il diametro degli obiettivi
espresso in millimetri.
Il diametro degli obiettivi è legato alla quantità di luce proveniente dal corpo
osservato raccolta dallo strumento stesso: più è grande il diametro dell’obiettivo,
più risultano accessibili astri con luce debole.
Un binocolo con obiettivi da 30 a 50 mm è ottimale per l'osservazione di vasti
campi stellari, oggetti estesi, grandi comete. La sua praticità ed economicità
dovrebbero renderlo il compagno permanente di qualsiasi osservatore, anche se
dotato di potenti telescopi. Naturalmente, per quanto utile ed efficace possa
rivelarsi l'uso di un buon binocolo, l'osservatore appassionato del cielo desidererà
prima o poi usare un telescopio.
CHE COSA È UN TELESCOPIO?
La risposta che ci fornisce un dizionario è la seguente:
"Strumento ottico atto all'osservazione di oggetti posti a grande distanza dotato di
lenti riflettenti o rifrangenti."
Detto in termini più tecnici, un telescopio è un sistema ottico che ha il compito di
raccogliere più luce rispetto a quanta ne possa raccogliere l'occhio umano, cioè è
un collettore di luce appunto come l'occhio umano.
Fondamentalmente, è costituito da una parte ottica (l'obiettivo che può essere a
specchi o a lenti) e da una parte meccanica (la montatura).
I telescopi astronomici sono strumenti ottici attraverso i quali è possibile
esplorare l’Universo che ci circonda. Sostanzialmente si tratta di strumenti in
grado di catturare molta più luce di quanto non possa fare l’occhio umano e
quindi di rivelarci oggetti altrimenti a noi invisibili. Inoltre, consentono un
notevole ingrandimento dell’immagine, fattore determinante nell’osservazione dei
Pellistri, Rosato
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pianeti e importante per cogliere fuggevoli dettagli della Luna e del Sole. Esistono
innumerevoli tipi di telescopi, diversi per schema ottico, prestazioni e prezzi, e
quindi adatti ad un utilizzo sia professionale che amatoriale.
Parlando di telescopi diciamo innanzi tutto che le possibilità di vedere sono
subordinate in primo luogo al diametro dell'obiettivo: più questo è ampio e più in
linea di massima si vede.
Il telescopio è costituito da parti ottiche, siano esse lenti o specchi, il cui compito
è quello di raccogliere e manipolare la luce dell'oggetto che desideriamo osservare,
e da parti meccaniche che servono sia a contenere la parte ottica, dette tubo, sia
a sostenerlo e orientarlo nel cielo, dette montatura.
Figura 28. Schizzi di telescopi
COME FUNZIONA UN TELESCOPIO?
Galileo Galilei, l'"inventore" del telescopio astronomico, lo definì nel 1609 come
uno strumento atto a mostrar vicino ciò che si trova lontano. Questa
caratteristica del telescopio, cioè il fatto di "avvicinare" o meglio di ingrandire le
immagini degli oggetti lontani, rimase la più importante fino a quasi tutto il XIX
secolo quando emerse un'altra, ben diversa, qualità di questo strumento: la
capacità di raccogliere luce.
Anche oggi la maggior parte delle persone pensano che ciò che distingue il
telescopio sia la sua capacità di "ingrandire", mentre questo aspetto è secondario
rispetto, ad esempio, all'apertura dell'obbiettivo, e quindi alla quantità di luce che
il telescopio riesce a raccogliere. Le altre caratteristiche salienti di un telescopio
sono la sua lunghezza focale e lo schema ottico. Vediamo insieme di che si tratta.
Prendiamo in esame il più classico dei telescopi: quello galileiano
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Con riferimento alla figura 29, ecco i
parametri principali di un telescopio
(fra parentesi i termini che
normalmente si sottintendono):
D, diametro (dell'obbiettivo)
F, (lunghezza) focale (dell’obbiett.)
f, (lunghezza) focale dell'oculare
Nota: l'immagine sul Piano Focale è
"messa
a
fuoco"
quando
nel
Figura 29. Schematizzazione di un telescopio
telescopio coincidono il fuoco di
destra dell'obbiettivo con quello di sinistra dell'oculare (situazione verificata nel
disegno).
L’ingrandimento minimo sfruttabile Im = D/diametro della pupilla dell'occhio
(normalmente la pupilla umana adattata al buio arriva ad un diametro di 6mm).
Usando l'ingrandimento minimo, la pupilla d'uscita del telescopio sarà uguale alla
pupilla dell'osservatore: al di sotto dell'Im la pupilla del telescopio sarà più grande
di quella dell'osservatore con la conseguenza che una parte della luce raccolta
dall'obbiettivo andrà sprecata.
Ingrandimento massimo sfruttabile I_M =2D, con il diametro espresso in
millimetri (per i rifrattori di buona costruzione può essere anche 3D o persino di
più).
Oltre a queste caratteristiche generali, i telescopi si distinguono, praticamente,
anche per il loro schema ottico, ciascuno preferibile per una particolare
applicazione.
I DIVERSI TELESCOPI
I telescopi sia amatoriali che professionali si dividono in due categorie principali: i
rifrattori e i riflettori.
I rifrattori ricostruiscono l'immagine solo per mezzo di lenti; quella anteriore viene
detta obiettivo, quella posteriore, da dove effettivamente si osserva, oculare. La
luce viene focalizzata entro lo strumento dalla rifrazione che subisce sulle facce
della o delle lenti dell'obiettivo.
Nei riflettori invece al posto delle lenti dell'obiettivo vengono usate uno o più
specchi.
LE LORO IMPRECISIONI
Le lenti o gli specchi per quanto possano venir lavorati perfettamente, alterano
geometricamente o cromaticamente le immagini. Queste alterazioni dette
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genericamente "aberrazioni ottiche" sono proprietà inerenti alle leggi fisiche che
regolano il funzionamento degli strumenti ottici. Il principale difetto introdotto da
una lente è l'aberrazione cromatica, cioè una lente scompone la luce bianca nei
vari colori che fa convergere poi in punti differenti dell'asse ottico. Nei moderni
telescopi un tale difetto è stato pressoché eliminato con l'adozione di un sistema
di lenti opportuno. In questo schema ottico l'obiettivo invece di essere formato da
una sola lente è composto da due lenti lavorate in maniera differente, la prima
biconvessa e la seconda piano-concava, realizzate in materiale differente.
Un'altro difetto generato dalle lenti è l'aberrazione sferica. A causa di tale difetto
l'immagine di una stella, invece di essere puntiforme appare circondata da un
alone di luce. Anche questa aberrazione può essere corretta con un sistema di
lenti opportunamente lavorate.
TELESCOPI RIFRATTORI O A LENTI
I telescopi rifrattori sono anche detti a lenti e in
figura 31 ne vedete raffigurato lo schema ottico. I
telescopi rifrattori utilizzano degli elementi ottici
rifrangenti (le lenti) che hanno il compito di
generare l'immagine.
Il principio di funzionamento è abbastanza
semplice: l'obiettivo forma un'immagine reale
(rimpicciolita e capovolta), che è ingrandita
tramite un oculare, il quale ne consente un
Figura 30. Telescopio rifrattore
esame confortevole all'occhio. A seconda
della posizione occupata dall’oculare nel
cammino ottico dei raggi luminosi,
avremo rifrattori di tipo Kepleriano (i più
diffusi) o Galileiano.
Figura 31. Schema ottico di un telescopio rifrattore
Storicamente i rifrattori sono stati i primi telescopi ad essere costruiti ed hanno
avuto il loro periodo d'oro durante il secolo scorso quando furono costruiti
obiettivi fino ad un metro di diametro:
- il 101 cm dell'osservatorio di Yerkes (Williams Bay, USA) operativo dal 1897;
- il 91.6 cm dell'osservatorio Lick (Monte Hamilton, USA) in funzione dal 1888;
- l'85 cm dell'osservatorio Meudon (Francia) entrato in funzione nel 1889.
Nel caso più semplice, l’obiettivo (sulla destra) è composto da due lenti costruite
con vetri di indice di rifrazione diverso, per ridurre l'aberrazione cromatica
(rifrattore acromatico). In altri casi, l'obiettivo può essere costituito da un sistema
di lenti con vetri a bassa dispersione e con trattamenti antiriflesso multistrato
che garantiscono un elevatissima trasmissione dell’energia luminosa incidente. Il
vantaggio principale di un rifrattore risiede nel fatto che si ha un obiettivo privo di
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ostruzione centrale (e quindi una più elevata nitidezza di immagine rispetto ad un
riflettore) ed un tubo chiuso che rende lo strumento insensibile alla turbolenza
dell'aria dentro l'osservatorio.
Gli svantaggi principali di questi tipi di telescopi risiedono nel fatto che gli
obiettivi a lenti risentono delle aberrazioni cromatiche ed hanno dei costi più
elevati rispetto ai riflettori: i rifrattori sono strumenti a lunga focale (per ovviare
all'aberrazione cromatica) e questo si traduce in una notevole lunghezza del tubo
che comporta un sovradimensionamento della montatura; inoltre per costruire
una lente si devono lavorare due superfici ottiche (i 2 lati della lente) e questo
accresce ulteriormente i costi, visto che l'obiettivo di un rifrattore è formato da
due o tre lenti accoppiate.
In altre parole i telescopi rifrattori sono caratterizzati da:
elevata nitidezza e contrasto delle immagini
assenza di ostruzione
semplicità meccanica e affidabilità
tubo ottico chiuso (ridotta turbolenza interna e buona protezione dalla
sporcizia)
ingombro elevato.
La quantità di luce catturata da questi tipi di strumenti non è molto elevata, essi
quindi risultano indicati per:
osservazione e fotografia della Luna, dei pianeti e delle stelle multiple
fotografia del cielo profondo (deep-sky) solo con aperture superiori ai 12 cm
osservazione terrestre
Sono invece sconsigliati per:
osservazione di oggetti piccoli e deboli del cielo profondo (galassie e
nebulose)
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TELESCOPI RIFLETTORI O A SPECCHI
Il classico telescopio a specchi è il riflettore
Newtoniano, che prende il nome dal suo
inventore, Isaac Newton.
I telescopi riflettori utilizzano come obiettivo
degli elementi ottici riflettenti che hanno il
compito di generare l'immagine.
In questi telescopi, l’obiettivo è costituito da un
particolare specchio detto parabolico (specchio
primario) che riflette e focalizza la luce
sull’oculare attraverso un’apertura praticata sul
Figura 32. Telescopio riflettore
fianco del tubo principale, dopo che il fascio è
stato deviato mediante uno specchio piano (specchio secondario). In figura 33
riportiamo lo schema di un riflettore
Newtoniano.
In funzione di come sono fatti gli specchi
primario e secondario e da dove si forma
l'immagine,
si
hanno
diverse
Figura 33. Schema ottico di un telescopio rifrattore
configurazioni di telescopi.
Sia Galileo che Newton avevano ipotizzato l'utilizzo di specchi per costruire
strumenti astronomici, però l'impossibilità di realizzare specchi sufficientemente
riflettenti ritardò lo sviluppo e l'impiego dei telescopi riflettori.
Prima dello sviluppo dell'argentatura e dell'alluminatura, per creare de gli specchi
riflettenti si utilizzava una lega di rame e stagno con cui si costruirono dei
telescopi riflettori anche di notevoli dimensioni (per esempio, il 122 cm costruito
da William Herschel nel 1789), ma che ad ogni riflessione perdevano il 40% della
luce incidente, rendendo preferibile l'impiego dei rifrattori (come abbiamo già più
volte detto in astronomia la luce è tutto…).
Nel 1856 sia Karl August Von Steinheil che Léon Foucault applicarono
indipendentemente l'argentatura ai vetri per specchi astronomici e questo
permise di costruire obiettivi per telescopi di notevoli dimensioni a prezzi
contenuti.
Ormai i telescopi riflettori hanno soppiantato completamente i telescopi rifrattori
e negli ultimi novanta anni sono stati costruiti telescopi riflettori sempre più
grandi: a partire dal telescopio Hooke di Monte Wilson (USA) da 2.5 metri di
diametro (in funzione dal 1907), si è passati per il telescopio Hale da 5 metri di
Monte Palomar (USA, operativo dal 1948) e per il telescopio sovietico da 6 metri
BTA (operativo dal 1976), fino ad arrivare ai giganteschi telescopi di questi ultimi
anni, quali il Keck Telescope (da 10 metri, costruito sulla vetta del Mauna Kea
(Hawaii, USA) ed entrato in funzione nel 1992) ed il Subaru Telescope (da 8 metri,
in costruzione sul Mauna Kea).
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Il vantaggio principale dei telescopi riflettori risiede nella loro "economicità"
rispetto ai telescopi rifrattori.
Questa economicità si spiega con il fatto che:
- uno specchio si deve lavorare solo su una superficie, mentre una lente deve
essere lavorata su due superfici;
- uno specchio può essere costruito facilmente con una corta focale in modo da
contenere le dimensioni del tubo e della montatura;
- uno specchio è privo di aberrazione cromatica (presente invece nei rifrattori).
Gli svantaggi principali risiedono nel fatto che la presenza dello specchio
secondario (e dei suoi sostegni) creano un'ostruzione, la quale fa diminuire il
contrasto e la nitidezza dell'immagine, e che il tubo che regge le ottiche non è
chiuso, per cui è sensibile alla turbolenza locale che può degradare l'immagine.
I riflettori Newton dunque sono caratterizzati da:
buona correzione delle principali aberrazioni ottiche
buona nitidezza e presenza di sostegni a crociera del grandi aperture
relative
tubo ottico aperto (nessuna protezione dalla sporcizia e dall’ ossidazione)
peso ed ingombro contenuto (fino a 1000 mm di focale)
Questo genere di telescopi riesce a focalizzare la luce anche se molto debole, essi
sono quindi indicati per:
uso generico (stelle e pianeti, ideale per i principianti)
osservazione e fotografia del cielo profondo (deep-sky)
Sono invece sconsigliati per:
osservazione terrestre
LE NUOVE TECNOLOGIE
Quando si parla di telescopi, oltre al potere di raccogliere luce, assume molta
importanza il potere risolutivo. Il potere risolutivo consiste,
come abbiamo visto, nella capacità di uno strumento di
distinguere come separati due punti vicini nel cielo.
Questa è una caratteristica molto importante, che decide o
meno qual è la dimensione limite dei particolari accessibili.
In astronomia è stata particolarmente importante nella Figura 34. Costellazione di
scoperta di stelle doppie, come quelle presenti nella Cassiopea
costellazione di Cassiopea riportata in figura 34: grazie ad un maggior potere
risolutivo è stato possibile distinguere due o più stelle poste “molto vicine” tra
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loro, che ad una prima osservazione erano apparse come un unico punto
luminoso.
Nei telescopi il potere risolutivo si esprime in secondi d'arco ("); ricordiamo che un
secondo d'arco è la 3600esima parte di un grado. Come termini di riferimento si
può tener presente che il Sole è visto sotto un angolo di circa 30’ o 1800". Con un
potere risolutivo di 1'' si arriva a distinguere su questi astri particolari il cui
1
diametro è solo
del disco.
1800
Sole
Ss
30’
Terra
Figura 35. Schema delle dimensioni del sole
Da quanto indicato in figura 35 emerge che più il telescopio è grande e più si
vede, ma la sua grandezza ha un limite ed è necessario trovare nuove soluzioni
per perlustrare aree più ampie e più lontane.
Fino a cinquant'anni fa tutto ciò che potevamo sapere sull'Universo dipendeva
esclusivamente dalle informazioni che ci venivano fornite dalle immagini ottiche.
Il progresso della tecnologia, da allora, ha favorito il proliferare di nuove scienze
nel campo dell'indagine astronomica, il che ha immensamente ampliato la
conoscenza e la comprensione dei processi fisici che regolano la formazione e
l'evoluzione dei corpi celesti. Fra queste la radioastronomia, che si occupa della
ricezione e dello studio della radiazione che i corpi celesti emettono in quella
stessa zona delle frequenze usate per le telecomunicazioni.
La prima scoperta di un segnale radio proveniente dal centro della galassia risale
al 1931, ma solo dopo la fine della seconda guerra mondiale lo sviluppo della
tecnologia permise di iniziare una vera e propria ricerca astronomica nella banda
delle frequenze radio.
Un radiotelescopio funziona secondo gli stessi principi di un telescopio ottico: c'è
una superficie riflettente, di solito parabolica, che corrisponde all'obbiettivo di un
telescopio ottico; la radiazione raccolta dalla parabola viene focalizzata su un
ricevitore, che la trasforma in un segnale elettrico, lo amplifica e lo invia agli stadi
successivi.
I problemi principali che si presentano in radioastronomia sono quelli dovuti
all'estrema debolezza del segnale ed alle limitazioni del potere risolutivo.
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Il primo dipende dalla distanza: su scala astronomica questa è sempre tale che le
pur spaventose energie emesse giungono fino a noi come segnali debolissimi, con
potenze milioni di volte inferiori a quella di una lampadina.
Il fenomeno non dipende dal potere d'ingrandimento: ciò che conta è il rapporto
tra la lunghezza d'onda della radiazione con cui si lavora e il diametro
dell'obbiettivo dello strumento. Il potere risolutivo dell'occhio, durante la visione
diurna, è nell'ordine dei 100", ma di notte si attesta sui 200"- 300". Poiché la
lunghezza d'onda della radiazione luminosa va dai 400 ai 650 nm, un telescopio
ottico può avere risoluzione soddisfacente con un diametro di pochissimi metri.
Ma i radiotelescopi ricevono lunghezze d'onda circa 100.000 volte maggiori: una
parabola che lavori ad una lunghezza d'onda di 6 cm dovrebbe avere un diametro
molto grande per avere lo stesso potere risolutivo semplicemente dell'occhio
umano. Infatti se vogliamo che valga l’uguaglianza
λ
λ
( )occhio =
d
d
si ha che
λ
d = λ . ( )-1occhio = 300m
d
Dunque i radiotelescopi devono essere molto grandi. Prototipo dei radiotelescopi
delle prime generazioni è quello di Arecibo, una parabola di 305 m. di diametro
posta all'interno di una valle naturale di pari diametro. Ancor più grande è la
Croce del Nord di Medicina, vicino Bologna.
L'introduzione della tecnica interferometrica (di cui abbiamo parlato nell’unità
didattica 1), negli anni settanta, portò miglioramenti nello sviluppo del problema
della scarsa risoluzione. Un interferometro tipo è costituito da due parabole,
fisicamente connesse fra loro ed orientate ve rso la stessa sorgente. I segnali
vengono raccolti dalle due parabole, amplificati e elaborati. In questa situazione il
potere risolutivo dipende dal rapporto fra la lunghezza d'onda e la distanza tra le
parabole: dunque, per aumentare la risoluzione, basta allontanare le parabole: è
lo stesso che aumentare il diametro dell'obbiettivo di un telescopio ottico.
Oggi esistono sistemi di interferometri capaci di fornire immagini con dettagli
migliori di quelle fornite dai più potenti telescopi ottici.
L'interferometria sino a pochi decenni fa era per lo più confinata nel campo della
radioastronomia, attualmente sta assumendo un'importanza sempre maggiore
anche in astronomia. Il motivo è semplice. Un'onda radio è fisicamente identica a
un'onda luminosa, ma è dotata di una λ molto maggiore; ad esempio, se
consideriamo la stazione ad onde medie di Milano Uno, che emette a 900 KHz,
possiamo calcolare il λ delle onde radio sostituendo i valori opportuni alla
relazione vista nell’unità 1
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λ=
c
3 ⋅ 10 8 m/s
=
≈ 333 m
f
900 ⋅ 10 3 1/s
Anche considerando l'emittente del 5° canale della filodiffusione, che irradia a ben
102 Mhz, troviamo comunque una λ poco inferiore ai 3 m (basta calcolare
nuovamente il rapporto λ =
c
3 ⋅ 108 m/s
=
= 2.94 m). Ricordiamo che le onde
f
102 ⋅ 10 6 1/s
luminose hanno invece una λ mediamente di mezzo micron!
Proviamo ad immaginare che una civiltà aliena stia trasmettendo da migliaia di
anni della bellissima musica alla frequenza, per l'appunto, di 102 Mhz e
supponiamo di disporre di radiotelescopio con un diametro di d = 3.6 m in grado
λ
di intercettarla. Applicando la nota formula (1.22
) e sviluppando i conti,
d
troviamo
λ=
c
3 ⋅ 108 m/s
=
= 2.94 m (risultato trovato già in precedenza)
f
102 ⋅ 10 6 1/s
θ = 1.22
λ
= 1.22
d
.
2.94 m
= 0.996 radianti
3 .6 m
cioè questo radiotelescopio ha un potere risolutivo pari circa a 1. Dove 1 sta per 1
radiante, ossia circa 57°! In pratica il nostro radioastronomo ci dice di aver
captato una sorgente localizzata in un cerchio di cielo del diametro di 57 gradi
(circa 3 spanne osservate col braccio teso!). E chi andrà a controllare una per una
le decine o centinaia di migliaia di stelle contenute in una zona così ampia per
sapere
qual'è
la
controparte
ottica
della
radiosorgente? Non essendo nemmeno lontanamente
immaginabile la costruzione di un paraboloide con
diametro di oltre 600 chilometri – onde ottenere un
potere risolutivo di 1'', dell'ordine di grandezza dei
telescopi ottici – ecco che ci viene in aiuto
l'interferometria.
Consideriamo una situazione come quella in figura
36. Essa rappresenta un fronte d'onda emesso da
una sorgente, che per comodità supporremo situata
sulla verticale nel punto medio del segmento che unisce i due strumenti (zenit). Il
fronte d’onda viene intercettato da due radiotelescopi posti a una certa distanza.
È evidente che in questo caso arriva lo stesso identico segnale ai due telescopi,
per cui, seguendo le regole dell’interferenza analizzate nell’unità didattica 1 dopo
Figura 36
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la ricombinazione, il segnale ne esce rinforzato. Dopo qualche istante la sorgente
si è spostata e ci troviamo nella situazione
seguente.
Il fronte d'onda intercetta stavolta prima il
telescopio di destra e dopo un brevissimo intervallo
quello di sinistra. Se supponiamo che i due segnali
giungano sfasati di mezza λ significa che
arriveranno all'elaboratore in opposizione di fase e
quindi si elideranno.
Figura 37
Nel 3° caso la sorgente si è spostata di un altro po';
ancora il fronte d'onda intercetta dapprima il
telescopio di destra, ma quando arriva a quello di
sinistra lo sfasamento è di una λ intera; i due segnali
sono daccapo in concordanza di fase e quindi si
sommano.
Figura 38
Cosa
vede
dunque
il
nostro
radiotelescopio? Se la sorgente si sposta
da est a ovest l'immagine elaborata
dall'interferometro apparirà più o meno
come nella pannello destro della figura
39: come vedete non è cambiato granché
rispetto
all'immagine
fornita
dal
telescopio singolo (pannello di sinistra);
l'unico miglioramento consiste nel fatto Figura 39
che la sorgente sicuramente non si trova nelle zone scure...ma è un po' poco!
Per avere risultati più precisi sarebbe opportuno combinare 4
radiotelescopi posti a 90 gradi. In questo caso l'immagine prodotta
dall'elaboratore centrale dividerà la figura di diffrazione non a strisce
ma in tanti piccoli scacchi luminosi, aumentando grandemente la
Figura 40
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probabilità
sorgente.
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di
successo
nell'identificazione
della
Supponiamo ora che nel cerchio d'errore, cioè nella
zona in cui stiamo concentrando la nostra attenzione e
che dà luogo al cerchio delle figure della pagina
precedente, di una delle parabole radio che ha captato
il segnale radio sia presente un piccolo ammasso
Figura 41
stellare come quello proposto in figura 41.
Se questo fosse emesso da una civiltà intelligente quale potrebbe essere la stella
dal cui pianeta proviene il segnale?
Se prendiamo un'immagine interferometrica del disco d'errore otterremmo quanto
segue.
Le
possibili
candidate
ad
emettere il segnale sono solo 3 e
sono indicate nella figura 42
con A, B, C; tuttavia
per
scoprire da quale stella la civiltà
intelligente trasmette, dobbiamo
essere in grado di riconoscere
tra quelle rimaste, le stelle che
permettono l’esistenza di una
forma di vita e quelle in cui
invece non è possibile che ciò
avvenga (vedere appendice 4
riguardo le stelle).
La stella A è da escludere perché
si tratta di una gigante rossa la
quale, giunta nello stadio finale
della sua esistenza, avrebbe o Figura 42
inglobato o sterilizzato col suo calore una presunta Terra in orbita attorno a essa;
similmente è da escludere anche la stella B, perché è azzurra e le stelle azzurre,
come abbiamo detto, sono instabili, hanno una durata molto breve (pochi milioni
di anni) e pertanto in tale lasso una civiltà tecnologica non avrebbe tempo
materiale per svilupparsi. Resta la stella C, di spettro simile al Sole che sarà
pertanto la controparte ottica su cui indirizzare successive ricerche.
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APPENDICE 1
IL FRONTE D’ONDA
Si definisce FRONTE D’ONDA il luogo dei punti che vibrano concordemente, nel
senso che in essi lo spostamento dalla posizione di equilibrio, in ogni istante,
assume lo stesso valore. A seconda della forma del fronte d’onda le onde si
dividono in:
ONDE CIRCOLARI: se i fronti d’onda sono delle circonferenze. E’
il caso di delle onde prodotte sulla superficie dell’acqua quando
la sorgente è puntiforme.
ONDE RETTILINEE: se i fronti d’onda sono linee parallele. E’ il
caso di onde circolari che a grande distanza dalla sorgente
possono essere considerate rettilinee.
ONDE SFERICHE: se i fronti d’onda sono superfici sferiche
concentrata. E’ il caso delle onde sonore prodotte da una piccola
sorgente in un fluido omogeneo
Figura 44
ONDE PIANE: se i fronti d’onda sono piani fra loro paralleli. E’ il caso delle onde
sferiche che, a grandi distanze dalla sorgente, possono essere considerate piane
per una limitata regione di spazio.
Nello studio delle onde si può visualizzare la propagazione del
moto ondulatorio mediante il cosiddetto modello a raggi. Si
chiamano raggi dell’onda l’insieme delle semirette uscenti
dalla sorgente e perpendicolari al fronte d’onda.
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APPENDICE 2
L’ORECCHIO E IL SUONO
L'organo dell'udito è costituito dall'orecchio, suddiviso in tre parti: orecchio
esterno, che ha il compito di raccogliere le onde sonore; orecchio medio, deputato
a ricevere e a trasmettere le vibrazioni prodotte dalle onde sonore all'orecchio
interno, il quale trasmette gli stimoli derivanti dalle vibrazioni all'encefalo e
presiede al senso dell'equilibrio. L'orecchio è situato nella regione auricolare del
capo, in parte all'esterno e in parte nello spessore dell'osso temporale con
l'orecchio medio e quello
interno.
Le onde sonore esterne
vengono
percepite
e
raccolte dal padiglione
auricolare (orecchio e sterno),
entrano
nel
condotto uditivo esterno
dove
vengono
amplificate e colpiscono
la membrana timpanica,
Figura 46. Schema dell’orecchio umano
che vibra. Le vibrazioni
vengono convogliate agli ossicini dell'orecchio medio, i quali trasmettono gli
impulsi alla chiocciola che è costituta da una delicata struttura a spirale ripiena
di un fluido. Nell'orecchio interno oltre alle cellule sensoriali (organo del Corti)
situate nella chiocciola (o coclea), si trovano le strutture che costituiscono
l'organo dell'equilibrio, formato dai canali semicircolari, dall'otricolo e dal sacculo.
Gli impulsi giunti all'orecchio interno, viaggiando lungo terminazioni nervose,
raggiungono il nervo acustico che li trasporta al cervello, dove vengono
riconosciuti come suoni.
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APPENDICE 3
L’OCCHIO UMANO
L’occhio umano e' un sistema
ottico relativamente semplice,
costituito
da
un
diottro
(comune
lente
di
ingrandimento, cornea, umor
acqueo, e umor vitreo) di
indice di rifrazione 1.33 e da
una
lente
biconvessa,
il
cristallino,
di
indice
di
rifrazione 1.44, in cui la
curvatura
della
faccia
anteriore
può
essere
Figura 47. Schema dell’occhio umano
modificata dalla contrazione dei muscoli ciliari, variando così la distanza focale
della lente (accomodamento). Cornea, camera anteriore, cristallino e camera
posteriore nel loro complesso formano una lente convergente (provvista di una
distanza focale variabile fra 2,4 e 1,7 cm) che proietta le immagini sulla retina,
rimpicciolite e capovolte. Una membrana muscolare, l'iride, al cui centro e'
ricavata un'apertura, la pupilla, serve a diaframmare, cioè a regolare la quantità
di luce che entra nell'occhio.
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APPENDICE 4
LE STELLE
Le stelle sono corpi celesti che brillano di luce propria, costituite in gran parte da
idrogeno, elio e altri elementi allo stato gassoso; la loro luminosità è dovuta
all’energia liberata nelle reazioni che avvengono all’interno della stella, dove le
temperature sono elevatissime.
Il colore e la luminosità delle stelle che vediamo a occhio nudo o con un
telescopio dipende dalla temperatura superficiale della stella, dalle sue
dimensioni e dalla distanza dalla Terra.
In base alla loro temperatura superficiale, che determina il loro colore, le
possiamo classificare in questo modo:
CLASSIFICAZIONE DELLE STELLE IN BASE ALLA TEMPERATURA
Antares
Rosse
dai 3000 ai 4000 °C
(costellazione dello Scorpione)
Arancioni dai 4000 ai 5000 °C
Aldebaran (costellazione del Toro)
Gialle
Bianche
dai 5000 ai 6000 °C
dai 6000 ai 11000 °C
Sole
Sirio (costellazione del Cane)
Azzurre
dai 11000 ai 50000 °C
Iota
Tabella 4
Inoltre le stelle si possono classificare in base alle loro dimensioni:
CLASSIFICAZIONE DELLE STELLE
ALLA GRANDEZZA
almeno 300 volte
Supergiganti
più grandi del Sole
almeno 100 volte
Giganti
più grandi del Sole
Medie
come il Sole
almeno 100 volte
Nane
più piccole del Sole
IN BASE
Antares
Arturo
Sole
Sirio
Tabella 5
Figura 48
Le stelle hanno una propria vita, cioè, nascono e muoiono; per la maggior parte di
esse si tratta di 10- 12 miliardi di anni e anche più. Da parte dell'uomo quindi ed
in particolare dell'astronomo, vi è l'impossibilità di un’osservazione effettiva per
quanto riguarda l'evoluzione di una stella, ma solo la possibilità di esaminare un
gran numero di oggetti e dalle differenze che presentano cercare di ricostruire la
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loro vita e il loro sviluppo. Stimare attualmente la durata delta vita di una stella è
abbastanza facile: essa dipende dalla sua massa e dalla quantità di idrogeno di
cui la stella dispone (esso infatti costituisce in un certo senso il combustibile delle
stelle). Vi sono poi stelle, come quelle azzurre che bruciano prima il loro
combustibile, diminuendo cosi la durata della loro vita; altre invece, come quelle
di color giallognolo o rossastro, vivono parsimoniosamente. Oltre che all'analisi
chimica degli elementi pre senti nella stella, l'età della stessa è anche in relazione
al posto che occupa nel sistema galattico.
La nascita delle stelle invece dipende dalla presenza di nubi cosmiche, che
ammassandosi e quindi comprimendosi per il peso delle nubi stesse producono
via via un calore sempre maggiore.
Vita e morte di una stella
Le stelle nascono da enormi nubi di gas (soprattutto elio e idrogeno) e polveri,
dette nebulose.
I finissimi granelli di polvere cosmica e le molecole dei gas, sottoposti alla forza
gravitazionale, tendono ad avvicinarsi e raggrupparsi in blocchi di materia sempre
più grandi.
Crescendo la massa di questi blocchi di materia, aumenta anche la loro forza di
attrazione gravitazionale ed altre particelle vengono perciò attratte, aumentando
sempre più la massa di materia. Le particelle più interne vengono sottoposte ad
una pressione sempre più intensa e la temperatura aumenta enormemente fino a
determinare la fusione dell’idrogeno.
Questa fusione libera una quantità enorme di energia, che rende tutto il blocco di
materia caldissimo e luminosissimo: nasce così una stella.
L’energia liberata dalla fusione fa dilatare la materia che costituisce la stella,
mentre l’attrazione gravitazione tende a comprimerla. La stella si mantiene in
equilibrio tra le due forze contrastanti finché ha idrogeno da utilizzare per la
fusione. Quando questo si è quasi del tutto consumato, la stella si avvia verso la
fine, che sarà diversa a seconda della sua grandezza. Una stella delle dimensioni
del Sole, quando tutto l’idrogeno si è trasformato in elio, comincia a contrarsi
(perché è diminuita la forza espansiva della fusione) e aumenta così la sua
pressione interna. Anche i nuclei di elio sottoposti a questa pressione si fondono
e danno origine a nuclei di elementi più pesanti.
Per queste fusioni la temperatura interna della stella aumenta enormemente e
l’involucro esterno dei gas si espande e si raffredda: la stella diventa una gigante
o una supergigante rossa. Esaurito anche questo “carburante”, la stella torna a
contrarsi per effetto dell’attrazione gravitazionale e forma una nana bianca:
questa si raffredda fino a diventare una massa di materia che non brilla più di
luce propria.
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