i fedeli cristiani

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CAPITOLO TERZO
I FEDELI CRISTIANI
SOMMARIO: 1. Popolo di Dio, eguaglianza giuridica dei fedeli, diversità funzionale. –
2. Diritti e doveri dei fedeli. Questioni preliminari. – 3. Diritto alla vita spirituale e
ai mezzi di santificazione. – 4. I diritti personali. – 5. I doveri dei fedeli. – 6. Il diritto di associazione. Dimensione storico-giuridica. – 7. Le associazioni dei fedeli. Le
associazioni pubbliche. – 8. Le associazioni private.
1. Popolo di Dio, eguaglianza giuridica dei fedeli, diversità funzionale.
La Chiesa non è una agenzia di spiritualità, né un insieme di individui
che hanno le stesse idee. Essa è società e comunità, è un popolo in cammino che si riconosce in un disegno di salvezza tracciato e realizzato per l’umanità. Così il concilio Vaticano II, con la costituzione dogmatica Lumen Gentium, delinea il rapporto tra Dio e la storia: «in ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e opera la sua giustizia. Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse» (n. 9) 1. Il battesimo incorpora
l’uomo «alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona, con i doveri e i
diritti che ai cristiani sono propri» (can. 96), e lo fa essere parte del popolo
1
Per J. HERVADA, la Chiesa raffigura se stessa come «popolo di Dio» («immagine analogica di antica tradizione biblica»), «per evidenziare determinati aspetti del carattere sociale della condizione del cristiano o, che è lo stesso, un determinato modo di comprendere la Chiesa come gruppo sociale, nel contesto della totalità del suo mistero» (Diritto costituzionale canonico, cit., p. 29).
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di Dio 2. A questo popolo, ai singoli fedeli incorporati a Cristo con il battesimo, è affidato il compito di attuare, secondo la condizione di ciascuno, la
missione della Chiesa nel mondo (can. 204). Si radica qui il sacerdozio comune dei fedeli dal quale scaturisce «una vera eguaglianza nella dignità e
nell’agire» per i membri della Chiesa che cooperano alla sua edificazione secondo condizione e compiti di ciascuno (can. 208) 3. In questo modo il concetto di persona nell’ordinamento canonico si dilata e si precisa meglio dal
punto di vista ontologico 4.
Il concilio innova, e supera la visione dualistica della Chiesa che a lungo
ha tenuto distinti chierici e laici quasi fossero dimensioni strutturali e gerarchizzate della societas cristiana 5, operando così una sorta di rivoluzione
copernicana 6. Tuttavia, i principi innovativi devono essere ancora metabolizzati nella mentalità e nell’esperienza ecclesiale evitando due rischi opposti: ritenere che abbiano valore puramente formale mentre la struttura ecclesiastica resta identica a quella del passato; o credere che sia stata annullata ogni differenza tra laici, chierici, religiosi, i quali avrebbero eguale condizione giuridica, tranne che per sfumature marginali. La comune partecipazione alla dimensione sacerdotale e la vera eguaglianza tra i fedeli stanno
a significare che la Chiesa è rappresentata nella storia e nella vita di tutti i
giorni dai battezzati, e come i cristiani si distinguevano dai pagani per la testimonianza di vita che offrivano, così oggi la vita di ogni cristiano è specchio e immagine della Chiesa di fronte agli altri. Se si parte da questo pre2
Sull’argomento, T.I. JIMENEZ URRESTI, Commento al can. 96, in Código de Derecho
Canónico, Madrid 1985, p. 78 ss.; L. NAVARRO, Persone e soggetti nel diritto della Chiesa, Roma 2000, p. 20 ss.
3
Su questo concetto fondamentale del rinnovamento conciliare si rinvia a E. CORECCO,
Profili istituzionali dei movimenti nella Chiesa, in AA.VV., I movimenti nella Chiesa negli
anni ’80, a cura di M. Camisasca e M. Vitali, Milano 1982, p. 203 ss.; D. LE TOURNEAU, Le
sacerdoce commun et son incidence sur les obligations et les droits des fidèles en général et des
laïcs en particulier, in “Revue de Droit Canonique”, 39, 1989, p. 155 ss.
4
Cfr. G. LO CASTRO, Il soggetto e i suoi diritti nell’ordinamento canonico, Milano 1985;
P.A. BONNET, Il problema della soggettività giuridica individuale, in AA.VV., Studi in memoria di Mario Condorelli, vol. I, t. 1, Milano 1988, p. 193 ss.
5
Per la preparazione teologica e culturale delle innovazioni conciliari cfr. Y. M.-J. CONGAR, Per una teologia del laicato (1954), trad. it. Brescia 1967; CH. JOURNET, L’Eglise du Verbe incarné, Paris 1951.
6
J. ESCRIVÀ IVARS, La formalización del estatuto jurídico del fiel-laico, in AA.VV., I principi per la revisione del Codice di Diritto Canonico. La ricezione giuridica del Concilio Vaticano II, a cura di J. Canosa, Milano 2000, p. 351.
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supposto si comprende l’altro principio cardine di derivazione conciliare
per il quale «tutti i fedeli, secondo la propria condizione, devono dedicare
le proprie energie al fine di condurre una vita santa e di promuovere la crescita della Chiesa e la sua continua santificazione» (can. 210) 7.
Santità della vita vuol dire tendere al perfezionamento, e l’incorporazione nella Chiesa con il battesimo non è sufficiente se nella vita reale non traspare una testimonianza cristiana, se i rapporti interpersonali sono improntati all’egoismo, se nell’ambiente di lavoro si agisce con autoritarismo, se
l’esperienza familiare si svolge mettendo tra parentesi la fede. A volte i fedeli ritengono spetti soltanto ai chierici e ai religiosi aspirare alla santità,
mentre chi è laico può permettersi uno stile di vita fluttuante e ricco di difetti. Così pensando, proprio coloro che reclamano l’eguaglianza tra i membri della Chiesa, ripropongono di fatto l’antico dualismo. Altrettanto, la
presunzione di alcuni chierici e religiosi di essere migliori degli altri fedeli,
soltanto per le funzioni che svolgono 8, può provocare tensioni e divisioni.
L’eguaglianza vera è sorretta e alimentata da comportamenti coerenti di
tutte le componenti ecclesiali perché la testimonianza della fede nella vita
quotidiana costituisce il vero patrimonio che la Chiesa può esibire e valorizzare. Una famiglia che si ispira a principi cristiani si distingue laddove le
esperienze affettive siano ritenute tutte intercambiabili e meritevoli di apprezzamento. Un fedele impegnato con scrupolo nel lavoro, sopportandone pesi e patendo ingiustizie, diviene esempio raro per quanti hanno come
regola fare il meno possibile ed esigere il massimo dagli altri. Un dirigente
che tratti con rispetto i collaboratori, distribuisca equamente oneri e onori,
darebbe testimonianza peculiare della giustizia. Un magistrato che esamini
con obiettività i casi che gli sono sottoposti, senza aggredire gli imputati,
che agisca con equità senza cercare visibilità sociale, costituisce oggi quasi
un traguardo di civiltà. Un medico che curi le persone con attenzione e sensibilità sorprenderebbe molti pazienti abituati alla disumanizzazione della
sanità. Per queste ragioni si può parlare di una eguaglianza fondamentale
7
Cfr. A. MONTAN, Obblighi e diritti di tutti i fedeli. Presentazione e commento dei cann.
208-223 del Codice di Diritto Canonico, in “Apollinaris”, LX, 1987, p. 564 ss.; D. LE TOURNEAU, Le sacerdoce commun et son incidence sur les obligations et les droits des fidèles en
général et des laïcs en particulier, cit., p. 160 ss.
8
Riferendosi al medioevo, Alvaro Del Portillo osserva che pian piano «la missione della Chiesa si identifica quasi esclusivamente con il ministero proprio dei chierici, e la perfezione cristiana si considera propria di questi e dei religiosi» (A. DEL PORTILLO, Laici e fedeli nella Chiesa, Milano 1999, p. 15).
5.
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tra tutti i fedeli, in senso personale, sociale e giuridico. L’eguaglianza personale significa che non è possibile «stabilire diversi gradi di filiazione divina;
non si può essere più o meno figlio di Dio: la relazione di filiazione esiste o
non esiste» 9. La filiazione divina chiama tutti alla santità e all’apostolato,
ed esclude l’esistenza di classi o tipi di cristiani con diversi gradi di impegno. L’eguaglianza sociale implica parità nei vincoli di comunione sacramentale, dottrinale, ordinamentale. L’eguaglianza giuridica si riflette sul fatto che tutti i fedeli hanno eguale personalità giuridica, fruiscono degli stessi diritti fondamentali, devono essere trattati in proporzione alle rispettive
attività 10.
Il principio di eguaglianza non esclude la diversità funzionale tra categorie e gruppi di fedeli, che discende dalle personali condizioni di vita 11. Nel
periodo di più tumultuosa contestazione la pretesa egualitaria ha indotto alcuni a svalutare le funzioni dei ministri sacri, i compiti dei religiosi, a chiedere per i fedeli eguali responsabilità nella conduzione della comunità. C’è
in questa tendenza un dato positivo, di reazione alla concezione clericale
della Chiesa, ma l’estremismo porta sempre ad eccessi, come quando si ritiene che qualunque fedele cristiano possa svolgere le funzioni ministeriali
perché le differenze tra ordinati e non ordinati non hanno fondamento; o
quando si afferma che ormai non si può più parlare di status diversi tra laici, chierici, religiosi. Esisterebbe soltanto lo status di fedele, mentre chierici
e religiosi avrebbero soltanto stili di vita diversi, che non incidono nella dimensione ecclesiale. Tutto ciò non risponde alla realtà dei fatti, e delle norme 12. La comunità cristiana è fondata sul principio di varietà, vero cardine
costituzionale richiamato dal concilio Vaticano II: «la Santa Chiesa è, per
9
J. HERVADA, Diritto costituzionale canonico, cit., p. 35. Cfr. G. DALLA TORRE, Considerazioni preliminari sui laici in diritto canonico, Modena 1983.
10
Cfr. G. GHIRLANDA, Diritti fondamentali e carismi nella Chiesa, in AA.VV., I diritti
fondamentali del fedele, Città del Vaticano 2004, p. 8: «le nozioni di christifidelis e di persona esprimono la stessa realtà: l’uomo con il battesimo acquista una soggettività nuova nell’economia della salvezza, in quanto è incorporato a Cristo e alla Chiesa, e conseguentemente una specifica soggettività nell’ordinamento canonico».
11
Sull’argomento, L. NAVARRO, Il principio costituzionale di uguaglianza nell’ordinamento canonico, in “Fidelium iura”, 2, 1992, p. 159 ss.
12
Sull’argomento, V. PARLATO, Status, II) Diritto canonico, in “Enciclopedia giuridica”,
Roma 1993, p. 1 ss.; E. BAURA-J. MIRAS, Notas para una tipología de los fieles a la luz de sus
respectivos statutos jurídicos, in AA.VV., La misión del laico en la Iglesia y en el mundo, Pamplona 1987, p. 345 ss.
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divina istituzione, organizzata e diretta con una mirabile varietà» 13; e se a
tutti i fedeli è chiesto di lavorare «affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini, su tutta la terra», ciò è perché lo Spirito Santo, che opera la santificazione del popolo di Dio per mezzo del ministero e dei sacramenti, elargisce ai fedeli anche doni particolari
(cfr. I Cor, 12,7), «distribuendoli a ciascuno come vuole» (I Cor, 12,11). Il
carisma è il dono che ciascuno di noi può ricevere e che spinge ad impegnarsi nella comunità ecclesiale, e nella società, e può determinare situazioni giuridiche particolari. Spetta alla Chiesa riconoscere i carismi e in qualche modo (ma non troppo) ordinarli, altrimenti ognuno si fa la chiesa che
vuole, ma i carismi sono alla base della varietà di ispirazioni, attività, condizioni di esistenza.
Chi sceglie di donarsi con il sacramento dell’ordine conformerà la propria vita a questo impegno, coinvolgente e assorbente, altrettanto farà chi
segue la vocazione religiosa, quella missionaria, o altro ancora. Anche chi,
colpito dalle nuove emarginazioni (anziani, minori sfruttati, malati gravi o
terminali), si senta spinto a fondare una comunità, un’associazione, un movimento per soccorrere i «poveri della terra», realizzerà (accade a tanti laici) importanti opere caritative. La Chiesa ha sempre sperimentato la molteplicità di doni e carismi, e la rivalutazione del sacerdozio comune dei fedeli
induce oggi a meglio riconoscere i carismi di ciascuno 14. Per questa ragione, si può dire che «il carisma generale della vita laicale non esiste in astratto, bensì in concreto, in carismi personali particolari, i quali il più delle volte rimangono liberi, e non ricevono un’istituzionalizzazione canonica positiva, mentre altri vengono istituzionalizzati dalla Chiesa in modo specifico
come i ministeri laicali (c. 230), vari uffici (cc. 228; 229, n. 3), associazioni
laicali (c. 327), matrimonio (c. 226), e via di seguito» 15. In conclusione occorre riconoscere «che lo Spirito Santo è operoso in tutte le condizioni della Chiesa, che è libero di invitare ed invita di fatto all’apostolato diretta-
13
Lumen Gentium, n. 32.
Sulla funzione dei laici cfr. per tutti, J.I. ARRIETA, Fondamenti della posizione giuridica attiva dei laici nel diritto della Chiesa, in AA.VV., I laici nel diritto della Chiesa, Città del
Vaticano 1987, p. 40 ss.; J. HERVADA, Commento al can. 207, in Código de Derecho Canónico, a cura dell’Instituto Martìn Azpilcueta, Pamplona 1987, p. 170 ss.; G. DALLA TORRE, Sub
tit. II, De obbligationibus et iuribus christifidelium laicorum, in AA.VV., Commento al Codice di diritto canonico, Roma 1985, p. 120 ss.
15
G. GHIRLANDA, Diritti fondamentali e carismi nella Chiesa, cit., p. 25.
14
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mente (…), che nella Chiesa non ci sono categorie di fedeli che siano unicamente passive, alle quali la voce dello Spirito non arrivi, per disposizione
divina, se non attraverso la gerarchia» 16. Il problema vero è che i fedeli per
primi devono convincersi dell’eguaglianza sostanziale tra i membri della
Chiesa, senza avvertire soggezione, e far maturare concretamente questa auto-comprensione 17. Si può prevedere che «la Chiesa avrà al suo interno (…)
disuguaglianze anche marcate, ma non su queste si fonderà la sua immagine più autentica; che è ormai nel nuovo diritto sacro, consegnata a una piattaforma uguale senza gradini» 18. Tuttavia, proprio perché esiste questa varietà di doni e carismi, non si deve pensare che l’eguaglianza dei fedeli appiattisca le diverse esperienze ecclesiali, che non esistono differenze di status tra i fedeli, gli ordinati, i religiosi, perché ciò vorrebbe dire contraddire
la medesima eguaglianza. Il concetto di «stato» non deve essere utilizzato
per accreditare «una visione della Chiesa come societas inequalium», e gli
«stati» non devono essere «intesi come classi di persone» 19, anche perché il
concilio Vaticano II ha archiviato la concezione secondo la quale il titolare
di una potestà ecclesiastica deve ritenersi superiore agli altri 20. Però, non
può negarsi la diversità di condizione giuridica che consegue a determinate
scelte e che il Codex definisce più volte come «status» 21. Si è visto prima come la condizione dei presbiteri, dei vescovi, di altri gradi della gerarchia (e,
si vedrà, anche quella dei religiosi), sia assorbente per chi ne è investito, ricca di diritti, doveri, peculiari incombenze. Pensare che queste situazioni
16
G. RAMBALDI, Uso e significato di «Carisma» nel Vaticano II. Analisi e confronto di due
passi conciliari sui carismi, in “Gregorianum”, 56, 1975, p. 161.
17
L’ineguaglianza della società ecclesiastica dipendeva in precedenza anche da «un determinato contesto giuridico-sociale, quello cioè proprio della configurazione in stati sociali e stati personali» (P.J. VILADRICH, La distinzione essenziale sacerdozio comune – sacerdozio
ministeriale e i principi di eguaglianza e di diversità nel diritto costituzionale canonico moderno, in “Dir. eccl.”, 83, 1972, I, p. 122).
18
P. GROSSI, Novità e tradizione nel diritto sacro (Dall’uno all’altro Codice di diritto canonico), in “Foro it.”, CVI, 1983, V, c. 177. Sull’argomento ampiamente, G. BONI, L’uguaglianza fondamentale dei fedeli nella dignità e nell’azione, in AA.VV., I diritti fondamentali
del fedele, cit. p. 29 ss.
19
G. GHIRLANDA, Diritti fondamentali e carismi nella chiesa, cit., p. 20.
20
Cfr. J. FORNES, La noción de «status» en Derecho Canónico, Pamplona 1975, p. 327 ss.
21
Cfr. CIC, cc. 194, n. 1; 207, n. 2; 216; 219; 226, n. 1; 247, n. 1; 278, nn. 1, 3; 282, n. 2;
285, n. 2; 289, nn. 1, 2; 290-293, ecc. Sull’argomento, A. LONGHITANO, Laico, persona, fedele cristiano. Quale categoria giuridica fondamentale per i battezzati?, in AA.VV., Il fedele cristiano (Coll. Il Codice del Vaticano II - Dir. A. Longhitano), Bologna 1989, p. 51.
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non comportino uno status personale, distinto da quello degli altri, vorrebbe dire negare la realtà e affermare un diritto inesistente 22.
2. Diritti e doveri dei fedeli. Questioni preliminari.
Il concilio Vaticano II ha meglio definito la condizione giuridica dei fedeli e individuato alcuni loro diritti e doveri fondamentali, ma si tratta di un
ambito del diritto canonico da esaminare con discernimento, evitando l’uso
di categorie civilistiche che causerebbero fraintendimenti. Quando negli
ordinamenti civili si parla di diritti e di obblighi queste parole si inquadrano in un’ottica rivendicazionista e di sanzionamento, amministrativo o penale. Il concetto di diritto presuppone una alterità tra titolare e quanti devono rispettarne le scelte, ed una procedura di tutela senza la quale l’aspettativa resterebbe in un limbo di aleatorietà. Il diritto è quindi azionabile, e
nell’azione processuale l’alterità si fa più dura, implica un contenzioso fondato su regole necessarie all’accertamento della verità, che resta comunque
una verità processuale.
Non mancano nell’ordinamento della Chiesa situazioni valutabili in questo schema 23, però, molte cose suggeriscono una diversa lettura dei diritti e
dei doveri dei fedeli. L’ordinamento canonico non prevede tutti i diritti e i
doveri che possono presentarsi nella vita sociale, perché per la gran parte di
essi provvede l’ordinamento dello Stato nel quale il cittadino-fedele opera.
Ad esempio è inutile che il diritto canonico disciplini i diritti e i rapporti di
proprietà (se non per ciò che afferisce specificamente ai beni e ai diritti della Chiesa), non ne ha competenza, se ne occupa lo Stato. Se mai, alcune violazioni della correttezza nei rapporti interpersonali possono incidere in foro interno ed essere rilevanti per la coscienza. Analogamente, come si vedrà
più avanti, il diritto penale canonico prevede reati che sono tali anche per lo
Stato, ma ne tralascia altri, e sanziona comportamenti che per lo Stato non
rilevano. Si dà ancora il caso di diritti che non possono, per definizione, en-
22
Cfr., ampiamente, P. LOMBARDIA, La persona en el ordinamento canónico (Posibilidades de un Derecho Canónico de la persona), in ID., Escritos de Derecho Canónico, vol. III,
Pamplona 1974, p. 57 ss.
23
Su questo profilo della tutela dei diritti dei fedeli si rinvia a D. CITO, La tutela dei diritti fondamentali del fedele nell’ordinamento canonico, in AA.VV., I diritti fondamentali dei
fedeli, Città del Vaticano 2004, pp. 175-177.
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trare nell’orizzonte canonico, come il diritto di fondare partiti politici, associazioni profane, strutture aziendali. Né può trovare spazio il diritto di libertà religiosa nella sua latitudine civile. Quindi, bisogna tener presente che
nell’ordinamento canonico acquistano rilievo soltanto diritti, e doveri, connessi con la natura della Chiesa e con la sua strutturazione comunitaria.
Inoltre, quel concetto di alterità che è tanto caratteristico nella dinamica
dei diritti civili si presenta in modo assai peculiare nell’ordinamento canonico 24. Il quale si fonda sulla adesione volontaria dell’individuo, sulla scelta di seguire un itinerario che trova eco nella coscienza, e risponde in qualche modo a principi di carità e partecipazione che costituiscono la base stessa della comunione ecclesiale. Ciò vuol dire che anche i momenti di conflitto vanno risolti nella Chiesa con atteggiamento diverso da quello di chi rivendica un diritto civile. Per fare un esempio, un fedele cui venga negato un
sacramento, ad esempio l’eucaristia, può certamente ricorrere al vescovo
per veder rispettato il proprio diritto, ma se lo fa con lo stesso animus pugnandi con cui si ricorre al TAR, o si adisce il tribunale civile, chiunque
comprende che c’è qualcosa che non va. Come c’è qualcosa che non va se i
fedeli occupano la parrocchia (per resistere ad una decisione del parroco o
del vescovo) come i lavoratori occupano una fabbrica. È giusto ricordare
che «non possono essere considerati accettabili tutte le forme e tutti i modi
di difendere, rivendicare o esercitare i diritti fondamentali incompatibili
con lo spirito cristiano» 25.
Quasi sempre al diritto di un fedele corrisponde il dovere di un altro
soggetto che svolge determinate funzioni, ed anche questo dovere è profondamente diverso rispetto ad un obbligo civile. Gli ordinati in sacris, quando esercitano il ministero devono uniformare il proprio comportamento allo spirito di carità e di sollecitudine nei confronti dei fedeli, e ciò vuol dire
che nulla va fatto che offenda o divida le persone nell’amministrazione dei
24
Per questo aspetto, messo in risalto dalla dottrina, cfr. D. LE TOURNEAU, Les droits et
les devoirs fondamentaux des fidèles et la communion dans l’Eglise, in Pontificium Consilium
de Legum Textibus Interpretandis, Ius in vita et in missione Ecclesiae, Città del Vaticano
1994, p. 368 ss. Per un problema particolare cfr. A. VITALONE, Buona fama e riservatezza in
diritto canonico, in “Ius Ecclesiae”, 14, 2002, p. 261 ss.
25
J. HERVADA, Diritto costituzionale canonico, cit., p. 102. Per l’Autore sono «perfettamente ammissibili sia la fortezza nell’esigerli, benché talora provochi situazioni dolorose,
sia l’astensione responsabile, se così lo esigano valori superiori. Sono, in cambio, inaccettabili la violenza, la lesione della carità cristiana – legge suprema – o dei vincoli di comunione, l’irriverenza nei confronti della gerarchia, ecc.» (ibidem).
I fedeli cristiani
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sacramenti, nella celebrazione dei riti, nell’azione pastorale. Non è giusto,
ad esempio, far celebrare la messa per una famiglia ad un chierico che sia in
urto con i suoi componenti, ne deriverebbero sentimenti negativi e scandalo per i membri della famiglia stessa. Quando un sacerdote deve negare un
sacramento, perché il fedele non è in condizione di poterlo ricevere (scomunicato, o in stato notorio di peccato grave) deve fare il possibile perché
il fedele si astenga dal chiederlo pubblicamente, per evitare che il rifiuto
pubblico provochi turbamento nella comunità locale. Analogamente, i presbiteri devono astenersi dal favorire o fomentare divisioni nella comunità
per motivi squisitamente politici, perché così facendo violerebbero il diritto dei fedeli alla libertà di opinione e di scelta in materia temporale, mischierebbero la propria missione con una dimensione che le è estranea. Insomma, i doveri dei chierici hanno una dimensione prudenziale e pastorale
che non ha nulla a che vedere con il profilo formale e burocratico dei doveri dei funzionari civili. Vi sono poi doveri dei fedeli che hanno grande importanza, ma coinvolgono la dimensione della coscienza ed hanno una latitudine apprezzabile a seconda delle circostanze. Il dovere di perseguire la
santità, prima richiamato, riguarda tutti i fedeli, e la sua osservanza non può
essere valutata in termini giuridici, o posta alla base di provvedimenti che
devono essere adottati sulla base di altri criteri o presupposti. Però, vi sono
situazioni nelle quali la Chiesa agisce con valutazioni e apprezzamenti discrezionali che in qualche modo coinvolgono la condotta del soggetto, il
suo comportamento morale, la propensione a fare scelte eticamente apprezzabili, come nel caso di affidamento di incarichi di tipo ecclesiale. È vero, infine, che esistono diritti-doveri dei fedeli giuridicamente non formalizzati, ma che scaturiscono dai principi generali dell’ordinamento della
Chiesa. Così, il diritto ad esercitare i propri carismi si ripercuote in situazioni nelle quali i fedeli «plasmano il proprio personale cammino in Dio» 26
e che investono la formazione di associazioni, la partecipazione ai movimenti ecclesiali, il diritto-dovere del migrante alla salvaguardia della propria identità ecclesiale, diritti umani come i diritti dei «poveri assoluti» che
sono referenti della carità cristiana che costituisce un dovere della Chiesa e
dei fedeli.
È ancora necessario, per comprendere la tematica dei diritti e dei doveri
nell’ordinamento della Chiesa, tener presente l’orizzonte complessivo nel
26
P.A. BONNET, I diritti-doveri fondamentali del fedele non formalizzati nella positività
canonica umana, in AA.VV., I diritti fondamentali del fedele, cit., p. 139.
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quale essi esistono, e possono essere esercitati, rispetto agli ordinamenti statali. Si tratta di una differenza percepita da molti Autori, i quali osservano
che i diritti del fedele riflettono la sua piena partecipazione all’unica missione della Chiesa 27, e che «nella Chiesa non si tratta in alcun modo di proclamare dei diritti inerenti alla persona umana come limite di fronte al potenziale assolutismo del potere statale e fondati sulla loro «preesistenza» nei
confronti della società, ma, si potrebbe quasi dire, per il motivo opposto» 28.
Manca l’orizzonte rivendicazionista tipico degli ordinamenti civili, perché
«il riconoscimento dei diritti fondamentali non comporta negli altri fedeli
un atteggiamento di astensione in vista del loro pacifico esercizio da parte
del titolare, ma esattamente il contrario, cioè un dovere anche giuridico, che
si manifesta a diversi livelli e con modalità differenziate, di consentirne e
promuoverne l’esercizio» 29. Si tratta di un concetto da esaminare più da vicino. Nella Chiesa ogni diritto e ogni dovere enunciato è potenzialmente
realizzabile con l’adesione convinta di tutti i diretti interessati, e la realizzazione di ciascuno di essi rappresenta la norma, mentre la violazione e l’ostacolo costituiscono le eccezioni. Se così non fosse, se i diritti dei fedeli dovessero essere conquistati a fatica, con rivendicazioni aspre, sarebbero messe in discussione le basi stesse della convivenza ecclesiale 30. Altrettanto, gli
ostacoli che si frappongono all’esercizio di questi diritti, più che a livello
procedurale, dovrebbero essere superati con un metodo consono alla natura della comunità ecclesiale 31. In altri termini, l’area del conflitto per l’eser-
27
Per J. HERVADA, «i diritti fondamentali del fedele non sono come i diritti soggettivi di
cui tratta il diritto della persona, sfere di dominio che possono essere trasferite o alienate o
cui si può rinunziare; al contrario, sono espressioni dell’ordine primario del popolo di Dio
nella sua dimensione istituzionale, sottratti alla disponibilità del fedele» (Diritto costituzionale canonico, cit., p. 96). Sull’argomento, C.J. ERRAZURIZ M., Corso fondamentale sul diritto della Chiesa. I. Introduzione. I soggetti ecclesiali di diritto, Milano 2009.
28
D. CITO, La tutela dei diritti fondamentali del fedele nell’ordinamento canonico, cit., p.
177.
29
Ivi, p. 181.
30
Per C.J. ERRAZURIZ M., il rapporto giuridico prioritario che si crea con il battesimo è
costituito dalla relazione di comunione che si stabilisce tra i fedeli, che determina l’eguaglianza tra di essi (Riflessioni sul rapporto tra battesimo e situazione giuridico-canonica della
persona, in “Fidelium Iura”, 6, 1996, p. 148).
31
Per D. CITO «la tutela dei diritti fondamentali dei fedeli avviene principalmente attraverso il corretto rapporto autorità-fedeli, ossia che sappia coniugare adeguatamente
l’esercizio della sacra potestas con il rispetto e la promozione dei diritti dei fedeli, più che attraverso gli strumenti amministrativi o giurisdizionali di “autotutela” del fedele che rappre-
I fedeli cristiani
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cizio dei diritti dei fedeli è assai ridotta perché chi deve favorirli lo fa con
adempimento convinto dei propri doveri. Normalmente gli ordinati in sacris ci tengono molto a dispensare i mezzi sacramentali, ed i fedeli desiderano sinceramente che i chierici vivano in un ambiente positivo, di accoglienza e fraternità. Se questi presupposti mancano del tutto, le situazioni di crisi non si risolvono con il ricorso a tribunali e procedure ecclesiastiche, ma
con il ripristino di un idem sentire necessario alla comunità cristiana.
3. Diritto alla vita spirituale e ai mezzi di santificazione.
I fedeli hanno diritto di ricevere abbondantemente dai sacri pastori l’aiuto dei beni spirituali, soprattutto la parola di Dio e i sacramenti 32. Questo
può essere considerato il primo dei diritti fondamentali dei fedeli alla luce
della Lumen Gentium e del can. 213, e conferma ancora una volta che l’appartenenza alla Chiesa si manifesta in primo luogo in una dimensione spirituale e con la fruizione dei sacramenti. Un cristiano che non preghi, non abbia una vita interiore, non senta il bisogno di confessarsi o comunicarsi, nella migliore delle ipotesi è un cristiano in quiescenza, passivo, segnato dalla
secolarizzazione. La fruizione minima dei sacramenti, in occasione del matrimonio, del battesimo per i figli, dell’eucaristia in rari casi, del conforto religioso in fin di vita, deve essere vista con comprensione, perché sta lì a dimostrare che la vita cristiana non si è esaurita, che la fede si fa sentire nei
momenti salienti dell’esistenza come traccia da seguire, quasi nostalgia di
una ricchezza interiore che non si vuole perdere del tutto. Però, la scarsa
partecipazione alla vita sacramentale allenta i vincoli, diminuisce l’appartenenza, impedisce che al fedele di avere coscienza dei propri diritti.
Il diritto è riconosciuto ai fedeli come veri titolari, e non dovrebbe subire limitazioni, ma può coinvolgere altri soggetti ed essere sottoposto a condizioni. Si discute se i genitori abbiano il diritto all’amministrazione del battesimo per il proprio figlio, e qualche controversia nasce quando il sacerdote chiede garanzie per l’educazione religiosa del bambino. È un esempio di
controversia che, condotta con saggezza, può risolversi senza chiasso: il sosentano soltanto mezzi estremi (…) che l’ordinamento canonico certamente prevede» (La
tutela dei diritti fondamentali del fedele, cit., p. 183).
32
Cfr. J.L. GUTIERREZ, La llamada universal a la santidad en el estado jurídico del fiel cristiano, in “Ius Canonicum”, 42, 2002, p. 491 ss.
130
La Chiesa tra storia e diritto
lo fatto che i genitori insistano nel volere il battesimo per il figlio è segno di
volontà cristiana e il dialogo può aiutare a comprendere quali sono i doveri
che discendono dal battesimo. Altre volte, il diritto è sottoposto a condizioni che il fedele può valutare solo nella propria coscienza, perché ci si può
accostare all’eucaristia se non si versi in grave peccato. Il fedele conosce la
propria situazione di foro interno, e accedere all’eucaristia senza chiedere
l’assoluzione sarebbe prova di leggerezza di chi inganna sé stesso, oltre che
inizio di nuova colpa. Il diritto di accedere al sacramento della penitenza, e
all’assoluzione, è subordinato al pentimento interiore ed all’accettazione
delle condizioni poste per la riconciliazione. Può darsi il caso (già ricordato) di veri impedimenti a ricevere i sacramenti per una condizione stabile
del fedele, di divorziato da matrimonio canonico e risposato civilmente (o
comunque convivente), o di scomunicato e allontanato dalla Chiesa.
Il can. 210 riconosce il diritto dei fedeli di rendere culto a Dio secondo
le disposizioni del proprio rito approvato dalla Chiesa e seguire un proprio
metodo di vita spirituale, purché conforme alla dottrina. Il diritto al proprio
rito ha un contenuto giuridico preciso perché riguarda l’appartenenza del
fedele ad una Chiesa storica (di rito latino, o di riti orientali 33), e nel caso in
cui il fedele appartenga ad un rito di minoranza devono essere disponibili le
strutture necessarie, sempre che lo chieda un numero sufficiente di persone. Questione analoga, ma diversa, quella relativa alla richiesta di fedeli che
vogliano seguire la c.d. messa in latino, dopo la sua riammissione da parte
di Benedetto XVI nel 2007. Non si tratta di un vero diritto, ma di un caso
nel quale viene messa alla prova la saggezza dei ministri. Se c’è un congruo
numero di fedeli che lo chiede, si deve consentire la celebrazione rendendola fruibile dai fedeli (orario normale, informazione, minimo di continuità
liturgica). Questione più complessa è il diritto a seguire un proprio metodo
di vita spirituale, purché sia conforme alla dottrina della Chiesa. Il concetto
di diritto si fa più sfumato perché si riferisce a qualcosa che è difficilmente
inquadrabile in senso giuridico, ed è misurabile in un rapporto diretto tra
fedele, ministri sacri, guide spirituali. C’è chi è incline alla preghiera individuale, all’intimo colloquio con Dio, chi preferisce la preghiera comunitaria,
chi trova appagamento nella formazione interiore coltivata con la lettura e
33
Le tradizioni storiche sono quelle Alessandrina (rito Copto ed Etiopico), Antiochena
(rito Malankarese, Maronita, Siro), Armena (rito Armeno), Caldea o Siro-Orientale (rito
Caldeo e Malabarse), Costantinopolitana o Bizantina (rito Albanese, Bielorusso, Bulgaro,
Greco, Greco-Melkita, Italo-Albanese, Romeno Russo, Ruteno, Slovacco, Ucraino, Ungherese). Cfr. ANNUARIO PONTIFICIO 2007, p. 1167 ss.
I fedeli cristiani
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l’approfondimento teologico, e chi vive la propria fede all’interno di comunità particolari. Oggi, con lo sviluppo dell’immigrazione, ci sono forme di
partecipazione comunitaria assai singolari, con suono di tamburi, canti inusuali per la nostra tradizione, che possono creare disorientamento in altri fedeli, e che (senza esagerare) vanno compresi e integrati in un orizzonte di
multiculturalità ecclesiale.
Il diritto a ricevere la parola di Dio, che assume il carattere di diritto-dovere, è divenuto decisivo nella società moderna. I mezzi multimediali che
influenzano l’opinione pubblica, la velocità dell’informazione che dà apparenza di verità a cose assurde, una certa tendenza della scuola ad espungere
valori etici dal novero dell’orizzonte formativo dei giovani, tutto ciò dà
maggiore importanza alla trasmissione del messaggio evangelico nella sua
integrità, e al diritto-dovere dei genitori di scegliere mezzi e istituzioni che
diano garanzie per l’educazione religiosa dei figli (can. 793, par. 1). In questo senso, il can. 217 riconosce il diritto dei fedeli all’educazione cristiana,
per conseguire la maturità della persona, vivere il mistero della salvezza.
Altro diritto fondamentale dei fedeli è quello di essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita (can. 219). Può sembrare un diritto ovvio, ma nella Chiesa assume un significato particolare, perché la scelta di rimanere laico, sposarsi o meno, optare per la vita religiosa, chiedere
l’ordinazione, condiziona l’esistenza del fedele e influenza la missione della
Chiesa. In alcune epoche, più o meno indirettamente, venivano incentivate le
scelte a favore dello stato clericale, o religioso, mentre oggi la società tende a
scoraggiare queste opzioni denigrandole e schernendole, così come la scelta
matrimoniale può essere compiuta senza la consapevolezza del carattere sacramentale del matrimonio e degli obblighi che ne derivano. D’altra parte, il
progresso nelle scienze psicologiche rende tutti più attenti a garantire una effettiva libertà interiore, dimodoché questo diritto richiede a coloro che possono incidere sulla scelta da compiere (autorità ecclesiastiche, religiose, fedeli) una speciale attenzione e sensibilità per evitare condizionamenti in un
senso o nell’altro. Il diritto in questione viene in rilievo anche quando la persona si rende conto di non riuscire a sopportare gli obblighi del proprio status, ad esempio di chierico e di religioso, ed infatti l’ordinamento canonico
prevede la possibilità di abbandonare lo stato di vita prescelto, fermi restando obblighi specifici conseguenti. Però, non esiste tecnicamente un diritto ad
essere laico, in quanto questa è la condizione originaria di tutti i fedeli, mentre il diritto al matrimonio è un diritto naturale che spetta a chiunque, e nel
fedele si configura come diritto di celebrare le nozze nella forma sacramentale. Un diritto-dovere speciale riguarda tutti i fedeli ai quali spetta di impe-
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La Chiesa tra storia e diritto
gnarsi perché l’annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli
uomini di ogni tempo e di ogni luogo (can. 211) 34. Da qui discende, anche,
il diritto dei laici i quali «sono tenuti all’obbligo generale e hanno il diritto di
impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in associazioni, perché l’annuncio divino della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo.
Tale obbligo è più urgente nelle situazioni in cui gli uomini non possono
ascoltare il Vangelo e conoscere Cristo se non per mezzo loro» (can. 225, par.
1). Va detto che il dovere di svolgere apostolato (di questo si tratta) è anche
dei ministri sacri e dei religiosi, a cominciare dal papa e dai vescovi, ma l’apostolato gerarchico non è quello dei fedeli, essendo connesso ad uno status
particolare e regolato da numerose altre norme 35. L’apostolato dei fedeli è insito nella partecipazione alla missione della Chiesa e conseguente al sacerdozio comune dei fedeli. A volte si tratta di un obbligo specifico, come nel caso dei genitori che devono educare religiosamente i figli 36.
4. Diritti personali.
L’ordinamento canonico riconosce diritti che, pur connessi alla comunione dei fedeli con la Chiesa, sono specificamente diretti a tutelare alcuni
profili della personalità individuale, ed in qualche modo si intrecciano con
diritti civili. Un diritto importante è previsto dal can. 212, par. 2, per il quale «i fedeli sono liberi di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri». Si tratta di un diritto che
evoca la libertà di parola, ma assume particolari connotazioni nella realtà
ecclesiale. Lo stesso can. 212 prevede che «in rapporto alla scienza, alla
competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta
anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo
inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone» (par. 3). Inoltre,
34
Sull’argomento cfr. D. MOGAVERO, La libertà fondamentale del fedele: salvezza, annuncio, sacramenti, in AA.VV., I diritti fondamentali del fedele, cit., p. 191 ss., in particolare pp. 194-195.
35
Cfr. A.M. PUNZI NICOLÒ, Riflessioni sul concetto di laico nel nuovo Codex, in AA.VV.,
Raccolta di scritti in onore di Pio Fedele, vol. I, Perugia 1984, p. 385.
36
Cfr. J.I. ARRIETA, La posizione giuridica della famiglia nell’ordinamento canonico, in
“Ius Ecclesiae”, 7, 1995, p. 552 ss.
I fedeli cristiani
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i fedeli, «consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare
con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano
Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della
Chiesa» (par. 1). La Chiesa non è un agone politico dove tutto (e di più) è
possibile e lecito, ma il diritto del fedele ad esprimere una propria opinione
diviene un dovere. Ad esempio, su quanto accade in un determinato momento, o in una struttura ecclesiastica, su ciò che compiono alcuni ordinati
in sacris, o alcuni fedeli, se si tratta di vicende che incidono sulla vita comunitaria. Ci sono casi nei quali tacere e nascondere i fatti e le opinioni, oltre a
essere contrario alla giustizia, fa più male e dà più scandalo che non farle
presente. È giusto dire che ogni cosa richiede misura, e presuppone conoscenza e competenza, ma la misura spesso è determinata anche dalla gravità
dei fatti: sarebbe meglio che certe scelte storiche sbagliate della Chiesa fossero state criticate subito e non dopo qualche secolo, e che certi scandali
fossero scoppiati prima per evitarne degli altri successivi. Connesso al diritto appena citato è la libertà, per chi si dedica alle scienze sacre, di investigare e di manifestare con prudenza il proprio pensiero su ciò di cui sono
esperti, pur conservando ossequio nei confronti del magistero della Chiesa
(can. 218).
Il can. 220 enuncia altri diritti dei fedeli, quando afferma che «non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità». Il diritto alla
buona fama non coincide con la tutela della reputazione che trova eco nei
codici civili, ma si riferisce alla sua tutela in ambito ecclesiale. Può sembrare singolare una previsione del genere, ma essa è molto opportuna perché,
pur aspirando alla perfezione, i cristiani non sono esenti da eccessi di protagonismo, smisurata considerazione di sé (superbia), sentimenti di invidia,
che possono portare a parlar male di altri. Capita ad es. che chi è impegnato in un istituto religioso, in una associazione, in una iniziativa ecclesiale,
esalti le qualità e i meriti dell’istituto di appartenenza, e sminuisca qualità e
meriti di altri istituti o iniziative; oppure che, in vista di un determinato incarico, si sviliscano i concorrenti, con parole, scritti, insinuazioni. In attesa
di raggiungere un buon livello di correttezza, la previsione del diritto alla
buona fama sta lì a garantire i singoli dagli eccessi della concorrenza ecclesiale, o della malizia, che di rado varcano la soglia del tribunale ecclesiastico (a volte è accaduto) ma sono sempre avvilenti e sgradevoli. Il diritto all’intimità, poi, non coincide con il diritto alla riservatezza, ma ha un profilo
tipicamente canonico perché accade sovente che si sia a conoscenza di fatti
riservati, anche in virtù della confidenza che sussiste tra fedeli, ministri, re-
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