Olocausto (documento)

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OLOCAUSTO
Con il termine Olocausto si intende la persecuzione e lo stermino sistematici di circa sei milioni di
Ebrei, attuati con burocratica organizzazione dal regime Nazista e dai suoi collaboratori. “Olocausto” è
un termine di origine greca che significa “sacrificio tramite il fuoco”. I Nazisti, che raggiunsero il potere
in Germania nel gennaio del 1933, erano convinti che il popolo tedesco fosse una “razza superiore” e
che gli Ebrei, ritenuti invece “inferiori”, rappresentassero un entità estranea e un pericolo per
l’omogeneità razziale della popolazione germanica.
Durante il periodo dell’Olocausto, le autorità tedesche presero di mira anche altri gruppi ritenuti di
“razza inferiore”: ad esempio, i Rom (gli Zingari), i disabili e le popolazioni slave (Polacchi, Russi e
altri). Alcuni gruppi vennero invece perseguitati per le loro idee politiche, per il loro credo ideologico o
a causa di determinate caratteristiche comportamentali: in particolare, coloro che credevano negli ideali
del Comunismo e del Socialismo, i Testimoni di Geova e gli omosessuali.
Nel 1933, la popolazione ebraica in Europa era costituita da circa nove milioni di persone. La maggior
parte viveva in quelle nazioni che, durante la Seconda Guerra Mondiale, sarebbero state occupate dalla
Germania Nazista, o ne avrebbero, in diverse forme, subito l’influenza. Prima che la guerra giungesse al
termine, nell’aprile del 1945, due Ebrei su tre sarebbero morti per mano dei Tedeschi e dei loro
fiancheggiatori, nell’ambito della cosiddetta “Soluzione Finale”, termine usato dai Nazisti per indicare
l’assassinio degli Ebrei d'Europa. Anche se gli Ebrei – considerati dai Tedeschi la maggiore minaccia
per la Germania – furono le vittime principali del razzismo nazista, l’elenco dei morti incluse anche
200.000 Rom, mentre almeno 200.000 pazienti fisicamente o mentalmente inabili – la maggior parte dei
quali di nazionalità tedesca – trovarono la morte all’interno di ospedali e strutture pubbliche, a seguito
del cosiddetto “Programma Eutanasia”.
Nel periodo in cui la tirannia nazista dominò gran parte dell’Europa, oltre agli Ebrei, i Tedeschi e i loro
collaboratori perseguitarono e sterminarono milioni di persone appartenenti ad altri gruppi. In
particolare, tra i due e i tre milioni di prigionieri di guerra sovietici furono immediatamente assassinati,
o trovarono la morte per inedia, malattia, mancanza di cure o maltrattamenti. Oltre a ciò, i Tedeschi
perseguitarono e uccisero gran parte degli intellettuali polacchi non-ebrei, e deportarono milioni di
civili sia polacchi che sovietici in Germania e nella Polonia occupata, destinandoli ai lavori forzati.
Molti di loro morirono a causa delle condizioni disumane in cui furono costretti a vivere e lavorare. Sin
dall’inizio del Regime Nazista, le autorità tedesche perseguitarono gli omosessuali e altri gruppi le cui
abitudini erano considerate contrarie alle norme sociali del tempo. La polizia tedesca prese di mira
migliaia di oppositori politici (tra i quali comunisti, socialisti e sindacalisti), nonché dissidenti religiosi
(come i Testimoni di Geova). Molti di loro morirono in carcere, o per i maltrattamenti subiti.
Già nei primi anni del Regime Nazista, il governo nazionalsocialista aveva creato campi di
concentramento con il fine di imprigionare veri o presunti oppositori politici. Negli anni
immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale, il numero di Ebrei, di Rom e di altre vittime
dell’odio razziale, imprigionate nei campi di concentramento dalle SS e dalla polizia, crebbe
costantemente. Al fine di concentrare la popolazione ebraica - e poterla così controllare e deportare con
maggiore facilità - durante gli anni di guerra i Tedeschi e i loro collaboratori crearono appositi ghetti,
nonché campi cosiddetti di transito e altri destinati al lavoro forzato. Volendo sfruttare anche le
popolazioni non ebraiche, i tedeschi crearono ulteriori campi di lavoro forzato, sia nella cosiddetta
Grande Germania che nei territori occupati.
Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica, nel giugno del 1941, Unità Speciali Operative (Einsatzgruppen)
e, più tardi, battaglioni di polizia militarizzati, vennero trasferiti al di là delle linee tedesche, per portare
a termine assassinii di massa contro Ebrei, Rom e rappresentanti del Partito Comunista o dello stato
Sovietico. Membri delle SS e unità di polizia, coadiuvate da unità dell’esercito e dalle SS Combattenti
(Waffen SS), uccisero più di un milione di Ebrei, uomini, donne e bambini, e centinaia di migliaia di
non-ebrei. Tra il 1941 e il 1944, le autorità naziste deportarono milioni di Ebrei dalla Germania, dai
territori occupati e dai paesi alleati con l’Asse, verso i ghetti e verso i centri espressamente destinati
all’uccisione dei prigionieri e meglio conosciuti come campi di sterminio. Qui, i detenuti venivano
uccisi in camere a gas appositamente costruite.
Negli ultimi mesi della guerra, nel tentativo di impedire agli Alleati la liberazione di un elevato numero
di prigionieri, guardie appartenenti alle SS cominciarono a trasferire i detenuti dai campi, con l’ausilio o
di convogli ferroviari o di marce forzate; queste ultime divennero poi note con il termine “marce della
morte”. Avanzando in Europa, a seguito di una serie di offensive contro i Tedeschi, gli Alleati
cominciarono a incontrare e a liberare i prigionieri dei campi di concentramento, così come quelli in
marcia forzata da un campo all’altro. Tali marce continuarono fino al 7 maggio 1945, cioè il giorno in
cui le forze armate tedesche si arresero incondizionatamente agli Alleati. Per coloro che si trovavano
nella zona occidentale, la Seconda Guerra Mondiale terminò ufficialmente il giorno seguente, 8 Maggio
1945 (“V-E Day” o giorno della Vittoria in Europa), mentre l’Unione Sovietica annunciò il proprio
“Giorno della Vittoria” il 9 Maggio 1945.
Nel periodo immediatamente successivo all’Olocausto, molti dei sopravvissuti trovarono rifugio nei
campi profughi allestiti dalle potenze alleate. Tra il 1948 e il 1951, quasi 700.000 Ebrei emigrarono in
Israele, inclusi 136.000 profughi provenienti dall’Europa. Altri emigrarono negli Stati Uniti e in altre
nazioni. L’ultimo campo profughi venne chiuso nel 1957. I crimini commessi durante l’Olocausto
devastarono la maggior parte delle comunità ebraiche d'Europa e ne eliminarono completamente altre
centinaia che risiedevano nella parte orientale occupata dai tedeschi.
Tra il 1933 e il 1945, la Germania Nazista e i loro alleati crearono più di 40.000 campi di concentramento
e altre strutture carcerarie. Questi campi furono usati per diversi scopi, tra i quali i lavori forzati, la
detenzione di chi era considerato nemico dello Stato, e l'eliminazione in massa dei prigionieri. Il
numero complessivo di queste strutture continua a crescere grazie all'analisi dei dati lasciati dai Nazisti
stessi.
I PRIMI CAMPI
Fin dal suo avvento al potere, avvenuto nel 1933, il regime Nazista aveva cominciato a realizzare una
serie di strutture destinate a imprigionare e poi eliminare i cosiddetti “nemici dello Stato”. La maggior
parte dei prigionieri, in quel primo periodo, era costituita da cittadini tedeschi: comunisti, socialisti,
social-democratici, Rom (Zingari), Testimoni di Geova, omosessuali, e individui accusati di
comportamenti ritenuti asociali o devianti. Queste strutture venivano chiamate “campi di
concentramento” in quanto servivano a “concentrare” fisicamente i prigionieri in un unico luogo.
Dopo l’annessione dell’Austria alla Germania, nel marzo 1938, i Nazisti cominciarono ad arrestare gli
Ebrei tedeschi ed austriaci e a imprigionarli nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e
Sachsenhausen, in Germania. Dopo i violenti pogrom della Notte dei Cristalli (Kristallnacht) nel
novembre del 1938, i Nazisti cominciarono ad arrestare in massa gli Ebrei adulti di sesso maschile,
incarcerandoli poi nei campi per brevi periodi.
CAMPI DESTINATI AI PRIGIONIERI DI GUERRA E AI LAVORI FORZATI
Dopo l’invasione della Polonia, nel settembre 1939, i Nazisti costruirono diversi campi dove i
prigionieri erano costretti ai lavori forzati e dove migliaia di loro morirono a causa della fatica, della
malnutrizione o dell'esposizione alle intemperie. La direzione e la conduzione dei campi di
concentramento erano affidate a unità delle SS. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la rete dei campi
nazisti si ampliò rapidamente. In alcuni di essi, i medici nazisti usarono i prigionieri come cavie per i
loro esperimenti.
Dopo l'invasione dell’Unione Sovietica, iniziata nel giugno del 1941, i Nazisti aumentarono il numero
di campi destinati ai prigionieri di guerra, costruendonli accanto ai complessi già esistenti nella Polonia
occupata, come ad esempio quello di Auschwitz. Il campo costruito vicino a Lublino - aperto
nell’autunno del 1941 e conosciuto poi come il campo di Majdanek - fu destinato inizialmente a ospitare
prigionieri di guerra e diventò un vero e proprio campo di concentramento nel 1943. Migliaia di
prigionieri di guerra sovietici furono uccisi a Majdanek, o tramite fucilazione o asfissiati con il gas.
I CENTRI DI STERMINIO
Per realizzare la “Soluzione Finale” (il genocidio o eliminazione di massa degli Ebrei) i Nazisti
costruirono diversi campi di sterminio in Polonia, il paese con la popolazione ebraica più numerosa. I
campi di sterminio furono progettati con l’obiettivo di creare un’efficiente macchina per l’eliminazione
in massa dei prigionieri. Tra questi, Chelmno fu il primo a essere realizzato e divenne operativo nel
dicembre 1941. Qui Ebrei e Rom venivano uccisi con i gas di scarico di furgoni che erano stati
appositamente modificati. Nel 1942, i Nazisti misero in funzione i campi di sterminio di Belzec, Sobibor
e Treblinka per eliminare gli Ebrei del Governatorato Generale (il territorio all’interno della Polonia
occupata dai Tedeschi).
I Nazisti costruirono le camere a gas (cioè ampi vani in cui i prigionieri venivano uccisi con il gas
velenoso) per attuare lo sterminio in modo efficiente, ma anche perchè questo metodo rendeva il
processo più impersonale per coloro che dovevano portarlo a termine. Il sottocampo di sterminio di
Birkenau, che faceva parte del complesso di Auschwitz, era dotato di quattro camere a gas, nelle quali,
durante il periodo in cui le deportazioni raggiunsero la maggiore intensità, furono uccisi fino a 6.000
Ebrei al giorno.
Gli Ebrei che vivevano nelle zone occupate dai Nazisti venivano spesso prima deportati in campi di
transito, come Westerbork, in Olanda, o Drancy in Francia, per poi proseguire verso i campi di
sterminio nella Polonia occupata. I campi di transito rappresentavano, di solito, l’ultima fermata prima
della deportazione nei campi di sterminio.
Milioni di persone furono imprigionate e subirono maltrattamenti e abusi nei campi di concentramento
nazisti. Sotto la direzione delle SS, i Tedeschi e i loro collaboratori assassinarono, nei campi di
sterminio, più di tre milioni di Ebrei. Solo un piccolo numero di coloro che furono imprigionati in quei
campi riuscì a sopravvivere.
Il termine “ghetto” ha origine dal nome del quartiere ebraico di Venezia creato nel 1516, nel quale le
autorità veneziane obbligavano a risiedere gli Ebrei. Nel Sedicesimo e Diciassettesimo secolo, diversi
governanti, da quelli locali fino all'Imperatore austriaco Carlo V, ordinarono l'istituzione di altri ghetti
per gli Ebrei a Francoforte, Roma, Praga e in altre città .
Durante la Seconda Guerra Mondiale, i ghetti erano costituiti da quartieri (spesso recintati) nei quali i
Tedeschi concentravano la popolazione ebraica (sia quella risiedente nella città, sia - a volte - quella
dell'intera regione) obbligandola a vivere in condizioni di estrema miseria. Il principale scopo dei ghetti
era quello di isolare gli Ebrei, separandoli dalla popolazione locale e dalle altre comunità ebraiche. I
Tedeschi istituirono almeno 1000 ghetti solo in Unione Sovietica e in Polonia, nella parte occupata e in
quella annessa, il primo dei qualli venne creato a Piotrków Trybunalski (Polonia) nell'ottobre 1939.
I Tedeschi consideravano l’istituzione dei ghetti una misura provvisoria per segregare e controllare la
popolazione ebraica; nel frattempo, i leader nazisti a Berlino vagliavano diverse opzioni per
l'eliminazione completa della popolazione ebraica. In molti luoghi, la ghettizzazione durò un tempo
relativamente breve: alcuni ghetti, infatti, esistettero solo per alcuni giorni o mesi; altri, invece, per anni.
Nell’ambito della Soluzione Finale - il piano che prevedeva l’uccisione di tutti gli Ebrei d’Europa e che
ebbe inizio negli ultimi mesi del 1941 -i Tedeschi distrussero sistematicamente la maggior parte dei
ghetti. I residenti venivano generalmente fucilati dai Tedeschi e dai loro collaboratori, e quindi
seppelliti in fosse comuni nei pressi dei ghetti stessi; altrimenti, venivano deportati - di solito tramite
convogli ferroviari - ai centri di sterminio, dove venivano uccisi. Infine, un certo numero di Ebrei venne
trasferito, dalle SS e dalle autorità di polizia, dai ghetti ai campi di lavoro e ai campi di concentramento.
Esistevano tre tipi di ghetto: i ghetti chiusi, quelli aperti e quelli destinati alla distruzione.
Il ghetto più grande in Polonia fu quello di Varsavia, dove oltre 400.000 Ebrei vivevano ammassati in
un'area di meno di due chilometri quadrati. Altri grandi ghetti furono creati nelle città di Lodz,
Cracovia, Bialostock, Lvov, Lublino, Vilnius, Kovno, Cestokowa e Minsk. Decine di migliaia di Ebrei
risiedenti in Europa Occidentale furono deportati nei ghetti della parte orientale.
I Tedeschi ordinarono agli Ebrei residenti nei ghetti di indossare targhette di identificazione o bracciali,
e ne obbligarono molti al lavoro forzato per il Terzo Reich. La vita quotidiana nei ghetti veniva
amministrata dai Consigli Ebraici (Judenraete), che erano nominati dai Nazisti. La polizia del ghetto si
occupava di far rispettare gli ordini delle autorità tedesche e i decreti dei Consigli Ebraici, inclusa
l'agevolazione delle deportazioni verso i campi di sterminio. Ufficiali della polizia ebraica, così come
membri dei Consigli, si piegarono ai capricci delle autorità germaniche, anche perché i Tedeschi non
esitavano a uccidere quei poliziotti ebrei che si pensava non avessero eseguito gli ordini.
Gli Ebrei risposero alle restrizioni del ghetto attuando varie forme di resistenza: gli abitanti spesso
organizzarono attività cosiddette illegali, come l'introduzione segreta di cibo, medicine, armi o
informazioni. Sovente essi superarono i muri del ghetto all'insaputa dei Consigli Ebraici e senza la loro
approvazione. Alcuni Consigli al completo, e in altri casi solo alcuni dei loro membri, tollerarono o
incoraggiarono tali attività illecite, in quanto erano necessarie a mantenere in vita gli abitanti del ghetto.
Nonostante i Tedeschi in teoria dimostrassero di solito scarsa preoccupazione per i riti religiosi, o per la
partecipazione ad eventi culturali o a movimenti giovanili all'interno delle mura del ghetto, essi spesso
videro una minaccia alla sicurezza in qualunque riunione sociale e agirono senza scrupolo per
incarcerare o eliminare sia i capi di tali circoli che coloro che semplicemente li frequentavano. Inoltre, le
autorità germaniche proibirono generalmente anche qualunque forma di istruzione, a tutti i livelli.
In alcuni ghetti, membri dei movimenti di resistenza ebraici organizzarano diverse insurrezioni armate;
la più grande fu quella del ghetto di Varsavia, nella primavera del 1943. Altre violente rivolte ebbero
luogo a Vilnius, Bialistock, Cestokowa e in molti altri ghetti più piccoli. Nell’agosto 1944, le SS e la
polizia completarono la distruzione dell’ultimo grande ghetto, quello di Lodz.
In Ungheria, la ghettizzazione non cominciò che nella primavera del 1944, dopo l’invasione e
l’occupazione del paese da parte dei Tedeschi. In meno di tre mesi, la polizia ungherese, agendo in
coordinazione con i funzionari tedeschi esperti in deportazione dell'Ufficio Centrale di Sicurezza del
Reich (Reichssicherheitshauptamt-RSHA), concentrò quasi 440.000 persone nei "ghetti provvisori"
destinati alla distruzione. Da lì, gli Ebrei - che provenivano da tutta l'Ungheria, ad eccezione della
capitale Budapest - sarebbero poi stati portati alla frontiera e consegnati ai tedeschi. I Nazisti
deportarono la maggior parte degli Ebrei ungheresi nel centro di sterminio di Auschwitz-Birkenau. A
Budapest, autorità ungheresi ordinarono agli Ebrei di vivere in abitazioni contrassegnate da una stella
gialla, le cosiddette "case della Stella di David". Alcune settimane dopo che i leader del movimento
fascista delle Croci Frecciate si erano impossessati del potere, in un colpo di stato sostenuto dai
Tedeschi (il 15 ottobre 1944), il nuovo governo stabilì formalmente il ghetto di Budapest, nel quale
63.000 Ebrei furono costretti a vivere in un'area di circa 160 metri quadrati. Circa 25.000 Ebrei in
possesso di certificati che attestavano il loro essere sotto la protezione di uno stato neutrale furono
confinati in un "ghetto internazionale", situato in una diversa parte della città. Nel gennaio 1945, le
armate sovietiche liberarono la parte di Budapest nella quale si trovavano i due ghetti, liberando i quasi
90.000 Ebrei che ancora vi risiedevano.
Durante l’Olocausto, i ghetti rappresentarono una fase fondamentale nel processo di controllo,
disumanizzazione e uccisione di massa attuato dai Nazisti ai danni degli Ebrei.
LE DONNE DURANTE L’OLOCAUSTO
Vittime della persecuzione e dello sterminio nazisti furono sia gli uomini che le donne di etnia ebraica.
Tuttavia, le donne - sia ebree che non-ebree - furono spesso soggette ad una persecuzione
eccezionalmente brutale da parte del regime. L'ideologia nazista prese di mira anche le donne Rom
(Zingare), quelle di nazionalità polacca e quelle che avevano difetti fisici o mentali e che vivevano negli
istituti.
Interi campi, così come speciali aree all’interno di altri campi di concentramento, furono destinati
specificatamente alle donne. Nel maggio del 1939, i Nazisti aprirono il più grande campo di
concentramento esclusivamente femminile, quello di Ravensbrück, dove più di 100.000 donne vi furono
incarcerate tra la sua apertura e il momento in cui le truppe sovietiche lo liberarono, nel 1945. Un
campo femminile fu costituito anche ad Auschwitz-Birkenau nel 1942 (conosciuto anche come
Auschwitz II), per incarcerare principalmente le donne; tra le prime ad esservi rinchiuse furono proprio
prigioniere provenienti da Ravensbrück. Analogamente, una zona femminile venne creata a BergenBelsen nel 1944, dove le SS trasferirono migliaia di prigioniere ebree provenienti da Ravensbrück e
Auschwitz.
Né le donne né i bambini, ebrei come non-ebrei, vennero risparmiati dalle uccisioni di massa condotte
dai Nazisti e dai loro collaboratori. L'ideologia nazista sosteneva la necessità di eliminare tutti gli Ebrei,
senza differenza di età o di genere. Le SS tedesche, insieme alle autorità di polizia, si occuparono di
mettere in pratica quella politica, chiamata in codice "Soluzione Finale", fucilando in massa uomini e
donne in centinaia di località dell'Unione Sovietica occupata. Durante le deportazioni, le donne in stato
di gravidanza e le madri di bambini piccoli venivano generalmente catalogate come "inabili al lavoro" e
venivano perciò trasferite nei campi di sterminio, dove gli addetti alla selezione le inserivano quasi
sempre nei gruppi di prigionieri destinati a morire subito alle camere a gas.
Le donne ebree ortodosse accompagnate dai bambini erano particolarmente vulnerabili, siccome
vestivano abiti tradizionali che le rendevano facilmente individuabili, anche durante le crudeli violenze
dei pogrom. Inoltre, il gran numero di bambini che generalmente caratterizzava quelle famiglie
ortodosse, rese le loro donne uno degli obiettivi principali dell'ideologia nazista.
Donne non appartenenti alla popolazione ebraica erano però altrettanto vulnerabili: i Nazisti
condussero infatti operazioni di assassinio di massa di donne Rom anche nel campo di concentramento
di Auschwitz; uccisero donne disabili nel corso delle operazioni denominate T-4 ed "Eutanasia"; infine,
tra il 1943 e il 1944, in molti villaggi dell'Unione Sovietica, massacrarono donne e uomini considerati
appartenenti a unità partigiane.
Nei ghetti, così come nei campi di concentramento, i Nazisti selezionavano le donne per inviarle a
lavori forzati che spesso ne causavano la morte. Inoltre, i medici e ricercatori nazisti spesso usarono
donne ebree e Rom per esperimenti sulla sterilizzazione e per altre pratiche disumane di ricerca,
contrarie a qualunque etica. Sia nei campi che nei ghetti, le donne erano particolarmente vulnerabili e
soggette spesso sia a pestaggi che a stupri. Le donne ebree in gravidanza cercavano di nascondere il
loro stato per non essere costrette ad abortire. Anche le donne deportate dalla Polonia e dall'Unione
Sovietica per essere impiegate nei lavori forzati per il Reich, venivano spesso picchiate e violentate, o
forzate a prestazioni sessuali in cambio di cibo o altri generi di conforto. La gravidanza fu l'ovvia
conseguenza per molte donne polacche, sovietiche e yugoslave inviate ai lavori forzati e costrette a
relazioni sessuali con i Tedeschi. Se i cosiddetti "esperti della razza" determinavano che il bambino non
potesse essere "germanizzato", le donne venivano generalmente obbligate ad abortire, o mandate a
partorire in ospedali improvvisati, dove le condizioni avrebbero garantito la morte dei nascituri. Altre
volte, invece, venivano semplicemente rispedite nelle regioni d'origine, senza cibo né assistenza
medica.
Molte donne incarcerate nei campi di concentramento crearono gruppi di mutua assistenza che
permettevano loro di sopravvivere grazie allo scambio di informazioni, di cibo e di vestiario. Spesso le
donne appartenenti a questi gruppi provenivano dalla stessa città o dalla stessa provincia, avevano lo
stesso livello di istruzione o condividevano legami familiari. Infine, altre donne furono in grado di
salvarsi perché le SS le trasferirono nei reparti destinati al rammendo degli abiti, nelle cucine, nelle
lavanderie o nei servizi di pulizia.
Le donne ebbero anche un ruolo importante in numerose operazioni della Resistenza, specialmente
quelle appartenenti ai movimenti giovanili socialisti, comunisti e sionisti. In Polonia, le donne vennero
impiegate come corrieri per portare informazioni nei ghetti; molte altre scapparono nei boschi della
Polonia orientale e dell'Unione Sovietica, dove si unirono alle unità partigiane. Un ruolo importante
assunsero anche molte appartenenti alla Resistenza francese (e ebraico-francese): Sophie Scholl,
studentessa all'Università di Monaco di Baviera e membro dell'unità della Resistenza chiamata "Rosa
Bianca", venne arrestata e fucilata nel 1943 per aver distribuito volantini contro il Nazismo.
Alcune donne, come Haika Grosman, di Bialistok, furono leader o membri di organizzazioni della
Resistenza nei campi di concentramento. Ad Auschwitz, cinque donne assegnate al reparto di Vistola
per la lavorazione del metallo - Ella Gartner, Regina Safir, Estera Wajsblum, Roza Robota e, forse, Fejga
Segal - fornirono la polvere da sparo con la quale membri di un'Unità Speciale Ebraica fecero saltare in
aria una camera a gas, uccidendo molte guardie delle SS, nel corso della rivolta dell’ottobre 1944.
Numerose donne furono anche attive nelle operazioni che vennero organizzate nell’Europa occupata
per mettere in salvo gli Ebrei. Tra di loro ci furono la paracadutista ebrea Hannah Szenes e l'attivista
sionista Gisi Fleischmann. Hannah Szenes fu paracadutata in Ungheria nel 1944, mentre Gisi
Fleischmann, leader del Gruppo d’Azione (Pracovna Skupina) facente capo al Consiglio Ebraico di
Bratislava, tentò di fermare le deportazioni degli Ebrei dalla Slovacchia.
Milioni di donne furono perseguitate e uccise durante l’Olocausto. Tuttavia, alla fine non fu tanto la
loro appartenenza al genere femminile a farne dei bersagli, quanto il loro credo politico o religioso,
oppure il posto da loro occupato nella gerarchia razzista teorizzata dal Nazismo.
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