Quartetto per la fine dei tempi

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Olivier Messiaen, giovane musicista avignonese, viene catturato sul fronte e internato nel Maggio
del 1940 nello Stalag VIII A di Görlitz; ha trentadue anni e dal 1931 è organista nella chiesa della
Sainte-Trinité a Parigi. Musicista, compositore, ornitologo. Nel campo conosce altri tre musicisti
dilettanti con cui stringe un’amicizia quasi automatica. Da questa amicizia spuntata in una tragica
estate di guerra nasce l’idea di dare vita a un concerto a cui l’ufficiale responsabile dello Stalag
VIII A di Görlitz, che ama la musica, dà il suo convinto beneplacito. Nasce così una delle
composizioni da camera più significative di tutto il Novecento musicale.
Il concerto si intitola Quatuor pour la fin du Temps. Quartetto per la fine del tempo. Messiaen non è
solo un musicista, compositore, ornitologo. Ma anche un uomo di profonda cultura filosofica e per
guidare la sua invenzione musicale il giovane compositore sceglie di farla diventare un commento
al libro dell’Apocalisse di san Giovanni. Scelta naturale, si vorrebbe dire. Un antico libro che tutti
pensano essere la cronaca della fine del mondo è perfetto per esprimere la disperazione di gente che
vede la propria vita inghiottita dal male assoluto. Ma Messiaen è davvero un giovane colto. Perciò
sa che il libro dell’Apocalisse non parla della fine del mondo. Non parla di distruzione, di
annientamento finale, di estinzioni definitive. Anche se usa un linguaggio catastrofico. Il libro
dell’Apocalisse è invece un libro di speranza. Un libro che serve a dare speranza a tutti quelli che
pensano di vedere nei drammi della storia degli inequivocabili segni della fine.
Messiaen trasforma le parole dell’Apocalisse in pura musica. Come se la potenza salvatrice
promessa da quel testo biblico possa agire direttamente nel potere salvifico contenuto in ogni vero e
autentico atto musicale. La musica è già un modo di salvare il bene. Come la poesia. Come l’arte.
Ma la musica in modo assoluto, unico, immediato. Con la musica si può esprimere anche il dolore,
l’angoscia, il panico, il terrore, la disperazione, ma anche nella musica il dolore, l’angoscia, il
panico, il terrore, la disperazione arrivano come già redente, come già trasfigurate dalla bellezza,
già salvate da un atto di espressione che a dispetto di tutto resta umano. Il meglio di quello che
l’uomo può essere. Per di più Messiaen, in questo atto di speranza musicale, non si affida alla
nostalgia –come potrebbe anche essere comprensibile-, non usa un repertorio del passato come
antidoto emotivo a un presente traboccante di tragedia. Il Quartetto per la fine del Tempo, concepito
nel’oscurità e partorito nella tragedia, rappresenta un potente gesto creativo, un atto di innovazione,
il futuro della musica che si affaccia dal più improbabile degli orizzonti.
Così nasce uno dei concerti da camera più importanti del ventesimo secolo. Viene eseguito il 15
Gennaio 1941 in un piazzale gelato alla presenza di circa quattrocento spettatori fra detenuti e
sorveglianti. Gli strumenti reperiti per l’esecuzione sono totalmente di fortuna. Il violoncello manca
di una corda. I tasti del pianoforte una volta premuti stentano a risalire. Tecnicamente l’impresa
musicale è ai limiti dell’impraticabilità. Ma i quattro musicisti, Olivier Messiaen al pianoforte,
Etienne Pasquier al violoncello, Henri Akoka al clarinetto, Jean le Boulaire al violino, si accingono
a eseguire il concerto con prodigiosa applicazione e con commovente professionalità. Il pianista
annuncia la composizione preparata per la circostanza e che sta per essere eseguita. La musica è
difficile, ostica, lontana dai gusti semplici dell’insolita platea di ascoltatori. Il gelo avvolge quello
spettrale teatro all’aperto. Il freddo è tremendo. Ma gli occhi di tutti sono fissi sui quattro musicisti
e sulle loro mani miracolose. Un silenzio attento e partecipe accoglie le note che si propagano
nell’aria. Il concerto dura poco più di mezz’ora. Allo spegnersi dell’ultima nota, si alza spontaneo
un applauso fragoroso, riconoscente, prolungato. Qualcuno si abbandona a un pianto dirotto.
Qualcosa di inspiegabile, per il tempo fugace di un quartetto, ha attraversato l’impietrita solitudine
di esseri abituati all’inferno. La musica li ha restituiti alla loro umanità. I quattro musicisti, grazie a
quella straordinaria prova artistica, verranno restituiti alla libertà pochi mesi più tardi
Giuliano Zanchi
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