Seminario: Etica, metaetica, etica applicata

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Seminario: Etica, metaetica, etica applicata
Lezione del 16 ottobre 2009
Titolo: L’intuizionismo metaetico di G.E. Moore e
il realismo morale non naturalistico di W. D. Ross
Saggi di riferimento nel testo di
G. Bongiovanni (a cura di), Oggettività e morale:
1. A. Viggiano e M. Galletti, George Edward Moore e il
dibattito sul naturalismo
2. S. Vida, Realismo morale non naturalistico e oggettività.
L’intuizionismo etico del Novecento
ATTENZIONE: questi appunti si riferiscono
esclusivamente alla parte della lezione dedicata alla
teoria metaetica di G.E. Moore.
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ETICA E METAETICA
George Edward Moore (1873-1958) opera la
distinzione classica, per l’etica del Novecento, tra due
livelli della ricerca etica:
▪ “primo livello”: domande su ciò che è buono
(moralmente), o su quali sono le azioni giuste, o quali
le virtù di un agente morale;
▪ “secondo livello”: domande sulla natura delle
domande di primo livello (se hanno risposte oggettive,
se tali risposte possono essere giustificate, se i
cosiddetti giudizi etici possono essere verificati o
giustificati, quali sono gli usi morali dei termini o
predicati morali che compaiono nei giudizi etici, ecc.).
(Moore, Principia Ethica -1903)
Le questioni semantiche ed epistemologiche sollevate
dalla ricerca di secondo livello sarebbero
propedeutiche per la ricerca di primo livello, e neutrali
rispetto a esse.
Queste idee verranno codificate nella distinzione
standard tra “etica sostantiva” (di primo livello), e
“metaetica” (di secondo livello).
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NATURALISMO E NON NATURALISMO ETICO
Per Moore la domanda etica fondamentale è “Quali
sono le cose buone?”
Un’altra importante domanda cui la riflessione etica
deve rispondere è “Quali sono le azioni giuste?”. Ma
poiché il fatto che un’azione sia giusta o meno
dipende dal bene che viene prodotto mediante il suo
compimento, Moore ritiene la prima domanda più
fondamentale della seconda.
La risposta alla domanda “Quali sono le cose buone?”
viene anch’essa formulata nell’opera Principia Ethica
(1903) che rappresenta una critica al “naturalismo
etico” che fino alla fine dell’Ottocento definiva
“buono” come proprietà naturale – cioè dello stesso
tipo delle proprietà studiate dalle scienze empiriche.
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In sostanza, per i naturalisti che una cosa sia buona
moralmente è un fatto del mondo naturale,
esattamente come il fatto che una cosa è “piacevole” o
“desiderata” (o rossa, gialla…).
Per Moore, invece, la proprietà morale “buono” è non
solo non naturale, ma anche indefinibile.
Ciò di cui non si parla in questo seminario:
Del fatto che rispondere alla domanda “Quali sono le
cose buone?” significa, secondo Moore, fornire una
tesi sui principi etici fondamentali veri – ovvero del
fatto che la riflessione metaetica (di secondo livello)
di Moore costituisce il presupposto per una specifica
etica sostantiva (di primo livello).
In sostanza, non parleremo della morale sostantiva di
Moore, che è CONSEQUNZIALISTICA (si veda
lezione del Prof. Rotolo), ma solo della sua metaetica,
che invece è INTUIZIONISTICA.
L’ARGOMENTO CONTRO IL NATURALISMO
ETICO
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Scrive Moore: il naturalista etico sostiene che vi sono
enunciati veri della forma
▪ “La proprietà ‘buono’ è identica alla proprietà ‘N’”
(dove “N” = proprietà naturale)
Da ciò seguirebbe che esiste un solo principio etico
fondamentale vero formulabile come
▪ “Tutti gli N sono buoni”
Da ciò segue anche che, se N è una proprietà naturale
con cui identifichiamo la bontà morale, allora “buono”
e “N” sono sinonimi.
“Tutti gli N sono buoni” è quindi vero in virtù del
significato dei termini usati (si tratta di un enunciato
necessario, o analitico, nel senso specificato dal Prof.
Artosi).
Ma questo, sostiene Moore, è l’errore dei naturalisti:
fare appello al significato dei termini morali per
rispondere alla domanda fondamentale dell’etica
(“Cos’è buono?”, o “Quali cose sono buone?”)
Continua Moore: Se il naturalista crede che “buono”
equivalga a “desiderato”, allora il giudizio “Tutte le
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cose desiderate sono buone” dovrebbe poter essere
espresso come
▪ “Tutte le cose desiderate sono desiderate”
Il che sarebbe plausibile se stessimo parlando di
proposizioni necessarie (tautologie logiche), non certo
di quelle etiche.
Nasce quindi un problema formulato da Moore come
«OPEN QUESTION»
Se anche il naturalista etico dice “Tutte le cose N sono
buone”, non sta semplicemente dicendo “Tutte le cose
N sono N” (dove “N” sta per la proprietà naturale
“essere desiderato”), perché, di fatto, rimane sempre
lo spazio per un’ulteriore domanda aperta formulabile
come segue:
▪ “Ma davvero tutte le cose N sono anche buone?” (ad
esempio: “x è desiderabile. Ma è anche buono?”)
In sostanza, qualunque sia la proprietà naturale N, alla
domanda fondamentale dell’etica non si risponde
basandosi sull’analisi del significato di “buono”.
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Negli enunciati morali NON È quindi possibile
sostituire il predicato “buono” con una definizione in
termini di proprietà naturale “N”.
Infatti, quando pensiamo “tutte le cose N sono buone”
non pensiamo che “tutte le cose N sono N”
(analogamente: quando diciamo “tutte le azioni
altruistiche sono buone” non stiamo dicendo che
“tutte le azioni altruistiche sono azioni altruistiche”).
L’argomento dell’open question dimostra quindi che
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1. È SBAGLIATO pensare che si possa rispondere
alla domanda fondamentale dell’etica mediante
un’analisi del significato dei termini etici;
2. È SBAGLIATO pensare che si possa dare al
predicato morale “buono” il significato di una qualche
proprietà naturale.
FALLACIA NATURALISTICA
Un’altra conseguenza dell’argomento dell’open
question è l’argomento della “fallacia naturalistica”
contro il passaggio indebito dal discorso (piano)
descrittivo a quello prescrittivo.
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Per Moore, si commette una fallacia naturalistica tutte
le volte che si tenta di definire “buono” mediante
qualche proprietà, naturale o non naturale. Se non
ammettiamo l’indefinibilità di “buono” non siamo in
grado di rispettare quella che Moore chiama “la
grande divisione tra fatti e valori” (is e ought), la
dicotomia tra due piani nettamente distinti.
L’indefinibilità di “buono” comporta che si conosca
tale proprietà non per mezzo di un’analisi semantica,
ma in base all’ammissione che ogni “oggetto” morale
possiede un valore intrinseco, ossia una qualità
morale non naturale che non può essere dimostrata,
ma che può essere solamente oggetto di
INTUIZIONE.
L’intuizione ha la sua genesi nell’impossibilità di una
prova dimostrativa per ciò che ha intrinseco valore
morale, il che significa, in sostanza, l’irriducibilità dei
giudizi morali al piano descrittivo.
Conseguenza: Moore difende una concezione
epistemologica non naturalistica, e in particolare
INTUIZIONISTICA, secondo cui le proprietà morali
sono sui generis e non sono conoscibili come quelle
naturali,
bensì
esclusivamente
mediante
INTUIZIONE (v. W.D. Ross).
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La bontà morale è infatti una proprietà distinguibile da
ogni proprietà naturale, della quale possiamo
INTUIRE la presenza in cose, situazioni o fatti morali.
Ne segue che anche i principi etici fondamentali non
sono conoscibili sulla base del significato dei termini
che contengono, bensì mediante un ATTO
INTUITIVO che li mostra come AUTOEVIDENTI,
cioè come CONOSCIBILI DIRETTAMENTE, senza
prova o dimostrazione (o argomentazione).
Tuttavia, solo un insieme ristretto di giudizi etici è di
questo tipo. Pertanto è possibile avere credenze morali
fallibili.
Da qui parte la riflessione dell’intuizionista William
D. Ross (1877-1971).
Prima di cominciare a parlarne, però, occorre
ricordare un argomento della lezione precedente (Prof.
Artosi), vale a dire la critica mossa al realismo morale
intuizionistico da parte di uno dei teorici dello
scetticismo morale contemporaneo.
John L. Mackie (1917-1981), filosofo australiano,
circa 70 anni dopo Moore se la prende con la
metaetica intuizionistica in un’opera intitolata Ethics.
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Inventing Right and Wrong (1977), e formula contro
di essa due argomenti:
1. l’argomento a partire dalla relatività, e
2. l’argomento a partire dalla stranezza
L’attacco di Mackie è al REALISMO MORALE
intuizionistico (Moore, Ross) secondo cui i predicati
morali sono indefinibili, non possono essere spiegati
mediante altri termini descrittivi, e possono essere
conosciuti solo attraverso l’intuizione morale, che
rende i fatti morali (=valori) indipendenti da quelli
naturali, e rende la conoscenza dei primi autonoma
rispetto a quella dei secondi (l’intuizionismo è
COGNITIVISMO)
L’intuizionismo
è
anche
una
forma
di
OGGETTIVISMO etico: esistono proprietà (e fatti)
morali oggettive, conoscibili mediante intuizione, e
indipendenti da ogni conoscenza che possiamo avere
di esse.
Ma lo scetticista Mackie non può essere d’accordo.
Contro l’oggettivsmo/realismo/cognitivismo
intuizionista egli usa infatti i due seguenti argomenti:
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▪ Argomento della relatività: esistono diversi sistemi
di valori in conflitto tra loro. Quindi l’intuizionismo
non è una teoria morale plausibile.
▪ Argomento della stranezza: se esistessero valori
(proprietà morali) oggettivi sarebbero entità molto
strane, completamente diverse da qualsiasi altra entità
presente nell’universo, entità conoscibili solo
attraverso una altrettanto strana facoltà dell’intuizione.
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