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12 settembre 490 a.C. - Piana di Maratona (Grecia)
Gellindakis Ghiandedoro
e la folle corsa per la vita
Le Guerre di Gellindo Ghiandedoro
Le Guerre di Gellindo Ghiandedoro - 1
(Questa storia ha inizio al termine della celebre battaglia di Maratona, che vide le città greche
vincere contro i persiani il 12 settembre del 490 a.C., data del calendario della città di Sparta.
Per annunciare agli ateniesi la grande vittoria sull’invasore orientale, viene scelto un soldato
semplice di nome Filippide perché si rechi di corsa ad Atene con la bella notizia: la Grecia era
in salvo! Ma Filippide ha un piccolo problema, che può mettere in pericolo la riuscita della
missione: è un tipo pigro e anche un po’ cicciottello! Riuscirà lo scoiattolino Gellindakis Ghiandedoro a cavar d’impiccio il suo padroncino Filippide?).
L’esercito dei greci festeggiò la vittoria
sui persiani fino a notte fonda. Canti, balli
attorno ai falò, gran mangiate e interminabili bevute: era immensa la gioia d’aver
salvato la Grecia intera da una terribile
invasione.
– Evviva i soldati ateniesi! – urlavano nel buio gli spartani.
– Evviva i soldati spartani!
– rispondevano gli ateniesi, gridando
nell’oscurità della grande pianura dove
s’era combattuta la lunga battaglia.
– Siamo l’esercito più forte
della terra!
– …e nulla E NESSUNO ci pOSSONO far paura!
– Andremo alla conquista del
Mediterraneo!
– …e tutti i popoli dovranno
inchyinarsi alla potenza della
gande Grecia!
…a mille e mille le urla si perdevano in
quella notte piena di stelle!
– Ma non andranno mai a dormire, questi ubriachi? – si lamentò sbadigliando il
soldato Filippide, che da alcune ore cercava di dormire sotto la coperta, al riparo di
un cespuglio.
Aveva combattuto anche Filippide,
come tutti gli altri greci, e più di una volta
aveva rischiato grosso, come ad esempio quando i cavalieri persiani avevano
travolto il suo manipolo di soldatini che
erano armati solo di spada e scudo. Ma
era giunto incolume fino a sera, perché
gli dei dell’Olimpo volevano troppo bene
a quell’omino ateniese timido e un po’
cicciottello, figlio di un vasaio e vasaio lui
stesso, mandato in guerra soltanto per errore il giorno in cui i quartieri della grande
città erano stati perquisiti alla ricerca di
volontari per andar in guerra contro gli
invasori che venivano dall’oriente.
Lo scoiattolino Gellindakis Ghiandedoro, amico per la pelle del piccolo vasaio,
cercava di dormire pure lui, accucciato al
caldo vicino a Filippide. – Chiudi le orecchie, padroncino mio, e fa’ finta che la
notte di Maratona sia tranquilla, silenziosa
e deserta…
– EVVIVA LE CITTÀ GRECHE! – urlò
forte, lì vicino, uno spartano con un vocione grosso così.
– EVVIVA! EVVIVA!! EVVIVA!!! – strepitarono in coro tutt’attorno.
– Senti Gellindakis – mugolò Filippide
assonnato, – perché non ci spostiamo un
po’ e cerchiamo un posticino più tranquillo?
– Penso che posti tranquilli e silenziosi, stanotte, non ce ne siano da nessuna
parte!
Gellindakis stava ancora parlando,
quando dal buio emersero tre ombre
gigantesche.
– E voi chi siete? – piagnucolò Filippide,
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Gellindakis Ghiandedoro e la folle corsa per la vita
stringendosi forte all’amico scoiattolo e
cercando sotto la coperta la sua spada. –
Siete forse persiani che si vogliono vendicare della sconfitta?
Le tre ombre fecero due passi e si
fermarono all’altezza del soldatino sotto
la coperta.
– Sei ateniese, tu? – chiese la prima ombra parlando in greco e dando un calcetto
a Filippide, che si tirò in piedi barcollando.
– Ehm, sì… sono ateniese dai capelli alla
punta dei sandali!
– Bene! – berciò l’ombra di mezzo. – Ci
serve proprio un soldato ateniese forte e
leggero, per una missione importantissima!
– Ecco – balbettò esitante Filippide, –
se cercate un ateniese che sia soldato, lo
avete trovato, ma se lo volete anche forte
e leggero, be’, forse io non sono proprio
quel che fa per voi!
– Da qui, però, non si direbbe che tu sia
debole e pesante – replicò la terza ombra, inginocchiandosi a terra per vedere
meglio.
– Sì, ma è buio – farfugliò il povero
Filippide; – se fosse giorno vi rendereste
cono che io non sono il soldato che fa per
voi…
– Vorresti dire che sei un codardo,
ateniese?
– E magari anche cicciottello?
– E pigro?
Ecco, mettiamo subito in chiaro le cose:
Filippide a dire il vero un po’ pigrotto lo
era e anche cicciottello, ma questo l’abbiamo già detto. Dargli del codardo, però,
quello proprio no! – Non sono un soldato
vigliacco – scoppiò a piangere il vasaio, –
oggi ho combattuto con coraggio, come
tutti i greci…
Le tre ombre si guardarono e si fecero
un cenno d’assenso: – A noi sta bene quel
che dici, ateniese, e ti crediamo: tu non sei
un codardo, perciò vieni con noi. Ti aspetta un’impresa ai limiti delle possibilità
umane!
Gellindakis Ghiandedoro seguì ogni cosa
dal cappuccio del vestito di Filippide in
cui era corso a nascondersi. Nel buio della
notte vide quindi il suo padrone al cospetto dei dodici generali delle più importanti
città greche, che si complimentarono col
soldatino per il suo coraggio e gli spiegarono quel che doveva fare.
– Ci serve un fante agile e scattante… –
disse il primo generale.
– …che corra senza mai fermarsi per
quarantadue chilometri da Maratona fino
ad Atene… – proseguì il secondo.
– …per portare l’annuncio della vittoria
e per avvisare gli ateniesi che si tengano
pronti… – concluse il terzo, che poi prosegui: – Non si sa mai, magari la flotta dei
persiani decide di tornare indietro e di
attaccare la Grecia e Atene direttamente
dal mare!
Filippide inghiottì la paura e balbettò:
– Quarantadue chilometri tutti di corsa?
Ci vorrebbe proprio un soldato agile e
scattante, ma io…
– Tu ci vai benissimo, non chiediamo
di meglio – esclamò il generale anziano.
– Ecco un otre pieno d’acqua e tre pani appena sfornati dai nostri cuochi. Lascia qui
le armi e parti subito, soldato ateniese…
Buona corsa!
– Il futuro della Grecia dipende da te! –
lo salutarono in coro i dodici generali.
Se c’era una cosa che Filippide aveva sempre odiato fin da bambino era di
sicuro correre! Detestava correre, lo si
vedeva anche dalla bella panciotta che
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Gellindakis Ghiandedoro e la folle corsa per la vita
si portava appresso, ma davanti ai ventiquattro occhi dei generali e alle mille
lance dei loro soldati, dovette far buon
viso a cattiva sorte: infilò i tre pani nella
bisaccia, si mise l’otre dell’acqua a tracolla
e tranquillizzò il suo amico scoiattolo: –
Rimani nel cappuccio, Gellindakis, e cerca
di riposare, almeno tu!
Ebbe inizio così, la lunga corsa di quarantadue chilometri!
Per i primi tre chilometri non ci furono problemi: la pianura di Maratona, lo
diceva il suo stesso nome, era proprio
piana piana e bastava dosare le energie
per procedere senza troppa fatica passo
dopo passo.
Al quarto chilometro, però, cominciò
la salita e Filippide si sentì morire: – Per
gli dei dell’Olimpo – sbuffò correndo e
barcollando, – non sapevo che nella mia
Grecia ci fossero salite così dure!
All’ottavo chilometro la strada cominciò a scendere verso la costa e il soldatino
poté finalmente tirare un po’ il fiato. – Ma
scusa, Gellindakis, sul serio i generali
mi hanno ordinato di correre senza mai
fermarmi?
Lo scoiattolo mentì volentieri al suo padrone, tanto, lì sulla strada per Atene non
c’era nessun generale a controllare: – Ma
no, hanno detto tanto per dire… quando
mai uno, dopo una giornata intera passata
a battagliare di qua e di là con la spada in
mano, riesce a correre per quarantadue
chilometri senza mai fermarsi?
Però Filippide, con tutti i difetti che si
ritrovava, era anche un vasaio testardo e
quindi continuò la sua corsa, respingendo
in cuore la voglia di fermarsi, di sedersi
sul ciglio della strada e di lasciarsi andare
finalmente a un sonno profondo!
Correva piano piano, il soldatino,
facendo ballonzolare il povero scoiattolo
nascosto nel cappuccio sulla schiena. Al
quindicesimo chilometro cominciarono le
allucinazioni per la stanchezza.
– Quello laggiù che cos’è? Lo vedi anche tu, Gellindakis, quel bel letto al bivio
della strada?
Lo scoiattolo guardò con attenzione e
naturalmente non vide nulla. – Non guardare, Filippide, lascia perdere e fa’ finta di
niente: se ti fermi adesso, non riparti più!
A metà esatta della corsa, quando
mancavano ancora ventun chilometri ad
Atene, Gellindakis pensò che era giunto il
momento di dare una mano al soldatino.
Filippide stava ormai correndo a occhi
quasi chiusi, vacillando vistosamente da
una parte all’altra della strada.
Lo scoiattolo allora tolse la bisaccia al
suo padrone e se la infilò in spalla; dopo di
che balzò a terra e si mise a correre anche
lui, gridando e cantando e chiacchierando
a voce alta per tener sveglio il suo padrone.
Al trentesimo chilometro Filippide
aveva già mangiato i tre pani e svuotato a
metà l’otre dell’acqua, senza però fermarsi
mai: correva lento, più che altro camminava veloce cantando canzoncine assieme
al suo scoiattolino e contando gli alberi
d’olivo che incontrava lungo la strada. Al
quarantesimo chilometro lo scoiattolo
praticamente stava trascinando l’amico
verso il traguardo: giunti in cima a una
collina i due videro laggiù, a poco più di un
chilometro, la città di Atene e, sulla porta settentrionale, una folla osannante di
ateniesi che era lì ad attenderli.
– Forza, Filippide – urlò allora Gellindakis, gettando via l’otre e la bisaccia
vuoti e correndo anche lui con le ultime
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Le Guerre di Gellindo Ghiandedoro - 1
energie che gli erano rimaste. – Forza che
ci siamo! La vedi laggiù, la porta di Atene?
Ancora settecento metri e ci siamo!
– Metri? Settecento? Ci siamo? Dove
ci siamo? Non sento più le gambe, Gellindakis, e nemmeno la lingua… non sono più
capace di parlare… Capisci quel che sto
dicendo?
– Capisco tutto, Filippide, sta’ tranquillo!
– A me piacerebbe starmene tranquillo… io sono nato per essere tranquillo, non
per correre senza mai fermarmi per quarantadue chilometri… Sono lunghi eterni,
quarantadue chilometri!
– Resisti per carità! Tieni duro, dai!
Ancora trecento metri e siamo arrivati…
– Siamo arrivati dove? Dove stiamo
andando… e tu chi sei? Uno scoiattolo parlante? Ecco, vedi? Ho ancora le allucinazioni… Sto diventando matto… anzi, forse
matto lo sono già… Filippide il Matto, mi
chiameranno d’ora in poi...
– Sta’ zitto, padrone… non sprecare
energie e pensa invece a quel che dirai agli
ateniesi tra soli cento metri…
– Cento metri… sì… che cosa dirò agli
ateniesi? Chi sono gli ateniesi?
– Tu sei ateniese, Filippide!
– E allora che cosa mi dirò tra cento
metri?
– Dirai che abbiamo vinto, che i greci
hanno sconfitto i persiani nella piana di
Maratona…
– Maratona… che bel nome per una
pianura…
– …e che i generali hanno scelto l’ateniese più forte, più leggero e più resistente per portare fin qua l’annuncio…
– Ma dov’è l’ateniese più forte, più leggero e resistente? Io non l’ho incontrato…
– Sei tu, Filippide: sei tu l’eroe di questa
giornata! Hai corso quarantadue chilometri senza mai fermarti…
– Sono tanti, quarantadue chilometri
di corsa, per portare l’annuncio che…
– Proprio allora Filippide giunse barcollando tra le braccia dei primi ateniesi che
lo aspettavano sulla porta della città e che
gli furono attorno mentre lui terminava la
frase… – …che abbiamo sconfitto i persiani
nella piana di Maratona! Abbiamo vinto!
LA GRECIA… HA VINTO…
Solo allora Filippide, il vasaio ateniese
che era stato un po’ cicciottello e che pigro non lo era proprio più, chiuse gli occhi
e si addormentò d’un sonno così profondo
che nessuno riuscì a svegliarlo per ventiquattro ore di fila!
Gli ateniesi gli fecero festa ugualmente
e celebrarono la vittoria con giochi, danze
in piazza e tornei lungo le strade, ai quali
Filippide partecipò addormentato su una
portantina. Venne festeggiato anche Gellindakis, che fu nutrito e dissetato finché
quasi il pancino gli scoppiò.
Questa è la storia del soldato Filippide
che, correndo da Maratona ad Atene, raggiunse tre risultati: annunciò la vittoria sui
persiani, inventò la “maratona”, la lunga
corsa di poco più di quarantadue chilometri che chiude ancor oggi tutte le Olimpiadi moderne, ma soprattutto – grazie al suo
minuscolo scoiattolo – vinse tutte le sue
paure, la sua pigrizia e la sua timidezza! E
quell’avventura lo scoiattolo Gellindakis
Ghiandedoro la raccontò infinite volte ai
suoi nipoti, che la tramandarono di generazione in generazione fino a noi, che
l’abbiamo ascoltata oggi!
FINE
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