Come l`amor platonico. Kantismo e platonismo nella filosofia della

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PREMESSA
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PREMESSA
Proporre i temi del kantismo e del platonismo nella filosofia della matematica del ’900 esige, forse, qualche avvertenza per i lettori.
Kantismo e platonismo nel ’900 inducono, infatti, a pensare in modo
naturale alla Marburgo d’inizio secolo, ove, nel crogiolo neo-criticista,
Kant e Platone si interpretavano e correggevano reciprocamente nella
prospettiva dell’idealismo scientifico. Il richiamo, poi, alla matematica,
rievoca in particolare l’eredità di Hermann Cohen (culminata nell’Über
Platos Ideenlehre di Natorp) che, col suo scritto del 1878 Platonsideenlehre und die Mathematik, ha plasmato un’interpretazione delle Idee platoniche, nel contempo anti-ontologica e anti-psicologica, secondo la quale esse non sono oggetti, ma ipotesi (nel senso di primi princìpi del metodo analitico) che giustificano – e in questo senso fondano – la nostra conoscenza.
Tuttavia, se ci si accosta alla filosofia della matematica nel suo modellarsi a cavallo fra ’800 e ’900 e la si segue nel suo sviluppo lungo i decenni, emerge un altro modo d’intendere il kantismo e il platonismo, e i loro
reciproci rapporti.
La filosofia della matematica dei primi del ’900, infatti, si configura
concentrata attorno alla ricerca sui fondamenti della matematica, dove i
‘fondamenti’ non vanno intesi nell’accezione di ‘giustificazione della conoscenza’. Le due questioni principali che tale ricerca si pone sono: «che
cosa garantisce la certezza della matematica?» e «cosa sono gli enti – in
particolare, i numeri – di cui parla la matematica?». Quindi, i ‘fondamenti’ vanno piuttosto intesi come garanzia della sua certezza e, nel contempo, suo chiarimento concettuale.
Si sa che questa ricerca è stata perseguita in modi diversi dalle tre
scuole fondazionali – logicismo, intuizionismo, formalismo – e che le am-
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bizioni di rispondere in modo soddisfacente alle due domande precedenti sono definitivamente naufragate negli anni ’30. La ricerca fondazionale,
comunque, nel senso sopra delineato, non ha avuto termine col fallimento delle tre scuole, ma si è ulteriormente sviluppata, soffermandosi in
particolar modo sulla seconda questione, la natura degli enti matematici,
e sulla questione ad essa collegata, cioè la possibilità della loro esistenza.
Se si segue lungo il secolo lo sviluppo della ricerca fondazionale nel
senso sopra esplicitato, si scopre che Kant e Platone costituiscono i punti
di riferimento epistemologico, per un confronto o per un’ispirazione. Per
quanto riguarda le scuole fondazionali dei primi trent’anni è Kant il principale referente, mentre Platone (o, almeno, il platonismo) domina dagli
anni ’60 in poi. In mezzo ci sono riferimenti ad entrambi, ma sempre, o
almeno nella maggioranza dei casi, presi separatamente.
Non c’è un Kant platonizzato o un Platone kantizzato. È, questo, il
primo tratto distintivo dell’oggetto della presente ricerca, di cui è bene
che il lettore sia avvertito fin d’ora.
Nelle scuole fondazionali, buona parte degli studiosi era costituita da
matematici di formazione. Non ci si potrà, dunque, stupire se il loro riferimento a Kant non ha riguardato l’intero pensiero dell’autore, ma piuttosto tematiche parziali (quali l’a priori, oppure la distinzione di analitico/sintetico), che essi hanno colto attraverso le trame intessute dai colleghi filosofi, nel diretto dibattito con loro, o più semplicemente durante
seminari o conferenze.
Per motivi diversi, anche il Platone che viene portato in campo è un
Platone parziale: nel suo caso, infatti, la parzialità è data dal fatto che,
una volta coniato il termine ‘platonismo matematico’, questo diventa il
centro di un dibattito trentennale, al punto da non fare più nemmeno avvertire l’esigenza di un confronto coi testi originari. Proprio come
l’espressione ‘amore platonico’, anche quella di ‘platonismo matematico’
viene usata senza più porsi il problema di quale fosse il reale pensiero di
Platone in proposito.
Il secondo tratto distintivo di cui, quindi, il lettore deve essere avvertito consiste proprio in questa parzialità nel riferimento ai due autori.
Una parzialità che, per quanto concerne il platonismo, ha contribuito a
lasciare in ombra l’intero dibattito intorno ad esso, svoltosi a partire da
due articoli di Paul Benacerraf (rispettivamente apparsi nel 1965 e nel
1973), ma con le radici affondate negli scritti di Gödel e Quine degli anni
’40, che ha impegnato – e impegna tuttora – i filosofi della matematica di
area anglo-americana, e che ha costituito la prosecuzione filosofica della
ricerca sui fondamenti della matematica dei primi trent’anni del secolo.
Quest’ultima continua a esercitare il suo fascino magnetico con le sue
proposte (pur fallimentari da un punto di vista teorico) principalmente
per la grandiosità progettuale, di ampio respiro e di effettiva fecondità,
che l’ha animata: un intrico di riflessione filosofica, concettuale, ontologica ed epistemologica che portava con sé, in ciascuna delle tre forme in
cui si è concretizzata, la necessità di un apparato matematico per realizzarsi e trovare conferma. E questo lavoro di produzione della strumentazione matematica si è rivelato, poi, così complesso e carico di nuove problematiche e, dunque, di un nuovo interesse intrinseco, nel generare le
grandi diramazioni di cui si compone attualmente la logica matematica
(quali il costruttivismo, la teoria dei modelli, la teoria della dimostrazione), che ha fatto collocare, per così dire, su un piedistallo le tre scuole
fondazionali che l’avevano indotto.
Ciò costituisce un ulteriore motivo, in aggiunta alla parzialità che caratterizza il dibattito sul platonismo, per squalificarlo e per metterlo in
secondo piano, lasciando però in ombra, in tal modo, un’ampia parte
della filosofia della matematica del XX secolo che, a differenza del filone
‘non-fondazionale’, o ‘anti-fondazionale’ della matematica quasi-empirica
alla Lakatos, non riesce, per il suo limitarsi alla sola matematica, a trovare
‘fessure’ in altre discipline (quali la filosofia della scienza) per conquistare visibilità.
Se si vuole seguire senza soluzione di continuità la riflessione sulla filosofia della matematica di inizio secolo, che è una riflessione fondazionale (si interroga su certezza della matematica e natura dei suoi enti), occorre invece spostare lo sguardo dalle scuole fondazionali al dibattito sul
platonismo; parallelamente, se si vuole osservare la connessione che la filosofia della matematica così delineata ha con l’eredità filosofica tradizionale, occorre riferirsi a Kant e Platone.
Il tema del kantismo, poi, conduce inevitabilmente in altre zone della
filosofia della matematica, al di là delle scuole fondazionali. Basti qui citare un Brunschvicg o un Petitot. Mi auguro che questo itinerario lungo
le linee del kantismo e del platonismo consenta al lettore, dovutamente
avvertito, di gustare la ricchezza e profondità che la filosofia della matematica nel XX secolo ha presentato in un ampio ventaglio delle sue
espressioni.
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