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Misurare la biodiversità
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©Marino Gatto e Renato Casagrandi (2003) Dispense del corso di Ecologia
Misurare la biodiversità
La più semplice maniera di misurare la diversità di una comunità ecologica è forse quella di contare il numero di
specie che ne fanno parte. Abbiamo già detto che questo è molto riduttivo, tuttavia va notato che anche la semplice
attribuzione di questo solo numero a un ecosistema implica comunque uno sforzo notevolissimo, ovvero la raccolta di
un campione di organismi sufficientemente rappresentativo di tutte le specie della comunità e il riconoscimento delle
specie a cui appartengono i diversi organismi. Il campione stesso, però, fornisce delle ulteriori informazioni e
precisamente le abbondanze relative delle diverse specie, cioè le percentuali con cui le varie specie sono presenti
nel campione e quindi, se il campione è statisticamente significativo, nella comunità. È facile capire che anche le
abbondanze relative, oltre al numero di specie, concorrono a definire il grado di diversità di un ecosistema.
Consideriamo infatti due comunità ciascuna contenente dieci specie, ma in cui la prima sia caratterizzata da specie
aventi tutte la stessa abbondanza (10% del totale), mentre la seconda è dominata da una specie cui appartiene il
95% degli organismi del campione con le restanti nove specie concentrate nel rimanente 5%. Tutti attribuirebbero
intuitivamente un maggior grado di diversità alla prima comunità. Per risolvere questo problema e descrivere la
diversità ecologica in maniera più efficace che non con il solo numero di specie vengono, perciò, utilizzati indici di
diversità che tengono conto anche delle abbondanze relative.
Il problema di definire la diversità non è tipico solo dell'ecologia, ma di innumerevoli altre discipline e insorge tutte le
volte che si abbia un insieme di elementi ciascuno dei quali è attribuibile a una categoria (nel nostro caso la specie,
ma potremmo considerare anche altre categorizzazioni come il colore, l'età, la dimensione, tutti valori che
contribuiscono alla diversità ecologica). È spontaneo allora cercare di stabilire se questo insieme sia uniforme o
diversificato rispetto ad una certa proprietà tipica dei suoi elementi. Quando ciascuna categoria sia associabile a una
variabile casuale (ad esempio l'altezza degli alberi) la varianza del campione fornisce una semplice misura di
diversità, in quanto misura il grado di scostamento dal valore medio. Ma quando le categorie sono di tipo qualitativo,
come le specie di una comunità, non è possibile associare ad esse una variabile casuale in maniera naturale e i
concetti di media e di varianza perdono senso. Tuttavia il concetto di diversità, come spiegato precedentemente,
rimane intuitivamente ancora valido. Come possiamo definire un indice di diversità a partire dalle percentuali con cui
ciascuna categoria è rappresentata nel campione? Questo problema è stato risolto per la prima volta nell'ambito
della teoria dell'informazione indipendentemente da Shannon e da Wiener, che hanno definito il contenuto informativo
di un messaggio costituito da diversi simboli sulla base della diversità del messaggio medesimo (ad es. un foglio
contenente solo "a" ha sicuramente ben poco da dirci rispetto a un foglio che contenga una miscela di "a", "b", "c" e
così via). Margalef (1958) è stato il primo ad applicare questi concetti alle discipline ecologiche. Prima di illustrare
alcuni semplici concetti di base, va precisato che quanto esporremo si applica al caso in cui il campione di organismi
raccolto sia molto grande, sia cioè rappresentativo di tutte le specie contenute effettivamente nell'ecosistema
studiato. Quando il campione sia finito i ragionamenti vanno opportunamente modificati (per maggiori dettagli si veda
il libro di Pielou, 1977).
Immaginiamo di avere raccolto un campione di organismi appartenenti ad una certa comunità. Naturalmente
supponiamo che la raccolta sia stata fatta in maniera corretta senza privilegiare particolari zone dell'ecosistema o
particolari specie. Abbiamo perciò un insieme di
organismi che sono stati classificati in
categorie (ad es.
specie). Indichiamo con
la probabilità che un individuo della comunità preso a caso appartenga alla specie (
). Poiché abbiamo assunto che il campione di organismi raccolti è rappresentativo dell'intera
comunità possiamo dire che
dove
è il numero di organismi nel campione che appartengono alla specie
delle abbondanze relative
. Un indice di diversità è una funzione
che soddisfi almeno a queste due condizioni:
1. Per un dato numero di specie
la funzione
assume il suo più grande valore quando le abbondanze
relative sono tutte uguali, ovvero quando le specie sono equidistribuite. Se indichiamo il valore massimo con
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, deve perciò risultare
2. La diversità della comunità deve rimanere invariata se assumiamo l'esistenza di altre specie
ecc. che siano fittizie, cioè a cui non appartenga nessun organismo della comunità (
,
,
, per
ecc.). Dobbiamo perciò avere
È interessante notare che la condizione 2 insieme alla condizione 1 garantisce che di due comunità con diverso
numero di specie, ma comunque equidistribuite (ogni specie ha la stessa abbondanza relativa), la comunità col
maggior numero di specie ha indice di diversità più grande. Risulta infatti:
ma
È così rispettato uno dei requisiti che intuitivamente vanno attribuiti a un indice di diversità ecologica: una comunità
con maggior numero di specie è più diversa di un'altra con minor numero a parità di distribuzione delle abbondanze.
Le condizioni 1 e 2 non definiscono univocamente un buon indice di diversità. Esistono infatti infinite funzioni che
soddisfano ai due requisiti. Tra di esse tuttavia le più utilizzate sono le due seguenti:
i)
l'indice di diversità di Shannon-Wiener;
ii)
l'indice di diversità di Simpson.
L'indice di Shannon è stato sviluppato nell'ambito della teoria dell'informazione e soddisfa ad altre condizioni su cui
non vale la pena di soffermarsi. Esso è dato da
L'utilizzo del logaritmo in base 2 è semplicemente dovuto a ragioni storiche (l'uso dei bit nell'ambito della teoria
dell'informazione). Usando altre basi si moltiplica semplicemente l'indice per una costante (
).
È possibile mostrare che il massimo dell'indice di Shannon (naturalmente col vincolo che
proprio in corrispondenza di
per ogni
) è raggiunto
, cioè che la condizione 1 è verificata. Risulta perciò
che ovviamente è una funzione crescente del numero di specie
. Anche la condizione 2 è verificata perché l'indice
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è una sommatoria di addendi ciascuno dei quali si annulla per
.
L'indice di Simpson, pur essendo meno noto di quello di Shannon, ha il vantaggio di una semplice interpretazione
intuitiva. Simpson (1949), per definire la diversità, si pose la semplice domanda: qual è la probabilità che due
organismi presi a caso in una determinata comunità siano della stessa specie? Se una persona va a spasso per un
bosco italiano, la probabilità che due alberi presi a caso siano della stessa specie è molto più alta che se questa
medesima persona si reca nella foresta amazzonica. È possibile perciò definire un indice di diversità come la
probabilità che due organismi presi a caso in una certa comunità non siano della stessa specie. In formule
poichè
è la probabilità di scegliere a caso due organismi della stessa specie
, mentre
probabilità di scegliere a caso due organismi della stessa specie, una qualsiasi tra le
l'indice di Simpson si può dimostrare che il massimo (col vincolo che
corrispondenza di
per ogni
che è una funzione crescente di
è la
disponibili. Anche per
) è raggiunto proprio in
. Perciò
. La condizione 2 è ovviamente soddisfatta.
A differenza dell'indice di Shannon, che può variare tra 0 e
, l'indice di Simpson è compreso tra 0 e 1, poiché
è minore dell'unità. L'indice di Shannon, a causa della presenza del logaritmo, dà relativamente più peso,
rispetto all'indice di Simpson, alle specie rare.
Gli indici di diversità, come abbiamo messo in evidenza, riflettono sia il numero di specie della comunità sia la
maniera con cui gli organismi sono distribuiti tra le varie specie. A volte può essere utile tenere distinti i due aspetti.
A questo fine si possono introdurre gli indici di equiripartizione
, definiti nella seguente maniera:
Gli indici di equiripartizione, su una scala da 0 a 1, dicono quanto una comunità, a prescindere dal numero di specie
che contiene, si avvicina al caso ideale della perfetta equiripartizione (
). Nel caso dell'indice di Shannon
si ha
nel caso dell'indice di Simpson si ha
La Tab. 1 presenta un esempio di calcolo di indici di diversità e di equiripartizione con riferimento alla comunità di
rotiferi (un'importante componente dello zooplankton) del fiume Po campionata da Ferrari e Mazzoni (1989).
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Tabella 1: Esempio di calcolo degli indici di diversità di Shannon e di Simpson e dei
relativi indici di equiripartizione per una comunità di rotiferi campionati nel fiume Po il
23-7-1985 in località Viadana (MN) (da Ferrari e Mazzoni, 1989)
Brachionus angularis 25
L. (M.) closterocerca 25
B. bennini 525
L. (M.) hamata 1
B. calyciflorus 700
Cephalodella sp. 25
B. quadridentatus 75
Trichocerca pusilla 50
B. urceolaris 25
Synchaeta sp. 125
Brachionus m. 25
Polyarthra dolich-vulgaris 325
Keratella cochlearis 50
Asplanchna brightwelli 25
Keratella cochlearis tecta 50
A. priodonta 25
Keratella tropica 25
Filinia longiseta 25
Anuraeopsis fissa 150
Flosculariidae 1
Lepadella sp. 25
Bdelloidei 1
L. (Monostyla) sp. 50
Rotiferi non identificati 75
L. (M.) bulla 1
Numero totale di specie
Numero totale di individui
Indice di Shannon
Indice di Simpson
25
2429
3.321
0.841
3.321/
Indice di equiripartizione (Shannon)
=0.715
Indice di equiripartizione (Simpson)
0.841/(1-1/
)=0.876
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