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1° incontro 2008: Debolezza della Chiesa germanica nei secoli VII e VIII
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beato “don Luigi Monza”
DEBOLEZZA DELLA CHIESA GERMANICA NEI SECOLI VII E VIII
I quattro secoli che vanno dalla morte di san Gregorio Magno fino al Mille coincidono con la
maggior debolezza d’Europa, incapace di reagire alle aggressioni esterne provenienti dalla travolgente
espansione dell’Islam in Oriente, in Africa e in Spagna, e poi dalle incursioni di popoli ancora pagani,
come i Vichinghi e i Magiari. La Chiesa favorì una lenta evoluzione nel senso di ricostituire intorno alla
Francia l’esistenza di un Sacro Romano Impero proclamata al tempo di Carlo Magno.
Sviluppo della Chiesa bizantina
Nel VI secolo la Chiesa bizantina conobbe una notevole fioritura,
coincidente col lungo regno di Giustiniano (527-565) che ordinò la costruzione della chiesa di Santa
Sofia, per certi versi l’edificio più splendido dedicato a Dio. Appare una caratteristica della cristianità
bizantina la stretta dipendenza del potere religioso da quello politico, indicato generalmente col termine
cesaropapismo che tuttavia appare inadeguato. La tradizione orientale faceva del sovrano un dio perché
unicamente in forza di tale attributo divino egli poteva salvare il popolo. Gli islamici esasperarono la
confusione tra religione e politica: non esistendo alcun tipo di sacerdozio, nell’Islam conviene che il
capo politico sia anche il capo religioso. All’inizio del suo regno, Giustiniano firmò una pace durata
quasi mezzo secolo con l’Impero persiano. I due imperi impiegarono la pace per far fronte alle
pericolose incursioni dei popoli nomadi delle steppe dell’Asia in preda a estrema irrequietezza. I
Persiani cercavano di impedire la penetrazione del cristianesimo nel loro territorio, difendendo come se
fosse un patrimonio nazionale la religione di Zoroastro, accusando il cristianesimo di ricaduta nel
paganesimo per via della venerazione delle immagini scolpite o dipinte: si tratta dell’origine lontana
della grande crisi iconoclastica. Occorre aggiungere che quando dall’Arabia esplose l’espansione
dell’Islam, i Sasanidi persiani non poterono opporre alcuna resistenza alle armate islamiche,
accettandone la predicazione religiosa. Dopo la morte di Giustiniano, le immense spese sostenute per la
riconquista dell’occidente e per le numerose costruzioni volute dall’imperatore costrinsero ad aumentare
il prelievo fiscale, ben presto giunto al limite di rottura, che si raggiunge quando si rinuncia a
guadagnare di più per non dover consegnare tutto allo Stato. Le popolazioni della steppa ripresero le
loro incursioni spingendo gli Slavi a penetrare nell’Impero bizantino, in Tracia e nella Grecia
continentale. Gli Avari stanziati nell’attuale Ungheria arrivarono fino a minacciare Costantinopoli.
Quando l’imperatore Maurizio costrinse il suo esercito a svernare nella regine balcanica, i soldati si
ammutinarono mettendosi sotto la guida del centurione Foca, che fu acclamato imperatore, dopo aver
fatto uccidere Maurizio insieme coi figli. Per farsi riconoscere dal papa Gregorio Magno, Foca donò alla
Chiesa di Roma il Pantheon, l’edificio meglio conservato del mondo antico per il fatto di essere stato
trasformato in chiesa cristiana. I Persiani presero a pretesto l’uccisione di Maurizio per rompere la
tregua con l’Impero bizantino. Iniziò così una guerra durata circa trent’anni, nel corso della quale i due
imperi più importanti dell’oriente si logorarono a vicenda, col rischio di cadere preda del nuovo Impero
arabo di religione islamica sorto nel frattempo.
Maometto e l’Islam Posti al riparo dei loro deserti, gli Arabi erano vissuti per millenni indipendenti
dai grandi imperi dell’oriente e di Roma. Solamente le tribù arabe del settentrione avevano conosciuto il
cristianesimo e quelle dell’estremo sud, per l’arrivo di missionari copti dall’Etiopia. Gli Arabi della
Mecca, il centro ideale dell’Arabia, erano rimasti pagani. Tuttavia, l’unico mestiere che essi potevano
esercitare, il trasporto di merci di lusso dall’Oceano Indiano fino ai porti
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del Mediterraneo, metteva in relazione gli Arabi con bizantini ed ebrei. Maometto nacque verso il 570
alla Mecca. Rimasto orfano, fu affidato allo zio e a un nonno. Fece il cammelliere e poté avere notizia
delle religioni ebraica e cristiana, quest’ultima nella versione monofisita in qualche modo ostile alle
immagini. Dopo aver sposato una ricca vedova, Kadigia, Maometto fu libero di dedicarsi alla vocazione
che riteneva di origine divina, ossia liberare il suo popolo dall’errore del politeismo. Ma alla Mecca
esisteva da tempo immemorabile un santuario in cui erano conservati gli idoli delle varie tribù arabe con
notevoli benefici economici e di prestigio per la città della Mecca, e perciò la predicazione di Maometto
non ebbe successo, osteggiata da chi temeva per i propri interessi. Perciò in questo periodo Maometto
chiedeva tolleranza, per esempio nella sura 2, 256: “Nessuna costrizione nelle cose di fede”, citata da
Benedetto XVI nel suo noto discorso di Regensburg. Le tensioni crebbero al punto che Maometto
rinunciò alla protezione che gli era dovuta dalla sua tribù, emigrando a Yatrib, chiamata anche Medina
(la città), con circa settanta compagni (622, égira). Nel giro di pochi anni riuscì a imporre la sua autorità
politica e religiosa alle dieci tribù di Medina, tre delle quali erano ebree e perciò furono distrutte, con
confisca del patrimonio, assegnato ai credenti. Poi cominciò la guerra contro i mercanti della Mecca con
cattura delle loro carovane di cammelli e merci. Quando i Meccani si accorsero che i profitti calavano in
modo preoccupante e quando ricevettero assicurazioni che lo statuto di città santa sarebbe stato
conservato agli abitanti della Mecca, accettarono la nuova fede. Maometto condusse un grande
pellegrinaggio alla Mecca nel 630, confermando che la sua religione si sarebbe sempre diffusa con le
armi; due anni dopo morì.
La teologia islamica La religione islamica è un prodigio di semplicità. Si fonda su cinque pilastri (la
preghiera personale quattro volte al giorno, la preghiera pubblica del venerdì, la tassa dei poveri, il
digiuno del ramadan, il viaggio alla Mecca). La fede islamica prescrive l’accettazione con segni esterni,
non la conversione interna che non è possibile verificare. Non esistono sacramenti o sacerdozio e il
Corano va recitato e creduto parola per parola, senza interpretazioni, alla lettera, essendo stato dettato da
Allah a un profeta che riconosce come predecessori Mosé e Cristo, ma negando che quest’ultimo sia
Figlio di Dio. Ebrei e Cristiani sono definiti “popoli del libro” e trattati meno duramente dei pagani, ma
errano nell’interpretazione dei loro libri sacri, perché la rivelazione definitiva è quella consegnata a
Maometto e contenuta nel Corano. Difficilmente si potrebbe trovare una rivelazione religiosa meglio
adattata alle caratteristiche del popolo arabo. Furono conservati alcuni istituti, la poligamia e la
schiavitù, regolamentati in modo da ottenere una qualche attenuazione dei loro aspetti più duri.
L’espansione dell’Islam L’islamismo ebbe la capacità di riunire tutte le tribù arabe in modo tale che
in luogo di praticare la guerra tra loro la rivolgessero nei confronti dei non credenti, conducendo una
serie di scorrerie che hanno alcuni aspetti incredibili, perché in meno di un secolo conquistarono un
impero che andava dall’Indonesia alla Spagna. Nel 634 fu conquistata al-Hira in Iraq e poi Damasco e
tutta la Siria. Nel 636 avvenne la battaglia dello Yarmuq e due anni dopo fu conquistata Gerusalemme.
Poi fu la volta dell’Egitto: Alessandria fu definitivamente occupata nel 642. Cartagine fu occupata
definitivamente nel 698 e subito iniziò la costruzione di Tunisi. La scorreria sulla costa africana
continuò e nel 711 iniziò la conquista della Spagna. Toledo fu occupata nel 718 e poco dopo iniziarono
incursioni nella Francia meridionale.
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Verso oriente fu raggiunto l’Iraq, poi la Persia, l’India del nord e l’Indonesia verso l’anno 800. Il
successo islamico trova molte spiegazioni. Gli islamici furono accolti con favore dalle popolazioni
cristiane perché dimezzavano le tasse e non perseguitavano i dissidenti religiosi (monofisiti e
nestoriani). Gli islamici proibivano sotto pena di morte il proselitismo nei confronti di un islamico, ma
lasciavano una certa autonomia a cristiani ed ebrei di cui avevano bisogno per gli aspetti amministrativi
e culturali (si tenga presente che gli arabi non avevano alcuna cultura e che ricevettero da persiani,
siriani ed egiziani tutto ciò che poi formerà il nucleo della cultura araba). Si può aggiungere che, a
differenza dei bizantini ortodossi (melkiti), i monofisiti e i nestoriani presenti nell’impero arabo furono
molto proselitisti perché raggiunsero l’Asia centrale, spingendosi fino in Cina, dove i missionari
francescani del secolo XIII trovarono alcune comunità cristiane ancora attive.
Le battaglie d’arresto dell’espansione islamica
Occorre accennare al fatto che l’espansionismo
islamico proseguì vittorioso fin verso il 717-718, quando un esercito e una flotta islamica assediarono
Costantinopoli per circa un anno. La città fu difesa da Leone III l’Isaurico: l’esercito arabo fu decimato
dalle malattie e la flotta distrutta da una tempesta. Da quel momento l’Impero bizantino fu in grado di
combattere alla pari con l’Impero arabo. A occidente, le scorrerie arabe arrivarono fin nel sud della
Francia: nel 732 a Poitiers la cavalleria leggera araba commise l’errore di attaccare la cavalleria pesante
franca agli ordini di Carlo Martello, il nonno di Carlo Magno. La colonna araba fu distrutta e da allora si
attenuarono le scorrerie arabe in Francia. Verso il 750 il califfato degli Omayyadi, che da circa
novant’anni aveva sede a Damasco, fu sconfitto da una rivoluzione iniziata nell’Iran orientale e giunta al
potere con Abbas, fondatore della dinastia persiana che trasferì la capitale dell’Impero arabo nella città
di Baghdad sul Tigri. Le regioni più occidentali, Spagna e Africa, ebbero maggiore indipendenza dal
centro imperiale, ma il predominio della pirateria nel Mediterraneo rimase inalterato e perciò le due parti
della cristianità si svilupparono accentuando la loro autonomia che finì per trasformarsi in estraneità.
La questione monotelita Per reagire alla propaganda araba che accusava di politeismo i cristiani per
via della fede nella Trinità, gli imperatori bizantini, soprattutto il più grande tra loro, Eraclio (610-641)
tentarono di attenuare le formule di fede stabilite a Calcedonia, facendone preparare altre che dovevano
risultare meno ostiche ai monofisiti. Eraclio, d’accordo col patriarca Sergio, tentò di imporre un credo
che in Cristo unificasse le due volontà, umana e divina, o almeno che identificasse il fine di ogni singola
azione di Cristo, accostandosi così alle concezioni dei monofisiti che non demordevano. In occidente
queste sottigliezze erano a stento comprese, al contrario dell’oriente dove destavano dispute divenute
addirittura popolari. Nel corso del sesto concilio ecumenico, celebrato a Costantinopoli nel 681, fu
decretato che in Cristo ci sono due volontà e due energie, una umana e una divina, cooperanti ma
distinte, perché Cristo risulta perfetto Dio e perfetto uomo. Il risultato fu possibile anche perché
Alessandria e Antiochia erano ormai saldamente in mano agli islamici e all’impero bizantino premeva
ora di non perdere il contatto con l’occidente.
La questione iconoclastica
La crisi teologica, tuttavia, rimaneva latente. Leone III l’Isaurico
proveniva da una regione molto vicina alla Siria e al monofisismo che come si è accennato rimproverava
alla Chiesa bizantina lo splendore degli ori profusi nei mosaici,
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nei reliquiari, negli edifici di culto. L’accusa era di larvato paganesimo, ossia di imitare i politeisti
pagani. Nel 726 l’imperatore Leone III pubblicò un editto che vietava la confezione di nuove immagini e
ordinava la distruzione di alcune di esse, cominciando da una famosa immagine di Cristo posta sul
palazzo imperiale. Il patriarca Germano si oppose, ma prontamente fu destituito dalla carica e sostituito
con un patriarca iconoclasta. Il papa Gregorio II (715-731) non aderì all’editto di Leone III, affermando
che da tempo immemorabile il popolo cristiano aveva tributato onore e venerazione alle immagini,
presenti nelle catacombe fin dai primi tempi del cristianesimo, e che le immagini per i fedeli analfabeti
erano una vera Biblia pauperum ossia un libro adatto per coloro che non sapevano leggere, ma che
ritrovavano sotto forma di immagini ciò che aveva sentito predicare dalla viva voce dei sacerdoti. Molti
vescovi e monaci furono esiliati, alcuni subirono il martirio, numerose immagini sacre furono trafugate
in occidente dove l’iconografia bizantina rimase dominante fino al XIII secolo. I santuari e i monasteri
celebri per le loro immagini furono presi di mira dalla persecuzione che durò a lungo, oltre un secolo,
con una interruzione al tempo dell’imperatrice Irene. Costei, rimasta vedova e reggente per il figlio
Costantino, si oppose all’iconoclastia. Nel 787, sia pure in mezzo a contrasti di ogni genere,
l’imperatrice convocò e presiedette il concilio ecumenico di Nicea II nel corso del quale fu decretato che
nelle immagine si deve distinguere il significante, la tela o la statua, dal significato, ossia la Persona
divina o la Madonna o i santi, e che il culto è tributato al significato, non al significante: perciò il culto
delle immagini e delle reliquie è perfettamente lecito. In seguito l’imperatrice Irene usurpò il potere
facendo accecare il figlio, ma in seguito fu deposta ed esiliata a sua volta (802). I suoi successori, fino
all’842, furono iconoclasti. Alla morte dell’imperatore Teofilo, la vedova Teodora fece proclamare festa
dell’Ortodossia il ripristino delle immagini sacre, che da allora hanno avuto un’espansione grandiosa
nella Chiesa bizantina al punto da bloccare la creatività degli artisti, ai quali fu ordinato di attenersi a un
determinato modello iconografico. In occidente la confezione di immagini seguirà gli sviluppi delle arti
figurative con maggiore libertà.
L’evangelizzazione della Germania
Dopo la felice riuscita dell’evangelizzazione dell’Inghilterra
c’erano stati alcuni tentativi di evangelizzare i Sassoni rimasti in Germania. Iniziò verso il 685
Villibrordo che si recò in Germania nella zona della foce del Reno. Tuttavia il tentativo più riuscito fu
condotto da Vinfrido, che in seguito mutò il suo nome in quello di Bonifacio. Questi si recò a Roma
dove fu consacrato vescovo e inviato nella regione a est del Reno. Fondò la diocesi di Utrecht e
soprattutto il monastero di Fulda in Assia. La sua missione ebbe successo e fu incaricato di riformare
anche la Chiesa dei Franchi occidentali, che aveva subito non poche intromissioni indebite da parte di
Carlo Martello. Egli fu così soprannominato perché divenuto martello dei vescovi dai quali aveva
estorto contributi di soldati e di denari per finanziare le sue guerre, nominando vescovi e abati che di
ecclesiastico avevano solamente l’apparenza. Nel 753, Bonifacio, all’età di ottanta anni, fu martirizzato
da un gruppo di pagani Frisoni insieme con alcuni compagni. L’anno dopo il suo corpo fu sepolto con
onore a Fulda. Chiaramente non tutte le tribù germaniche si convertirono, anche perché appariva chiaro
il proposito dei Franchi occidentali di imporre la loro egemonia sui neofiti posti a oriente, che con ogni
evidenza non gradivano quella egemonia.
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La crisi iconoclastica provocò un’ulteriore riduzione dei rapporti tra le due parti della cristianità, quella
greca e quella latina.
Crisi dei rapporti tra Roma e Costantinopoli
Nel 751 Ravenna fu abbandonata dall’ultimo
presidio bizantino e il papa non ebbe altra protezione se non ricorrendo alle forze locali. In Francia, i
maggiordomi della famiglia dei Carolingi avevano sopraffatto i re fannulloni della dinastia dei
Merovingi, quella iniziata da Clodoveo. Pipino il Breve chiese al papa Zaccaria se era opportuno che chi
faceva le funzioni di re dovesse ricevere anche il titolo di re: la risposta fu affermativa. Col precedente
dell’Antico Testamento, quando Saul fu sostituito con David dal profeta Samuele, anche Childerico III
fu destituito e sostituito con Pipino che ricevette l’unzione di re dei Franchi, prima da Bonifacio, il
missionario dei Sassoni e poi dal papa Stefano III, che nel 754 si recò in Francia, a Ponthion, per
incoronare Pipino coi figli e per chiedere aiuto contro i Longobardi che tentavano di occupare Ravenna e
Roma.
Fine del regno dei Longobardi
Pipino il Breve, divenuto re dei Franchi, condusse due campagne
militari contro i Longobardi che insistevano nei loro attacchi contro Ravenna e Roma. L’Impero
bizantino reagì contro la nuova alleanza tra il Papato e i Franchi, sottraendo la Sicilia e l’Italia
meridionale e poi anche Tessalonica alla subordinazione nei confronti della Chiesa di Roma (occorre
ricordare che in quel momento infuriava la questione iconoclastica). Tuttavia la definitiva sconfitta dei
Longobardi avvenne per opera di Carlo Magno che nel 774 condusse l’ultima campagna contro i
Longobardi. I duchi longobardi furono sostituiti da duchi franchi e al papa fu assegnato il controllo delle
terre già appartenute all’Impero bizantino (il Ducato romano, la Pentapoli annonaria lungo il Tevere, la
Romagna con Ravenna). Il papa non aveva soldati e perciò questa donazione era del tutto nominale. In
quest’epoca la cancelleria papale confezionò un documento in cui si cercava di spiegare che tutto
l’occidente, ma più in particolare Roma e il Lazio, erano stati donati alla Chiesa da Costantino al papa
Silvestro, grato per essere stato guarito dalla lebbra. Questa leggenda circolava già da due secoli allo
scopo di suffragare il fatto che il papa aveva una funzione in ambito internazionale che gli rendeva
impossibile dipendere da un singolo sovrano. Rispetto ai Franchi, Roma risultava molto periferica e
perciò al riparo da un’influenza diretta del potere franco.
Carlo Magno
Con Carlo Magno (768-814) avvenne la prima formazione dell’Europa mediante una
serie di campagne militari pressoché annue che gli permisero di unificare tutta la Francia; la Germania
fino all’Elba, con alcune Marche di frontiera comprendenti l’Austria, l’Ungheria e il Friuli; l’Italia fino a
Spoleto e Benevento; la Spagna fino all’Ebro. I territori occupati da Carlo Magno rimanevano esposti
alle scorrerie navali di Saraceni e Vichinghi che potevano attaccare lungo tutte le coste, dal momento
che Carlo Magno non aveva il controllo del mare. Mancava anche di una burocrazia e di un esercito
permanente e perciò si può affermare che con lui comincia il regime feudale, caratterizzato da estrema
debolezza dello Stato centrale, costretto ad affidare le prerogative sovrane come fare leva di soldati,
imporre tasse ed esercitare la giustizia, a suoi rappresentanti locali. Ufficialmente la proclamazione del
Sacro Romano Impero, con questa sistemazione, avvenne la notte di Natale dell’anno 800, a Roma, per
iniziativa del papa Leone III (795-816): era un compromesso, un modus vivendi dettato dalla necessità di
non dipendere dall’Impero bizantino che non aveva la forza di
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controllare l’occidente. La Chiesa si impegnava a fornire le strutture culturali necessarie allo Stato di
Carlo Magno che non poteva contare su altri supporti che non fossero i monasteri. La società medievale
era divenuta quanto mai semplice: c’erano i cavalieri che combattono per tutti, c’erano i sacerdoti che
pregano per tutti e c’erano i contadini che lavorano per tutti.
I monasteri occidentali Occorre precisare che i monasteri benedettini per circa due secoli risultarono
auto cefali, ossia ciascuno si sviluppava autonomamente. Al tempo di Carlo Magno, gli usi e costumi
monastici apparivano molto vari da luogo a luogo e si costatò che, se un monastero decadeva dall’antica
disciplina, non esisteva possibilità di riforma. Per incarico di Carlo Magno, Benedetto di Aniane iniziò
la riforma dei monasteri dell’Aquitania, con tanto successo che gli fu affidata la riforma anche dei
monasteri della Francia settentrionale: i monasteri furono confederati in una congregazione presieduta
da un abate generale che aveva diritto di visita nei singoli monasteri. Il monastero medievale era una
struttura molto ampia, in grado di alloggiare anche alcune centinaia di monaci, esercitanti una
cinquantina di mestieri necessari per le esigenze pratiche del monastero. Esso poteva dare alloggio a re e
imperatori in viaggio, perché era amministrato secondo la razionalità propria di chi non ha altra risorsa
che la ragione per vivere, non le armi. Attorno ai monasteri spesso di formarono villaggi e città con
mercato. Nel monastero c’era sempre anche uno scriptorium col compito di conservare i manoscritti
antichi e farne nuove copie quando con l’uso si consumavano. Il servizio reso dai monasteri appare
inestimabile e ancora per molto tempo saranno lo strumento fondamentale per attuare la riforma che
deve essere permanente nella Chiesa, tenendo presente che non esistevano altre strutture statali per la
trasmissione del sapere da una generazione all’altra. Il punto debole dei monasteri era la loro
vulnerabilità, essendo esposti alle scorrerie di Vichinghi, Magiari e Saraceni.
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