Elaborato di Francesca Grisafi. Studentessa al secondo anno nella facoltà di Scienze e
tecnologie Agrarie all’ Università Cattolica (PC).
Soffriamo insieme?
Si sente spesso parlare in televisione, Internet, giornali e anche in università del tema
dell’ambiente: è giusto mangiare biologico? Fanno davvero male i pesticidi e i diserbanti?
L’inquinamento è veramente ridotto eliminando l’uso di sostanze chimiche sul suolo e sulle
coltivazioni? Le risposte a queste domande esistono, ma sarebbe opportuno dedicarci più di
cinque pagine word.
Ho quindi deciso di concentrarmi sulla seconda domanda: Fanno davvero male i pesticidi e i
diserbanti?
L’erbicida (o diserbante) è un composto chimico che, applicato sul terreno o sul fogliame, ha
la proprietà di distruggere le erbe e di impedirne la vegetazione 1. Esistono varie tipologie di
erbicidi che spaziano dai più aggressivi, come il Glifosate, che distruggono o impediscono
qualsiasi tipo di vegetazione, ai meno aggressivi, detti anche selettivi, quando agiscono solo
sulle erbe dannose. Il diserbante agisce in diversi modi all’interno della pianta: in quanto può
lesionare i tessuti fogliari o le gemme, danneggiare l’apparato radicale, impedire la
formazione o la germinazione dei semi, diradare i fiori o le foglie e bloccare il metabolismo
nutrizionale inibendo la produzione di ormoni. Oltre che danneggiare la pianta, come da
definizione, gli erbicidi posso provocare danni ingenti all’ambiente. Sono stati riscontrati
avvelenamenti delle falde acquifere, diminuzione della biodiversità, effetti sulla qualità del
suolo, come l’erosione del terreno stesso e la diminuzione dei nutrienti disponibili per le
piante (fertilità), ma anche danni alla salute umana con l’aumento di obesità, infertilità,
autismo, tumori o linfomi in seguito all’esposizione diretta o indiretta alle sostanze diserbanti.
Tutto questo è causato perché c’è la necessità di eliminare l’infestante, comunemente noto
come “erbaccia”.
Ma questa erbaccia, altro non è che una pianta normale. Non ha nulla di intrinsecamente
malvagio o dannoso, ma potrebbe essere un problema per una coltivazione e
conseguentemente per l’attività redditizia dell’agricoltore. L’infestante è quindi una pianta che
si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma una pianta è davvero così statica e inerme come siamo abituati a pensare? No.
Pensiamo un momento di metterci nei panni della pianta. L’unico scopo che accomuna tutte
le specie viventi è solo uno: la propagazione della specie, ed è per questo motivo che tutti gli
organismi escogitano le più varie e fantasiose strategie per assicurare la vita sulla terra alla
propria prole. Il meccanismo che la maggior parte delle piante utilizza è la produzione di
metaboliti secondari, ossia sostanze chimiche che possono svolgere molteplici funzioni:
dall’attrazione degli insetti impollinatori fino alla difesa dai patogeni. La pianta sa quindi
difendersi naturalmente dai molteplici aggressori semplicemente secernendo queste
molecole. Ad esempio, quando la pianta viene attaccata da un parassita, inizia a secernere
l’acido Salicilico (principio attivo dell’aspirina) e Jasmonati, per arginare l’infezione e
addirittura per intossicare l’organismo aggressore. Questa difesa alle aggressioni non
funziona soltanto in caso di attacco fisico da parte di un altro essere vivente, ma funziona
1
http://www.sapere.it/enciclopedia/erbicida.html
anche in caso di aggressione chimica da parte di un erbicida. Le piante infatti sviluppano una
erbicida-resistenza che porta gli agricoltori ad aumentare di volta in volta le dosi di
diserbante.
Per questo motivo è interessante sapere che esistono sostanze allelochimiche che sono
necessarie per la comunicazione tra piante di specie diversa e che possono essere sfruttate
per ridurre l’utilizzo di erbicidi in campo. Questi composti sono molto studiati perché sono
protagonisti di un fenomeno chiamato allelopatia (dal greco “sofferenza reciproca”) che
consiste nell’antagonismo tra specie vegetali atto ad inibire lo sviluppo di competitori nello
stesso ambiente. Questa è la conferma che le piante NATURALMENTE hanno la capacità
di inibire lo sviluppo di organismi vegetali che comprometterebbero la loro stessa
sopravvivenza. L’allelopatia è attualmente oggetto di studio per un potenziale uso che io
vorrei proporre come possibile metodo di agricoltura alternativa e sostenibile da utilizzare
nelle nostre zone: la cover crop allelopatica. Si definisce cover crop una pianta che funziona
da erbicida naturale per una seconda coltura. Queste piante sono accomunate da un aspetto
da non trascurare: sono colture dalle quali non si ricava direttamente un reddito, quanto
piuttosto un servizio agrosistemico, vale a dire un beneficio indiretto per la sostenibilità del
sistema agrario che di esse si serve.2 Teoricamente il funzionamento delle cover crop è
piuttosto semplice: voglio ottenere reddito da una coltura A, la quale è infestata dalla coltura
B: utilizzo la cover crop C che naturalmente non fa crescere B. La cover crop allelopatica si
basa, appunto, sulla capacità di alcune piante di secernere composti chimici capaci di inibire
la germinazione o lo sviluppo di un’altra specie vegetale. Questa tecnica è molto
interessante soprattutto se teniamo conto che la pianta può produrre e rilasciare allelochimici
dalle foglie, fiori, semi, radici e anche dal materiale morto ed in decomposizione. L’effetto di
controllo delle infestanti si può manifestare sia durante la crescita della cover crop, sia dopo
la sua morte provvedendo alla formazione di pacciame, che funziona grazie a fattori chimici
già citati in precedenza, e a fattori fisici quali l’ombreggiamento e l’abbassamento delle
temperature del suolo3. Il pacciame può essere interrato attraverso le arature o lasciato sulla
superficie del suolo, caso in cui il controllo delle infestanti si mantiene dalle quattro alle otto
settimane dalla pacciamatura4. La quantità di infestanti soppresse dipende da molti fattori
quali:
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


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Lo spessore dello strato pacciamante5
La specie e la varietà della cover crop
La quantità di biomassa prodotta
Il livello di fertilità del suolo
L’andamento stagionale
La fertilizzazione azotata
La pratica di aratura
I dati che in seguito riporterò sono tratti da esperimenti scientifici, eseguiti in Germani ed in Italia, per valutare
l’efficacia delle cover crop allelopatiche. In particolare la Segale.
2
V. Tabaglio, Le Cover Crop per l’AgricolturaBLU
V.Tabaglio, A.Marocco, M.Schulz, Allelopathic cover crop of rye for integrated weed control in sustainable
agroecosystem
4
Ercoli, et al., 2005
5
V.Tabaglio, A.Marocco, M.Schulz, Allelopathic cover crop of rye for integrated weed control in sustainable
agroecosystem
3
Le differenze di azione della cover crop, sono diverse a seconda della varietà che stiamo
considerando. Studi sulla Segale (Specie: Secale cereale L.) dimostrando che, all’interno della
stessa specie, ci sono cultivar più efficienti, come A.retroflexus e P.oleracea, e cultivar non
efficienti come Ch. Album e A.theophrasti6. Addirittura in quest’ultimo caso, l’effetto della cover
crop sembra promuovere la germinazione dei semi.
Sono state effettuate altre ricerche su questo cereale anche per valutarne l'efficacia, come cover
crop, in relazione alle due principali variabili agronomiche: concimazioni azotate e lavorazione del
terreno in termini di arature. Per quanto riguarda il primo caso, è stato riscontrato che la
concimazione azotata (50kg N ha-1) ha aumentato il livello di allelochimici nella pianta rispetto
all’assenza di concimazione7. Per quanto riguarda le lavorazioni del terreno, invece, il controllo
allelopatico è risultato più efficace in condizioni di no-tillage (783 plantule infestanti germinate per
metro quadro in no-tillage, contro 2313 in campi arati)8. La combinazione delle due variabili ha
ulteriormente dimostrato la maggiore efficacia in agricoltura no-tillage: con concimazioni azotate
(da 0kg N ha-1 a 350kg N ha-1) il numero delle infestanti si è ridotto dell’80%, mentre in agricoltura
convenzionale, con le stesse concimazioni azotate, il numero delle infestanti è aumentato del 60%.
Questi dati, a prima vista possono sembrare contradditori, in realtà è bene ricordare che l’aumento
di allelochimici nella pianta non è direttamente correlato all’aumento dell’efficienza di quest’ultima
come cover crop, in quanto le condizioni di fertilità del terreno e il modo in cui la pianta assorbe e
trasloca gli elementi chimici sono fattori molto importanti per valutare l’efficacia del controllo
allelopatico.9
Questi studi hanno confermato che alcune varietà di Secale cereale L. hanno composti fitoattivi in
grado di controllare specifici tipi di infestanti, e che quindi il loro pacciame può essere utilizzato in
strategie di controllo integrato delle malerbe, sfruttando gli allelochimici. Utilizzare Secale cereale
L. o altre cover crop, può contribuire a ridurre i costi dell’agricoltore, per la produzione della coltura
da reddito, e soprattutto i rischi ambientali causati da un eccessivo uso di erbicidi.
6
V.Tabaglio, A.Marocco, M.Schulz, Allelopathic cover crop of rye for integrated weed control in sustainable
agroecosystem
7
V.Tabaglio, A.Marocco, M.Schulz, Impiego delle cover crop allelopatiche per il controllo sostenibile delle
infestanti negli agro-ecosistemi
8
V.Tabaglio, A.Marocco, M.Schulz, Allelopathic cover crop of rye for integrated weed control in sustainable
agroecosystem
9
V.Tabaglio, A.Marocco, M.Schulz, Allelopathic cover crop of rye for integrated weed control in sustainable
agroecosystem